• Non ci sono risultati.

Composizione del consiglio di amministrazione: nomina, revoca, cessazione e sostituzione.

5 (Segue) Il modello dualistico.

7. Composizione del consiglio di amministrazione: nomina, revoca, cessazione e sostituzione.

In tema di amministrazione, il sistema di governance monistico non presenta rilevanti divergenze rispetto al consiglio di amministrazione del modello tradizionale, poiché le disposizioni del modello alternativo sono state delineate dal legislatore attraverso la tecnica del rinvio, fatta salva la disposizione sui requisiti di indipendenza richiesti agli amministratori. Infatti, ai sensi dell’articolo 2409-

septiesdecies c.c. almeno un terzo dei componenti del consiglio di

amministrazione deve essere in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci nel modello tradizionale, e se lo statuto lo prevede, i componenti devono possedere i requisiti previsti dai codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati, in modo da rafforzare il concetto di indipendenza, necessario per impedire comportamenti opportunistici degli amministratori e consentire un’efficace attività di controllo.

È ormai nota la disposizione, comune a tutti i modelli organizzativi, secondo la quale «la gestione dell’impresa spetta esclusivamente al consiglio di amministrazione»; ma, nonostante il chiaro richiamo al modello tradizionale,

107 M. IRRERA, Profili di corporate governance della società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, Milano, 2009, p. 532.

44 appare evidente la modifica dell’espressione “amministratori” in “consiglio”. Appunto, tra gli elementi di distinzione del sistema monistico emerge la peculiarità della collegialità dell’organo amministrativo, per cui è incompatibile la figura dell’amministratore unico.

In questi termini, le società che optano per il modello monistico devono ricorrere a collegi “consistenti”, in un aspetto quantitativo-numerico, anche se non vi è accordo in dottrina circa il numero di soggetti di cui gli organi del monistico devono essere composti. L’art. 2409-octiesdecies, comma 1, c.c. richiede che il comitato sia composto almeno da tre membri; ne consegue che, secondo parte della dottrina, i componenti indipendenti del consiglio di amministrazione dovrebbero essere almeno quattro108, in modo da comprendere anche amministratori operativi per la composizione di un comitato esecutivo –composto da un numero non inferiore a tre membri – per la realizzazione di un sano equilibrio (e dialettica) con l’altra tipologia di amministratori, i non esecutivi.

La nomina dei componenti dell’organo amministrativo avviene per opera dell’assemblea ordinaria con maggioranza assoluta, salvo che lo statuto non stabilisca diversamente, richiedendo per esempio una maggioranza più elevata109; si aprono così dibattiti sulla legittimità di altre clausole statutarie, al di là della deroga al quorum costitutivo, che attengono alla possibilità di adottare diversi sistemi di votazione che garantiscano alle minoranze di aver rappresentanza in consiglio110: in prima approssimazione, gli interpreti ritengono che, mantenendo anche per le minoranze i requisiti di indipendenza, non ci dovrebbero essere particolari problemi teorici nell’elezione degli amministratori111.

108 G.E. COLOMBO, Amministrazione e controllo, in Il nuovo ordinamento delle società, a cura di S. Rossi, Milano, 2003, chiarisce a p. 192 che «Infatti, in caso contrario non sarebbe di fatto una nomina da parte del consiglio ma piuttosto dall’assemblea».

109 Ex art. 2368; art 2369: «In seconda convocazione l’assemblea ordinaria delibera sugli oggetti che avrebbero dovuto essere trattati nella prima, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci partecipanti e l’assemblea straordinaria è regolarmente costituita con la partecipazione di oltre un terzo del capitale sociale e delibera con il voto favorevole di almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea. Lo statuto può richiedere maggioranze più elevate, tranne che per l’approvazione del bilancio e per la nomina e la revoca delle cariche sociali».

110 La dottrina rimanda ad esempio al voto di lista: G. SCALFI, Clausole particolari per la nomina degli amministratori, in Riv. soc., 1971, p. 40 ss.

111 G. RIOLFO, Il sistema monistico nelle società di capitali e cooperative, in Trattato di Diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da F.Galgano, Padova, 2010, p. 31.

