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Il problema dell‘imitazione in Mead

3 Mead, tra limiti e modernità

3.3 Il problema dell‘imitazione in Mead

Dobbiamo sempre a Cook il rilevamento di un altro problema interno alla teoria di Mead, stavolta con riferimento specifico all‘‖assumere il comportamento altrui‖. Abbiamo visto136 come Mead intenda rifiutare l‘imitazione come spiegazione per giustificare la sua teoria. In ―Mente, Sé e Società‖ l‘alternativa proposta da Mead viene elaborata a partire da un esempio, che riguarda un canarino ed un passero. Vogliamo riportarlo per intero, in modo da poter capire meglio qual è la proposta avanzata da Mead e la conseguente critica di Cook.

«Se la forma deve suscitare in sé la stessa nota che suscita nell‘altra forma, è necessario che essa agisco nello stesso modo della seconda e che usi la nota particolare impiegata da quest‘ultima per riprodurre la nota specifica della prima. In tal modo si trova che, se collochiamo insieme il passero e il canarino in due gabbie vicine, in modo che il richiamo di uno di loro susciti una serie di note nell‘altro, quando il passero emette una nota simile a quella del canarino il gesto vocale deve essere più o meno dello stesso tipo. In condizioni favorevoli, il pasero usa nel suo processo di vocalizzazione le stesse note impiegate dal canarino. Il passero influenza non solo il canarino, ma anche se stesso nell‘atto di ascoltarsi. La nota che esso usa, se è identica a quella del canarino, evoca nel passero la risposta che gli avrebbe potuto suscitare la stessa nota emessa dal canarino. Questi sono i tipi di situazione che sono stati sottolineati e sostenuti dai fautori della teoria dell‘‖imitazione‖. Se il passero usa un gesto vocale fonetico del canarino impiegando una nota comune appartenente al repertorio di entrambi, esso dovrebbe essere portato a realizzare in se stesso la medesima risposta che avrebbe potuto essere suscitata dalla nota emessa dal canarino. Ciò, quindi, incrementerebbe l‘esperienza del passero in riferimento a quella determinata risposta. Se il gesto vocale emesso dal passero è identico a quello da esso udito quando il canarino impiega la stessa nota, allora è evidente che la risposta del passero sarà in questo caso identica alla risposta verso la nota del canarino. Ciò conferisce particolare importanza al gesto vocale […]. Se il passero usa la nota del canarino, esso non fa altro che evocare in sé la risposta che avrebbe potuto evocare la nota stessa prodotta dal canarino. Perciò nella misura in cui il passero usa la stessa nota del canarino, ciò accentuerà le risposte vocali a questa nota in quanto esse si manifesteranno, non solo quando la nota sarà impiegata dal canarino, ma anche quando lo sarà dal passero. In tal caso si presuppone che lo stimolo particolare sia presente nella forma stessa, cioè che lo stimolo vocale evocante la nota particolare appresa sia presente nel repertorio del passero e in quello del canarino. Se si ammette questo fatto, le

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note particolari che corrispondono a questo stimolo si presenteranno, per così dire, come sottolineate e diventeranno abituali. Noi supponiamo che una nota ne evochi un‘altra, che uno stimolo susciti una risposta. Se la nota che evoca la risposta particolare è usata non solo dal canarino ma anche dal passero, allora tutte le volte che il passero ode il canarino esso impiega quella nota particolare; e se esso la possiede anche nel suo repertorio si verifica una doppia tendenza a manifestare questa particolare risposta, che viene quindi più frequentemente usata diventando con sempre maggior particolarità un elemento del canto del passero rispetto agli altri uccelli. Queste sono le situazioni in cui il passero assume il ruolo del canarino nella misura in cui si presentino certe note a cui esso tende a reagire negli stessi termini del canarino […]. È necessario supporre una tendenza simile nelle due forme se si vuole accettare coerentemente la teoria dell‘imitazione».137

Ora, questa teoria ha bisogno di alcuni presupposti: innanzitutto, che il passero abbia impulsi sociali che si manifestano attraverso gesti vocali e che possono essere stimolati tanto dal canto del canarino quanto da quello dello stesso passero; in secondo luogo, è necessario che i due animali sappiano riprodurre già inizialmente delle note identiche. Dati questi presupposti, Mead spiega come le note in comune vengono selezionate da un processo che le rende sempre più abituali. Ed è qui che si manifesta un problema: «Mead inizialmente presenta questa spiegazione come se fosse adeguata già così. Ma non è questo il caso. Perché le note che dovrebbero diventare abituali […] sono la risposta all‘elemento fonetico comune, non l‘elemento stesso. E perché la risposta del passero a questo elemento fonetico condiviso dovrebbe somigliare al gesto vocale del canarino?»138.

