• Non ci sono risultati.

George Herbert Mead. Cornici sociali ed evoluzione del se

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "George Herbert Mead. Cornici sociali ed evoluzione del se"

Copied!
148
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento Civiltà e Forme del Sapere Corso di laurea in Filosofia e Forme del Sapere

Tesi di laurea magistrale

GEORGE HERBERT MEAD.

CORNICI SOCIALI ED EVOLUZIONE DEL SÉ

Relatore

Prof. Alfonso Maurizio IACONO

Correlatore

Prof. Giovanni PAOLETTI

Candidato Nicolò BICEGO

(2)

Indice

Introduzione ... 4

1 Alle basi del pensiero di G. H. Mead 1.1 La vita di G. H. Mead ... 5

1.2 Sfondo culturale ... 7

1.2.1 L‘evoluzionismo darwiniano in America ... 7

1.2.2 L‘influenza di John Dewey sul giovane G. H. Mead ... 11

1.2.3 William James e G. H. Mead ... 19

1.2.4 Mead e John B. Watson ... 21

1.2.5 Mead e Charles H. Cooley ... 26

2 Tra filosofia e psicologia sociale: il pensiero di G. H. Mead 2.1 La teoria dell‘atto di Mead ... 31

2.2 La genesi del sé ... 35

2.2.1 Il sé come fatto sociale ... 35

2.2.2 Gesti, linguaggi, simboli ... 37

2.2.3 Tra sé e altro, tra imitazione e incorporazione ... 44

2.2.4 Il sé viene alla luce ... 52

2.2.5 Dal play al game ... 53

2.2.6 Io e me, sé e mente ... 57

2.2.7 Una teoria sociale del sé ... 62

3 Mead, tra limiti e modernità 3.1 Questioni irrisolte ... 64

3.2 Una revisione di ―io‖ e ―me‖ ... 70

3.3 Il problema dell‘imitazione in Mead ... 74

3.4 Accedere alla mente dell‘altro ... 77

3.4.1 Mead tra Theory Theory e Simulation Theory ... 77

3.4.2 Istintivo imitativo, simulazione e role-taking ... 83

3.5 Il ―me‖ e il sé riflesso: esperimenti e riscontri ... 87

3.5.1 Autoconsapevolezza e sé riflesso nei bambini ... 90

3.5.2 Sé riflesso nel contesto familiare ... 91

3.5.3 Sé riflesso e social media ... 93

3.5.4 Sé riflesso e altro generalizzato: un‘integrazione possibile? ... 93

4 L’evoluzione del sé attraverso Mead 4.1 Le istanze del sé, tra ―io‖ e ―me‖, ―Io‖ e ―Super-Io‖ ... 96

4.1.2 La maschera sociale ... 103

4.2 Cornici di significato ... 108

4.3 Un mondo fatto di contesti ... 112

4.3.1 L‘esperienza del gioco ... 112

(3)

5 I mondi del sé

5.1 Rappresentazioni di sé... 120

5.2 Un gioco di ruoli ... 129

5.3 Una questione di frames ... 136

Conclusione ... 140

Bibliografia ... 141 Ringraziamenti

(4)

Introduzione

Lo scopo del presente elaborato è quello di riportare alla luce un autore parzialmente dimenticato dal pensiero filosofico contemporaneo, soprattutto in ambito italiano. Si tratta di George Herbert Mead, il cui pensiero, ad eccezion fatta per la recente ripresa che ne è stata fatta ad opera di Axel Honneth, non ha goduto della fortuna che, a nostro parere, avrebbe meritato. Il testo si propone perciò di esplorare nuovamente il lavoro di Mead, concentrandosi in particolare sulla sua teoria del sé sociale. A tal fine, l‘elaborato è stato diviso in capitoli tematici che offrono diverse prospettive sul pensatore di South Hadley. Il primo capitolo propone una panoramica di quei pensatori che hanno svolto un ruolo fondamentale nella formazione di Mead come pensatore autonomo; abbiamo cercato di mettere in luce i debiti di Mead, ma anche i suoi elementi di originalità nei confronti dei suoi maestri. Nel secondo capitolo, abbiamo ripercorso una parte del pensiero meadiano; passaggio che ritenevamo necessario per poter reintrodurre Mead nel contesto odierno. Nel terzo capitolo, invece, abbiamo cercato di offrire una lettura critica dell‘opera di Mead, mettendone in luce i limiti ma anche gli elementi di modernità. Il quarto capitolo propone invece un‘analisi della formazione del sé, mettendo a confronto l‘opera di Mead con quella di altri pensatori a lui contemporanei o successivi. Il quinto capitolo, infine, intende presentare alcune opere di Erving Goffman, che presentano sia elementi di continuità che spunti per un approfondimento rispetto alle opere di Mead. Poiché buona parte dei testi che abbiamo utilizzato non ha mai ricevuto una traduzione in italiano, le traduzioni, dove non riportato diversamente, sono nostre; abbiamo comunque riportato il testo originale in nota.

(5)

1. Alle basi del pensiero di George Herbert Mead

1.1 La vita di G. H. Mead

George Herbert Mead nacque il 27 Febbraio 1863 a South Hadley, cittadina del Massachussets. Il padre, Hiram Mead, dopo anni passati come pastore nelle chiese di South Hadley e Nashua, ottenne la cattedra di retorica sacra e teologia pastorale presso l‘Oberlin Theological Seminary, in Ohio. La madre, Elizabeth Storrs Mead, era stata insegnante prima del matrimonio, ruolo che riprese dopo la morte del marito. Come nota Gary A. Cook1, abbiamo ben poche informazioni sulla giovinezza di Mead; tuttavia, la fitta corrispondenza intrattenuta con l‘amico Henry Northrup Castle ci fornisce un prezioso quadro della formazione intellettuale di Mead a partire dagli anni del college, gettando luce su quello che è stato il retroterra culturale su cui Mead ha costruito la sua vita intellettuale. I due si conobbero durante gli anni passati al college di Oberlin, dove entrambi maturarono i primi interessi filosofici. Ottenuto il diploma, Mead si mise alla ricerca di un lavoro come insegnante, pur non abbandonando la sua passione per la filosofia: è in questi anni che si avvicinò allo studio di Kant, pur rimanendone insoddisfatto2. La vita di Mead cambiò nel corso del 1887, quando la madre decise di continuare ad insegnare ancora per qualche anno, permettendogli di tornare ai suoi studi. Il fatto che Castle si trovasse a Cambridge portò Mead a considerare Harvard come sua destinazione: all‘inizio del Settembre 1887 Mead cominciò la sua carriera universitaria, condividendo una stanza con l‘amico Castle. Sfortunatamente, il loro idillio non era destinato a durare: Mead, bisognoso di denaro, accettò una posizione di insegnante che lo costrinse al trasferimento; poco dopo, inoltre, Castle decise di abbandonare i suoi studi per seguire il fratello Will, che aveva nel frattempo aperto uno studio da avvocato ad Honolulu, optando per una carriera differente da quanto inizialmente prospettato. Fu questo, però, a rivitalizzare la corrispondenza tra i due amici: ed è proprio attraverso di essa che abbiamo notizia dei

1

In G. A. Cook, George Herbert Mead. The Making of a Social Pragmatist, University of Illinois Press, Oxford 1993.

2Informazioni a riguardo possono essere trovare nell‘epistolario intercorso tra Mead e Castle, parzialmente riportato da Cook nella sua biografia. In particolare, la sua iniziale insoddisfazione era dovuta all‘impossibilità di conoscere ciò che sta al di là del mondo fenomenico.

(6)

primi contatti tra Mead e William James. In particolare, durante il 1888 William James era in cerca di qualcuno, fra i suoi studenti, che fosse in grado di dare lezioni a suo figlio nel periodo estivo. James scelse proprio Mead, che non avrebbe ricevuto un compenso in denaro ma avrebbe potuto passare l‘estate presso la residenza dei James, dunque risparmiando i costi dell‘affitto. Il rapporto tra i due si strinse durante questo periodo, al punto che Mead ricevette una copia dell‘appena pubblicato The Principles of Psychology (1890), che James fece spedire a casa della sorella di Mead. Mead fu stupito dal fatto che James avesse deciso di inviare l‘opera ―to the man who had made an ass of himself‖. Questo duro giudizio di Mead nei confronti di se stesso era dovuto al breve interesse romantico che egli ebbe per Margaret Gibbens, sorella della signora James. In realtà, William James provò empatia per i sentimenti del suo giovane studente, decidendo di non interporsi tra i due. Ciò nonostante, James suggerì a Mead di continuare i suoi studi all‘estero, in particolare in Germania, consiglio che Mead avrebbe accettato di lì a poco. Durante il periodo di Harvard, l‘influenza personale di James fu molto più forte di quella intellettuale: come nota Cook, «sebbene ammirasse la personalità di James, non aveva studiato sotto la sua guida, e ammise che durante i suoi giorni da studente di Harvard aveva mancato di apprezzare la potenza intellettuale di James come filosofo»3.