45 In relazione alle maggioranze, di contro, si deve tener conto che è stato concesso con la riformulazione dell’art. 2351 c.c.112 la possibilità della creazione di azioni con diritto di voto plurimo (fino a tre voti) che sicuramente rappresentano una forma di influenza nella creazione delle maggioranze in tema di nomina e revoca degli organi sociali113. Infine, la nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione può essere attribuita diversamente: nel caso di specifica designazione dei primi amministratori espressamente previsti nell’atto costitutivo (ex art. 2328 c.c.); e perché «gli strumenti finanziari di cui agli articoli 2346, sesto comma, e 2349, secondo comma, possono essere dotati del diritto di voto su […] nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione; e se lo statuto o gli enti pubblici hanno partecipazioni […] lo statuto può a essi conferire la facoltà di nominare un numero di amministratori [..]» (ex art. 2449 c.c).

Fermo restando che, in tutti i casi di nomina, a prescindere da dove essa

“derivi”, si applicano agli amministratori eletti le medesime norme previste nel metodo legale, cosicché il concetto di indipendenza, riferito dapprima ai sindaci, e poi agli amministratori, si erge a concetto generale.

Circa la disciplina della durata dell’incarico si stabilisce il limite di tre esercizi, per cui la Riforma ha esplicitato essere l’esercizio sociale (e non solare)114, con scadenza alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica; anche se essi sono rieleggibili, a meno che lo statuto non preveda diversamente115.

Un aspetto particolarmente critico riguarda la revoca degli amministratori, i quali possono essere revocati dall’assemblea in qualunque momento, e inderogabilmente, salvo il diritto di risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa: si tratta dell’espressione della volontà della società stessa di esercitare un diritto potestativo nei confronti del management in base al rapporto

112 Modificato dal D.lgs n. 91/14 c.d. Decreto competitività

113 M. GRASSI, La revoca degli amministratori nelle società, in Bilancio, vigilanza e controlli, in www.ichinobrugnatelli, n. 12, 2014.

114 G.CAVALLI, Assemblea e amministratori, in Diritto Commerciale, diretto da O. Cagnasso, G. Cottino Torino, 2013 p. 544 e ss.

115 ID., op. cit., p. 545 «e al fine di prevenire la vacatio legis che si potrebbe verificare dalla data di approvazione del bilancio dell’esercizio nel quale scade il mandato e il momento in cui assume l’incarico il nuovo organo gestorio si sancisce la proroga degli amministratori fino al momento in cui il consiglio non è ricostituito».

46 che si è instaurato tra essi116. Ma, contrariamente a quanto previsto per la nomina, è esclusa la possibilità che clausole statutarie possano incidere sull’esercizio della revoca, così che il legislatore ha previsto un quorum costitutivo pari alla metà del capitale sociale e un quorum deliberativo pari alla maggioranza assoluta.

Si è osservato come tali previsioni vengano applicate a tutti gli amministratori, sia a coloro che sono “potenziali” membri del comitato, sia a coloro che ne fanno effettivamente parte; per cui, si può anticipare, che appare problematico la non estensione ai membri del comitato della garanzia che vale per i sindaci, cioè di essere revocati solo per giusta causa. Sono comunque previste delle eccezioni alla regola generale, così come per i casi particolari di nomina degli amministratori, visti precedentemente: dove era stata prevista la nomina da parte di Stato o enti pubblici, si stabilisce che essi possano essere «revocati soltanto dagli enti che li hanno nominati».

Per quanto attiene, infine, la cessazione e la sostituzione degli amministratori, le disposizioni civilistiche previste per il sistema tradizionale valgono anche per il modello monistico (artt. 2385 e 2386 c.c.).

Per la cessazione dell’incarico, è previsto che l’amministratore può in ogni momento rinunciare al proprio ufficio, ma si individuano delle soluzioni applicative diverse nel caso in cui resti in carica o meno la maggioranza del consiglio di amministrazione. Infatti, nel caso in cui permane la maggioranza, la rinuncia ha effetto immediato; se viene meno la maggioranza degli amministratori, è necessario che quelli rimasti in carica convochino una nuova assemblea che, in base a suoi poteri ordinari, provvede alla sostituzione di quelli mancanti.

