3 Mead, tra limiti e modernità
3.4 Accedere alla mente dell‘altro
3.4.1 Mead tra Theory Theory e Simulation Theory
All‘interno del dibattito scientifico, si sono contrapposte, nel corso degli ultimi decenni, due teorie, denominate Theory Theory e Simulation Theory.
«L‘idea di fondo della TT è che le persone riescano a leggere le menti degli altri acquisendo ed utilizzando una teoria di senso comune della mente, qualcosa di simile ad una teoria scientifica. Gli stati mentali attribuiti alle altre persone vengono concepiti come postulati teoretici inosservabili, utilizzati per spiegare e prevedere il comportamento nello stesso modo in cui i fisici utilizzato elettroni e quark per spiegare i fenomeni osservabili. Solitamente, la teoria della mente che hanno le persone ordinarie consiste in un insieme di leggi causali che legano stimoli esterni a certi stati interiori (come le percezioni), certi stati interiori (come desideri e credenze) ad altri stari interiori (come le decisioni) e certi stati interiori (come le decisioni) al comportamento […]. Stando alla TT, l‘attribuire certi stati mentali agli altri nasce da un ragionamento
teoretico che coinvolge leggi causali implicitamente conosciute»140.
A questa teoria si contrappone la Simulation Theory. Per introdurla vogliamo riprendere un esempio, citato anche da Gallese e Goldman nel passaggio successivo a quello che abbiamo appena riportato, introdotto da Kahneman e Tversky141. I due hanno posto ai loro studenti un semplice test, basato su una situazione immaginaria. In essa, il signor Crane ed il signor Tees devono entrambi prendere un aereo, allo stesso orario, nello stesso posto; i due viaggiano nella stessa limousine che rimane bloccata nel traffico, facendo perdere ad entrambi il proprio volo in quanto arrivano con mezz‘ora di ritardo. La differenza è che viene detto a Crane che il suo volo è partito in orario, mentre a Tees viene comunicato che il suo volo è partito in ritardo, lasciando l‘aereoporto solo cinque minuti prima del suo arrivo. Agli studenti venne quindi chiesto chi tra i due signori fosse più irritato per l‘accaduto, ed il 96% votò per il signor Tees. La domanda, allora, divenne un‘altra: essendo la situazione oggettivamente simile (entrambi i personaggi avevano perso l‘aereo), perché il signor Tees doveva essere più irritato?
«L‘unica ragione per il signor Tees di essere più irritato sta nel fatto che per lui era più ―possibile‖ raggiungere il suo volo. Noi suggeriamo che la situazione emotiva standard in questa situazione porta entrambi i viaggiatori a compiere un esercizio di simulazione, in cui testano quanto sono stati vicini a prendere il loro volo in tempo […]. Anche se la storia rende chiaro che le aspettative del signor Crane e del signor Tees non potrebbero essere differenti, il signor Tees è più irritato perché è più facile per lui immaginare come sarebbe potuto arrivare cinque minuti prima, rispetto al signor Crane che deve immaginare di evitare un ritardo di trenta minuti»142.
Come hanno fatto gli studenti a dare la risposta ―giusta‖? Seguendo la Simulation Theory, il motivo sarebbe che gli studenti si sono messi nei panni del viaggiatore
140 «The fundamental idea of TT is that ordinary people accomplish mind-reading by acquiring and deploying a commonsense theory of the mind, something akin to a scientific theory. Mental states attributed to other people are conceived of as unobservable, theoretical posits, invoked to explain and predict behavior in the same fashion that physicists appeal to electrons and quarks to predict and explain observable phenomena. On the standard presentation, the theory of mind possessed by ordinary people consists of a set of causal/explanatory laws that relate external stimuli to certain inner states (e.g. perceptions), certain inner states (e.g. desires and beliefs) to other inner states (e.g. decisions), and certain inner states (e.g. decisions) to behavior. This picture has been articulated by functionalist philosophers of mind23–26 as well as by developmental psychologists27,28. According to TT, attributing particular mental states to others arises from theoretical reasoning involving tacitly known causal laws», in V. Gallese e A. Goldman, Mirror Neurons and the Simulation Theory of Mind-Reading, Trends in Cognitive Sciences vol. 2, no. 12 (1998), p. 496.
