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Istintivo imitativo, simulazione e role-taking

3 Mead, tra limiti e modernità

3.4 Accedere alla mente dell‘altro

3.4.2 Istintivo imitativo, simulazione e role-taking

Abbiamo visto come Mead si sia schierato contro l‘idea che possa esistere un istinto imitativo negli esseri umani; questo perché, secondo Mead, l‘imitazione non può precedere la formazione di un sé, né tantomeno esserne la base. Abbiamo visto anche che questo crea dei problemi interni alla stessa teoria di Mead, perché egli sembra avere delle difficoltà nel proporre un‘alternativa concretamente valida. Adesso, però, abbiamo un nuovo fattore che ci porta a riflettere nuovamente sul problema dell‘imitazione. Attualizzando la teoria di Mead, infatti, l‘abbiamo messa in contrapposizione con la simulation theory; abbiamo visto quali sono i parallelismi tra le due teorie ed anche le loro divergenze. E abbiamo visto che la teoria di Mead riesce a mantenere, ancora oggi, una sua originalità, costituendo così uno spunto di riflessione ancora valido. L‘introduzione dei neuroni specchio, però, comporta necessariamente una revisione di Mead? Dopotutto, i neuroni specchio sembrano suggerire che l‘imitazione è, alla fine dei conti, qualcosa di istintivo, che non necessita della formazione del sé proposta da Mead. Dovremmo quindi ammettere che Mead si sbagliava sul conto dell‘imitazione e che le cose potrebbero stare diversamente. Ma è proprio di imitazione che stiamo parlando?

Roman Madzia, analizzando il problema, sostiene che «nonostante autori come Rizzolatti e Sinigaglia sostengano che il sistema di neuroni specchio sia una condizione necessaria per l‘imitazione, bisogna sottolineare che le capacità imitative (in opposizione alla semplice emulazione di scopi) sono, nella loro forma più genuina, ascrivibili soltanto agli esseri umani. D‘altro canto, sono stati osservati sistemi di neuroni specchio anche in gran parte dei primati ed in alcune altre specie, inclusi alcuni tipi di uccello, nessuno dei quali può essere detto indubbiamente dotato di abilità imitative […]. Anche se i neuroni specchio rappresentano, probabilmente, un importante elemento costitutivo del comportamento imitativo, essi probabilmente non ci raccontano l‘intera storia di come i processi imitativi […] abbiano origine»150

. Madzia

150 «Although authors like Rizzolatti and Sinigaglia claim that the mirror neuron system is a necessary condition for imitation, it should be stressed that imitative capacitites (as opposed to mere goal-

vuole sostenere, qui, che i neuroni specchio sembrano indubbiamente giocare un ruolo fondamentale nei processi imitativi, ma potrebbero non essere l‘unica condizione perché questo accada. Innanzitutto perché alcuni animali possiedono i neuroni specchio, ma non possiamo dire con certezza che possiedano abilità imitative. La questione riguardante gli animali è certamente dibattuta: la certezza con cui Mead sosteneva che gli ―animali inferiori‖ non hanno alcuna concezione di sé è ormai anacronistica, ma è un terreno su cui è ancora difficile muoversi151. Tuttavia, la chiave di volta sta nel fatto che: «Noi non acquisiamo il ―significato‖ dell‘atto (gesto) dell‘altro sulla base dell‘imitazione, ma grazie alla nostra motoria e non-riflessiva simulazione incarnata di quell‘atto stesso»152

. Per Madzia, dunque, il punto fondamentale è che c‘è una differenza tra imitazione e simulazione incarnata. E cita questo passaggio di Mead per chiarire ciò che intende: «la vista di un uomo che spinge una pietra viene registrata come un significato attraverso una tendenza in noi a spingere la pietra, ma c‘è molta differenza tra questo e l‘affermare che è prima attraverso l‘imitazione di lui o di qualcun altro che ha spinto una pietra che abbiamo ottenuto l‘idea-motore dello spingere la pietra»153. Dunque, l‘argomentazione di Madzia è, in primo luogo, che i neuroni specchio non sono l‘unica condizione perché l‘imitazione sia possibile, dato che non tutti gli animali che hanno neuroni specchio sono capaci di atti imitativi; ciò significa che l‘imitazione non è istintiva (altrimenti tutti i possessori di neuroni specchio ne sarebbero capaci), dunque non c‘è una contraddizione con la proposta di Mead. Inoltre, anche per quanto riguarda l‘effettivo funzionamento dei neuroni specchio, Madzia mette giustamente in luce la distanza che c‘è tra il funzionamento dei neuroni specchio, attraverso la simulazione incarnata introdotta da Gallese, ed il concetto di istinto imitativo che Mead ha in mente come bersaglio delle sue critiche.

emulation) are, in its genuine form, ascribable only to human beings. On the other hand, mirror neuron systems have been directly observed also in most of the primates and some other species including particular kind of birds, none of which can uncontroversially be ascribed with imitation skills […]. Although mirror neurons very likely represent an important constitutive element of imitative behavior, they most probably do not tell the whole story of how imitative processes […] actually originate», in R. Madzia, Mead and self-embodiment: imitation, simulation and the problem of taking the attitude of the

other, in Österreichische Zeitschrift für Soziologie, vol. 38, Novembre 2013, p. 207.

