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L'importanza della formazione professionale: il caso Cescot di Pistoia.

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in

Comunicazione d’Impresa e Politiche delle Risorse Umane

Tesi di Laurea

L’importanza della formazione professionale:

il caso Cescot di Pistoia.

Relatore

Candidato

Prof. Marco Giannini

Nicla Pierini

(2)

Ai miei genitori e a mio fratello,

con immenso amore.

“Gutta cavat lapidem”

“La goccia perfora la pietra”

(Seneca)

(3)

3

Sommario

Introduzione

6

Capitolo I - La formazione professionale nella società della conoscenza

8

1.1 La formazione 9

1.2 Il valore del lavoro 15

1.3 Prototipi di formazione umana 17

1.3.1 Una breve storia 17

1.4 La formazione professionale 21

1.5 La normativa italiana in materia di formazione professionale 25

1.6 Il panorama europeo 31

1.7 Un’analisi di contesto 35

1.8 Le competenze 38

1.9 Apprendimento formale, non formale ed informale 47

1.9.1 Come apprende l’adulto 52

1.10 L’evento formativo 54

1.10.1 Come coordinare l’evento formativo: il project manager 59

1.10.2 La funzione del tutor 62

1.11 Analisi della domanda ed erogazione della risposta 65

1.11.1 Analisi della domanda formativa 65

1.11.2 Confezionare il servizio formativo: il prodotto-progetto 67

1.11.3 Il campo d’intervento 70

1.12 Un’analisi economica 73

1.13 Investimenti italiani sul capitale umano 77

1.14 Il processo formativo e il sistema di gestione della qualità 84

1.15 Valutare la formazione 88

1.15.1 Valutare un programma formativo: i parametri 95

Capitolo II - Agenzia formativa Cescot

97

2.1 Formazione professionale e agenzie del territorio 98 2.2 Centro di Sviluppo Commercio Turismo e Terziario (Cescot) di Pistoia 102

2.2.1 Campo di azione 103

(4)

4 2.2.3 Interventi formativi per giovani in dispersione scolastica 105 2.3 Analisi della struttura organizzativa del Cescot 108

2.3.1 Il modello organico 110 2.3.2 Le dimensioni strutturali 111 2.3.3 Configurazione organizzativa 112 2.3.4 Stile di leadership 113 2.3.5 Comunicazione orizzontale 113 2.3.6 Strumenti di comunicazione 114 2.3.7 Gli stakeholder 115

2.4 “Filosofia” e clima aziendale 118

2.4.1 “Filosofia” aziendale 118

2.4.2 Clima aziendale 119

2.5 La coerenza esterna ed interna 121

2.5.1 La coerenza esterna 121

2.5.2 La coerenza interna 129

2.5.3 Modello ad High Commitment (se non fosse per i benefit) 132 2.6 Sistemi di apprendimento della figura professionale 134

2.6.1 Come è strutturata la lezione 137

Capitolo III - Cescot: rilevazione dei punti di forza ed indagine sulle

incongruenze

138

3.1 Una premessa utile 139

3.2 I fabbisogni formativi definiscono i corsi di formazione da erogare 140 3.2.1 Corsi di formazione su misura ai fabbisogni formativi per garantire la qualità

totale 140

3.2.2 Consulenza specifica 143

3.2.3 Le figure professionali più richieste dal mercato del lavoro 144

3.2.4 Dati occupazionali 146

3.3 Formazione su misura per organizzazioni con modello autocratico 148 3.4 Supportare l’utente nell’attività lavorativa: gli obiettivi condivisi di Cescot e

Confesercenti Pistoia 150

3.5 Cultura della comunicazione 151

(5)

5 3.7 Dall’abbandono scolastico alla qualifica professionale: re-impiegare le nuove

generazioni 157

3.7.1 Fare pratica degli errori 159

3.7.2 Prime opportunità lavorative: lo stage 161

3.8 Il capitale umano assicura il vantaggio competitivo del Cescot 163

3.8.1 La direttrice 164

3.8.2 Le coordinatrici 166

3.8.3 Le tutor 167

3.8.4 I docenti 169

3.9 Cambiamenti vantaggiosi 172

3.9.1 Ridurre gli straordinari per migliorare il benessere organizzativo 172

3.9.2 Snellire la burocrazia 175

3.9.3 Riprogettare lo spazio secondo le esigenze dei dipendenti 176 3.10 Attivare un sistema di welfare aziendale: i benefit 180

3.11 Valutazione dei rischi psico-sociali 182

Conclusione

184

Bibliografia

186

Sitografia

188

(6)

6

Introduzione

Le dinamiche mondiali stanno cambiando rapidamente e le condizioni di impiego attuali sono caratterizzate da flessibilità ed aleatorietà. La formazione permette alle organizzazioni di adattarsi ai cambiamenti repentini dell’ambiente.

L’educazione e la formazione rientrano tra i diritti umani sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana e dalla Carta dei Diritti dell’Unione Europea.

Le politiche formative nella società della conoscenza e della competitività, devono permettere al lavoratore di comprendere la logica dell’azione che compie e il ruolo che ricopre nel sistema, contestualizzando comportamenti operativi e decisionali e promuovendo l’occupabilità.

La diffusione del lavoro atipico, comporta uno spostamento di prospettiva: il lavoro non è più caratterizzato da percorsi lunghi di carriera, ma frammentato in una serie di contenuti lavorativi che richiedono interventi formativi mirati.