Per quanto riguarda, invece, la sostituzione di soggetti che sono venuti meno per differenti cause (dimissioni, scadenza del termine, morte), anche qui a seconda dalla sussistenza o meno della maggioranza del consiglio si individuano diverse modalità di designazione dei nuovi componenti. Nell’ipotesi di permanenza della maggioranza, necessaria per la formazione di una valida delibera consiliare, si attiva l’istituto della cooptazione, cioè un metodo di scelta dei nuovi membri attraverso l’elezione da parte dell’organo stesso, con le particolari

47 precisazioni che tale deliberazione derivi da una maggioranza costituita dagli amministratori nominati dall’assemblea e che tale «delibera sia approvata dal collegio sindacale»117. Ovviamente questo strumento si riferisce all’organo collegiale di controllo originariamente pensato per il sistema tradizionale, il collegio sindacale, ma dato che il legislatore della Riforma sembra abbia voluto estendere la disciplina del collegio sindacale anche al comitato per il controllo sulla gestione, nulla apparentemente sembra vietare ad esso l’approvazione di tale delibera di cooptazione118. Anche in questo caso, se la maggioranza degli amministratori viene meno, sarà necessario convocare l’assemblea per la nomina del nuovo consiglio.

Ulteriore profilo da tenere in considerazione, infine, è l'art. 2386 c.c comma 3, ossia la possibilità che lo statuto contenga la particolare clausola del «simul

stabunt simul cadent»: si tratta di una forma di cessazione indiretta dell’istituto

perché, in forza di tale clausola, in seguito al venir meno di taluni amministratori, decade automaticamente l’intero consiglio di amministrazione, costringendo gli amministratori rimasti in carica – o se lo statuto lo prevede, il comitato per il controllo – a convocare d’urgenza l’assemblea affinché nomini nuovi amministratori. Non si possono, però, non mettere in luce le perplessità che anche in questo caso la disciplina del sistema monistico ha generato: ci si chiede infatti se il venir meno di tutti gli amministratori comporti la sola sostituzione dell’organo amministrativo, o anche quella del comitato per il controllo sulla gestione, composto da parte di essi; e in caso della sua permanenza, in che termini esso possa continuare ad operare.

Si rinvia al prossimo capitolo la trattazione dell’interpretazione della natura giuridica del Comitato sul controllo di gestione e delle sue implicazioni.

117 Art. 2386 c.c. primo comma.

118 L’art. 223-septies disp. att.cc., infatti, prevede che «se non diversamente disposto, le norme del codice civile che fanno riferimento agli amministratori e ai sindaci trovano applicazione, in quanto compatibili, anche ai componenti del consiglio di amministrazione e ai componenti del comitato interno per il controllo sulla gestione, per le società che abbiano adottato il sistema monistico».

48 8. I requisiti soggettivi degli amministratori: l’indipendenza, le cause di ineleggibilità e decadenza.

La normativa relativa ai requisiti soggettivi, alle cause di ineleggibilità e decadenza degli amministratori nel sistema monistico fa esplicito riferimento, ancora una volta, alla disciplina del sistema tradizionale con l’accurata osservazione che, però, tali condizioni si applicano a tutti gli amministratori, a prescindere dal ruolo ricoperto e a consolidamento dell’obbligatoria collegialità dell’organo amministrativo monistico.

Il primo chiaro richiamo nella disciplina del sistema monistico attiene all’art. 2382 c.c. sulle cause di ineleggibilità e di decadenza degli amministratori del modello tradizionale, per il quale si applica in toto quanto previsto dalla legge: «non può essere nominato, e se nominato decade dal suo ufficio, l’interdetto, l’inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità di esercitare uffici direttivi».

Inoltre, per le società per azioni, a prescindere dal modello di governance adottato, è stabilito, nell’art. 2387 c.c., che i soci possono stabilire ulteriori requisiti di eleggibilità e decadenza degli amministratori «previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati». Non appaiono, dunque, grandi differenze nell’applicazione di tale disciplina, ma si rileva, di contro, il carattere imperativo nella definizione dei limiti numerici a cui è imposta l’inderogabilità della norma nel sistema monistico.

