• Non ci sono risultati.

Cornici di significato

4 L’evoluzione del sé attraverso Mead

4.2 Cornici di significato

Come dicevamo, l‘individuo si muove attraverso molteplici cornici di significato; ciascuna di esse ha regole diverse, che cambiano il modo in cui l‘individuo vi partecipa, il ―me‖ che viene chiamato, di volta in volta, a giocare una parte attiva. In questo senso,

198 L. Pirandello, Uno, Nessuno e Centomila, Einaudi, Torino 1994, p. 56. 199

dunque, la vita dell‘individuo può essere divisa in contesti: contesti che si intrecciano, che divergono, che si sviluppano in parallelo. Ogni contesto è contemporaneamente autonomo e legato agli altri: autonomo, perché dotato delle sue regole; collegato, perché permangono sempre dei collegamenti con l‘esterno, più o meno forti. Una delle metafore che rende meglio l‘idea di ciò che un contesto significa, è quella della cornice200: la cornice intesa, letteralmente, come la cornice di un quadro, che separa il mondo reale dal mondo fantastico dipinto al suo interno. Si tratta di una metafora che rende con squisita immediatezza l‘idea di un contesto di significato, ma al contempo la cesura della cornice può essere troppo forte. Ortega y Gasset scrive: «quando guardo questa grigia parete domestica, la mia attitudine è, per forza, di un utilitarismo vitale. Quando guardo il quadro, entro in un recinto immaginario e adotto un‘attitudine di pura contemplazione. Sono, dunque, parete e quadro, due mondi antagonistici e senza comunicazione»201.

Tra il mondo all‘interno del dipinto e il mondo all‘esterno, dunque, sembra esserci una cesura netta, un salto qualitativo che non permette alcuna comunicazione.

In questo distacco, però, tra due ―mondi antagonistici‖, come li chiama Ortega y Gasset, entra in gioco un terzo elemento: «per isolare una cosa dall‘altra ce ne vuole una terza, che non sia né come l‘una, né come l‘altra: un oggetto neutro. La cornice non è la parete, un tratto meramente utile del mio ambito, ma non è ancora la superficie incantata del quadro. Frontiera delle due regioni, serve per neutralizzare una breve striscia di muro e serve da trampolino che lancia la nostra attenzione sulla dimensione leggendaria dell‘isola estetica. Dunque, la cornice ha qualcosa della finestra, così come la finestra ha molto della cornice. Le tele dipinte sono buchi di idealità praticati nella muta realtà delle pareti: brecce di inverosimiglianza a cui ci affacciamo attraverso la finestra benefica della cornice. D‘altra parte, un angolo di città o di paesaggio, visto attraverso il riquadro della finestra, sembra distaccarsi dalla realtà e acquistare una straordinaria palpitazione di ideale»202.

La cornice, dunque, gioca un ruolo fondamentale nella separazione di questi due mondi: senza di lei, non sarebbe possibile quella cesura normalmente presente tra opera d‘arte e mondo reale. Come dicevamo, però, l‘uomo ha a che fare con diverse cornici nel corso

200

Una metafora utilizzata anche da Gregory Bateson, sebbene con una certa riluttanza, in quanto ritenuta ―troppo concreta‖.

201 J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla cornice, in M. Mazzocut-Mis, I percorsi delle forme: i testi e le

teorie, Mondadori, Milano 1997, p. 223.

202 Ivi.

della sua esistenza. Soltanto nella sua vita sociale, l‘individuo ne incontra già molteplici: la scuola, l‘università, il posto di lavoro, lo sport. Ognuno di questi concetti si lega strettamente ad una cornice di significato che lo separa dal mondo reale. Un altro ambito in cui è possibile notare la presenza di una cornice non solo in chiave metaforica ma anche lettarale è il teatro, come anche il cinema. Anche il teatro, di per sé, offre un‘interessante chiave di lettura per la vita ―reale‖, che si muove al di fuori del palcoscenico: abbiamo visto Jung riprendere il concetto di Persona dalla maschera teatrale romana, e vedremo ancora l‘importante ruolo giocato dal teatro negli studi di Erving Goffman. Anche Ortega y Gasset nota che «il sipario è la cornice della scena. Dilata le sue ampie fauci come una parentesi fatta per contenere una cosa diversa da quella che c‘è nella sala. Per questo, quanto più è mediocre il suo ornamento, tanto meglio è. Con un enorme e assurdo gesto ci avverte che nell‘―hinterland‖ immaginario della scena, aperto dietro di lui, comincia un altro mondo: l‘irreale, la fantasmagoria. Non ammettiamo che il sipario spalanchi davanti a noi il suo grande sbadiglio per parlarci di affari, per ripetere quello che ha in testa e nel cuore il pubblico: ci sembrerà soltanto accettabile, se manda verso di noi soffi di sogno, vapori di leggenda»203. La scena teatrale, dunque, grazie alla cornice del palcoscenico, si pone come un‘unità di significato, come un contesto di senso differente rispetto a ciò che si trova al suo esterno. C‘è una cesura, dunque, ma al contempo c‘è ovviamente una connessione, perché il palcoscenico fa comunque parte del teatro in cui si trovano anche gli spettatori. La contraddittorietà di dover essere unità a sé stante e al contempo unità con il mondo circostante viene rileavata da Georg Simmel: «l‘opera d‘arte è nella situazione intrinsecamente contraddittoria di dover produrre con il suo ambiente una totalità unitaria, mentre è essa stessa già una totalità; per essa si ripete in questo modo la difficoltà universale della vita, che consiste nel fatto che anche gli elementi della totalità pretendono di essere di per sé totalità autonome»204 . Tuttavia, la cesura dell‘opera d‘arte rispetto al mondo è, per Simmel, completa rispetto a quello che accade, invece, per le cornici naturali: «essenza dell‘opera d‘arte è di essere, invece, una totalità per sé, che non ha bisogno di alcun rapporto con l‘esterno, ma riconduce ognuno dei fili della sua trama al proprio punto centrale. Essendo l‘opera d‘arte ciò che altrimenti possono essere soltanto il mondo come totalità o l‘anima: un‘unità di elementi particolari, essa si separa,