Lo sviluppo di un sistema coerente ed articolato di lifelong learning rappresenta un imperativo necessario per vincere le sfide della coesione economica e sociale: garantire le condizioni per accedere all’apprendimento permanente per tutti i cittadini, di qualsiasi fascia di età e condizione occupazionale.

Nel primo capitolo, viene introdotto il tema della formazione, definendo i significati ad esso collegati: l’apprendimento continuo, le competenze e il senso profondo del lavoro. Viene analizzato il contesto storico sociale e il ruolo della formazione professionale oggi. Si analizzano le fasi costitutive dell’evento formativo e gli attori interessati, soffermandosi sull’analisi della domanda formativa e sul successivo confezionamento del servizio. Vengono riportati alcuni dati statistici sugli investimenti italiani in formazione professionale. Ed infine si definiscono i parametri di valutazione di un programma formativo nel rispetto delle norme che regolano i sistemi di gestione della qualità.

Nel secondo capitolo si analizza la struttura organizzativa di una realtà toscana: l’agenzia formativa Cescot - Centro Sviluppo Commercio Turismo e Terziario di Pistoia attiva dal 1990 (PT) e la Scuola di Cucina di Montecatini (PT) ad essa collegata. Tale realtà è stata la sede del tirocinio curriculare da me svolto, nel periodo compreso tra il 26 giugno e il 26 luglio 2017. Di questa organizzazione se ne analizzano il contesto, gli attori, i campi di intervento e la struttura organizzativa nel suo complesso, soffermandosi sugli stili di leadership e di comunicazione. La “filosofia” e il clima

(7)

7 aziendale ne definiscono le strategie operative più profonde. L’analisi delle dimensioni strutturali non è sufficiente per comprendere a fondo come si è sviluppato il Cescot: per questo si sono esaminati i fattori contingenti e l’anatomia del sistema risorse umane. L’analisi della coerenza esterna ed interna del sistema, conduce al terzo capitolo, nel quale vengono rilevati per primi i punti di forza e successivamente indagate le incongruenze del Cescot. Tra i primi si indicano la progettazione di corsi di formazione su misura ai bisogni formativi, la cultura della comunicazione e la “filosofia” della responsabilità. Tra le seconde sarebbe opportuna una riduzione degli straordinari, la riprogettazione dello spazio e l’implementazione di un sistema di welfare aziendale. Infine si procede ad una valutazione dei rischi psico-sociali.

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8

Capitolo I

La formazione professionale nella società della

conoscenza

(9)

9

1.1 La Formazione

Il termine formazione sta ad indicare “il processo, il risultato, lo stato del prendere una qualche forma relativamente a parti o al tutto della personale condizione di uomo” (Orefice, 2009, p.77)1.

Una delle funzioni essenziali della formazione è lo sviluppo personale e l’inserimento nella società, passando per la condivisione dei valori comuni e la trasmissione di questi. È indubbio che in un’ottica pedagogica-sociale, la formazione, debba essere sempre più vista secondo due polarità sostanziali: sia come fattore per lo sviluppo socio economico e produttivo di una comunità, sia come bene in sé, condizione e mezzo di sviluppo. Ciò significa che il valore della formazione e dell’istruzione non si esaurisce con l’ampliamento delle potenzialità che possono produrre rispetto al lavoro, ma anche a quelle che riguardano il soggetto nella sua interezza, come la partecipazione civica, la sfera degli ambiti familiari e del tempo libero, il consumo culturale, il benessere, la capacità di esprimere pensieri senza condizionamenti, in definitiva lo sviluppo della persona.

La capacità che ha l’uomo di imparare, non solo per adattarsi all’ambiente ma per trasformarlo, per intervenire su di esso, indica che la sua educabilità si colloca ad un livello diverso rispetto all’addestramento degli animali. Ecco perché la formazione non può essere semplificata ad “un’azione attraverso la quale un soggetto creatore conferisce forma, stile o anima ad un corpo indefinito e disposto ad adeguarsi” (Freire, 2014, p.24-25)2.

Va puntualizzata la difficoltà nel definire i confini del termine formazione all’interno dell’evoluzione del concetto di educazione.

Se nella terminologia anglosassone, il termine education tende a togliere qualsiasi differenza tra educazione e formazione, nella pedagogia italiana, questi due termini si sviluppano secondo due linee non sempre convergenti.

Nella riflessione pedagogica tradizionale, l’educazione viene rappresentata come un processo volto alla realizzazione della persona, o meglio, un’esplicitazione di qualcosa che in potenza appartiene già al singolo (Sansoé, 2012, p.24)3.

1 Orefice, P. Pedagogia scientifica. Un approccio complesso al cambiamento formativo, 2009. 2 Freire, P. Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, 2014. 3 Sansoè, R. Non solo sui libri, 2012.

(10)

10 Il termine formazione invece, tende ad indicare quell’insieme di interventi esterni alla persona che producono l’esito formativo (Ibidem)4.

In questa ottica, l’idea di formazione rientrerebbe all’interno di quel processo formativo che si realizza nell’istruzione, secondo una evoluzione voluta dalla società con l’obiettivo di familiarizzare i nuovi membri alla sua cultura.

Accanto a queste due prospettive di lettura dei termini educazione e formazione, maturate entrambe in ambito pedagogico, si è andata affermando un’accezione del termine formazione, nata e sviluppatasi all’interno del mondo del lavoro.

