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Le critiche e la diffusione del sistema monistico a livello interno e internazionale: il caso delle società bancarie

1. Le critiche al sistema monistico.

All’indomani della Riforma del 2003, il sistema monistico è stato introdotto nella prassi gestoria delle società per azioni, dotato di una disciplina quasi del tutto costruita per rinvio al modello tradizionale di amministrazione e controllo.

Negli anni successivi, però, la disciplina del monistico ha subito un ampliamento a seguito di una “stratificazione” di disposizioni a carattere generale e speciale che, per parte della dottrina, ha significato un aumento di complessità del tema dei controlli societari nell’ordinamento italiano319.

Di fatto, il sistema monistico ha trovato scarsa applicazione nel nostro Paese a causa di alcune «criticità oggettive»320 derivanti da un corpo normativo non organico e dalle peculiarità che lo caratterizzano in un ordinamento, però, assai diverso da quello da cui trae origine. Ma è attraverso l’ottica che valorizza la diversa configurazione delle funzioni di amministrazione e controllo del sistema monistico che è possibile comprendere (e contestualizzare) la portata della disciplina e, conseguentemente, evidenziare come le spesso note critiche mosse ad esso sono probabilmente il risultato più di una tendenza culturale che di un «impoverimento complessivo del sistema dei controlli»321 e della disciplina normativa.

L’origine delle critiche al sistema monistico si fonda su precisi ordini di premesse, per cui: un sistema di amministrazione e controllo efficiente deve

319 G.D. MOSCO S. LOPREIATO, Lo scudo e la lancia nella guerra dei “subprimes”: ipertrofia e perforabilità del sistema dei controlli, in Analisi Giuridica dell’Economia, I, 2009.

320 S.SCETTRI, Una proposta per l’efficienza della struttura di governo societario e l’efficacia del sistema dei controlli, in Rivista bancaria, 2005, in Il modello monistico. Un’opportunità per l’evoluzione della governance a cura di F. Chiappetta, M. Menchini, S. Simone, A. Stabilini, F. Zabban nel corso degli Atti del seminario organizzato dal Forum Governance con il patrocinio di Ned Community e tenutosi presso la sede di Borsa Italiana il 25 Novembre 2014.

119 prevedere necessariamente un organo di controllo che verifichi la regolarità della gestione; l’organo di controllo deve essere separato da quello amministrativo; nel sistema monistico è meno netta la distinzione tra gestione e controllo a differenza della chiara separazione tipica del modello tradizionale322. Si tratta di “impostazioni concettuali” che hanno condotto i primi commentatori della Riforma ad interpretare le disposizioni del monistico alla luce di una subordinazione alla disciplina del modello tradizionale, che inevitabilmente ne attenua le peculiarità.

È stato più volte detto che l’introduzione del sistema monistico rappresenta un’esigenza dell’ordinamento italiano sia di dotare l’imprenditore di una maggiore autonomia statutaria nella scelta della struttura organizzativa, sia di ridurre la distanza tra le funzioni di amministrazione e controllo al fine di consentire un maggiore controllo sull’operato degli amministratori; necessità che in primis nasce, nel contesto internazionale, nella realtà degli scandali finanziari delle esperienze americane. Tant’è che il sistema monistico, trapiantato dal legislatore della Riforma, trae la sua origine dal modello anglo-americano, di cui però appaiono immediatamente evidenti le differenze strutturali rispetto al capitalismo italiano.

Innanzitutto, la prima osservazione tra gli interpreti della Riforma è che nel sistema italiano, differente dagli ordinamenti di riferimento, si riscontrano degli «indici di debolezza del mercato» che, apparentemente, limitano l’efficacia del sistema monistico, tra cui: le ridotte dimensioni delle aziende, la staticità degli assetti proprietari, il ricorso assiduo al finanziamento bancario, la sussistenza del controllo familiare323. È, infatti, adeguato ricordare che nel panorama societario italiano l’attenzione è rivolta verso differenti interessi, poiché l’attività di sorveglianza deve orientarsi sugli azionisti di controllo per impedirne la posizione privilegiata a svantaggio delle minoranze, mentre le public companies sono caratterizzate da un generale ruolo passivo di tutti gli azionisti324.