151 Vedi, ad esempio, M. Allen e B. L. Schwartz, Mirror Self-Recognition in a Gorilla (gorilla gorilla), in Electronic Journal of Integrative Biosciences, vol. 5 n° 1, Dicembre 2008, pp. 19-24.

152 «We do not acquire the ―meaning‖ of the other‘s act (gesture) on the basis of imitation, but rather, due to our own, essentially motor and non-reflective, embodied simulation of that act, itself» in R. Madzia,

Mead and self-embodiment…, p. 208.

153 «The sight of a man pushing a stone registers itself as a meaning through a tendency in ourselves to push the stone, buti t is a far call from this to the statement that it is first through imitation of him or someone else pushing stones that we have gained the motor-idea of stone-pushing» in G. H. Mead, Social

C‘è però un altro problema che potrebbe costringere a rivedere la teoria di Mead; riguarda l‘imitazione dei bambini nei confronti degli adulti. Il fatto che i bambini tendano a replicare certi comportamenti visti negli adulti era evidente anche per Mead. Come abbiamo visto, però, la spiegazione di Mead non utilizzava l‘imitazione. Kelvin Jay Booth154, confrontando Mead con alcune delle principali teorie sullo sviluppo del bambino, nota che, effettivamente, ci sono degli studi che negano la versione di Mead. Andrew Meltzoff, in particolare, sostiene che: «quando i bambini vedono altri agire in modo simile a come loro hanno agito in passato, essi proiettano sugli altri lo stato mentale che regolarmente si presenta con quel comportamento»155. Il problema, come sottolineato da Booth, sta in due fattori: dal punto di vista della teoria di Mead, questa proiezione richiede la capacità di role-taking, e non può esserne la base. In secondo luogo, Meltzoff va a sostenere che l‘imitazione è la base per capire le altre menti, ma la sua teoria del ―come me‖ sembra essere basata proprio sull‘abilità che Meltzoff intende spiegare. Booth trova una migliore interpretazione dell‘imitazione infantile in Marcel Kinsbourne. Kinsbourne sposa la definizione di sincronia interazionale, e dice che «dopotutto, l‘imitazione non cattura necessariamente tutto quello che l‘altro sta facendo. Uno imita selettivamente qualcosa di ciò che l‘altra persona sta facendo, e la cosa più basica da imitare è il ritmo di fondo. Dunque, la sincronia interazionale è imitazione del ritmo. Gli esseri umani sono innatamente predisposti ad adottare ritmi che si accordano con quelli degli altri» 156

. Siamo nuovamente di fronte ad un meccanismo che può apparire simile all‘imitazione, ma che in realtà differisce da essa. E come sottolinea Booth: «se vediamo la sincronia come una generale apertura che viene plasmata e condizionata da ciò che circonda il bambino e che è diretta verso certe fonti di eccitazione, evitiamo l‘idea di un istinto fisso di imitazione che preoccupava Mead»157

. Come abbiamo già sottolineato, infatti, Mead non era preoccupato tanto da un processo

154 K. J. Booth, Imitation and Taking the Attitude of the Other, in The Timeliness of Mead, pp. 231-251. 155

«When infants see others acting similarly tohow they have acted in the past, they project onto others the mental state that regularly goes with that behavior», in A. Meltzoff, Imitation and Other Minds: The

‘Like Me’ Hypothesis, in Perspectives on Imitation Vol. 1: Mechanisms of Imitation and Imitation in Animals, MIT Press, Cambridge 2005, p. 57.

156 «After all, imitation does not necessarily capture everything the other person is doing. One selectively imitates something about what the other person is doing, and the most basic attribute that can be imitated is the underlying rhythm. So interactional synchrony is imitation of rhythm. Humans are innately predisposed to adopt rhythms that accord with those of others», in M. Kinsbourne, Imitation as

Entrainment: Brain Mechanism and Social Consequences, in Perspectives on imitation vol. 2: Imitation, Humand Development, and Culture, MIT Press, Cambridge 2005, p. 168.