Alle origini intesa come semplice addestramento, si è poi trasformata in un progetto formativo a tutto tondo che va ben oltre lo studio d’aula, e coinvolge la dimensione organizzativa e tecnologica in stretta relazione con l’aspetto lavorativo.

Si parla di formazione per il lavoro, formazione in servizio, formazione continua: la prima può essere professionale e culturale e prepara l’individuo ad un’attività lavorativa; la seconda si sviluppa in sede lavorativa; la terza accompagna la vita lavorativa e personale dell’adulto. Quest’ultima, strettamente legata all’educazione permanete e all’apprendimento lungo il corso della vita, non si esaurisce nelle problematiche del lavoro, ma comprende l’intero versante dell’educazione degli adulti. La formazione rimanda ad un insieme di abilità e di conoscenze molto più vasto alle quali può attingere il lavoratore. Considerando questo aspetto, si constata l’esistenza di una formazione generale del soggetto all’interno della quale collocare la formazione professionale. Tale formazione per quanto sia specializzata in settori particolari e quindi punti alla padronanza di determinate funzioni tecniche e di particolari ruoli professionali, è strettamente legata ad un modo complessivo di essere della persona che lavora: quindi migliore è la sua formazione generale e maggiori solo le probabilità che vi sia un migliore rendimento nel lavoro e una maggiore capacità di apprendimento di fronte al variare della situazione lavorativa. La formazione sul lavoro, intesa come atto educativo, avrebbe l’obiettivo di far sviluppare nella persona quelle procedure di acquisizione del sapere, che le consentono di accrescere l’autonomia, attraverso lo sviluppo delle capacità di apprendimento, di controllo e quindi di intervento sul proprio contesto di vita e di lavoro (Montedoro, 2001, p.27)5.

Parlando di una teoria generale della formazione risulta necessario tirare in causa conoscenze e competenze maturate al di fuori del sistema di istruzione, attraverso la

4 Ibidem.

(11)

11 personale esperienza, come le life skills. Dietro ad ogni manifestazione dell’essere, vi è comunque una formazione che si alimenta con il vissuto personale: il proprio percorso di studi, i propri interessi, attitudini, hobbies, storia familiare, e in generale della vita privata, così come le esperienze maturate nel lavoro e nella vita sociale. Ogni individuo è il risultato di una data formazione e quello che sa fare e che conosce, costituiscono il suo patrimonio di formazione.

Al termine formazione va riconosciuta una valenza che non si può e non si deve esaurire in quella di training, che nella radice porta il significato riduttivo di addestramento. La formazione prevede tempi più lunghi rispetto all’addestramento con il quale si conferisce al soggetto, conoscenze ed abilità tecniche utili per permettergli di svolgere con puntualità ed esattezza, compiti pratici.

La formazione ha una portata più ampia rispetto all’addestramento, in quanto ha lo scopo specifico di incrementare il bagaglio di conoscenze dei soggetti interessati, di condizionare i comportamenti degli stessi; essa interviene sul modo di essere che si realizza non solo nelle abilità lavorative ma anche nella reinterpretazione del proprio ruolo all’interno dell’organizzazione.

La formazione rappresenta un investimento immateriale; è un investimento nelle capacità intellettuali e professionali degli individui e per essere efficace è necessario che i soggetti assumano un comportamento attivo.

Poiché nella società odierna, il lavoro, cessa di essere un semplice posto per divenire un percorso, è necessario garantire il diritto alla formazione per l’intero arco della vita, per poter affrontare con successo le difficoltà che caratterizzano la vita lavorativa. Questo implica che sia possibile garantire alle persone una formazione di base, simile ad una sorta di sapere minimo, che garantisca, nel momento in cui il soggetto ne avrà utilità, di reinserirsi in percorsi formativi.

La necessità formativa non appare più come l’appropriazione di determinate tecniche ma si è trasformata in un procedimento attraverso il quale gli individui sono capaci di sottrarsi agli imperativi della tecnica.

La formazione diventa un vero è proprio cammino esistenziale, culturale, professionale e lavorativo e trasformarla in un semplice addestramento tecnico, anche se estremamente specialistico, significa sminuire l’attività educativa e lavorativa.

Il processo formativo può essere visto sotto tre diverse dimensioni del sapere: il sapere, il sapere fare e il sapere essere, ciascuna con una connotazione specifica.

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12 Il sapere è strettamente legato al bagaglio di conoscenze dei soggetti e si esplica col trasferimento di tali conoscenze ai lavoratori, attraverso le quali essi sono in grado di risolvere i problemi; ad esempio conoscere una lingua straniera, conoscere i metodi di organizzazione del lavoro e le relative dinamiche professionali.

Il sapere fare invece si riferisce al sapere pratico, quindi al saper utilizzare i più comuni sistemi informatici e multimediali oppure all’essere in grado di azionare e far funzionare un macchinario.

Il sapere essere invece, sposta l’enfasi sugli aspetti comportamentali, comunicativi, relazionali tra soggetti e si traduce nelle capacità di relazione e comunicazione con gli altri, nella capacità di lavorare in un gruppo, essere capace di affrontare e risolvere i problemi di natura operativa e relazionale-organizzativa.

La formazione è tutt’oggi molto legata alle professionalità e ai ruoli e in essa vi sono racchiusi concetti fondamentali quali capacità pratiche, competenze settoriali, abilità specifiche. Ma negli ultimi decenni, l’uso della parola formazione si è allargato dalla stretta preparazione professionale e tecnica, alle abilità e competenze che superano l’ambito lavorativo.