322 T.DI MARCELLO, Sistema monistico e organizzazione delle società di capitali, Milano, 2013, p. 46. 323 G.B.BISOGNI, Autonomia ed eteronomia nella disciplina dei rapporti associativi della publicly held corporation, in Riv. Soc., 1997, p. 704-705.

120 Da qui deriva l’ulteriore considerazione325 mossa contro il monistico introdotto nel nostro sistema, per cui le soluzioni di corporate governance non possono essere trapiantate da un sistema all’altro senza gli accurati aggiustamenti326 e che il percorso che ha condotto alla versione “definitiva” della sua disciplina rimanda in maniera «quantomeno frettolosa» allo Statuto della Società Europea quale fonte primaria del monistico, il quale però, prevedendo soltanto la facoltà di optare per i modelli alternativi, descrive il monistico genericamente senza definire una vera e propria disciplina di riferimento327.

Nel confronto con gli altri modelli di amministrazione e controllo, quello monistico appare il meno preferito328 poiché nella bozza di decreto si disponeva la previsione di un comitato all’interno del consiglio di amministrazione a cui erano assicurati poteri di informazione e di ispezione, ma secondo alcuni si trattava, di fatto, di uno stravolgimento del modello statunitense dacché il nuovo modello non aveva dato al consiglio una maggiore funzione di monitoraggio, ma una complessiva di gestione comportando, anzi, una commistione tra i ruoli di controllore e controllato329.

Nella Relazione al d.lgs. n. 6 del 2003 era stato previsto, inoltre, che il sistema monistico «attua un modello di governance semplificato e più flessibile rispetto agli altri modelli alternativi. Egli tende a privilegiare la circolazione delle informazioni tra l’organo amministrativo e l’organo deputato al controllo, conseguendo risparmi di tempo e di costi e un’elevata trasparenza tra gli organi di amministrazione e controllo»330.

325 F.GHEZZI – M. RIGOTTI., pp. 192-193.

326 Cfr. C.MOSCA, op. cit., cit. p. 736, la quale sostiene che «la circostanza che questo modello, calato nel nostro ordinamento giuridico, sia destinato a trovare applicazione tanto alle società con azioni quotate, contraddistinte per la maggior parte da assetti proprietari concentrati, quanto a società di dimensioni minori, la cui compagine proprietaria è prevalentemente chiusa, ha fatto dubitare della sua adeguatezza rispetto ai problemi relativi all’amministrazione e al controllo di una realtà per alcuni aspetti

significativamente diversa».

327 Del medesimo avviso, S.PROVIDENTI, Commento sub art. 2409-octiesdecies, in La riforma del diritto societario. Società per azioni, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003 p. 390; C.MOSCA, op. cit., p. 738 richiamando a sua volta A.MAGNANI, op. cit., p. 1186.

328 A.MAFFEI ALBERTI, Commentario breve al diritto delle società, in Collana Breviaria Iuris fondati da G. Gian e A. Trabucchi, IV edizione, Padova, 2017, p. 987.

329 F.GHEZZI – M. RIGOTTI, op. cit., p. 211.

121 I primi commentatori hanno osservato come tale sistema, nella pratica, non attui realmente la semplificazione del governo d’impresa331 poiché l’eliminazione del collegio sindacale, che da un punto di vista strutturale sicuramente comporta una riduzione dell’organigramma aziendale, è controbilanciata da una complessità nell’articolazione del consiglio di amministrazione. Articolazione per lo più caratterizzata da una maggiore rigidità nella sua composizione in termini di numerosità e requisiti richiesti ad «almeno un terzo» degli amministratori (che devono essere indipendenti)332. Critica anche la posizione per cui rispetto al sistema tradizionale, la natura dell’incarico da amministratore, collochi sui controllori una sorta di duplicità di funzioni e responsabilità di cui invece i sindaci sono esclusi, così da rendere solo superficiale la flessibilità prevista dalla Relazione, dato che non sono stati considerati i “contrappesi” derivanti dalle peculiarità del monistico333.

