2 Tra filosofia e psicologia sociale: il pensiero di G H Mead
2.2 La genesi del sé
2.2.5 Dal play al game
Abbiamo dunque detto che l‘autocoscienza dell‘individuo non parte da una percezione immediata di sé, ma da una percezione mediata dagli altri, da un‘interiorizzazione delle attitudini altrui verso di sé. Chiariamo, con un esempio fornito da Mead, ciò che
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G. H. Mead, Mente..., p. 196.
98 «Social consciousness is organized from the outside in. The social percepts which first arise are those of other selves. In adjusting himself to gestures, the young child probably forms his first objects. It is only after he has reached the point of communicating with himself that his own self-consciousness can arise. This process largely takes place through vocal gestures»G. H. Mead, The Individual…, p. 53.
intendiamo dire: «Una buona illustrazione di ciò possiamo trovarla in un ―diritto‖. Nel proteggere le nostre vite o proprietà, noi assumiamo l‘attitudine di assenso di tutti i membri della comunità. Prendiamo il ruolo di quello che potremmo chiamare l‘―altro generalizzato‖. E nel farlo, appariamo come oggetti sociali, come sé. È interessante notare che nello sviluppo individuale del bambino, ci sono due fasi che presentano due passaggi essenziali per ottenere l‘autocoscienza. La prima fase è quella del play, la seconda quella del game, e queste due fasi sono ben distinte. Nel play, il bambino interpreta continuamente un genitore, un insegnante, un prete, un poliziotto […]. Il play viene prima del game. Perché nel game ci sono una procedura e delle regole. Il bambino non deve solo interpretare il ruolo dell‘altro, come nel play, ma deve assumere i vari ruoli di tutti i partecipanti al gioco, e muoversi di conseguenza»99.
Si tratta di una delle intuizioni più famose di Mead, che mette chiaramente in luce il ruolo che l‘altro ha nella formazione dell‘individuo. Il gioco sarebbe una fase fondamentale, dunque, nello sviluppo del bambino, perché attraverso di esso egli impara ad introiettare le attitudini altrui. Play e game in italiano possono essere resi entrambi come gioco; per sottolineare il senso in cui Mead intende i due termini, possiamo utilizzare rispettivamente ―gioco‖ e ―gioco organizzato‖, come fatto da Roberto Tettucci nella sua traduzione di ―Mente, Sé e Società‖. Nella prima fase, quella del gioco, il bambino interpreta il ruolo delle persone che ha conosciuto durante il corso della sua vita. Riesce a riprodurre gli atteggiamenti delle altre persone, come per esempio la madre o una guardia. In questa fase, il bambino interagisce solitamente con se stesso, interpretando questi ruoli e dunque stimolando, in sé, le stesse risposte che verrebbero stimolate in altri. Si tratta dunque di una fase fondamentale per lo sviluppo del sé, in cui il bambino impara le basi dell‘interazione, del tessuto sociale che lo circonda. C‘è dunque un riconoscimento degli altri sé: il bambino, già in questa fase, è in grado non solo di distinguere i sé che lo circondano, ma anche di introiettarne gli atteggiamenti. Il sé comincia così a svilupparsi, per quanto in modo indiretto.
99 «Perhaps as good an illustration of this as can be found is in a ―right‖. Over against the protection of our lives or property, we assume the attitude of assent of all members in the community. We take the role of what may be called the ―generalized other‖. And in doing this we appear as social objects, as selves. It is interesting to note that in the development of the individual child, there are two stages which present the two essential steps in attaining self-consciousness. The first is that of play, and the second of the game, where these two are distinguidhes from each other. In play in this sense, the child is continually acting as a aprent, a teacher, a preacher, a policeman […]. The play antedates the game. For in a game there is a regulated procedure and rules. The child must not only take the orle of the other, as he does in the play, but he must assume the various roles of all the participants in the game, and govern his action accordingly» G. H. Mead, The Genesis of Self and Social Control, in Internation Journal of Ethics, 35, 1925, p. 269.
Dopodiché, abbiamo il passaggio al gioco organizzato. L‘esempio utilizzato da Mead è quello di una partita di baseball, ma possiamo replicare l‘esempio con il calcio. Se il bambino gioca da attaccante, non interpreta solamente il ruolo dell‘attaccante: nello stesso momento, egli assume su di sé le attitudini di tutti i suoi compagni di gioco, dai difensori al portiere. Di più, su di sé assume anche l‘atteggiamento dei giocatori della squadra avversaria. In altre parole, nel caso del gioco organizzato il punto fondamentale è che stiamo parlando di ruoli; l‘individuo assume su di sé le aspettative di tutti gli altri partecipanti al gioco, in quanto ha introiettato il suo ruolo nel contesto di gioco.