Mead studiò in Germania per tre anni, dal 1888 al 1891. Durante questi tre anni, i suoi interessi di studioso si espansero: seguì corsi di anatomia e psicologia sperimentale, tra gli altri, andando a delineare quello che sarebbe stato il suo futuro campo d‘indagine. Sebbene questi tre anni siano stati decisamente formativi per il giovane Mead, fu il 1891 l‘anno di svolta: ottenne infatti una posizione di insegnante all‘università del Michigan, dove avrebbe lavorato sotto John Dewey, l‘uomo che sarebbe diventato l‘amico di una vita e il cui percorso intellettuale si sarebbe intrecciato saldamente al suo. In una delle sue prime lettere inviate dopo aver conosciuto Dewey, Mead non mancò di tesserne le lodi4.

L‘ottenimento di un lavoro stabile convinse Mead a sposarsi: nell‘Ottobre 1891, Mead ed Helena Castle, sorella dell‘amico Henry, si sposarono. Nonostante questi grandi

3 «while he had admired the personality of James, he had not studied under James, and he admitted that during his Harvard student days he had failed to appreciate James‘s intellectual power as a philosopher» in G. A. Cook, The Making…, p. 18.

4 «Mr. Dewey is a man of not only great originality and profound thought but the most appreciative thinker I ever met. I have gained more from him than from any one man I ever met», estratto di una lettera ad Henry Castle riportata in G. A. Cook, The Making…, p. 32.

(7)

avvenimenti, ancora nel 1893, anno della sua promozione al ruolo di assistant professor, «non aveva ancora cominciato a focalizzarsi in modo sistematico sui problemi di psicologia sociale che avrebbero occupato la parte centrale del suo pensiero più tardi. Piuttosto, il cuore delle sue ricerche in questo periodo stava nel lavoro in laboratorio nel campo della psicologia fisiologica»5; tuttavia, si stava finalmente delineando un chiaro percorso intellettuale per Mead, ormai sempre più lontano dai suoi giorni di semplice studente. E quei giorni sembrarono ancora più lontani quando, nel Gennaio 1895, Henry Castle morì in un naufragio insieme alla figlia di quattro anni: si concluse così l‘amicizia che aveva guidato Mead per buona parte della sua vita, un‘amicizia che Mead avrebbe indicato a più riprese come uno degli elementi più formativi della sua persona6. In questi anni si concluse anche il periodo della formazione di Mead: gli anni successivi lo avrebbero portato all‘elaborazione del suo pensiero originale, prima sotto la guida ispiratrice dell‘amico e collega John Dewey, insieme al quale venne trasferito all‘Università di Chicago nel 1894. Qui, Mead continuò ad insegnare fino alla sua morte, avvenuta il 26 Aprile 1931 all‘età di sessantotto anni a causa di un‘insufficienza cardiaca, in quello che avrebbe dovuto essere il suo ultimo anno di lavoro prima del ritiro.

1.2 Sfondo culturale

1.2.1 L’evoluzionismo darwiniano in America

Il nome di Mead viene spesso associato a quello di diversi correnti filosofiche a lui contemporanee, con cui lo studioso si era posto in rapporto di continuità o discontinuità. Sicuramente, però, la scuola di pensiero a cui Mead viene più spesso associato è il pragmatismo americano. Come di norma accade, parlare del pragmatismo come di una scuola di pensiero è una forzatura, in quanto si tratta di una definizione tanto ampia quanto imprecisa; tuttavia, si tratta pur sempre di una classificazione importante, nella misura in cui ad essa aveva aderito uno dei massimi esponenti di questa corrente, vale a dire William James, uno degli studiosi più influenti per il giovane Mead. Prima di

5 «He had not yet begin to focus in any systematic way upon the social psychological concerns that were to occupy center stage in his later thought. Instead, the bulk of his research during this period took the form of laboratory work in the field of psysiological psychology» in G. A. Cook, The Making…, p. 33. 6 Un chiaro esempio si può trovare nella lettera indirizzata alla moglie poco dopo la morte di Henry, dove Mead scriveva «Henry is a larger part of my Oberlin life than all the rest put together; his friendship was more education than what beside the place afforded».

(8)

addentrarci nel rapporto tra James e Mead, però, è opportuno accennare, almeno brevemente, allo sfondo culturale su cui questo movimento si stagliava. Carlo Sini, nel suo ―Il pragmatismo americano”7, nota come il punto di partenza fondamentale sia l‘evoluzionismo darwiniano che, per il tramite di Chauncey Wright, fu il vero motore del pragmatismo; Sini arriva a definire il pragmatismo americano una declinazione filosofica dell‘evoluzionismo darwiniano: un‘idea forte, ma sicuramente condivisibile nella misura in cui si considera l‘opera di Charles Darwin come il punto di partenza fondamentale da cui gli autori ascritti al cosiddetto pragmatismo hanno costruito il loro pensiero.

Per cominciare, dobbiamo calarci nel contesto scientifico dell‘epoca, in particolare sul modo in cui erano state concepite, fino a quel momento, la storia della terra e la storia dell‘uomo. I primi affondi all‘immutabilità biblica del globo terrestre e dei suoi abitanti erano già cominciati con l‘―Histoire Naturelle‖ (il primo volume dell‘opera, dedicato ai quadrupedi, venne dato alle stampe nel 1749), la monumentale opera del conte di Buffon che aveva messo in luce cambiamenti incompatibili con la storia della terra fornita dalle fonti bibliche. Seppure Buffon mostri ancora delle incertezze e non possa pertanto essere definito un primo evoluzionista, la strada era tracciata: tra XVIII e XIX secolo gli studiosi continuarono in questa direzione, fino all‘arrivo dell‘epocale opera di Charles Darwin, ―On the Origin of Species‖ (1859). Grazie a Darwin inizia a diffondersi un nuovo concetto di uomo, un concetto che vede l‘uomo come prodotto di una storia e di un ambiente che, a sua volta, possiede una propria narrazione, che si intreccia con quella umana. Il mondo, e l‘uomo con esso, diventa parte di un processo sempre in movimento. L‘influenza del pensiero darwiniano in Mead è evidente; tuttavia, per avere una comprensione più chiara del pensiero di Mead occorre tenere presente i filtri attraverso cui Darwin è stato letto da Mead, vale a dire William James e John Dewey. Per una visione approfondita dei contatti di James con il darwinismo, a partire dai suoi anni universitari, rimandiamo alla lettura del recente volume di Lucas McGranahan, ―Darwinism and Pragmatism: William James on Evolution and Self-transformation‖8

. Qui, in breve, vogliamo solo accennare al fatto che James entrò in contatto molto presto con le teorie darwiniane; non soltanto attraverso la lettura dei testi darwiniani, ma anche attraverso la frequentazione di studiosi che avevano conosciuto in prima persona lo

7 C. Sini, Il pragmatismo americano, Editori Laterza, Bari 1972.

8 L. McGranahan, Darwinism and Pragmatism: William James on Evolution and Self-transformation, Routledge, New York 2017.

(9)

scienziato. Di incisiva importanza, in questo senso, fu la frequentazione del Metaphysical Club, gruppo intellettuale frequentato, tra gli altri, da Chauncey Wright. Wright era stato uno dei più grandi difensori del darwinismo, e per lungo tempo intrattenne una fitta corrispondenza epistolare con Darwin. In particolare, un articolo di Wright a difesa del darwinismo colpì Darwin al punto da volerlo ripubblicare9. Attraverso la sua figura, James si avvicinò ulteriormente al darwinismo, che da quel punto diventò parte integrante del suo pensiero. Eugene Taylor nota che «L‘interesse naturale di Wright per la filosofia lo portò a fondere la teoria evoluzionista di Darwin con l‘empirismo britannico nella tradizione di John Stewart Mill, e questa fusione ebbe una singolare influenza su William James […]»10. Questo non significa che James abbia accettato acriticamente la teoria di Darwin: nel corso dei suoi studi, James non avrebbe risparmiato critiche alla teoria darwiniana, esprimendo anche posizioni originali in contrasto con quelle dello scienziato di Schrewsbury11. L‘influenza di Darwin su James si somma a quella di Herbert Spencer, altra figura cruciale nel percorso intellettuale di James: con i due James si sarebbe a lungo confrontato nella sua carriera, correggendo talvolta gli errori di uno con le teorie dell‘altro, come vedremo successivamente12