Seguendo i dibattiti internazionali, si percepisce quanto il mondo della produzione e dell’economia richieda con grande insistenza, sia al lavoratore occupato che a quello in via di occupazione, di allargare i confini del proprio sapere di settore. Il confine tra formazione professionale e formazione in genere smette di essere così netto, poiché in un’organizzazione del lavoro e della produzione, le competenze tecniche diventano obsolete di fronte ai cambiamenti repentini delle tecnologie, della produzione e del mercato su scala globale.

La capacità di apprendere, dalla quale trae origine quella di insegnare, implica la nostra abilità di afferrare l’essenza dell’oggetto appreso. In più l’uomo è l’unico essere diventato capace di afferrare. Per questo siamo gli unici esseri per i quali apprendere significa intraprendere un’avventura creativa, che va oltre la lezione nozionistica. Apprendere significa per l’uomo costruire e decostruire.

Non è corretto parlare di insegnamento senza apprendimento e i due termini sono legati tra loro nel significato; i soggetti di questi due processi non vanno ridotti ad essere oggetto l’uno dell’altro. Colui che insegna, nell’atto di insegnare, apprenderà e colui che apprende, nell’atto di farlo, insegnerà qualcosa. Ogni pratica educativa richiede la presenza di due soggetti: uno che insegnando apprende e uno che apprendendo insegna.

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13 Il verbo insegnare dal punto di vista grammaticale, è un verbo transitivo-relativo poiché richiede un complemento diretto (qualcosa) e un complemento indiretto (a qualcuno). In realtà insegnare è qualcosa di più di un verbo transitivo-relativo.

Non c’è insegnamento senza apprendimento e viceversa, ed è stato apprendendo che l’uomo ha capito che era possibile insegnare. L’apprendere ha preceduto l’insegnare. È privo di validità quell’insegnamento che non comporti anche un apprendimento concreto, in cui chi apprende non diventi capace di dare nuova vita a quanto insegnato. L’insegnamento non deve diventare semplice trasferimento di informazioni ad un educando ed egli non deve incamerare passivamente tali informazioni. L’educando dovrebbe mantenere vivo dentro di sé, il gusto della curiosità, della sana ribellione dal nozionismo.

La formazione è destinata a soggetti che esercitano un’attività lavorativa che richiede una specifica preparazione. Tale preparazione ha finalità tecniche oltre che culturali e prepara l’uomo ad un’attività lavorativa, sia essa riconosciuta o meno.

La formazione si articola in una serie di percorsi e curricoli formativi, articolati in modo diverso in base alla collocazione dell’attività lavorativa nella società.

L’esigenza di una teoria generale per le pratiche formative, si scontra con l’eterogeneità dei contesti nei quali essa si sviluppa. Dal punto di vista concettuale, le diverse realtà formative possono essere frazionate in tre livelli:

• Un primo livello è rappresentato dalla “formazione istituzionale scolastica”(Sansoé, 2012, p.22)6, che ha come principale obiettivo la formazione di base dei giovani. • Un secondo livello è rappresentato dal “sistema aziendale”(Ibidem)7, del quale fanno

parte: le attività di tirocinio, che dovrebbero completare la formazione iniziale in termini di conoscenze tecniche specialistiche e di inserimento nell’organizzazione aziendale; la “formazione continua e ricorrente”(Ibidem)8, che nasce come risposta

alle esigenze professionali dell’organizzazione ed è rivolta al personale interno. Il primo può diventare un progetto formativo non dichiarato, il secondo si caratterizza per essere una formazione di tipo intenzionale.

• Un terzo livello è rappresentato dagli interventi di “educazione permanete”(Ibidem)9

dei lavoratori, attivati attraverso le agenzie di formazione professionale. Questo tipo

6 Sansoè, R. Non solo sui libri, 2012. 7 Ibidem.

8 Ibidem. 9 Ibidem.

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14 di formazione è sostenuto da finanziamenti europei con l’obiettivo di rispondere alle esigenze dei singoli lavoratori.

Questa visione complessiva, permette di cogliere quanto la realtà formativa sia policentrica e priva di una sua propria cultura pedagogica.

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1.2 Il valore del lavoro

Nella visione di molti, il lavoro viene concepito non come dato costitutivo della natura umana e testimone visibile della dignità umana, ma come una condanna o un obbligo. L’attività lavorativa invece, in qualunque forma esercitata, rappresenta uno dei costitutivi della realizzazione dell’uomo come persona, come esperienza umana totale, alla quale vanno legati valori come efficienza, efficacia, guadagno, carriera, ma che sono in ogni caso gerarchicamente subordinati e non sovraordinati. Il primato va alla persona che lavora.

La riflessione pedagogica, si sviluppa ponendo attenzione al valore formativo del lavoro, mettendo in evidenza la dimensione culturale, sociale, spirituale, etica e di responsabilizzazione sociale.

Le politiche formative sono finalizzate ad accompagnare il lavoratore all’interno del proprio percorso lavorativo, che oggi risulta molto vario a causa della rottura del posto fisso e nello sviluppo di varie forme di rapporti (lavoro subordinato, autonomo, a tempo pieno, determinato), nell’intento di realizzare una flessibilità che non sia sinonimo di precarietà ma aiuti i soggetti coinvolti a costruire competenze consolidate e motivazione verso l’apprendimento.

