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4 L’evoluzione del sé attraverso Mead

4.3 Un mondo fatto di contesti

4.3.2 Cornici condivise

Mead e Bateson sono uniti anche da un altro filo conduttore, quello che parte da Charles Darwin. La visione integrata di individuo ed ambiente è comune ad entrambi, soprattutto nella misura in cui ogni individuo, ogni essere vivente porta con sé un suo mondo, una sua interpretazione, una sua visione, una sua declinazione di quel mondo esterno coabitato dalle altre creature. Come sottolinea Sergio Manghi, nel suo saggio ―La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson‖, «più in generale, le nostre immagini del mondo non sono mai già date. Scaturiscono dal processo conoscitivo. Da interazioni dinamiche, da accoppiamenti generativi tra filtri creativi e vincoli esterni, che mettono al mondo un ―qualcosa‖ che prima non c‘era: le nostre immagini, appunto»213.

Si tratta di un‘idea che, come abbiamo visto, accomuna i diversi pensatori che abbiamo incontrato nel corso di questo elaborato, oltre a Mead. Abbiamo visto che ogni organismo vivente porta con sé una differente visione del mondo, ma gli esseri umani hanno certamente qualcosa di diverso nel modo in cui vivono il rapporto con l‘ambiente circostante. Manghi scrive che «se abbiamo potuto sopravvivere a tanta vertiginosa indeterminatezza, è perché nel corso del millenario processo di ominazione ha finito per stabilizzarsi un dispositivo ordinatore del tutto peculiare, attraverso il quale la nostra instabile attività conoscitiva può comporsi in quadri relativamente stabili e coerenti: la cosiddetta sfera simbolica, custode del senso che ci è dato cogliere attraverso i nostri filtri creativi. Ovvero, quel che nella tradizione delle scienze sociali si chiama

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―cultura‖»214

. L‘aspetto culturale è ciò che, almeno attualmente, davvero differenzia il mondo degli animali dal mondo dell‘uomo; sicuramente, si tratta di un fattore divisivo che crea meno dubbi rispetto agli altri che abbiamo incontrato nel corso dell‘elaborato. Grazie all‘utilizzo di simboli, gli uomini sono in grado di avere un‘attività conoscitiva stabile e coerente, che si differenzia da quella tipica degli animali. L‘aspetto che più ci interessa, però, e che si ricollega con il tema dei contesti e delle cornici, è proprio la creazione di immagini.

«D‘altra parte, se ammettiamo, con Bateson, che le creature della nostra specie siano creatrici d‘immagini, non dovrebbe stupirci più di tanto che per una cosa siffatta, per la sua stessa sopravvivenza, cornici e contorni siano d‘importanza vitale: potrebbero mai darsi immagini senza cornici o contorni? E su questo ―qualcosa‖, infatti, Bateson cercò di riflettere in diverse occasioni. La domanda ―Perché le cose hanno contorni?‖ dà il titolo, non a caso, a una delle sette conversazioni tra un padre e una figlia, dette metaloghi, che costituiscono la prima sezione di ―Verso un’ecologia della mente‖»215. Il dialogo tra padre e figlia termina con il riconoscimento del fatto che la loro stessa conversazione ha un contorno, soltanto che, non essendo ancora finita, essi non sono in gradi di vederlo. E il padre sostiene che «non si può vederlo mai, quando ci si è in mezzo. Perché se tu potessi vederlo, saresti prevedibile – come una macchina. E io sarei prevedibile, e noi due insieme saremmo prevedibili…»216