Di conseguenza, è stato visto che le più rilevanti critiche sono rivolte alla dipendenza del comitato per il controllo sulla gestione dal consiglio di amministrazione nei meccanismi di composizione e funzionamento dell’organo di controllo.

In primis dal dettato dell’art. 2409-octiesdecies, comma 1 c.c., si rileva che la designazione e la determinazione del numero e del compenso dei membri del comitato spetti al consiglio di amministrazione, realizzando in altre parole quella che, a primo impatto, sembra essere una contraddittorietà per la quale i controllati nominano i controllori, con il rischio di consentire ai primi di selezionare i secondi in basi ai propri interessi e privando di fatto l’assemblea della possibilità di espressione della volontà dei soci

In secondo luogo, è già stato oggetto di trattazione l’istituto di revoca nel sistema monistico che ampiamente si differenzia dagli altri due sistemi di amministrazione e controllo, ponendosi come causa di una generale instabilità della figura dei membri del comitato, i quali possono essere revocati senza giusta causa in qualsiasi momento. Così come per la sostituzione dei componenti del

331 Di contro G.RIOLFO, op. cit., p. 27.

332 T. DI MARCELLO, op. cit., p.36 e ss.; C.MOSCA, op. cit., p. 735 333 ID., op. cit., p. 36

122 comitato, che venuti a mancare per morte, rinuncia, revoca o decadenza dei requisiti, sono sostituiti dal consiglio di amministrazione o con l’istituto della cooptazione, differentemente dal modello tradizionale in cui sono previsti dei sindaci supplenti nominati direttamente dall’assemblea.

Per di più, facendo parte del consiglio di amministrazione, i componenti dell’organo di controllo possono influenzare le decisioni prese nel concreto dagli amministratori esecutivi e una volta tornati nelle vesti di controllori potrebbero stentare ad esercitare un controllo stringente su decisioni che sono state già precedentemente accordate e definite. In sostegno di questa tesi, si ravvisa da parte degli interpreti334, anche nella definizione dei compensi, una precarietà derivante dalle perplessità che riguarda il mancato richiamo alla regola dell’invariabilità del compenso per la durata dell’incarico dettata, invece, per i sindaci dall’art. 2402 c.c. per cui, il compenso è determinato dall’assemblea all’atto della nomina a valere per l’intera durata del mandato.

Più complesse (e contraddittorie) sono le discussioni in dottrina sull’insufficienza di funzioni rispetto a quelle del collegio sindacale all’art. 2403 c.c., in parte omesse dall’art. 2409-octiesdecies c.c. che circoscrive le funzioni del comitato alla “sola” vigilanza sull’adeguatezza della struttura organizzativa, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, rinunciando apparentemente al potere fondamentale di controllo di legalità sostanziale e di correttezza di gestione, tipico degli organi di controllo degli altri sistemi.

Questa è la scelta più discutibile del legislatore che ha diviso gli interpreti tra coloro335 che sostengono che tali funzioni, anche se non espressamente previste, siano automaticamente in capo ai componenti del comitato in quanto

334 G.RIOLFO, op. cit., p. 108 in nota 204: «Ci si può legittimamente domandare quale sia l’organo deputato alla fissazione del compenso: sono ipotizzabili varie soluzioni […] è il consiglio di amministrazione a determinare il compenso di amministratori investiti di cariche particolari […] Soluzione che varrebbe ad indebolire ulteriormente un organo già geneticamente debole». Conforme, N. ABRIANI, op. cit., p. 31.

335 D. REGOLI, op. cit., p. 584; C.MOSCA, op. cit., cit. p. 755 in nota 62: «Si segnala che, diversamente dall’opinione riportata nel testo, il dubbio sulla sussistenza di poteri di controllo in capo al comitato per il controllo sulla gestione era risolto, indipendentemente dall’introduzione dell’art. 151 ter TUF, affermando che i poteri necessari ai componenti del comitato derivano dalla loro posizione di amministratori e che tali poteri sarebbero stati addirittura “superiori e congrui alle particolari funzioni di controllo affidate”» citando a sua volta, S.FORTUNATO, op. cit., p. 889 in nota 6.