Le politiche formative nella società della conoscenza e della competitività, sia nel caso del passaggio dalla formazione alla vita professionale, sia quando si occupa del dipanare della vita professionale nei suoi cambiamenti e nelle sue crisi, mira a collocare il soggetto come persona, come cittadino, come lavoratore, non solo nell’ambito della produzione ma anche nel grande mare della vita.

È necessario privilegiare approcci formativi che favoriscano un’appropriazione cognitiva del reale, permettendo al lavoratore di comprendere la logica dell’azione che compie e il ruolo che ricopre nel sistema, contestualizzando comportamenti operativi e decisionali.

Ancora una volta il punto di partenza e di arrivo resta la persona vista nel concreto della sua esistenza e nel momento storico in cui opera.

Ad esso va aggiunta la rottura del divario che fa della scuola, il luogo deputato alle conoscenze e la formazione professionale, il luogo deputato al lavoro; con alla prima la dignità del sapere concettuale, alla seconda il basso profilo del pratico e operativo. Il tempo per la revisione di questo stereotipo è maturo; è necessario distruggere quei modelli culturali che fanno leva sulla frattura fra pensare e fare, fra attività intellettuale

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16 libera e pura e attività pratica e di esecuzione, come se il pratico e produttivo fossero relegati ad un posto subalterno, poiché senza approccio cognitivo e apertura alla conoscenza.

Il valore è la persona; le culture sono la rappresentazione visibile di quel valore, umanistica, tecnica, scientifica che sia.

Alla base dell’interpretazione pedagogica del lavoro, vi è la fondamentale distinzione tra lavoro educativo e lavoro produttivo: il lavoro diventa produttivo nel momento in cui ‘l’attività svolta è caratterizzata da una specifica valenza formativa e trova un suo valore nel principio per il quale si opera, e non nel prodotto che viene realizzato (Biasin, 2000, p.8)10. Se il lavoro produttivo fonda le sue basi su un riscontro economico, sull’esecutività meccanica e la specializzazione tecnica, il lavoro educativo si differenzia per il fatto di mettere in pratica un’intelligenza insieme teorica e pratica. Sempre di più, si assiste alla nascita delle nuove professionalità e all’esigenza di analizzare nuovi profili professionali con i relativi percorsi formativi.

10 Biasin, C. Lavoro e pedagogia. Un percorso attraverso alcuni modelli del passato, (rivista bimestrale),

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1.3 Prototipi di formazione umana

Oltre alla definizione generale riportata sopra, vi è un’altra sfumatura consistente che attiene al campo della storia della cultura e in particolare della filosofia dell’educazione e studia i prototipi della formazione umana elaborati dai vari pensieri filosofici delle epoche storiche.

I modelli di formazione elaborati nelle diverse epoche storiche sono il risultato della ricerca di una giustificazione al potere vigente. Succede quindi che si attribuisca alla dimensione umana, l’interpretazione più in linea con tale potere, allontanando ogni tipo di formazione umana che sia in contrasto con esso.

Prendendo ad esempio il mondo occidentale, si ricorda il cittadino romano, l’uomo religioso del medioevo, l’uomo faber sui fortunae11 del Rinascimento, oppure l’uomo della ragione nel secolo dei lumi. Questi sono prototipi e sono validi per determinati ceti e strati socio-economici; ma sono anche prototipi che allargano a ulteriori soggetti, il diritto di riferirsi a contesti emergenti di potere e di accedervi attraverso la formazione. In epoca romana l’atto formativo è assicurato dai precettori e pedagoghi che abitano o lavorano presso la casa del signore di turno e educano i figli.

Man mano che tale pratica si allarga ad una élite numericamente più ampia, la soluzione del maestro a domicilio risulta poco efficace e nascono in occidente le scuole curate dagli insegnanti stessi appartenenti alla organizzazione ecclesiastica. Le scuole divengono pubbliche con l’affermarsi degli stati nazionali moderni e con l’allargamento del diritto all’istruzione della borghesia industriale e mercantile.

L’avvento delle democrazie, in occidente, ha permesso che la scuola assumesse la funzione di servizio pubblico, rivolto progressivamente a tutti i cittadini.

1.3.1 Una breve storia

I romani avevano una tradizione formativa consolidata; coloro che potevano permetterselo, assumevano maestri per i propri figli. Molto nota era la scuola di dialettica come quella di Cicerone o la scuola dei gladiatori nella quale si insegnavano le migliori tecniche formative degli sport attuali. L’obiettivo era la crescita individuale,

11 Locuzione latina attribuita ad Appio Claudio Cieco, 350 a.C.-271 a.C. che significa “ciascuno è artefice

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18 importante per se stessi e come contributo sociale. Successivamente la pratica formativa cambiò radicalmente. La formazione venne delegata agli eserciti e alle religioni.

Nei primi la mancata obbedienza significava punizioni corporali o portava alla morte; nelle seconde poteva scattare la sanzione sociale, l’isolamento e il rogo.

Con la scoperta della divisione del lavoro, nasceva la figura del maestro assoluto. Egli conosceva tutte le fasi e i segreti del processo di produzione.

Con la seconda guerra mondiale e l’arrivo in Italia degli americani, la formazione assunse una connotazione tecnica e scientifica. In Europa e in particolare in Italia, il concetto formativo, disgiunto da quello morale e filosofico, ha impiegato molto tempo per attecchire.