. Quello che il padre sembra suggerire è che, pur percependo di trovarsi all‘interno di un contesto, i suoi contorni non sono ancora visibili, perché la loro conversazione è ancora in corso; può prendere qualsiasi piega, è imprevedibile e, pertanto, è anche impossibile, per loro, definire questo contesto fino a che vi si trovano dentro. Qui abbiamo il caso di un contesto ampio e poco definito, quello di una conversazione, che non ha le impostazioni o le regole più definite, ad esempio, di un gioco, che delineano già dei limiti anche durante l‘esecuzione del gioco stesso. In ogni caso, come sottolineato da Manghi, per delle creature che creano la loro interpretazione del mondo attraverso immagini, i contesti e le cornici sono fondamentali. Sottolinea ancora: «la cornice svolge per noi un delicato compito antivertigine. In assenza di cornici verrebbe meno del tutto quell‘ordinario miracolo quotidiano che è la percezione immediata di immagini più o meno stabili e distinte: questo, quello, dentro, fuori, io, tu, l‘altro, noi, loro, qui-e-ora, là-e-allora, il

214 S. manghi, La conoscenza..., pp. 36-37. 215 S. manghi, La conoscenza..., p. 40. 216

rilevante, l‘irrilevante, i giochi, le serietà, l‘amico, il nemico, la violenza, la giusitzia, il maschile, il femminile, il brutto, il bello, l‘uomo, Dio e via distinguendo. Ma non è tutto qui. La cornice non si limita a proteggerci contro la vertigine. Ci consente anche, al contempo, di fare esperienza della vertigine […]. L‘operazione batesoniana di messa in rilievo delle cornici fa emergere il loro duplice effetto: separazione e unione – et et. I contorni che tendiamo a tracciare istituiscono simultaneamente mutue esclusioni e mutue inclusioni. Linee di frattura che sono anche tratti d‘unione. Differenze che sono relazioni. Contesti di significato che sono tra loro distinti quanto connessi»217. Le cornici giocano un ruolo fondamentale nel nostro orientamento all‘interno del mondo: ci permettono di muoverci con relativa sicurezza, ci permettono di distinguere i differenti contesti all‘interno dei quali stiamo entrando, di riconoscerli, di capirne le regole, le differenze e gli elementi di continuità con ciò che si trova all‘esterno. Non sarebbe possibile parlare di ―io‖ e di ―me‖, dei nostri molteplici sé sociali, se non fossimo in grado di muoverci attraverso questi differenti contesti. Il tema del sé sociale è connesso a stretto giro con quello delle cornici; senza di esse, probabilmente avremmo a che fare solamente con un ―io‖ fatto di soli impulsi e sensazioni, e non saremmo in grado di socializzare con altri individui. Quale che sia la ragione biologica per cui siamo in grado di comunicare e di intendere gli altri, il fatto che le cornici siano estremamente importanti nei rapporti interpersonali ci appare come un punto fermo ed incontrovertibile.

A questo proposito, Manghi sottolinea che «il processo di creazione delle nostre immagini, infatti, nella riflessione batesoniana, non può in alcun caso ricondurre a una mente solitaria e solipsista. È sempre un processo di interazione creaturale. Detto altrimenti: senza comunicazione non c‘è pensiero»218

. Anche in questo caso, siamo di fronte ad un forte punto di contatto con il pensiero di Mead; Bateson, in ―Mente e Natura‖ sostiene il primato della relazione, un elemento che fa costitutivamente parte del pensiero di Mead, che lo ereditava, a sua volta, da pensatori come Darwin, James, Dewey e Baldwin. L‘origine di queste strutture di pensiero, delle cornici che utilizziamo per muoverci nel mondo è di natura sociale; non rimandano, come dice Manghi, ad una mente solitaria e solipsistica. Anche per Bateson, il dualismo e il solipsismo di Cartesio sono un rischio da evitare, proprio come lo erano stati per Mead prima di lui.