123 amministratori e altri che, invece, lo considerano un «difetto di coordinamento e una riduzione della sfera dei controlli endosocietari»336.

Ulteriormente, si è discusso sulla carenza di poteri, scaturita dalla prima versione del modello monistico per cui sembrava che ai componenti del comitato non spettasse la possibilità di svolgere l’attività di ricerca delle informazioni in forza di un potere individuale altresì riconosciuto ai sindaci. Sul punto della Relazione che privilegia la circolazione delle informazioni tra l’organo amministrativo e l’organo di controllo, con la conseguenza di avere risparmi di tempi e costi ed un’elevata trasparenza, bisogna infatti rilevare che la circostanza per cui ai componenti del comitato sono più o meno riconosciuti i poteri comuni a tutti gli amministratori è compensata, di contro, da alcuni fattori che ne minano la trasparenza e la fluidità di informazioni. Innanzitutto perché non è detto che tutte le informazioni in possesso degli amministratori esecutivi passino per il consiglio di amministrazione, giacché questo dipende dalla discrezionalità degli esecutivi di voler o meno informare tutto il consiglio337. È un dato di fatto che è maggiormente negli interessi degli amministratori assicurare una trasparenza di informazioni più all’interno del consiglio, al fine di prevenire irregolarità nella gestione, che nei rapporti con gli organi di controllo338; ma è pur vero che nell’ambito del sistema monistico, se si volesse evitare di far pervenire notizia di determinati fatti di gestione al comitato per il controllo, si escluderebbe dalla conoscenza anche parte del consiglio di amministrazione. La considerazione che, invece, di fatto i canali informativi attraverso i quali si possono acquisire informazioni sulla gestione appaiono essere più “diretti” dipende dal mutamento di prospettiva, per cui non si intende più guardare alla contrapposizione tra gli organi di gestione e controllo, ma ad una loro «collaborazione preventiva»339, attraverso un avvicinamento della funzione di controllo all’organo amministrativo340.

336 A. GUACCERO, Commento sub art. 2409-septiesdecies, p. 914 ss.; V. CALANDRA BUONAURA, op. cit., p. 535; S.PROVIDENTI, op. cit., p. 654.

337 Cfr. G. FERRARINI, Funzione del consiglio di amministrazione, pp. 53 e 64; R. LENER, op. cit., cit. pp. 126 e 131.

338 F. BONELLI, op. cit., p. 269.

339 Cfr. G.B.PORTALE, op. cit., cit. p. 687; ID., La società quotata nelle recenti riforme (note introduttive), in Riv. Dir. soc., 2007, p. 2 ss; L. SCHIUMA, Le competenze dell’organo di controllo sull’asseto organizzativo della spa nei diversi sistemi di governance, in Riv. dir. civ., 57/1,2011, p. 80.

124 Per di più, tanti sono i mancati richiami normativi in relazione all’autonomo potere di convocazione dell’assemblea in presenza di irregolarità della gestione, o ancora quanto concerne i rapporti con il revisore esterno e la possibilità di promuovere l’azione di responsabilità che, come precedentemente trattati, possono essere risolti nella prospettiva interpretativa che sia sufficiente il rinvio generale contenuto all’art. 223-septies disp. att. c.c.341.

L’introduzione del sistema monistico non ha, dunque, solo eliminato il collegio sindacale, ma ha portato una «nuova modalità del controllo» per certi versi contrapposta a quella del sistema tradizionale, fortemente integrato nel sistema italiano. Infatti, mentre il collegio sindacale rimane «principalmente un organo referente dell’assemblea dei soci»342, la funzione di controllo nel sistema monistico è svolta nell’interesse dell’organo amministrativo. E questo spiega il perché il sistema tradizionale ha un forte compenetrazione nel nostro ordinamento in cui il potere di governare la società si concentra prevalentemente negli azionisti di controllo, mentre il sistema monistico trae origine dagli ordinamenti in cui è il

Board ad avere un ruolo rilevante343.