141 D. Kahneman e A. Tversky, The simulation heuristic, in Judgment Under Uncertainty, Cambridge University Press , Cambridge 1982, p. 203.
immaginario, simulando le sue sensazioni. Ed è questo, chiaramente, il concetto fondamentale della teoria: la simulazione, che permette di riprodurre gli stati mentali delle altre persone. Gallese e Goldman differenziano così Theory Theory e Simulation Theory: «La differenza principale tra TT e ST, a nostro modo di vedere, è che la TT rende il leggere la mente degli altri un‘attività teoretica ―distaccata‖, mentre la ST indica la lettura della mente altrui come un tentativo di replicare, mimare o impersonare la vita mentale dell‘agente in questione»143
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La Simulation Theory ha avuto, negli anni ‘90, un grande risalto anche grazie alla scoperta dei neuroni specchio. Questa tipologia di neuroni, inizialmente scoperta da Giacomo Rizzolatti e dal suo team nei primati, è stata posta da alcuni studiosi alla base della nostra capacità di leggere le menti degli altri. Essi si attivano quando vediamo qualcuno eseguire un‘azione di cui anche noi siamo capaci; le stesse aree del cervello che si attiverebbero se fossimo noi a compiere un‘azione, si attivano anche quando a compiere l‘azione è qualcun altro. Non solo: degli esperimenti sembrano dimostrare che i neuroni specchio si attivano anche in presenza di manifestazioni di emozioni; cioè, quando vediamo una persona esprimere disgusto attraverso il suo corpo, nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni144. Gli esperimenti compiuti dagli studiosi (in particolare da Marco Iacoboni) sembrano dimostrare che i neuroni specchio si attivano, nel caso di un‘azione, in quanto chi osserva è in grado di capire cosa l‘altro sta cercando di fare145 . Vittorio Gallese, in particolare, parla di simulazione incarnata, per sottolineare come la simulazione venga letteralmente incorporata dall‘individuo anche grazie all‘azione dei neuroni specchio146
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Ryan Mcveigh, accostando Mead alla Theory Theory, ne sottolinea la discordanza, affermando che «ad esempio, la theory-theory della mente trascura la parte attiva e comportamentale dell‘interazione con gli altri. Nella sua enfasi sulla teoria e sulla conoscenza, finisce per essere troppo una strategia d‘esperienza troppo concettuale, astratta, distaccata. Perché se è vero che certe volte valutiamo il contenuto concettuale delle menti degli altri, normalmente non dobbiamo farlo […]. Per Mead, invece, il
143 «The core difference between TT and ST, in our view, is that TT depicts mind-reading as a ―detached‖ theoretical activity, whereas ST depicts mind-reading as incorporating an attempt to replicate, mimic, or impersonate the mental life of the target agent» in V. Gallese e A. Goldman, Mirror Neurons…, p. 497. 144 Sulla scoperta dei neuroni specchio e sui primi esperimenti ad essi collegati, vedi G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006.
145 Vedi M. Iacoboni, I Neuroni Specchio: Come Capiamo ciò che Fanno gli Altri, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
146 Vedi, tra gli altri, V. Gallese, La Consonanza Intenzionale: Meccanismi Neurofisiologici
punto focale si sposta dal pensare razionalmente il mondo all‘agire pragmaticamente in esso. È perciò che egli sottolinea continuamente che il significato deriva dalla condotta; per lui, il significato non è astratto e concettuale, ma attivo ed incorporato […]»147. Concordiamo con il punto di vista di Mcveigh; nella theory-theory la capacità di comprendere gli altri viene ascritta ad una capacità completamente razionale di comprendere i loro schemi. E vediamo nella nostra vita di tutti i giorni che si tratta di un approccio troppo distaccato e concettuale, che non rispecchia affatto quello che viviamo. In Mead non abbiamo una comprensione razionale degli schemi altrui; innanzitutto, potremmo dire che il problema di come accediamo alle menti altrui non si pone proprio in questi termini perché, come abbiamo visto, il sé si sviluppa proprio all‘interno di un contesto relazionale e sociale. Il bambino forma il proprio sé imparando ad assumere il ruolo degli altri; non c‘è dunque bisogno di postulare che egli debba prima di tutto riuscire a comprendere razionalmente i loro schemi per interpretarne le menti. In un certo senso, la theory-theory è ancora vicina ad un approccio che mette prima lo sviluppo dell‘individuo; e quindi il problema diventa quello di come un individuo può connettersi agli altri, di come può comprenderli. Come abbiamo più volte ripetuto, in Mead questa prospettiva viene rovesciata: essendo la componente sociale necessaria per la formazione dell‘individuo, la domanda non può essere posta in questi termini, perché non avremmo un individuo, nel senso in cui normalmente lo intendiamo, se non avessimo un contesto sociale.