203 J. Ortega y Gasset, Meditazioni..., p. 224.

204 G. Simmel, La Cornice, in Il volto e il ritratto. Saggi sull’arte, tr. it. L. Perrucchi, Il Mulino, Bologna 1985, p. 108.

come un mondo per sé, da tutto l‘esterno. Analogamente, i suoi confini significano qualcosa di completamente diverso da ciò che si definisce confine di una cosa naturale. In quest‘ultima, i confini sono solo il luogo di una continua esosmosi ed endosmosi con l‘esterno, ma nell‘opera sono assoluta chiusura, che nello stesso atto si manifesta come indifferenza, ma anche come difesa nei confronti dell‘esterno, e come sintesi unificante nei confronti dell‘interno»205

.

Se la cornice rimanda dunque ad una cesura troppo netta, possiamo trovare una metafora forse più adatta in un altro saggio dello stesso Simmel, quando sostiene che «mentre il ponte, nella correlazione tra unione e separazione pone l‘accento sulla seconda e supera lo scarto dei suoi punti d‘appoggio rendendoli allo stesso tempo percepibili e misurabili, la porta presenta in modo più netto come separazione e congiunzione non siano altro che le due facce di una medesima azione. Il primo uomo che costruì una capanna, così come il primo che costruì una strada, mise in rilievo il potere umano nei confronti della natura, tagliando una parte dalla continuità infinita dello spazio e conferendole un‘unità particolare secondo un senso. Così un frammento di spazio veniva unificato in sé e separato dal resto del mondo. La porta, creando in un certo senso uno snodo tra lo spazio dell‘uomo e tutto quello che è al di fuori di esso, abolisce la separazione tra interno ed esterno»206. La porta rende meglio, nel senso inteso da Simmel, il fatto che, nei contesti di cui parliamo, c‘è uno scambio continuo tra elementi esterni ed interni, non c‘è una cesura netta. Rispetto alla finestra, che Ortega y Gasset avvicina alla cornice per certi versi, la porta riesce a rendere con più chiarezza l‘idea che il passaggio tra esterno ed interno non è unidirezionale, come sottolineato da Simmel:

«Qui riposa il significato più ricco e vitale della porta rispetto al ponte, che si rivela nel fatto che se è indifferente superare il ponte in una direzione o nell‘altra, la porta indica al contrario una completa differenza di intenzione a seconda che si voglia entrare o uscire. In questo essa si distacca completamente anche dal senso della finestra, che per un altro verso sembra esserle affine in relazione al legame tra lo spazio interno e il mondo esterno. Il sentimento teleologico, se applicato alla finestra, va quasi unicamente dall‘interno all‘esterno: serve a vedere fuori e non dentro»207. Il concetto di porta,

205

G. Simmel, Il volto..., p. 101.

206 G. Simmel, Brücke und Tür, in Der Tag. Moderne illustrierte zeitung, n° 683, Settembre 1909, pp. 1-3, tr. it. A. Borsari e C. Bronzino, Ponte e Porta, in Ponte e porta. Saggi di estetica, Cooperativa Libraia Universitaria Editrice Bologna, Bologna 2012, p. 3.

207

dunque, ci appare adeguato per indicare la funzione psicologica dei contesti e il passaggio che si attraversa per entrarvi: un passaggio sempre possibile, che garantisce la possibilità comunicativa tra esterno ed interno, ma che al contempo riesce a garantire l‘unità e la differenza di significato di ciò che si trova al di là di esso; che non ha una direzione specifica, ma che si muove indifferentemente in entrambe le direzioni, senza un privilegio.