. Per i nostri interessi, ci preme sottolineare come James mutui da Darwin l‘idea di una mente selettiva, attiva. Rigettando l‘idea della mente come un foglio bianco pronto ad essere riempito dall‘esperienza del mondo esterno, così come anche l‘idea della mente come elemento passivo della conoscenza, che James leggeva in Spencer, la sua proposta è quella di mettere in primo piano il ruolo della mente nel rapporto con l‘ambiente; un rapporto che non viene più subito passivamente dalla coscienza, bensì un rapporto in cui essa partecipa attivamente: «Io, per parte mia, non posso rifuggire la considerazione, imposta su di me ad ogni svolta, che il conoscente non sia semplicemente uno specchio fluttuante senza alcun punto d‘appoggio, che riflette passivamente un ordine che incontra. Il conoscente è un attore, un co-efficiente di verità da una parte, mentre dall‘altra registra la verità che aiuta a creare. In altre parole, alla mente appartiene, fin dalla sua nascita, una spontaneità, una votazione. Si trova in gioco, non è un semplice

9 C. Wright, Letter to Charles Darwin: June 21, 1871, in Letters of Chaucey Wright, with some account

of his life by James Bradley Thayer, Cambridge University Press, Massachusetts, 1878.

10 E. Taylor, William James on Darwin. An Evolutionary Theory of Consciousness, in Annals of the New York Academy of Sciences, vol 602, Settembre 1990, p. 7.

11 Ad esempio sull‘ereditarietà, come nota L. McGranahan nel suo Darwinism and Pragmatism: William

James on Evolution and Self-transformation.

(10)

spettatore»13. Siamo di fronte ad un rapporto dinamico, tra due termini in continua evoluzione: individuo ed ambiente non sono più due elementi statici a confronto, ma due elementi dinamici, che si influenzano a vicenda, formando così la realtà che veniamo a conoscere. La coscienza dà forma alla sua esperienza; siamo noi a filtrare la realtà esterna, rendendola, di fatto, la nostra realtà. Questa linea di pensiero giungerà, attraverso James, fino a Mead; l‘interazione tra individuo ed ambiente come interazione sempre in evoluzione di due termini già di per sé dinamici sta infatti alla base del suo pensiero.

Ma non fu solo William James il filtro attraverso cui Mead conobbe Darwin. James Campbell, nel suo ―Understanding John Dewey‖14, sottolinea le radici darwiniane del pensiero di Dewey; lo stesso Dewey, dopotutto, assegnava un ruolo di impareggiata importanza a Darwin nella ricostruzione del pensiero filosofico, in particolare nel suo ―Reconstruction in Philosophy‖ (1920)15

. Per Dewey, Darwin avrebbe impresso una nuova direzione alla ricerca filosofica, che non si occupa più di valori assoluti, di come la vita dovrebbe essere secondo qualche obiettivo astratto; piuttosto, si tratta adesso di studiare i fatti dell‘esperienza e di lavorare a partire da essi. Si tratta di una lettura che, per il tramite di Dewey, arriverà anche a Mead, soprattutto per quanto riguarda il modo di intendere il processo politico, come vedremo.

Come nota Campbell, «La risposta di Darwin sull‘origine dell‘uomo ha un impatto che va oltre l‘origine evolutiva della vita umana. Porta al centro dell‘attenzione le questioni dell‘embodiment16

, di una comprensione naturalistica della mente e dell‘importanza del posto organico degli uomini nella natura […]. Questa concezione dell‘esistenza umana come embodied in un mondo naturale, e la sua conseguente reinterpretazione della mente, si è poi sviluppata nel tardo XIX secolo in quella che venne definita ―Nuova Psicologia‖. Questa nuova psicologia si allontanava dalla comprensione speculativa della mente attraverso l‘introspezione della coscienza e dalla tradizione psicologica di

13

«I, for my part, cannot escape the consideration, forced upon me at every turn, that the knower is not simply a mirror floating with no foot-hold anywhere, and passively reflecting an order that he comes upon and simply finds existing. The knower is an actor, and co-efficient of truth on the one side, whilst on the other he registers the truth which he helps to create. In other words, there belongs to mind, from its birth upward, a spontaneity, a vote. It is in the game, and not a mere looker on.» in W. James, Essays in

Phsilosophy, Harvard University Press, Cambridge 1978, p. 21.

14

J. Campbell, Understanding John Dewey, Open Court Publishing, Peru 1995. 15 J. Dewey, Reconstruction in Philosophy, Henry Holt and Company, New York 1920. 16

Non esiste un corrispettivo italiano per embodiment: letteralmente potremmo tradurre con incarnazione, ma vista la complessa storia che questo termine ha in italiano preferiamo lasciare il termine originale. Quello che embodiment va a sottolineare è il fatto che ci troviamo a che fare con un concetto di mette

(11)

Locke e dei suoi successori nella tradizione dell‘empirismo britannico»17

.

Il punto fondamentale, quindi, è che ci troviamo di fronte ad una concezione dell‘uomo e della sua mente agli antipodi con quella di altre tradizioni filosofiche. Il dualismo cartesiano, con la sua messa tra parentesi del mondo esterno, con una mente che riflette su se stessa per scoprire il mondo, viene sostituita da una nuova concezione di mente: una mente che si trova fin dalla sua nascita nel mondo, che lo modifica continuamente e che da esso viene, allo stesso modo, modificata. La lezione del darwinismo è stata quella di mostrare come l‘uomo non possa essere compreso al di fuori del suo ambiente, del contesto in cui si trova a vivere. Ed in questo il pragmatismo americano è certamente figlio del darwinismo.

1.2.2 L’influenza di John Dewey sul giovane G. H. Mead

Come accennato in precedenza, l‘influenza più grande sul pensiero di Mead fu senza dubbio quello di John Dewey. In parte perché il loro rapporto fu particolarmente longevo, e se inizialmente si trattava di una relazione tra maestro ed allievo, con il tempo il loro rapportò si avvicinò sempre più ad una collaborazione tra studiosi ed amici, al punto che, se inizialmente era Mead a subire il condizionamento di Dewey, nel corso degli anni i due si sarebbero influenzati a vicenda in un vero e proprio sodalizio intellettuale che sarebbe durato fino alla scomparsa di Mead.

Come nota Gary Cook, i primi saggi di Mead, non tutti pervenuti nella loro interezza, sono stati evidentemente scritti sotto la guida dell‘amico e maestro. Il metodo di ricerca, però, era mutuato da Hegel: nel suo saggio ―A New Criticism of Hegelianism: Is It Valid?”, Mead scrive «Con Hegel, la filosofia diventa un metodo di pensiero piuttosto che una ricerca per entità fondamentali»; la funzione della filosofia non sarebbe quella di rivelare la natura della realtà, ma di formulare «il metodo tramite cui il sé, nel suo contenuto pienamente cognitivo e sociale, incontra e risolve le sue difficoltà»18.

Il neo-hegelismo, inoltre, condivideva con il darwinismo delle radici evolutive. Come

17 «Darwin‘s answer to the question of the descent of humanity has an impact on more than the evolutionary origins of human life. It brings to the center of consideration the questions of embodiment, of a naturalistic understanding of mind, and of the importance of humans‘ organic place in nature […] This essentially embodied understanding of human existence in a natural world, and its consequent re-interpretation of mind, developed in the late nineteenth century into what was called ‗The New Psychology‘. This new psychology was a move away from speculative and armchair understanding of mind through introspection upon aspects of consciousness, and away from the traditional psychological work of Locke and his followes in the British Empirical tradition» in J. Campbell, op. cit., pp. 32-33. 18 «With Hegel, philosophy becomes a method of thought rather than a search for fundamental entities […] the method by which the self in its full cognitive and social content meets and solves its difficulties» G. H. Mead, A New Criticism of Hegelianism: Is It Valid?, American Journal of Theology 5, 1901, p. 87.