Ci sono più similitudini, invece, con la simulation theory. Su questo, Mcveigh scrive: «date le similitudini tra la simulation theory e l‘enfasi sul role taking in Mead, può sembrare che questa prospettiva abbracci di più la natura sociale dello sviluppo del sé. Per certi versi, questo è vero perché i simulazionisti mostrano giustamente, almeno da un punto di vista cognitivo, il ruolo centrale che i gesti, le prospettive e l‘imitazione giocano nelle relazioni interpersonali. La ricerca sui neuroni specchio indubbiamente aggiunge valore a questa idea. E sebbene ci siano disaccordi sull‘importanza di queste cellule cerebrali […], l‘importanza dei neuroni specchio per il lavoro di George Herbert
147 «For instance, the theory-theory of mind overlooks the active and behavioral component to engaging others. In its emphasis on theory and knowledge, it comes across as a far too conceptual, abstract, and detached strategy of experience. For while we certainly d at times assess the conceptual contents of others‘ minds, normally we do not need to […]. For Mead, instead, the focus moves from rationally thinking about the world to pragmatically acting within it. This is why he continually stressed that meaning is derived from conduct; for him, meaning is not abstract and conceptual but active and embodied […]» in R. Mcveigh, Mead, the Theory of Mind, and the Problem of Others, in The Timeliness
Mead è fuori questione. Per esempio, la natura goal-oriented dei neuroni specchio enfatizza il fatto che la cognizione umana è strutturalmente e funzionalmente legata all‘azione incorporata […]. Secondo, i neuroni specchio sembrano spiegare come un organismo sia capace di sviluppare una mente ed un sé pre-reflessivamente attraverso una conversazione di gesti, qualcosa che il lavoro di Mead assume ma che non può spiegare. Detto ciò, l‘interezza delle relazioni intersoggettive non può essere ridotta solamente al processo neurologico. Quindi, mentre i neuroni specchio certamente rappresentano un‘importante scoperta sia per le scienze cognitive che per la sociologia, la loro esistenza ci dice poco sulle situazioni sociali in cui le relazioni intersoggettive sono sempre inserite, strutturate e costrette»148.
Come notato da Mcveigh, ci sono sicuramente forti paralleli tra la teoria di Mead e la simulation theory. In particolare, il concetto di simulazione incarnata che abbiamo introdotto prima, basata sulla presenza dei neuroni specchio, può effettivamente spiegare alcuni meccanismi che la teoria di Mead non riusciva a spiegare adeguatamente. La simulazione incarnata ci permette di spiegare come siamo in grado di riprodurre internamente gli atteggiamenti, le espressioni, gli atti altrui; e questa spiegazione può supportare non solo la conversazione di gesti di cui parla Mead, ma anche l‘intero meccanismo del role-taking. La simulazione incarnata, in altre parole, aiuterebbe a delineare meglio alcuni punti della teoria di Mead che, sebbene già presenti nella sua opera, non avevano ancora un adeguato fondamento.