Emerge quindi l‘importanza del contesto, e delle regole che lo determinano: il bambino, attraverso il gioco organizzato, impara a muoversi all‘interno di una cornice sociale. E questo, per Mead, è fondamentale: «L‘importanza del ―gioco organizzato‖ consiste nel fatto che esso si situa in tutto all‘interno dell‘esperienza infantile, e l‘importanza del nostro metodo di educazione consiste nel fatto che questa si attua, per quanto possibile, all‘interno di questo regno […]. Nel ―gioco organizzato‖ otteniamo un ―altro organizzato‖, - un ―altro generalizzato – che origina dal carattere del bambini stesso e che trova la sua espressione nella sua immediata esperienza. Ed è quest‘attività organizzata del carattere, che regola la sua risposta particolare, quella che gli dà unità e che costruisce il suo stesso sé. Ciò che accade nel ―gioco organizzato‖ accade continuamente nella vita del bambino. Egli assume continuamente gli atteggiamenti di coloro che gli stanno intorno, specialmente i ruoli di coloro che in certo senso lo controllano e da cui dipende»100.
Per Mead, dunque, il ruolo del gioco organizzato è fondamentale in quanto è attraverso di esso che il bambino si costruisce l‘idea di un altro generalizzato e, così facendo, può costruire il suo sé. E ovviamente non si tratta di qualcosa che si limita all‘ambito del gioco. Perché il gioco organizzato viene visto, da Mead, come una cornice sociale; ma anche la comunità è, ovviamente, una cornice sociale. Il gioco organizzato, dunque, è il modo in cui il bambino apprende la vita comunitaria, impara a sentire su di sé le aspettative degli altri, ad interiorizzare l‘altro generalizzato. Ed è così che, per Mead, nasce la coscienza di sé, intesa in senso forte: «È sotto la forma dell‘―altro generalizzato‖ che il processo sociale influenza il comportamento degli individui in esso implicati e che a loro volta lo sviluppano; in altre parole, è sotto questa forma che la comunità esercita il suo controllo sulla condotta dei singoli membri; perciò è in questo
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modo che il processo sociale o la comunità si inseriscono come fattore determinante nel modo di pensare dell‘individuo. Nel pensiero astratto l‘individuo assume l‘atteggiamento dell‘―altro generalizzato‖ nei suoi confronti, trascurando l‘espressione di esso in altri particolari individui; e nel pensiero concreto egli assume quell‘atteggiamento in quanto si manifesta negli atteggiamenti, nei confronti del suo comportamento, tipici degli altri individui con i quali egli è collegato in una situazione o azione sociale ben definita. Ma solo con l‘assumere, nell‘uno o nell‘altro di questi casi, l‘atteggiamento dell‘―altro generalizzato‖ nei propri confronti, egli può pensare; in quanto solo così il pensiero – o il ―discorso di gesti‖ interiorizzato che costituisce il pensiero – può verificarsi»101.
Di nuovo, vogliamo sottolineare la distanza che separa Mead dalle altre teorie a riguardo della nascita della coscienza dell‘individuo. Ripensiamo a quello che Dewey aveva avuto da dire sull‘amico, dopo la sua scomparsa: Mead aveva dedicato la sua vita da studioso alla comprensione della coscienza come fatto privato. E qui troviamo la sua risposta: la coscienza come fatto privato nasce proprio dal contesto sociale. Nasce proprio dal fatto che l‘individuo è inserito in un contesto sociale, perché solo attraverso di esso, è solo assumendo l‘atteggiamento dell‘altro generalizzato che l‘individuo arriva a concepirsi come tale. Sembra una tesi quasi paradossale, quella che vede la dimensione privata nascere dalla dimensione sociale; eppure, nonostante le problematicità che questa tesi comporta e che metteremo in luce in seguito, così stanno le cose per Mead. È proprio per questo che abbiamo contrapposto la posizione di Mead alle teorie contrattualistiche: in esse, qualsiasi variante si scelga, è necessario porre degli individui che possiedono un certo grado di autoconsapevolezza. Individui consci dei propri bisogni, dei propri desideri e del vantaggio che trarrebbero da una vita sociale. Qui, invece, non abbiamo individui finché non abbiamo la società, perché essa è la condizione per la loro esistenza, almeno quando per individuo si intende un individuo autocosciente, pensante. Mead si oppone esplicitamente alla tendenza della psicologia passata di concepire il sé come isolato e indipendente102: per quanto si possa senza dubbio concepire un individuo cosciente ed autonomo, la nascita del sé, l‘individuo cosciente di sé presuppone la presenza di una compagine sociale. «Il sé al quale ci siamo riferiti, sorge quando la conversazione di gesti è trasferita nella condotta della forma individuale. Quando questa conversazione di gesti può essere trasferita nella
101 G. H. Mead, Mente..., p. 216. 102
condotta individuale in modo che l‘atteggiamento delle altre forme possa influenzare l‘organismo, e l‘organismo possa rispondere con il suo ―gesto‖ corrispondente e far così sorgere l‘atteggiamento dell‘altro nel suo stesso processo, allora sorge un sé»103
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L‘individuo, per diventare un sé, deve assumere l‘atteggiamento dell‘altro: perciò è impossibile seguire il percorso della psicologia classica e del suo individuo isolato. Una volta spiegata l‘origine del sé, però, rimane il problema di analizzarlo: Mead è attento a sottolineare, fin da subito, che il fatto che il sé nasca in un contesto sociale non significa che la sua identità si appiattisca su questo contesto. Per questo Mead introduce una distinzione tra le due istanze che compongono il sé dell‘individuo: l‘io e il me.