La leadership si evolveva continuamente, tante erano le teorie e molti ambivano a possederla. Essere abile nel convincere, contrariamente al comando puro del “Padrone delle Ferriere12, significava la fine della gerarchia dominata dall’autorità, assieme alla sua cultura.

La preparazione classica era insufficiente, poiché disgiunta dal fare vedere come si doveva svolgere il lavoro. Oggi il leader con una buona conoscenza di base, diventa un esempio concreto e credibile. Egli diventa uno specialista nell’equa distribuzione delle risorse disponibili, a seconda della necessità. Egli raggiunge gli obiettivi, conoscendo, convincendo e motivando i collaboratori.

Il potere puro viene concepito come un sistema con il quale si distruggono le risorse umane, anziché stimolarle alla partecipazione dinamica. Gli stati nei quali esistono forme di potere puro, contano un elevato numero di guerre fratricide. Il controllo delle risorse è nelle mani di pochi intimi.

Il concetto di base presuppone che formare significhi arricchire se steso e i collaboratori con un continuo scambio reciproco (Grigis, 2009, p.12)13. L’interazione con i mercati internazionali non permette scelta; per mantenere una posizione nel mercato occorre avere qualcosa di migliore rispetto alla concorrenza. Per riuscirci, guide e collaboratori si impegnano costantemente per sviluppare la propria elevazione e quella del gruppo di appartenenza.

La formazione contribuisce allo sviluppo efficiente delle risorse umane. L’allievo e il maestro diventano spesso un'unica entità pur mantenendo ruoli diversi. Mentre è accettato universalmente il concetto dei tagliandi di manutenzione per le macchine,

12 Le ferriere sono gli stabilimenti per la produzione del ferro, sviluppatasi a cavallo tra l’’800 e il ‘900.

Fonte http://corrieredellumbria.corr.it/news/contrappunto/228547/i-padroni-delle-ferriere.html.

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19 alcuni fanno difficoltà a comprendere che la mente umana è un computer in esercizio continuo che va costantemente sostenuta e che può incappare in virus, perdite di memoria e aggiornamenti.

Dal sistema xenofobo e chiuso, per necessità di sopravvivenza, si è passati ad un sistema aperto. L’apertura inizia dalla piccola unità, situata all’interno del proprio sistema. Con internet, tale apertura non conosce più confini. Il formatore è un esperto della dinamica di sviluppo del singolo e del gruppo.

Le prime ad adottare sistemi formativi strutturati sono state le multinazionali, molto attente a non commettere errori di immagine. Il rischio era quello di compromettere il proprio potere di mercato. La formazione era considerata al pari degli altri strumenti produttivi e diventava sempre più opportuno considerare la persona come un investimento da tutelare. Come conseguenza naturale, alcune aziende locali cominciarono ad adottare la novità.

Alcuni industriali particolarmente illuminati, come Ford negli Stati Uniti, Olivetti in Italia e Volvo in Svezia, si posero il problema della crescita dei collaboratori. In poco tempo si passò da una generale diffidenza sul metodo ad un suo consumo eccessivo. Spesso la formazione veniva utilizzata per spingere il soggetto indesiderato a lasciare l’azienda.

Negli anni ’80, si diffuse la formazione volta a trovare risposte adeguate alle sfide incombenti, per sviluppare e incoraggiare protagonisti di qualità. Si diffusero le prime lavagne luminose e primi proiettori, ma in Italia il sistema di formazione era agli esordi, non era abbastanza sviluppato nelle sue risorse materiali e immateriali.

Il lavoro di preparazione della giornata formativa richiedeva tempi ridotti rispetto al passato, con un livello maggiore di qualità. Verso la metà degli anni ’80, alcune aziende e banche avevano agganci per i PC portatili, che erano costosi quanto un’utilitaria, quindi rari. Dal portatile si proiettava su schermo gigante. Pochi anni dopo si svilupparono le teleconferenze, che permisero di avere nella sessione formativa delle testimonianze vive; i costi erano tali che si risparmiava unicamente sui disagi delle trasferte e sul tempo dei partecipanti. Tale pratica era riservata al top management. Con lo sviluppo di nuovi hardware e software, nacquero le prime forme di autoformazione. Attraverso un PC e programmi modulari, un soggetto possedeva un corso specifico, spesso integrato da assistenza in linea del formatore. Un incentivo ad apprendere con soddisfazione. Riscontrabile un abbattimento dei costi formativi.

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20 Oggi sono il bisogno e la professionalità degli interessati ad indirizzare all’uso di mezzi e tecniche appropriati. In più la formazione è divenuta un normale aspetto di qualsiasi attività culturale o produttiva. Ci sono ancora settori che non conoscono le pratiche formative o che la utilizzano ma in modo carente ed improvvisato.

L’apporto formativo serve a diminuire lo sforzo e a produrre con meno tempo e con maggiore qualità, i servizi e i prodotti.

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21

1.4 La formazione professionale

Per formazione professionale (in inglese: vocational training) si intende, il percorso di formazione che si deve intraprendere per accostarsi a una professione e per essere pronti ad entrare o rientrare nel mondo del lavoro14.

Tale azione prevede che lo sviluppo del sapere professionale incida sul comportamento lavorativo ed organizzativo dei soggetti, influendo sulle modalità operative dei colleghi e sulle attività dell’organizzazione.