(12)

nota Eric Bredo, «entrambi concepivano le forme organiche e culturali in termini funzionali, come emergenti in un processo di vita continuativo, piuttosto che come differenze essenziali tra oggetti dati. Entrambi inoltre si opponevano alla nozione per cui le forme sono date una indipendentemente dall‘altra, enfatizzando la loro interrelazione organica»19 . Già in Dewey queste due correnti avevano trovato un‘unione; in questo, Mead si pose in continuità con l‘amico e maestro, continuando sullo stesso percorso e mutuando persino i campi di interesse di Dewey. Non è un caso che in questi anni Mead si interessi alla questione dell‘educazione, con numerosi saggi, tra cui ―The Relation of Play to Education‖ (1896) e ―The Child and His Environement‖ (1897), che testimoniano il suo crescente interesse per l‘argomento. Come sottolinea Cook, «Come Dewey, egli intende cambiare il ruolo essenzialmente passivo che l‘educazione tradizionale impone sui bambini e superare il divario tra le attività scolastiche e la vita al di fuori della scuola»20. Anche sul tema delle riforme sociali è evidente l‘influenza dell‘amico: nei suoi primi scritti sul tema, Mead caldeggia un approccio scientifico e sperimentale ai problemi sociali; piuttosto che perseguire ideali utopici, le riforme sociali dovrebbero concentrarsi su problemi specifici della società presente, con un metodo pressoché identico a quello scientifico, vale a dire partendo da un attento esame delle forze in gioco, che cerchi delle leggi e delle regolarità nei problemi che si vanno affrontando21. In poche parole, Mead condivideva l‘ottimismo di inizio secolo verso il metodo scientifico, nella misura in cui esso poteva essere adottato per la risoluzione di problemi eminentemente sociali; questo ottimismo, peraltro, riposava sulla convinzione di Mead che il comportamento umano fosse caratterizzato da impulsi sociali e che, pertanto, i problemi fossero risolvibili con la cooperazione piuttosto che con il conflitto. La concezione della mente come fenomeno sociale era già comparsa in Mead, in particolare nel suo commento all‘opera di C. L. Morgan An Introduction to Comparative Psychology (1894): «Lo sviluppo della distinzione tra fisico e psichico procede pari passu con quella nella concezione che il bambino ha di sé

19 «Both conceived of organic or cultural forms in functional terms and as emergent within a continuing life process, rather than as essential differences between given objects. Both also opposed the notion that forms are given independently of one another, emphasizing, instead, their organic interraletedness» in E. Bredo, Evolution, Psychology and John Dewey’s Critique of the Reflex Arc Concept, in The Elementary School Jounral, Vol. 98, No. 5, 1998, p. 449.

20«Like Dewey, he wants to change the essentially passive role that traditional schooling imposes upon children and to overcome the gap between school activities and life outside the school» in G. A. Cook,

op. cit., p. 40.

21 Come riscontrabile in G. H. Mead, The Working Hypothesis in Social Reform, American Journal of Sociology, 5, 1899, pp. 367-371 e G. H. Mead. Review of The Psychology of Socialism by Gustav le Bon American Journal of Sociology 19, 1899, pp. 404-412.

(13)

– se non altro perché non potrebbe mai formare un concetto di sé come psichico senza aver concepito prima gli altri. Di nuovo, l‘uomo è essenzialmente sociale»22. Qui Mead sostiene che il bambino può formare una concezione di sé come fenomeno psichico solo perché ha già una concezione degli altri. Questa linea di pensiero portava Mead su interessi diversi rispetto a quelli del collega Dewey: in particolare, su questa sua concezione della mente aveva influito la lettura delle opere di Josiah Royce e di James Mark Baldwin.

Royce, in The External World and Social Counsciousness scriveva:

«Di fatto, mentre la coscienza di sé sviluppata e la coscienza sociale sviluppata, mentre le mie idee mature di me stesso e le mie idee mature degli altri (che siano compagni, maestri o nemici), mentre entrambi questi gruppi di idee, dico, sono inseparabili costituenti della vita razionale, di modo che l‘Ego può soltanto essere compreso in relazione ad altri Ego, e che gli altri Ego possono essere conoscibili da me solo in relazione alla mia idea di me stesso – rimane comunque vero che, nell‘ordine di sviluppo una di queste due classi di idee, in seguito così inseparabili, si trova sempre un passo avanti all‘altra. E, stranamente, tutto nella psicologia dell‘infanzia e nella psicologia umana ci indica che non è la mia idea di me stesso, come usualmente si suppone, ad essere la più avanzata durante lo sviluppo, ma la mia idea degli altri sé»23.

Questa descrizione riecheggia senza ombra di dubbio negli scritti di Mead, oltre che in quelli di Charles Cooley, come vedremo24. L‘idea è che, contrariamente a quanto presupposto da una lunga tradizione filosofica, non conosciamo gli altri perché abbiamo già un concetto di noi stessi, magari attraverso un processo che coinvolga una qualche forma di empatia; piuttosto, siamo in grado di formarci un‘idea del nostro sé, di percepire il nostro sé in ragione del fatto che abbiamo conosciuto dei sé esterni a noi. Si

22 «The development of the distinction between the physical and psychical in others proceeds pari passu with that in the child's consciousness of himself — if for no other reason because he could never form the conception of himself as psychical without the conception of others. Or again man is essentially social. », G. H. Mead. Review of An Introduction to Comparative Psychology by C. Lloyd Morgan, in Psychological Review 2, 1895, p. 401.

23 «As a fact, however, while in the end the developed self-consciousness and the developed social consciousness, while my mature ideas of myself and my mature ideas of other selves (of my fellows or my guides or of my enemies), while both of these groups of ideas, I say, are inseparable constituents of rational life, so that the Ego can only be understood in relation to other Egos, and the other Egos can only be known by me in relation to my idea of myself,—it is still true that, in the order of development, quoad nos, one of these two classes of ideas, which are later so inseparable, is always one step in advance of the other. And, oddly enough, everything in the psychology of childhood and of the natural man indicates that it is not, as usually supposed, my idea of myself that is in advance in my own development, but my idea of other selves. », J. Royce, The External World and the Social Consciousness, in Philosophical Review 3, 1894, p. 532.

(14)

tratta di un rovesciamento di prospettiva importante, che in Mead e Cooley troverà un grande sviluppo.

Similmente, Baldwin, nel suo Social and Ethical Interpretation in Mental Development: A Study in Social Psychology (1899), scrive:

«Quanto abbiamo detto ci ha portati a comprendere che una delle concezioni storiche dell‘uomo è, nei suoi aspetti sociali, errata. Klan non è una persona che si innalza nella sua isolata maestosità, miseria, passione o umiltà, e vede, colpisce, adora, combatte o sconfigge un altro uomo, che fa lo stesso con lui, mentre ciascuno conserva la sua isolata maestosità, miseria, passione o umiltà, per tutto il tempo, in modo che egli possa essere considerato una ―unità‖ per il processo della speculazione sociale. Al contrario, un uomo è un risultato sociale piuttosto che un‘unità sociale. Egli è sempre, per la maggiore, anche qualcun altro»25

.

Già in Baldwin, dunque, possiamo vedere come l‘altro sia un fattore sempre incluso nel concetto del sé. Concepire un individuo isolato è un‘astrazione: l‘individuo è già un‘ ―unità sociale‖, come lo definisce Baldwin, e non può essere separato dal suo contesto. Queste letture porteranno Mead a sviluppare il suo pensiero in modo sempre più indipendente da Dewey, soprattutto a partire dal 1909, anno della pubblicazione dell‘articolo ―Social Psychology as a Counterpart o Physiological Psychology‖.

