4 L’evoluzione del sé attraverso Mead
4.3 Un mondo fatto di contesti
4.3.1 L‘esperienza del gioco
Abbiamo messo in luce208 come la fase del gioco sia un elemento particolarmente importate per la formazione del sé nella teoria di Mead. Proprio grazie alla capacità di giocare, l‘individuo diventa in grado di assumere l‘atteggiamento degli altri; in particolare, attraverso la fase del gioco organizzato, l‘individuo acquisisce la capacità di assumere su di sé gli atteggiamenti dell‘altro generalizzato. Dunque, è una fase cruciale per la formazione del ―me‖; ma sarebbe meglio dire che il gioco è una fase cruciale per la formazione di un ―me‖ iniziale, legato alla sfera del gioco organizzato, che permette poi la formazione di altri ―me‖ nel corso dell‘esistenza dell‘individuo. Ciascuno di essi è in grado di assumere gli atteggiamenti degli altri partecipanti ad un determinato contesto, che si tratti della partita di baseball o della comunità a cui l‘individuo appartiene. La forte preponderanza che Mead dà alla componente sociale del sé ci può far dire che il sé in senso forte si forma quando l‘individuo impara a muoversi attraverso contesti, cornici di significato. In quest‘ottica appare importante approfondire il tema del gioco in quanto si tratta di un tassello fondamentale perché il sé possa sviluppare quell‘istanza che lo rende in grado di muoversi poi tra i diversi contesti di significato a cui l‘individuo si trova a partecipare nel corso della vita. Saper interpretare i contesti non è fondamentale solamente per la formazione del sé; possiamo dire che, in generale, gli organismi si muovono sempre all‘interno di contesti, di loro interpretazioni del mondo che li circonda: «ciascun organismo, potremmo dire, per poter elementarmente sopravvivere e riprodursi, deve saper ricavare attimo dopo attimo, dal coacervo delle infinite informazioni possibili, un qualche quadro del contesto in cui si trova a vivere e ad agire. Un quadro che renda compatibile la propria singolare biografia,
208
nell‘irripetibile singolarità dell‘attimo, con tutto quello che gli sta accadendo dentro e intorno. Nessuna realtà esterna preconfezionata gli può fornire le informazioni per questo quadro […]. Ciascun singolo organismo è coinvolto in permanenza nel dilemma ecologico di comporre e ricomporre creativamente, combinando informazioni genetiche e ambientali, un qualche quadro plausibile del contesto»209.
Gregory Bateson, in una delle sue analisi sul gioco, prende le mosse da un fatto osservato personalmente: «quello in cui mi imbattei allo zoo è un fenomeno ben noto a tutti: vidi due giovani scimmie che giocavano, cioè erano impegnate in una sequenza interattiva, le cui azioni unitarie, o segnali, erano simili, ma non identiche, a quelle del combattimento. Era evidente, anche all‘oservatore umano, che la sequenza nel suo complesso era un non combattimento, ed era evidente all‘osservatore umano che, per le scimmie che vi partecipavano, questo era ‗non combattimento‘. Ora, questo fenomeno, il gioco, può presentarsi solo se gli organismi partecipanti sono capaci in qualche misura di metacomunicare, cioè di scambiarsi segnali che portino il messaggio: ―questo è un gioco‖. Il passo successivo fu l‘esame del messaggio ―questo è un gioco‖ […]. L‘asserzione ―questo è un gioco‖, se la si sviluppa, assume la forma: ―le azioni che in questo momento stiamo compiendo non denotano ciò che denoterebbero le azioni per cui esse stanno»210.
Il primo elemento da mettere in luce, dunque, è che il gioco, almeno in alcune sue forme, è qualcosa che riguarda anche il mondo animale. Non serve andare allo zoo per vederlo: chiunque abbia avuto a che fare con personalmente con animali come gatti o cani sa bene che questi animali sono perfettamente in grado di giocare tra di loro, di fare una lotta che non è una vera lotta. Si tratta di un elemento interessante: significa che anche gli animali sono capaci, almeno in questa misura, di metacomunicare. Perché, come sottolinea Bateson, la metacomunicazione è il presupposto del gioco: non posso partecipare al gioco se non riesco ad intenderlo come tale. Altrove, Batesone scrive: «si noti che il termine gioco non limita né definisce gli atti che costituiscono il gioco. Gioco è applicabile solo a certe ampie premesse dell‘interscambio. Nel linguaggio ordinario, ―gioco‖ non è il nome di un atto o di un‘azione; è il nome di una cornice per
209 S. Manghi, La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 35.
210 G. Bateson, Steps to an Ecology of Mind, University of Chicago Press, Chicago 1972, tr. it. G. Longo e G. Trautteur, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1976, pp. 220-221.