Appare dunque necessario analizzare la figura dell’amministratore indipendente, stabilendo le sue origini e il significato della portata d’indipendenza.

49 9. (Segue). Gli amministratori indipendenti.

Come è stato più volte detto, un rilevante elemento del sistema monistico è rappresentato dai requisiti di indipendenza richiesti agli amministratori affinché vi sia una definizione di un controllo neutrale e obiettivo.

Le origini della figura dell’amministratore indipendente vanno collocate nell’esperienza americana degli anni settanta del XX° secolo, in cui era conosciuto con il nome di outside director, quando già si avvertiva la necessità di rafforzare il consiglio di amministrazione a seguito degli scandali finanziari. Tale rafforzamento si realizzò con lo stravolgimento delle funzioni del consiglio di amministrazione, da funzioni consultive a funzione di monitoraggio sul comportamento dei manager. Una funzione che richiedeva necessariamente la selezione di amministratori capaci che, nel corso del tempo, videro accrescere anche le loro funzioni interne accanto anche all’introduzione di comitati preposti al controllo.

L’evoluzione di questa figura giuridica è, infatti, segnata dall’ulteriore passaggio da compiti essenzialmente contabili ad un controllo di ampia portata che comprende anche aspetti strategici, quali l’approvazione di operazioni rilevanti, conoscenza dei fatti di gestione e scambio di informazioni con gli altri organi.

Per le stesse ragioni, anche l’Europa, e primo fra tutti il Regno Unito, percepì alla fine degli anni ‘90 le stesse necessità119.

Per quanto attiene la disciplina italiana, la figura degli amministratori indipendenti ha visto la sua importazione, dapprima, con il codice di autodisciplina che, in larga parte, riprende le pratiche anglosassoni e procede con la distinzione di amministratori esecutivi e non esecutivi a cui spettano sia compiti di monitoraggio che di gestione120, con la principale finalità di diminuire i cosiddetti “costi di agenzia”, scaturenti dalle divergenza tra amministratori e azionisti e/o tra

119 L’introduzione della figura degli amministratori indipendenti risale al riconoscimento ufficiale nel rapporto Cadbury del 1992, in cui al fine di rafforzare i poteri del consiglio, il ruolo degli amministratori indipendenti assume grande rilevanza e occupazione nei consigli inglesi, disciplinati in gran parte dalle best practice del Regno Unito.

120 G. FERRARINI, Ruolo degli amministratori indipendenti e Lead Independent Director, in www.emagazine.assonime.it, 2014.

50 azionisti di controllo e le minoranze121. Di fatto, la presenza degli amministratori indipendenti rientra nelle necessità di assicurare il corretto e trasparente svolgimento della gestione, ponendosi come intermediari tra «le funzioni di gestione degli amministratori esecutivi e quelle di supervisione proprie del

plenum»122 nella concezione, inoltre, di un miglioramento delle performance aziendali, del livello di protezione degli azionisti e di rafforzamento della credibilità anche negli aspetti finanziari dell’azienda.

Il sistema monistico richiede espressamente all’interno del consiglio di amministrazione la presenza di «almeno un terzo dei componenti in possesso dei requisiti di indipendenza stabiliti per i sindaci dall’articolo 2399, primo comma, c.c. e, se lo statuto lo prevede, di quelli al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati».

Si registra, nella riformulazione post Riforma, una maggiore apertura rispetto alla previsione originaria che imponeva la presenza della metà degli amministratori indipendenti del consiglio di amministrazione. I motivi alla base dell’iniziale scelta di adottare un modello con la metà di amministratori dipendevano da: a) un’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale che propendeva in tal senso ed era accettata dalla comunità degli affari; b) una maggiore rigidità delle società di gestione dei mercati regolamentati statunitensi. La decisione di modificare tale iniziale previsione, applicata per tutte le società a prescindere dalle dimensioni, ha però dimostrato che nelle piccole società questo comportava un’eccessiva rigidità dell’organo consiliare; attraverso un confronto con gli altri ordinamenti, si era visto che l’adozione di un organo composto per metà da amministratori indipendenti era limitata alle società aperte, era quindi necessario dare la possibilità alle piccole società, con un raggio d’azione più limitato, che adottavano il sistema monistico di adattarlo alle loro esigenze, riducendo, dunque, il numero degli amministratori indipendenti.123

121 L. CALVOSA, Alcune riflessioni sulla figura degli amministratori indipendenti, in Il Testo Unico della Finanza. Un bilancio dopo 15 anni, a cura di F. Annunziata, Milano, 2015, p. 45.