In gioco è il rapporto tra la mente come fatto sociale e la mente come fatto privato; nello specifico, se non viene messa in dubbio la necessaria coesistenza di questi due aspetti, la domanda riguarda quale dei due aspetti dia origine a quella che abitualmente definiamo coscienza. Quest‘idea, questa ricerca avrebbe accompagnato Mead per tutta la sua carriera di studioso, rappresentando di fatto uno degli aspetti più celebri del suo pensiero. Come rileva l‘amico e collega John Dewey, «Quando conobbi Mead, oltre quarant‘anni fa, il problema dominante nella sua mente riguardava la natura della coscienza come un fatto personale e privato […]. Penso che se una persona avesse una conoscenza sufficientemente continuativa della biografia intellettuale di Mead, potrebbe scoprire come praticamente tutte le sue indagini ed i suoi problemi si siano sviluppati

25 «All our thought has led us to see that one of the historical conceptions of man is, in its social aspects, mistaken. Klan is not a person who stands up in his isolated majesty, meanness, passion, or humility, and sees, hits, worships, fights, or overcomes, another man, who does the opposite things to him, each preserving his isolated majesty, meanness, passion, humility, all the while, so that he can be considered a 'unit' for the compounding processes of social speculation. On the contrary, a man is a social outcome rather than a social unit. He is always, in his greatest part, also some one else. », in J. M. Baldwin, Social

and Ethical Interpretation in Mental Development. A Study in Social Psychology, Macmillan Company,

(15)

dalla sua originale haunting question»26. Quella che Dewey definisce la haunting question di Mead riguarda proprio il problema dello sviluppo della coscienza, che avrebbe portato Mead ad elaborare la distinzione tra Io e Sé, uno dei traguardi più importanti della sua teoria.

Per spiegare la sfera sociale secondo Mead, e prima ancora secondo Dewey, dobbiamo tuttavia fare un passo indietro, centrandoci su quello che è senza ombra di dubbio l‘articolo più popolare di Dewey, il suo The Reflex Arc Concept in Psychology (1896). In questo articolo, Dewey critica la teoria dell‘arco riflesso proposta dalla psicologia a lui contemporanea, proponendone una nuova variante. Innanzitutto, conviene rispolverare sinteticamente questa teoria. Nel corso dell‘ottocento, le ricerche fisiologiche avevano portato ad una importante scoperta: il sistema nervoso appariva diviso in due parti, una sensoria ed una motoria, con il midollo spinale ed il cervello a collegare le due parti. Ora, gli psicologi dell‘epoca ragionarono in questo modo: se il sistema nervoso è diviso tra elementi sensori e motori, il funzionamento psicologico dell‘uomo potrebbe essere compreso allo stesso modo. Così, la vita mentale si sarebbe potuta spiegare come una sequenza lineare di causa ed effetto: la sensazione esterna stimola l‘immagine mentale, che a sua volta stimola una risposta motoria.

Il problema di questa teoria, secondo Dewey, sta nel concepire stimolo e risposta come entità distinte e separate, con il rischio di giungere ad un dualismo tra mente ed ambiente che ricorda il vecchio dualismo tra mente e corpo. La teoria dell‘arco riflesso, così proposta, risulta un insieme di parti disgiunte piuttosto che un‘unità integrata: «Lo stimolo sensoriale è una cosa, l‘attività centrale, che costituisce l‘idea, un‘altra e la scarica motoria, che rappresenta l‘atto in sé, è una terza cosa. Come risultato, l‘arco riflesso non è un‘unità organica e comprensiva, ma un patchwork di parti sconnesse, una connessione meccanica di processi separati» 27.

Per capire meglio, vediamo l‘esempio portato dallo stesso Dewey, che a sua volta lo aveva preso in prestito da William James. Un bambino vede una candela, tende la mano

26 «When I first came to know mr. Mead, well over fourty years ago, the dominant problem in his mind concerned the nature of conscience as personal and private […]. I fancy that if one had a sufficiently consecutive knowledge of Mr. Mead's intellectual biography during the intervening years, one could discover how practically all his inquiries and problems developed out of his original haunting question» in J. Dewey, Prefactory Remarks, in G. H. Mead, The Philosophy of the Present, Open Court Publishing Company, Chiago, 1932, pp. xxvi-xxvii tr. it. G. A. Roggerone, La filosofia del Presente, Guida editori, Napoli, 1986.

27 «The sensory stimulus is one thing, the central activity, standing for the idea, and the motor discharge, standing for the act proper, is a third. As a result, the reflex arc is not a comprehensive, or organic unity, but a patchwork of disjointed parts, a mechanical conjunction of unallied processes», in J. Dewey, The

(16)

verso di essa, si brucia e ritira la mano. Per la teoria dell‘arco riflesso, questi eventi costituiscono una linea di cause ed effetti: la visione della candela è lo stimolo che innesca la risposta del bambino, vale a dire il tendere la mano; il dolore provocato dalla scottatura è un secondo stimolo, che comporta il ritrarsi del bambino. In altre parole, ciascun atto viene preso come un evento a sé stante, ed il collegamento viene aggiunto nei termini di causa-effetto. Ora, Dewey non intende negare che esistano riflessi semplici, che possono essere effettivamente spiegati con questo schema: il problema è che gli atti veri e propri non possono essere spiegati così. Tornando all‘esempio del bambino, abbiamo parlato di impulsi e reazioni, ma non di azione orientata da un fine. Dewey obietta che l‘atto di raggiungere la candela con la mano non è la risposta ad uno stimolo, ma è un‘azione con un fine. Mentre il bambino muove la sua mano verso la candela viene guidato da una percezione in continua evoluzione della candela, non si tratta di una reazione ad uno stimolo fissato una volta per tutte.

Con le parole di Dewey:

«Quanto detto finora può essere riassunto dicendo che l‘idea dell‘arco riflesso, così come impiegata di solito, sbaglia quando assume stimolo motorio e stimolo sensorio come due istanze psichiche distinte, dato che in realtà si trovano sempre all‘interno di una coordinazione e derivano il loro significato solamente dal ruolo che hanno svolto nel mantenere o ricostruire la coordinazione; inoltre, questa teoria sbaglia anche nel diversificare l‘esperienza che precede la fase motoria e quella che la segue, dato che la seconda altro non è che la prima ricostituita, con la fase motoria che fa soltanto da mediatrice. Il risultato è che l‘arco riflesso ci lascia con una psicologia disconnessa, tanto se la guardiamo dal punto di vista dello sviluppo dell‘individuo o della specie, quanto se la guardiamo dal punto di vista dell‘analisi della coscienza matura. Nel primo caso, il fatto che non si accorge che l‘arco di cui parla è in realtà un circuito, una ricostituzione continua, rompe la continuità e ci lascia soltanto con una serie di contrazioni, l‘origine delle quali deve trovarsi fuori dal processo dell‘esperienza, nella pressione dell‘ambiente esterno o in una variazione inspiegabile dall‘interno dell‘―anima‖ o dell‘―organismo‖. Nl secondo caso, mancando di vedere l‘unità dell‘attività […] ci lascia con la sensazione, o stimollo periferico; l‘idea, o processo centrale; e la risposta motoria, o atto, come tre esistenze sconnesse che devono essere adeguate tra loro […]»28

.

28 «The discussion up to this point may be summarized by saying that the reflex arc idea, as commonly employed, is defective in that it assumes sensory stimulus and motor response as distinct psychical existences, while in reality they are always inside a coordination and have their significance purely from the part played in maintaining or reconstituting the coordination; and (secondly) in assuming that the

(17)

In breve, possiamo dire che Dewey ribalta l‘approccio della psicologia a lui contemporanea, mettendo al centro del suo studio l‘atto come totalità integrata: stimolo e risposta, a questo punto, assumono un significato soltanto quando considerati all‘interno di questo contesto, e non come istanze separate tra loro. In questo modo, non solo viene eliminato il dualismo di cui Dewey temeva la ricomparsa; ma l‘intero procedimento assume le sembianze di un cerchio piuttosto che di una linea.