217 S. Manghi, La conoscenza…, p. 43. 218

Manghi sottolinea ancora che per Bateson «non si tratta mai di vincoli deterministici unilaterali, di istruzioni che procedono linearmente dal contesto verso i singoli ―danzatori‖ senza lasciare loro scampo, per così dire. Ciò in quanto il significato di quegli stessi vincoli di contesto, come abbiamo detto, è a sua volta costruito di continuo dai comunicanti stessi. E ricostruito, come pure abbiamo detto, attraverso processi comunicativi che non sono riducibili all‘immediatezza comportamentale, ma che ricorrono anche, insieme, alla mediazione simbolica e alla elaborazione di significati da parte dei singoli comunicanti»219. Anche in questo caso, il gioco può essere un esempio calzante, soprattutto quello dei bambini: la capacità di modificare continuamente le regole del gioco è forse ciò che differenzia maggiormente il gioco dei bambini da quello degli adulti. Siamo dunque immersi in un mondo fatto di contesti, contesti che andiamo costruendo e che non sono dati con la pretesa di essere definiti una volta per tutte. Bateson, come Mead, antepone la relazionalità all‘individualità. Questo, però, non ha, né in Bateson, né in Mead conseguenze di tipo normativo: «l‘idea che la relazione viene prima, toccando una nostra radicata abitudine di ordine cognitivo, un nostro modo usuale di immaginare com‘è fatto il mondo in cui viviamo, non va confusa con una dottrina morale o politica dalla quale dedurre come questo mondo dovrebbe essere. La critica relazionale dell‘individualismo sotteso alle nostre mappe descrittive non ambisce di conseguenza ad ammonire che il nostro modo di vivere non dovrebbe essere ―individualistico‖ e dovrebbe diventare invece ―relazionale‖. Ambisce piuttosto ad ammonire che realmente ―individualistico‖ il nostro di vivere non è, né potrebbe diventarlo mai. E che, invece, relazionale lo è, sempre. Costutivamente. Nel bene e nel male. Inseparabilmente»220. Piuttosto che essere un insegnamento normativo su come dovremmo vivere e su come dovremmo relazionarci agli altri, dunque, capire che la relazionalità precede l‘individualità si tratta semplicemente di capire la nostra natura, una natura fatta di cornici condivise. Potrebbe sorgere spontanea una domanda: come ci potremmo muovere senza di queste cornici? Proprio perché noi ci muoviamo nel mondo attraverso cornici, Manghi afferma che «i significati attribuiti a quel che vediamo, facciamo e diciamo sono dunque sempre contestuali. Qualora, per ipotesi, dovessero crollare tutte le cornici contestuali che contornano, a buccia di cipolla, la nostra esperienza, non ci troveremmo fra le mani significati finalmente liberi e incondizionati,

219 S. Manghi, La conoscenza…, p. 68. 220

ma il nulla più definitivo e irrevocabile»221. Proprio perché i significati non stanno nelle cose, ma negli individui che li creano, e proprio perché questi significati acquisiscono senso solamente all‘interno di un contesto, senza le cornici che ci circondano saremmo dunque ciechi, incapaci di muoverci in un mondo privo di significato.

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5 I mondi del sé

Nel capitolo precedente abbiamo cercato di sottolineare alcuni aspetti fondamentali per la formazione del sé, mettendo in parallelo il lavoro svolto da Mead con quello di pensatori a lui successivi. Il tema della cornice si è rivelato estremamente importante per approfondire alcuni dei concetti introdotti da Mead e per espanderli poi verso nuove direzioni. Il sé sociale di Mead, lo abbiamo visto, è strettamente connesso a questo tema. Per espandere ulteriormente questi concetti, ci è apparso fondamentale introdurre il contributo di Erving Goffman; non solo perché Goffman presenta influenze dirette tanto da parte di Mead quanto da parte di altri autori che abbiamo già affrontato (su tutti, ovviamente, il suo debito più grande è nei confronti di Bateson, ma Goffman ha ben presente anche il lavoro di Cooley), ma anche perché il suo lavoro ci permette di approfondire il modo in cui il sé si interfaccia alla sua realtà quotidiana. Una realtà che, lo abbiamo visto, si compone di diverse cornici di significato, diversi mondi che comunicano e al contempo differiscono significativamente.