Tuttavia, nonostante i molti punti di contatto, «la valutazione di Mead della natura sociale dei sé è fondamentalmente opposta ad entrambe le teorie della mente. La ragione, che più che risolvere il problema degli altri lo nega, è questa: il sé emerge solo dopo che un individuo ha internato con successo il significato e l‘importanza degli altri sé […]. Il sé è, perciò, derivato dagli altri con cui interagisce. Dipende dalla
148 «Given the similarities between simulation theory and the emphasis on role taking in Mead, it may subsequently appear that this perspective more fully embraces the social natura of self-development. In a number of ways this assessment is correct because simulationists rightly show, from a cognitive standpoint at least, the central role that gestures, perspectives, and imitation play in interpersonal relations. Research on mirror neuron systems undoubtedly adds to this alignment. And while there is some disagreement on the importance of these brain cells […], the importance of mirror neurons for the work of George Herbert Mead is unquestionable. For instance, the goal directed nature of mirror neurons emphasizes the fact that human cognition is structurally and funcionallu tied to embodied action […]. Second, mirror neurons seem to explain how an organism is able to develop mind and self pre-reflectively through a conversation of gestures, something that Mead‘s system assumes but cannot account for. That said, the full breadth and depth of intersubjective relations cannot possibly be reduced to a neurological process alone. So while mirror neurons certainly represent an important discovery for both cognitive science and sociology, their existence says little about the social situations in which intersubjective relations are always embedded, structured, and constrained» in R. Mcveigh, Mead..., p. 221.
comunicazione significativa e non può esistere in un isolamento reale o concettuale […]. Dato che il nascente sé umano si sviluppa nell‘interazione con gli altri – altri che vengono già compresi come sé – l‘esistenza delle altre menti non può essere un problema da risolvere. Cioè, il sé in Mead è il prodotto della nostra interazione con gli altri e non, come la grande maggioranza della ricerca in scienze cognitive assume, la sua precondizione […]. In entrambe le teorie della mente, l‘esistenza delle altre menti diventa un problema da risolvere solo perché il sé viene assunto come un‘entità autonoma che esiste prima del contatto con gli altri sociali. Viene sempre dato per scontato come punto di inizio dell‘analisi […]. Invece, Mead ha mostrato che l‘individuo sociale deve assumere i ruoli degli altri verso di sé […] prima che un sé possa emergere. È quindi più sensato vedere i neuroni specchio come il meccanismo fisiologico attraverso cui ci connettiamo agli altri e ci sviluppiamo»149.
Come abbiamo già detto più volte, è fondamentale tenere a mente questo rovesciamento di prospettiva operato da Mead. Perché proprio nella misura in cui il sé è un prodotto sociale, cambia il modo in cui vanno poste certe domande. Perché anche quando parliamo di simulazione incarnata, ci riferiamo comunque ad un modello che cerca di spiegare come gli individui sono capaci di comunicare tra loro e di intendersi. Individui, appunto: questo è il punto di partenza, il sé come fattore privato. Entrando nell‘ottica di Mead, questa domanda non ha senso, non posta in questi termini. Lo spunto offerto da Mead rimane estremamente interessante proprio per questa sua capacità di eliminare il problema di come avviene l‘intersoggettività e per il suo offrire una prospettiva ancora oggi originale a riguardo del rapporto che c‘è tra il sé privato e il sé sociale.
La teoria di Mead può quindi essere fecondamente integrata con la simulation theory, ma solo se in questo modo vogliamo cercare di spiegare alcuni dei meccanismi illustrati da Mead che, nelle sue opere, mancano di approfondimento adeguato. Tra le due teorie
149 «[…] Mead‘s assessment of the social nature of selves is fundamentally at odds with both theories of mind. The reason, which ultimately does less to resolve the problem of others than negate it entirely, is this: the self only emerges after an individual has succesfully internalized the meaning and significance of other selves […]. The self is, therefore, derived from the others it ineracts with. It is dependent on significant communication and cannot exist in either conceptual or actual isolation […]. Since the nascent human self develops out of interaction with others – others that are already apprehended as selves – the existence of other minds cannot be a problem to be solved. That is to say, the self in Mead is a product of our interaction with others and not, as the vast majority of research in cognitive science assumed, the precondition for it […]. In both theory of mind perspectives, then, the existence of other minds only becomes a problem to be solved because the self is assumed to be an autonomous and automatic entity that preexists contact with social others. It is always taken for granted as the starting point of analysis […]. Instead, Mead has shown that the social individual needs to assume the roles of pre-formed others toward itself […] before a self as such can emerge. It thus makes better sense to see mirror neurons as the physiological mechanism through which we connect with others and develop ourselves», in R. Mcveigh,
permane però questa incompatibilità di fondo, cioè il fatto che per una l‘individuo è prima di tutto individuo, e poi un fattore sociale; nell‘altra, invece, non ci può essere individuo senza società.