Classificare la formazione è molto complesso ma di seguito si è tentato di sintetizzarne le differenze15:

• Si definisce formazione professionale iniziale, quella formazione che è rivolta ai giovani che si avvicinano per la prima volta al mondo del lavoro.

• Si definisce formazione professionale continua, quella formazione che è rivolta ad adulti che sono stati esclusi dal mondo del lavoro e/o che intendono riqualificarsi in vista di un nuovo o migliore inserimento. Questa tipologia di formazione si inserisce nel concetto del così detto lifelong learning.

• Si definisce formazione professionale regionale, quel percorso scolastico di competenza regionale, professionalizzante per giovani che vogliono entrare subito nel mondo del lavoro, ovvero senza dover compiere lunghi studi per arrivare ad un diploma oppure ad una laurea.

Il percorso di studi attualmente è variegato e dipende dalla tipologia del centro frequentato. In Italia i centri di formazione professionale prevedono un biennio/triennio di studi con prevalenza di materie pratiche specialistiche del settore, finalizzati al raggiungimento di una qualifica professionale.

Tale percorso è parallelo e differenziato da quello che i ragazzi seguono per l'istruzione scolastica di competenza statale.

Un contributo importante viene fornito anche dagli enti di formazione privati che propongono contenuti formativi specialistici su settori specifici dell'apprendimento professionale. Molti corsi proposti da enti privati, purché accreditati presso le

14 Fonte della definizione: Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Formazione_professionale.

15 Le tre definizioni che seguono (formazione professionale iniziale, continua, regionale) sono state

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22 Regioni italiane, sono gratuiti in quanto finanziati con le risorse comunitarie del Fondo Sociale Europeo.

L’ente erogatore del servizio formazione deve essere così organizzato:

A. Considerare gli operatori interni come clienti; la loro soddisfazione è essenziale per la qualità del servizio. Il formatore dovrebbe assumere tale atteggiamento nei confronti dei propri collaboratori che con lui sono impegnati nell’organizzazione e gestione del servizio. Infatti il primo cliente che entra in contatto con il sistema formativo è il docente, quindi il formatore dovrebbe porsi domande simili a questa: “ho avuto l’accortezza di redigere il progetto in modo tale da facilitare il suo intervento?”.

B. Strutturare l’organizzazione in modo tale che sia facilitata la qualità del processo. L’approccio operativo del punto A. deve avere riscontro anche sul piano organizzativo, si pensi alle modalità con le quali vengono distribuiti compiti, tempi e risorse. Spesso ci si sofferma sulla fase attuativa che corrisponde alle attività svolte in aula, impegnando in essa tutte le risorse disponibili e tralasciandone altre.

C. Attivare gruppi di miglioramento. Il modello auspicabile prevede continui e ricorrenti incontri, nei quali il gruppo di soggetti erogatori del servizio controllano la qualità delle azioni poste, cercano le cause di eventuali criticità ed ipotizzano soluzioni per il miglioramento del processo. È molto importante che il formatore in quanto responsabile del progetto, conferisca a tali momenti, anche sul piano organizzativo, lo spazio (tempo) e l’importanza (gestione) affinché si conseguano i risultati attesi.

Si possono individuare i seguenti assunti:

a) Bisogno e domanda di formazione

Gli studiosi del settore, da alcuni anni hanno puntato l’attenzione dei formatori sull’analisi del fabbisogno formativo, indicandolo come imprescindibile atto costituente di qualsiasi intervento che intenda proporre una risposta mirata ad una situazione di reale necessità.

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23 Il servizio formazione, in particolare quello rivolto agli adulti, nella maggior parte dei casi tenta di rispondere ai bisogni che non si collocano nella sfera della consapevolezza dei clienti e che per questo motivo sono difficili da individuare.

Trattandosi di formazione continua occorre distinguere tra bisogni espliciti e bisogni latenti. I primi sono i bisogni che il cliente rivela chiaramente, usando espressioni consoni al proprio linguaggio; i secondi sono quelli che il cliente non sa esprimere in modo esplicito, in quanto ne ha consapevolezza fino al momento in cui è in grado di scoprire i vantaggi e i benefici che derivano dalla loro soddisfazione.

Si ricorre al bisogno formativo nel momento in cui, analizzando la situazione problematica, emerge che la causa del disagio o della disfunzione personale o organizzativa è da ricercare nella carenza del sapere professionale di alcuni operatori, alla quale si può ovviare mediante un adeguato intervento formativo. Nasce nei soggetti coinvolti la consapevolezza di una necessità di formazione o meglio di una domanda di formazione, ossia quell’atto che esprime in maniera esplicita la richiesta di un intervento formativo, inteso come strategia per fronteggiare la situazione critica.

b) Lo sviluppo

Per riuscire ad avere un’idea dello sviluppo formativo di breve periodo, occorre tenere presente i diversi tipi di formazione. Con l’evoluzione attuale si può arrivare a prevedere al massimo il medio periodo. Con medio periodo si intende un tempo non superiore ai tre o ai cinque anni.

Riguardo al numero di persone coinvolte si fa riferimento a:

1. Persona a persona. Questo tipo di formazione rimanda alla supervisione e alla leadership. Per quanto riguarda la supervisione, la pratica si nota in qualsiasi posto di lavoro. Una persona appena assunta, è assegnata ad un supervisore. Attorno ha dei compagni di lavoro. Il supervisore e i colleghi aiutano il nuovo membro ad apprendere le regole di sopravvivenza e che cosa bisogna fare e come. Il supervisore si limita ad un mero controllo del lavoro svolto.