157 «If we see synchrony as a general openness that is shaped and conditioned by the child‘s surroundings and that is directed toward certian sources of arousal, we avoid the idea of a fixed imitation instinct that concerned Mead» in K. J. Booth, Imitation…, p. 242.

imitativo: ciò che voleva evitare era la presenza di un istinto imitativo, che Mead riteneva assurdo porre come basse delle capacità comunicative umane. In questo caso ci sarebbe una tendenza a sintonizzare i propri movimenti, i propri comportamenti su quelli dell‘ambiente circostante; Kinsbourne parla sì di imitazione, ma l‘adozione di un ritmo condiviso è qualcosa di diverso rispetto a quanto aveva in mente Mead parlando di imitazione. Quale sarebbe, però, la base della sincronia interazionale? Booth ipotizza che «un indizio può essere trovato nel nostro gusto per la ripetizione. Ci piacciono le nostre routine, ci piace allenare abilità, ci piacciono ritmi e e rituali. Certamente, ogni animale ripete ciò che gli piace […]. Ma la ripetizione umana avviene spesso solo per il gusto della ripetizione»158. Dopotutto, recenti ricerche in neuroscienze159 hanno trovato delle possibili spiegazioni a livello neuronale per il piacere che traiamo dalla ripetizione di certi atti. Booth delinea così uno schema che va ad approfondire la teoria proposta da Mead: la sincronia interazionale sarebbe ciò che permette ai bambini di assumere il ruolo degli altri; e soltanto attraverso questo passaggio è possibile l‘imitazione vera e propria, quella che Tomasello chiama true imitation dicendo che «l‘apprendimento imitativo, cioè la mia versione dell‘elusiva ―vera‖ imitazione, richiede che chi apprende percepisca e capisca non solo i movimenti corporei che l‘altro individuo ha compiuto (mimare) e non solo i cambiamenti nell‘ambiente che il comportamento di quell‘individuo ha portato (apprendimento emulativo). Chi apprende deve anche capire qualcosa delle relazioni ―intenzionali‖ tra le due cose, cioè come il comportamento è volto verso quel fine. Questo allora determina ciò che vuole riprodurre del comportamento dell‘altro»160

. Nel suo saggio, anche Tomasello si mette dalla parte di chi sostiene che questo tipo di imitazione è un‘abilità esclusivamente umana. Al di là di questo, però, ciò che ci interessa è che la proposta di Booth riesce, in qualche modo, a risolvere la questione dell‘imitazione, attualizzando la teoria di Mead. Perché, in questo caso, non staremmo parlando di un istinto imitativo, ma di una tendenza alla sincronia

158 «A clue can be found in our enjoyment of repetition. We like our routines, we like to practice skills, we like rhytms and rituals. Of course any animal repeats what it enjoys […]. But human repetition is often just for the sake of repetition itself», ivi.

159 Vedi, tra gli altri, P. Churchland, Touching the Nerve: The Self as Brain, W. W. Norton & Company, New York 2013, tr. it. Gianbruno Guerriero, L’Io come Cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014. 160 «Imitative learning, my version of the everelusive "true" imitation, requires that the learner perceive and understand not just the bodily movements that another individual has performed (mimicking), and not just the changes in the environment that that individual's behavior has resulted in (emulation learning). The learner must also understand something of the "intentional" relations between these, that is, how the behavior is designed to bring about the goal. This then determines precisely what of the other's behavior it seeks to reproduce» in M. Tomasello, Do Apes Ape?, in Social learning in animals: The roots of culture, Academic Press, San Diego 1996, p. 324.

dei movimenti, dei gesti che rende capaci i bambini di assumere il ruolo dell‘altro. A questo punto, la true imitation che nasce in seguito non è un istinto imitativo, ma qualcosa di diverso e più complesso. Chiaramente, l‘ipotesi di Booth si poggia su due assunti: da una parte, quello della sincronia interazionale rilevata da Kinsbourne, che però, come abbiamo visto, non è certamente l‘unica teoria che tenta di spiegare il comportamento dei bambini. In secondo luogo, è necessario, perché la teoria di Booth sia corretta, che gli animali non siano effettivamente in grado di imitazione o di role- taking. Capire di cosa sono capaci gli animali, in special modo i primati, è un dibattito molto attuale, in continuo movimento. Tuttavia, anche se le ricerche dovessero effettivamente dimostrare che Mead aveva torto nel concepire un forte salto qualitativo tra animali inferiori e uomo, la sua teoria sullo sviluppo del sé può comunque essere un valido spunto di ricerca. Dopotutto, abbiamo appena visto come, nonostante siano passati quasi cent‘anni dalla morte di Mead, la sua teoria pone quesiti e risposte estremamente attuali, che non hanno ancora perso la loro originalità e dirompenza.