122 ID., op. loc. cit.

51 Altra conferma del fatto che i requisiti di indipendenza abbiano un carattere maggiormente critico nel sistema monistico è la deduzione che il venir meno di un amministratore indipendente, se non sostituito immediatamente, comporta una composizione irregolare del consiglio per cui sono impugnabili tutte le delibere; ragion per cui diventa ancora più necessario un controllo periodico sull’indipendenza degli amministratori124.

La previsione dell’art. 2409-septiesdecies c.c., dunque, rimanda totalmente art. 2399 c.c.125, valido sia per l’indipendenza dei sindaci nel loro ruolo di “controllori esterni” rispetto agli amministratori, sia per gli amministratori esecutivi e non esecutivi; ad entrambi, infatti, è richiesto di svolgere le funzioni «nell’interesse esclusivo della società».

In riferimento a tale interesse sociale, inoltre, si evidenzia come già in tema di definizione delle guidelines (EBA) in materia di governo delle banche emerge maggiormente il requisito della professionalità richiesto agli amministratori indipendenti, al fine di avere valutazioni più di carattere oggettivo che soggettivo dei loro comportamenti che, a prescindere dalla natura dell’incarico, devono essere diretti al perseguimento dell’interesse sociale. Discussioni che rafforzano, dunque, il concetto dell’autonomia del giudizio in riferimento alla totalità dei membri del

board, nel senso di un atteggiamento richiesto a tutti gli amministratori, esecutivi

e non esecutivi, al fine di assicurare l’indipendenza del giudizio e la consapevolezza dei doveri e dei diritti connessi alla loro carica, a garanzia dell’interesse sociale e di quello dell’impresa126.

Tale disposizione rileva, infatti, che gli amministratori indipendenti svolgono funzioni di monitoring più incisive rispetto ai membri del collegio

124 ID., op. cit. p. 241.

125 Non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall'ufficio: a) Coloro che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 2382 c.c.;

b) Il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori della società, gli amministratori, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado degli amministratori delle società da questa controllate, delle società che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo;

c) Coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.

52 sindacale, data la loro partecipazione ai comitati e alla definizione delle strategie aziendali, tale per cui, oscillando tra funzioni di gestione di controllo (perché in primo luogo sono amministratori), hanno un diverso profilo di indipendenza, a cui corrisponde, di fatto, una maggiore quantità e qualità delle informazioni derivanti dalle «doppie funzioni esercitate»127.

Necessaria appare, però, la trattazione analitica dei singoli punti dell’articolo, la cui ratio è maggiormente comprensibile anche in relazione alla disciplina contenuta dal Codice di Autodisciplina e dagli interventi del TUF che hanno generato un concetto più ampio di indipendenza, privilegiando l’ottica della sostanza sulla forma.

In primo luogo, si osserva come la rilevanza attribuita ai rapporti di natura familiare degli amministratori indipendenti, tra le cause d’ineleggibilità e di decadenza, appare necessaria per evitare che si creino conflitti di interesse da influenzare il giudizio dell’amministratore indipendente.

In secondo luogo, il legislatore ha imposto un limite anche a riguardo del legame di tipo lavorativo o di consulenza dell’amministratore con la società, per cui si specifica che il rapporto di consulenza debba essere di tipo continuativo, escludendo cioè quei soggetti che svolgono attività di tipo occasionale per la società perché legati ad essa da legami di fiducia (come i commercialisti di famiglia), e per i quali, dunque, si deve considerare la rilevanza economica dell’incarico e il contenuto della prestazione nell’interpretazione della loro possibilità di assumere la carica di amministratore indipendente. Nella stessa lettera dell’articolo è attribuito rilievo ai rapporti di natura patrimoniale che possono costituire difetto di indipendenza.

È immediato il riferimento ai problemi della legittimazione del socio di