L‘altra, importante conseguenza è che ci troviamo di fronte ad un concetto di organismo nuovo, affine a quello che abbiamo visto comparire in William James. L‘organismo non si adatta passivamente all‘ambiente esterno: il rapporto tra organismo e ambiente è un rapporto attivo da entrambe le parti, dinamico, in continua evoluzione. Laddove prima organismo ed ambiente venivano concepiti come due istanze perlopiù statiche adesso i due stanno in un rapporto dinamico. Questo ha importanti conseguenze su diversi piani: è su questa base, infatti, che si poggiano le teorie sull‘educazione di Dewey e, in seguito, di Mead. Le loro proposte assegnano infatti un ruolo più attivo al bambino, che rischiava di essere un semplice recipiente passivo nelle teorie a loro contemporanee. Come nota Bredo, questo articolo di Dewey ha forti ripercussioni anche sul modo di concepire il rapporto tra mente e corpo: «Partendo dall‘atto, Dewey fu capace di ridefinire la relazione tra mente e corpo, rendendo più semplice comprendere la relazione tra i due. Essi sono connessi come attività riflesse ed irriflesse, piuttosto che come entità separate»29. Anziché partire da corpo e mente come entità distinte, da connettere in seguito, Dewey parte dall‘atto come atto coordinato ed integrato, di cui corpo e mente, proprio come organismo ed ambiente, stimolo e risposta, sono delle componenti che non possono essere concepite come separate. In quest‘ottica, corpo e mente partecipano entrambi all‘atto; il corpo, in particolare, è l‘artefice del comportamento abitudinario, un comportamento che non è però completamente quale of experience which precedes the 'motor' phase and that which succeeds it are two different states, instead of the last being always the first reconstituted, the motor phase coming in only for the sake of such mediation. The result is that the reflex arc idea leaves us with a disjointed psychology, whether viewed from the standpoint of development in the individual or in the race, or from that of the analysis of the mature consciousness. As to the former, in its failure to see that the arc of which it talks is virtually a circuit, a continual reconstitution, it breaks continuity and leaves us nothing but a series of jerks, the origin of each jerk to be sought outside the process of experience itself, in either an external pressure of 'environment,' or else in an unaccountable spontaneous variation from within the 'soul' or the 'organism.'As to the latter, failing to see unity of activity, no matter how much it may prate of unity, it still leaves us with sensation or peripheral stimulus; idea, or central process (the equivalent of attention); and motor response, or act, as three disconnected existences, having to be somehow adjusted to each other, whether through the intervention of an extraexperimental soul, or by mechanical push and pull», J. Dewey, The Reflex Arc…, pp. 360-361.

29

(18)

irriflesso come si potrebbe pensare. L‘abitudine infatti è sì un atto corporeo, tuttavia richiede una riflessione cosciente rivolta al passato, che ci guida nelle nostre azioni. Il ruolo eminente della mente entra in gioco quando le nostre abitudini, le nostre conoscenze entrano in conflitto con il presente.

Mead commenta così l‘articolo del collega:

«L‘assunzione che viene fatta qui è che il pensiero analitico comincia in presenza di problemi e conflitti tra differenti linee d‘azione. L‘assunzione successiva è che esso (il pensiero analitico) continua ad essere un‘espressione di questo conflitto ed al contempo la soluzione dei problemi coinvolti; che tutto il pensiero riflessivo nasce da problemi reali presenti nell‘esperienza immediata, e che è occupato interamente dalla soluzione di questi problemi o dai tentativi di soluzione; che questa soluzione, infine, si trova nella possibilità di continuare l‘attività, che è stata fermata, tramite percorsi d‘azione vecchi o nuovi […]»30

.

L‘insorgere di problemi che inibiscono l‘azione è dunque fondamentale: qui si trova l‘inizio del pensiero. Quando l‘azione si ferma, l‘intera conoscenza che l‘individuo ha del mondo viene messa in discussione: come sottolinea Mead, «assumere l‘attitudine di risolvere un problema necessario, quindi, implica la volontà di invalidare completamente il mondo che l‘individuo conosce»31.

Anche in Mead, come vediamo, è l‘atto a costituire il punto di partenza: è a partire da esso che possiamo analizzare la condotta dell‘uomo, e sempre a partire da esso si formano gli universali di cui parla Mead. Quando un‘azione si ferma e richiede un ripensamento di quello che era l‘obiettivo iniziale, il mondo dell‘individuo, potremmo dire, si ferma: egli astrae dalla situazione presente, e si trova in un mondo a metà fra i vecchi universali e dei nuovi universali, che per il momento rimangono potenziali. L‘esito dell‘azione può riportare l‘individuo ai suoi vecchi universali, lasciando di fatto intatto il suo mondo; oppure può condurre ad una revisione degli universali, portandolo quindi ad una diversa visione del mondo.

Ma non è solo la centralità dell‘atto, ed in particolare dell‘atto inibito come inizio del pensiero riflessivo, ad essere ripresa da Mead. Anche la circolarità introdotta da Dewey

30 «The assumption made here is that all analytical thought commences with the presence of problems and the conflict between different lines of action. The further assumption is that it continues always to be an expression of such conflict and the solution of the problems involved; that all reflective thought arises out of real problems present in immediate experience, and is occupied entirely with the solution of these problems or their attempted solution; that this solution finally is found in the possibility of continuing the activity, that has been stopped, along new or old lines […]» in G. H. Mead, Suggestions Toward a Theory

of the Philosophical Disciplines, Philosophical Review 9, 1900, p. 2.

31 «To assume the attitude, therefore, of solving a necessary problem, implies a willingness to completely invalidate one‘s known world » G. H. Mead, Suggestions…, p. 7.

(19)

nella sua visione dell‘arco riflesso avrà degli echi negli scritti del collega, in particolare nella sua analisi della conversazione gestuale, che analizzeremo più avanti; quello che ci preme sottolineare adesso è come la teoria dell‘atto di Dewey sia fondamentale per capire la teoria dell‘atto di Mead, base essenziale della sua teoria sociale.

1.2.3 William James e G. H. Mead

Nel primo paragrafo, abbiamo accennato al rapporto intercorso tra Mead e William James, sottolineando come quest‘ultimo abbia esercitato, su Mead, una forte influenza personale, prima ancora che intellettuale. Nonostante Mead non avesse studiato direttamente sotto la guida di James, la sua influenza può comunque essere percepita nella sua opera. Sono numerosi i parallelismi che possono essere tracciati tra le teorie dei due; per il momento, vogliamo soffermarci su due elementi che, in particolare, accomunano i due pensatori. Innanzitutto, la loro concezione del rapporto tra mente e mondo esterno. James era stato a lungo estimatore di Herbert Spencer: il suo lavoro, secondo James, aveva aperto il cammino alla psicologia scientifica proprio grazie all‘analisi svolta sui rapporti tra mente e ambiente naturale. Come nota Carlo Sini, però, l‘entusiasmo verso l‘opera di Spencer fu di breve durata, sostituito ben presto da aspre critiche rivolte alla sua teoria. In particolare, secondo James, erano due i fattori problematici della teoria spenceriana:

«Il primo riguarda il modo di intendere l‘ambiente, modo ancora ―lamarckiano‖ e cioè ―pre-darwiniano‖; i pre-darwiniani, dice James, pensavano solo all‘adattamento; l‘ambiente faceva tutto, era il motore e il soggetto di tutto […]. Il secondo punto concerne la natura della mente: la mente umana è spontanea, ha capacità deliberative, agisce in modo teleologico, pone dei fini e dichiara anche di porli; queste caratteristiche non si spiegano né con l‘idea dell‘adattamento né con quella, similare, del rispecchiamento […]. Ma proprio su questi due punti viene in soccorso Darwin: le condizioni ambientali sono per lui atte a regolare, preservare e selezionare l‘insorgere di libere e spontanee ―variazioni‖, ma non ne sono direttamente la causa; le variazioni spontanee rendono conto, perciò, del carattere creativo dei fattori dell‘esperienza»32.

Questa critica al concetto di mente adattiva, in favore di una concezione di un rapporto integrato tra mente e mondo naturale, sarà un elemento fondamentale per la teoria di

32

(20)

Mead. Come nota Sini, James qui ha in mente il Darwin di ―The Expression of the Emotions in Man and Animals‖ (1872); ma se la presenza sullo sfondo dell‘evoluzionismo darwiniano è innegabile, è altrettanto vero che James va oltre l‘impostazione di Darwin, che non intendeva affatto abbandonare l‘impostazione meccanicistica. Ancora una volta, possiamo notare un elemento che fa da sfondo comune tanto a James quanto a Dewey e Mead: il favorire l‘unità piuttosto sulle divisioni, con una forte critica a quei dualismi tra mente e corpo, soggetto ed oggetto che si sono susseguiti nella storia della filosofia. In James possiamo leggere:

«La mia tesi è che se cominciamo con l‘ipotesi che ci sia una sola sostanza o materia primigenia del mondo, una sostanza di cui ogni cosa è composta, e se chiamiamo questa sostanza ―esperienza pura‖, allora il conoscere può essere facilmente spiegato come un particolare tipo di relazione reciproca che delle porzioni di esperienza pura possono intrattenere. La relazione stessa è a sua volta una parte dell‘esperienza pura: uno dei suoi ―termini‖ diventa il soggetto […], l‘altro diventa l‘oggetto conosciuto»33

.