Cook sottolinea come l‘ipotesi portata da Mead abbia bisogno di un terzo presupposto per essere tenuta in piedi: che almeno una buona parte degli elementi fonetici condivisi dal passero e dal canarino comportino lo stesso tipo di risposte vocali da parte di entrambi gli animali. Un‘ipotesi così forzata, sostiene Cook, diventa poco credibile; tuttavia, è possibile cercare un‘altra soluzione, nello specifico tra le pagine del saggio ―The Social Self‖ (1913).

«Bisogna anche notare che questa risposta alla condotta sociale del sé può essere nella forma di un altro – presentiamo le sue argomentazioni nella nostra immaginazione, e lo facciamo con il suo tono, i suoi gesti e forse anche con la sua espressione facciale. In

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G. H. Mead, Mente…, pp. 106-108.

138 «Mead initially presents this explanatory hypotesis as if it were adequate as it stands. But this is not the case. For the notes that are supposed to become habitual […] are the response to the shared phonetic element, not that element itself. And why should the sparrow‘s response to this shared phonetic element resemble the vocal gestures of the canary?» in G. A. Cook, The Making…, p. 86.

questo modo noi interpretiamo i ruoli di tutto il nostro gruppo; indubbiamente, è solo perché facciamo ciò che essi diventano parte del nostro ambiente sociale – essere consapevoli come sé di un altro sé significa che abbiamo interpreato il suo ruolo o quello di qualcuno che identifichiamo con il suo tipo. La risposta interiore alla nostra reazione agli altri è perciò varia come il nostro ambiente sociale. Non che noi assumiamo i ruoli degli altri verso di noi perché siamo soggetti ad un qualche istinto imitativo, ma perché nel rispondere a noi stessi noi stiamo prendendo il ruolo di un sé differente da quello che sta agendo, ed in questa reazione fluiscono i ricordi delle risposte che abbiamo ricevuto, i ricordi di quelle risposte degli altri ad azioni simili»139. Possiamo notare che anche in questa occasione Mead rigetta l‘ipotesi di un istinto imitativo presente nell‘uomo. Bisogna comunque ammettere un istinto di base, ma in questo caso potremmo parlare di un istinto sociale che spinge l‘individuo a reagire alle sue azioni attraverso il meccanismo del role-taking. Mead non torna sull‘argomento e non elabora nel dettaglio la natura di questo istinto, che pure implicitamente deve ammettere. Cook definisce questa teoria ―imitazione indiretta‖. Noi ci sentiamo di condividere questa definizione. Si tratta senza dubbio di imitazione: dopotutto, l‘individuo sta replicando un comportamento con cui è entrato in contatto. Si tratta di un‘ipotesi molto diversa rispetto a quella proposta in ―Mente, Sé e Società‖, dove Mead aveva introdotto, nell‘esempio del canarino e del passero che abbiamo appena analizzato, un processo di selezione. Nonostante ciò, rimane un‘imitazione indiretta; perché l‘individuo non sta imitando direttamente un comportamento che ha visto, ma imita l‘atteggiamento dell‘altro in risposta alle sue azioni. Questa alternativa non ha bisogno dei presupposti di quella presentata in ―Mente, Sé e Società‖. Per questo risulta più credibile e condivisibile. Il problema, come sottolineato anche da Cook, sta nel fatto che Mead ha cercato a tutti i costi di allontanarsi da una teoria che prevedesse un istinto imitativo; nel farlo, però, è arrivato a rigettare quasi per intero il concetto di imitazione.

139 «It is also to be noted that this response to the social conduct of the self may be in the role of another -- we present his arguments in imagination and do it with his intonations and gestures and event perhaps with his facial expression. In this way we play the roles of all our group; indeed, it is only in so far as we do this that they become part of our social environment -- to be aware of another self as a self implies that we have played his role or that of another with whose type we identify him for purposes of intercourse. The inner response to our reaction to others is therefore as varied as is our social environment. Not that we assume the roles of others toward ourselves because we are subject to a mere imitative instinct, but because in responding to ourselves we are in the nature of the case taking the attitude of another than the self that is directly acting, and into this reaction there naturally flows the memory images of the responses of those about us, the memory images of those responses of others which were in answer to like actions» in G. H. Mead, The Social Self, Journal of Phylosophy, Psychology and Scientific Methods 10 (1913), p. 377.

In realtà, il concetto di imitazione che abbiamo preso adesso in esame, che non è un istinto imitativo, ben si sposa con il resto del lavoro di Mead e, anzi, rende più chiari alcuni passaggi della sua teoria.