l‘azione»211
. Il gioco, dunque, serve a Bateson per introdurre un argomento più ampio, quello delle cornici e dei contesti di significato. Bateson sottolinea che «per chiarire, è bene sottolineare subito che si tratta di concetti psicologici. Per discutere queste nozioni usiamo due specie di analogie: l‘analogia fisica della cornice di un quadro e quella più astratta, ma non ancora psicologica, dell‘insieme matematico […]. Tuttavia, mentre l‘analogia dell‘insieme matematico è forse troppo astratta, l‘analogia con la cornice del quadro è forse troppo concreta. Il concetto psicologico che stiamo cercando di definire non è né fisico né logico; piuttosto, riteniamo che la cornice fisica reale venga dagli uomini aggiunta ai quadri fisici perché gli esseri umani si muovono più agilmente in un universo in cui alcune delle loro caratteristiche psicologiche sono esternate»212. Si tratta di un rovesciamento di prospettiva interessante: le cornici del quadro (e, in generale, tutte le cornici fisiche) rappresenterebbero una caratteristica psicologica dell‘uomo esternata. Senza tornare al concetto di cornice, che abbiamo già approfondito, quello che cui ci interessa vedere è come l‘individuo si interfaccia con questa struttura di contesti. A partire proprio dal gioco. Il gioco, dopotutto, è un contesto, un contesto che viene delimitato dalla presenza di certe regole, la cui presenza permette al gioco di essere tale. Il gioco è una cornice, all‘interno della quale le azioni assumono un significato diverso rispetto a quello che avrebbero all‘esterno della stessa. Nell‘atto di giocare, dunque, il bambino impara a muoversi dentro e fuori dalla cornice del gioco; entrando nel contesto di una partita di baseball, è in grado di diventare quel ―me‖ che gli permette di giocare proficuamente una partita, consapevole del suo ruolo rispetto a quello degli altri giocatori; questo, chiaramente, presuppone che il bambino sia anche in grado di uscire dal contesto della partita di baseball, adattandosi al contesto che comincia una volta terminata la partita. Attraverso il gioco, dunque, il bambino impara a muoversi nei diversi contesti sociali; contesti in cui, peraltro, era da sempre immerso. Come sottolineato da Mead, ma anche da Cooley, pensare l‘individuo al di fuori di un contesto sociale è un‘astrazione; eppure, il gioco costituisce un momento fondamentale perché l‘individuo sia in grado di muoversi attraverso contesti differenti. I problemi che possono essere sollevati, rispetto all‘impostazione di Mead, riguardano principalmente due punti. Innanzitutto, il fatto che gli animali siano in grado di giocare mette in luce, ancora una volta, il bisogno di rivedere le posizioni di chi, come Mead, sosteneva la
211 G. Bateson, Mind and Nature. A Necessary Unity, Dutton Books, New York 1979, tr. it. G. Longo,
Mente e Natura. Un’unità necessaria, Milano 1984, p. 187.
212
presenza di una cesura forte tra ―animali inferiori‖ e uomo. Questo si collega alla seconda questione: sorge spontanea la domanda di cosa sia necessario perché due organismi possano metacomunicare, cioè partecipare ad un gioco. Mead posiziona la fase del play in un momento in cui il sé del bambino si sta ancora costruendo; ma se anche gli animali, per i quali, secondo Mead, non si può parlare della presenza di un sé, sono in grado di giocare, allora in che rapporto stanno il gioco e lo sviluppo del sé, in particolare l‘istanza sociale del sé? Certamente, si tratta di un rapporto estremamente importante, che riproduce quella capacità di muoversi tra contesti propria dell‘individuo adulto. I termini di questo rapporto, però, rimangono da definire.