E ancora:

«Il primo grande trabocchetto da cui un tale attaccamento radicale all‘esperienza ci salverà è una concezione artificiale delle relazioni tra conoscente e conosciuto. Lungo tutta la storia della filosofia il soggetto e il suo oggetto sono stati trattati come entità assolutamente discontinue; e in base a questo la presenza dell‘oggetto al soggetto, o ―l‘apprensione‖ che il soggetto ha dell‘oggetto, hanno assunto un carattere paradossale per superare il quale sono state inventate ogni sorta di teorie»34.

Una mente attiva, adattiva, in gioco da una parte, ed una netta cesura rispetto alla tradizione dei dualismi dall‘altra; queste è il nocciolo delle proposte di James che abbiamo riportato, e si tratta di elementi che faranno sentire fortemente la loro presenza anche nell‘opera di Mead.

C‘è un altro, interessante aspetto che Mead mutua da James, vale a dire la distinzione tra due istanze mentali, denominate ―Io‖ e ―Me‖.

James introduce innanzitutto la nozione di ―Io empirico‖, o ―Me‖: «L‘Io empirico di

33 W. James, Essays in Radical Empiricism, Longmans-Green, New York, 1912, tr. it. Sergio Franzese,

Saggi di Empirismo Radicale, Quodlibet, Macerata 2009, p. 5.

34

(21)

ciascuno di noi significa tutto ciò che ognuno è portato a chiamare col nome di me»35. Il ―Me‖, dunque, o Io empirico o oggettivo, come James lo definisce, rappresenta la persona a cui mi riferisco quando parlo delle mie azioni. Ad esso si cotnrappone l‘Io vero e proprio, o ―Io puro‖, che è invece il centro dei pensieri, ciò che nel linguaggio comune viene chiamato ―anima‖ o ―mente‖. Per James, è esso a dare continuità al nostro flusso di pensieri. In inglese, questa distinzione si può rendere facilmente con frasi come ―I know it was me who ate the cookie‖. È evidente qui la differenza: il primo I rappresenta l‘io puro, il centro di pensiero che si sta esprimendo attraverso la frase; il Me, invece, rappresenta l‘―Io oggettivo‖ che ha compiuto l‘azione. È proprio l‘Io empirico ad interessarci particolarmente in questa sede, in virtù dei suoi connotati sociali che troveranno eco in Mead. James infatti opera una distinzione all‘interno dell‘―Io empirico‖: a differenza dell‘―Io puro‖, esso è divisibile in elementi costitutivi, che sono l‘―Io materiale‖, l‘―Io sociale‖ e l‘‖Io spirituale‖. Di questi tre elementi è l‘―Io sociale‖ quello più gravido di conseguenze nella nostra ricerca. James lo definisce come «[…] il riconoscimento che egli [l‘uomo] ottiene per parte dei propri simili. Noi non siamo soltanto animali gregarii […] ma abbiamo una tendenza innata a farci distinguere, nel modo più favorevole che per noi si possa»36 . Viene sottolineata, quindi, l‘importanza del riconoscimento che un individuo ottiene tra i suoi simili.

Poco dopo, aggiunge: «In verità, un uomo ha tanti Io sociali quanti sono gli individui che lo conoscono e portano l‘immagine di lui nella mente […]. Ma siccome gli individui che portano in loro queste immagini si dividono in tante classi, possiamo dire che un uomo ha tanti Io, quanti sono i gruppi di persone della cui opinione egli si preoccupa»37.

Dunque, l‘Io empirico o oggettivo è costituito anche da un fattore sociale, che James definisce Io sociale. Questo Io ha la caratteristica di trovare sede non nel suo ―proprietario‖, ma nell‘Altro, o meglio, negli Altri: un individuo possiede tanti Io sociali quante sono le persone che conosce. Il nostro comportamento, lo sappiamo, cambia a seconda della persona che ci troviamo di fronte, che porta alla luce lati diversi della nostra personalità. Si tratta di una nozione importante, che ritroveremo anche nelle opere di Cooley, che ha coniato il termine di Sé riflesso (o looking-glass self) per parlare di come noi percepiamo la nostra immagine che ci viene riflessa dagli altri. Ad

35 W. James, Principles of Psychology, Henry Holt and Company, New York, 1890, tr. it. G. C. Ferrari,

Principi di Psicologia, Società Editrice Libraria, Milano 1901, p. 220.

36 W. James, Principi..., p. 222. 37

(22)

ogni modo, questa distinzione tra Io puro e Io oggettivo trova una ripresa in Mead, dove le due istanze psichiche si ripresentano sotto i termini di Io e Me. In Mead, come vedremo, il Me avrà un‘importanza ancora maggiore rispetto a quanto visto in James; sarà proprio il Me, di fatto, il grande protagonista della vita psichica dell‘uomo.

1.2.4 Mead e John B. Watson

In ―Mente, Sé e Società‖, possiamo leggere Mead aderire alla corrente psicologica del comportamentismo, fornendone però una variante totalmente inedita, che nell‘opera viene definita ―comportamentismo sociale‖. Mead vuole distaccarsi dal comportamentismo comune dell‘epoca; il bersaglio polemico di queste pagine è John B. Watson, lo psicologo che, nel primo decennio del XX secolo, aveva cominciato ad elaborare un nuovo modo di intendere la psicologia: nacque così il comportamentismo, behaviourism. Watson ne spiegò così la nascita e gli intenti:

«[…] il comportamentismo, comparso per la prima volta nel 1912, ha cercato di tracciare un nuovo inizio per la psicologia, rompendo tanto con le teorie contemporanee quanto con i concetti ed i termini della tradizione. Per il comportamentista, la psicologia è quella divisione delle scienze naturali che prende il comportamento umano […] come suo campo di studi. È lo studio di quello che le persone fanno da prima della nascita fino alla loro morte»38.

Il bisogno di un nuovo inizio per la psicologia era per Watson giustificato dal fatto che «La più ragione per il fallimento [della psicologia] è stato il suo limitarsi ad un certo campo d‘indagine e ad un certo metodo. La psicologia ha limitato il suo campo d‘indagine ai cosiddetti stati della coscienza, alla loro analisi e sintesi. Gli ―stati di coscienza‖, così come i cosiddetti fenomeni dello spiritualismo, non sono oggettivamente verificabili e per questo non possono essere dati per la scienza»39.

La critica, come appare chiaro anche dai passaggi immediatamente successivi, è rivolta all‘introspezione che ha caratterizzato la storia della psicologia: per Watson, se la

38 «[…] behaviorism, first showing its head in 1912, attempted to make a fresh, clean start in psychology, breaking both with current theories and with traditional concepts and terminology. For the behaviorist, psychology is that division of natural science which takes human behavior […] as its subject matter. It is the study of what people do from even before birth until death», in John B. Watson, Psychology from the

Standpoint of a Behaviorist, J. B. Lippincott Company, Philadelphia 1919, p. 4.

39 «The reason for its failure was largely its limitation of subject matter and method. Psychology limited its subject matter to the so-called states of consciousness. ―States of consciousness‖, like the so-called phenomena of spiritualism, are not objectively verifiable and for that reason can never become data for science» in J. B. Watson, Psychology..., p. 1.

(23)

psicologia vuole elevarsi al rango di scienza deve cambiare tanto il suo metodo d‘indagine quanto il suo campo, orientandosi verso aspetti dell‘essere umano che siano oggettivamente verificabili. Da qui lo spostamento dell‘attenzione sul comportamento esterno:

«La psicologia comportamentista tenta di formulare, attraverso osservazione sistematica e sperimentazione, le generalizzazioni, le leggi ed i principi che sottostanno al comportamento umano. Quando un essere umano agisce […] ci dev‘essere un invariabile gruppo di precedenti a servire da ―causa‖ dell‘atto. Per questo gruppo di antecedenti, possiamo convenientemente usare il termine situazione o stimolo […]. La psicologia si trova così immediatamente di fronte a due problemi: quello di predire la probabile situazione o il probabile stimolo che suscitano una certa risposta; e quello, data una situazione, di predire la probabile risposta»40.

Negli stessi anni in cui gli scritti di Freud cercavano di scavare sempre più a fondo nell‘inconscio umano41

, il comportamentismo di Watson relega la mente, ed in generale la vita psichica degli individui, al cosiddetto black box, vale a dire una ―scatola nera‖ che non può essere indagata direttamente, ma di cui si possono conoscere solamente input e output. In altre parole, il comportamentismo di Watson costituisce quasi una sorta di contraltare alla psicoanalisi di Freud, che circa negli stessi anni stava riscuotendo un successo sempre crescente.

Mead conosceva bene le opere di entrambi i pensatori, e senza dubbio possiamo sentire l‘influenza di entrambi sull‘evoluzione del suo pensiero maturo. Innanzitutto, possiamo tracciare delle similitudini tra quanto sostenuto da Watson e quanto abbiamo visto finora in Dewey e Mead: l‘attenzione rivolta all‘atto è certamente un eco che risuona negli scritti di questi tre autori, così come chiara è anche la critica rivolta ad ogni tipo di dualismo esistente tra mente e corpo. Nonostante punti di partenza simili, però, la teoria di Watson differisce grandemente da quanto proposto da Dewey e Mead: innanzitutto, il suo comportamentismo sembra rigettare muscolarmente ogni tipo di attività mentale inconscia, almeno come campo di studio, per le motivazioni che abbiamo sopra

40 «Behaviouristic psychology attempts to formulate, through sistematic observation and experimentation, the generalizations, laws and principles which underly man‘s behavior. When a human being acts […] there must be an invariable group of antecedents serving as a ―cause‖ of the act. For this group of antecedents the term situation or stimulus is a convenient term […]. Psychology is thus confronted immediately with two problems – the one of predicting the probable causal situation or stimulus giving rise to the response; the other, given the situation, of predicting the probable response» in J. B. Watson,

Psychology..., p. 5.

41

(24)

riportato. Inoltre, l‘approccio di Watson all‘atto ricorda quello dell‘arco riflesso criticato da Dewey (e da Mead con lui) nel suo articolo; una posizione che Watson delinea in modo particolarmente chiaro nel suo articolo ―Behaviourism: A Psychology Based on Reflex-Action” (1926). Come potrebbe essere altrimenti? La teoria dell‘atto proposta da Dewey e Mead dà una grande importanza ai processi mentali dell‘individuo, siano essi consci o inconsci.

Se dunque, da un lato, Mead accoglie l‘istanza portata avanti da Watson, al punto da definire comportamentismo il suo stesso metodo d‘indagine; dall‘altro è estremamente critico della sua posizione. Possiamo infatti leggere:

«Il comportamentismo che useremo noi è più adeguato di quello usato da Watson. Il comportamentismo, in questo senso più ampio, rappresenta semplicemente un approccio allo studio dell‘esperienza dell‘individuo, in particolare, ma non in modo esclusivo, dal punto di vista della sua condotta, così come è soggetta all‘osservazione altrui»42.

E ancora:

«In breve, non è possibile negare l‘esistenza della mente o dei fenomeni mentali, ne è desiderabile farlo; ma è possibile renderne ragione e trattarli nei termini comportamentistici che sono esattamente simili a quelli che Watson impiega per spiegare i fenomeni psicologici non-mentali»43.

L‘approccio di Mead allo studio dell‘atto, dunque, presenta delle forti similitudini con quello proposto da Watson, ma al contempo se ne distacca; Mead non intende affatto escludere l‘interiorità dell‘uomo dal suo campo di indagine, ritenendola anzi una parte fondamentale per la sua ricerca, come vedremo. Non è infatti un caso che Freud costituisca un altro punto di riferimento per il pensiero di Mead. Al contempo, però, Mead non vuole concentrarsi esclusivamente su di essa, intendendo mantenere una decisa focalizzazione sul comportamento umano. In altre parole, ritroviamo qui l‘intento, già manifestato da Dewey, di allontanarsi da ogni possibile dualismo tra mente e corpo, in favore di un approccio integrato. Da Watson, Mead mutua l‘attenzione sul comportamento esterno e sull‘interazione tra individuo e ambiente; la sua teoria, però, si rivelerà diversamente stratificata rispetto a quella presentata dal padre del comportamentismo.

42 G. H. Mead, Mind, Self and Society, University of Chicago Press, Chicago 1934, tr. it. R. Tettucci,

Mente, Sé e Società, Giunti Editore, Prato 1966, p. 40.

43

(25)

Occorre però fornire alcune precisazioni sul rapporto intercorso tra le opere dei due pensatori e, più in generale, tra Mead ed il comportamentismo. Innanzitutto, abbiamo visto come il saggio di Watson sia datato 1913; a quell‘epoca, il pensiero di Mead stava già entrando nella sua fase matura, soprattutto per quanto riguarda la sua psicologia sociale. Come nota Cook, «[…] Mead non cominciò ad applicare regolarmente il termine ―comportamentismo‖ alle sue teorie di psicologia sociale fino agli anni ‘20 – tempi in cui quasi ogni psicologo accademico affermava di essere un qualche tipo di ―comportamentista‖»44

. L‘adesione di Mead alla corrente del comportamentismo, dunque, non avviene nelle fasi iniziali del suo pensiero, ma quando già Mead aveva elaborato le basi della sua psicologia sociale. L‘impatto delle idee di Watson, dunque, non è certamente paragonabile a quello che ebbero James, Dewey, Royce, Baldwin e Cooley, autori che Mead conobbe quando era più giovane. E sebbene Mead non critichi direttamente alcuni punti del comportamentismo classico, possiamo notare numerose divergenze, come affermato da Cook: «per il comportamentista classico, il comportamento è una faccenda in cui stimoli esistenti indipendentemente sollecitano risposte incondizionate o condizionate da un organismo essenzialmente passivo»45. Al contrario, per Mead, come per James e Dewey prima di lui, l‘organismo determina il suo ambiente, non è un elemento passivo nella relazione che si limita a subire gli stimoli esterni46. Sempre Cook nota come il comportamentismo classico adotti un approccio al comportamento che riprende lo schema classico dell‘atto, con una divisione netta tra stimolo e risposta; Mead, invece, si pone in continuità con Dewey e con la sua visione dell‘atto come totalità, come abbiamo visto. E se per il comportamentismo l‘organismo si limita a reagire a stimoli esterni che sono semplicemente presenti, per Mead l‘organismo contribuisce alla costruzione di questi stessi oggetti, come vedremo più avanti. Vogliamo mettere in luce questi elementi per sottolineare come l‘adesione di Mead al comportamentismo non vada presa come un affiancarsi alla teoria di Watson o, più in generale, del comportamentismo classico. In particolare, poi, è necessario prestare particolare attenzione alla definizione di ―comportamentismo sociale‖ utilizzata in ―Mente, Sé e Società”. Morris, nell‘introduzione all‘opera, ammette che Mead non ha

44 «[…] Mead did not regularly apply the term ―behaviorism‖ to his own social psychological views until the 1920s – a time when almost every academic psychologist was claiming to be some kind of a ―behaviorist‖» in G. A. Cook, Resolving Two Key Problems in Mead’s Mind, Self and Society, in George

Herbert Mead in the Twentieth Century, Lexington Books, Plymouth, 2013, p. 96.

45 «For the classical behaviorist, conduct is an affair in which indipendently existing stimuli mechanically elicit unconditioned or conditioned responses from an essentially passive organism» in G. A. Cook, The

Making of…, p. 75.

46

Riferimenti

Documenti correlati

All’esito di un’accurata rassegna di alcune tra le più autorevoli voci afferenti a tale branca della psicologia, l’Autore esprime invece adesione al programma ripensativo

Premessi cenni su origini, giuridicità e autonomia dell’ordinamento sportivo (mondiale, nazionale, “in senso stretto” e “in senso lato”) rispetto a quello

Ovve- ro, ancora, viene riproposto il problema dei “tempi” per apprestare un diritto di difesa effettivo, sempre alla luce della giurisprudenza della Corte EDU (Goddi c.

Un codice abbastanza buono (ma anche qui si vocifera che ve ne sia uno molto più antico tra i libri di Bessarione), un’opera rara e tutta contesta di gemme che assumono la forma

La prima è stata quella degli interventi normativi per ridurre il numero di detenuti e abolire gli aspetti inutili e iniqui di alcune leggi degli ultimi anni: da qui i due decreti

Bisogna piuttosto scavare nel suo retroterra intellettuale, cui Israel ha dedicato gli ultimi vent’anni, insegnando che l’Illu- minismo era percorso da due correnti

Dunque la coscienza è un prodotto del cervello, il quale opera secondo le leggi della

Dopo due riunioni organizzative con i rappresentanti dei Centri Anziani, dei Sindacati anziani unitari e di dirigenti e funzionari che si occupano del “Settore Sociale” per