La pratica della leadership, oltre ad insegnare cosa e come farlo, si preoccupa affinché il soggetto a sua volta possa trasferire il know-how ad altri, sviluppando il potenziale a cascata. Il leader usa l’opportunità come strumento evolutivo, curando contemporaneamente la crescita del collaboratore.

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24 2. Gruppi. La dinamica del gruppo viene adottata in base all’obiettivo che esso si è dato. Se lo si conosce dall’inizio si ottiene un grande vantaggio. Il problema è quello di far lavorare insieme soggetti diversi. Il leader dovrebbe essere un esperto nel lavoro di gruppo.

3. Mista. Ogni organizzazione ha la sua cultura nelle scelte produttive; alcune propendono verso un forte sviluppo del gruppo, altre prediligono le personalità individuali. La scelta è il risultato del settore operativo in cui si opera.

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1.5 La normativa italiana in materia di formazione professionale

Dal punto di vista storico, la scuola ha spesso posto resistenza nel considerare il tema del lavoro parte integrante del percorso educativo. La relazione tra lavoro e scuola solleva, infatti, una questione fondamentale: quale educazione per quale scuola e quale individuo formare per un determinato tipo di società.

Storicamente, la riflessione sul ruolo che potrebbe ricoprire il lavoro nella scuola ha generato una precisa idea di scuola, espressa nella definizione di scuola del lavoro (Sansoé, 2012, p.26). Tale espressione venne coniata in opposizione al termine greco “scholé” che stava ad indicare tempo libero e ozio; la scuola del lavoro nacque come alternativa alla tradizionale distinzione tra pensiero e prassi, tra lavoro e studio, tra competenze e sapere.

Ma procediamo con ordine. Il sistema educativo italiano vede la sua nascita nel 1861, anno della proclamazione dell’Unità d’Italia, attraverso la legge Casati (legge 3725 del 1859 del Regno di Sardegna, poi estesa al Regno d’Italia). Essa stabilisce la gratuità, l’obbligatorietà e l’unicità del grado elementare e sancisce la separazione tra la scuola umanistica (licei) e la scuola tecnica, nel grado secondario.

Nel 1923, il Regio Decreto n. 1054 del 6 maggio, noto alla cronaca come Riforma Gentile, introduce un triennio di studi integrativo (scuola media), successivamente alla scuola elementare, accanto alla scuola complementare di avviamento professionale che prende il posto della scuola tecnica. Inoltre l’obbligo scolastico viene innalzato a 14 anni.

La Costituzione del 1948, stabilendo le linee del sistema formativo italiano, sancisce l’impegno della Repubblica nel garantire l’istruzione, la formazione e l’elevamento professionale dei lavoratori. In particolare per ciò che riguarda la formazione professionale, i riferimenti sono:

• art. 35: “La repubblica … cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”;

• art. 38: “Gli inabili hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale”; • art 117, il quale individua le Regioni quali enti cui spetta la potestà legislativa in

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26 In seguito alla redazione della Costituzione, il primo intervento normativo rilevante è rappresentato dalla Legge n. 264 del 29.4.1949: “Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati”. Tale norma rappresenta un passo fondamentale nella dinamica storico-legislativa della formazione professionale, soprattutto poiché fino al 1972 essa rimane il fondamentale riferimento normativo del settore formativo professionale extrascolastico. Tale legge va collocata nel contesto postbellico di depressione economica, aggravata dalla quasi totale impreparazione professionale della popolazione.

È il titolo IV della legge che, nel disciplinare l’”Addestramento professionale”, detta le linee fondamentali inerenti la formazione, stabilendo tre tipologie di intervento:

1. corsi per disoccupati; 2. corsi di riqualificazione; 3. cantieri-scuola.

I corsi sono autorizzati dal Ministero del Lavoro, il quale fornisce anche i finanziamenti necessari e indirizza il settore senza limitazioni sostanziali.

Un ulteriore passaggio si ha con la Legge n. 281 del 16.5.1970, attraverso la quale si delega il governo ad emanare i decreti di trasferimento dallo Stato alle Regioni, delle funzioni ad esse attribuite dall’art. 117 dell’allora dettato istituzionale. È grazie al D.P.R.16 n. 10 del 15.1.1972, sulla base della legge 281/70, che si provvede a trasferire alle Regioni, le funzioni amministrative riguardanti l’istruzione artigiana e professionale.

A tale intervento formativo fa seguito quello attuato dalla legge 382/75 che delega il Governo ad emanare norme per il completamento del trasferimento di funzioni amministrative ai senso dell’art. 117 della Costituzione. In attuazione di tale legge viene emanato il D.P.R. n. 616 del 24.7.1977, che partendo da una definizione positiva dell’istruzione artigiana e professionale, circoscrive il proprio ambito, eliminando ogni dubbio circa l’istruzione scolastica strettamente intesa.

A valle dei decreti attuativi del trasferimento alle Regioni delle funzioni in materia di formazione professionale, interviene la legge quadro statale che contiene i principi e le indicazioni fondamentali, alla luce dei quali spetta poi alle Regioni emanare la normativa in dettaglio: si tratta della legge 845 del 21.12.1978.

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27 La legge recita così:

• art. 1, Finalità della formazione professionale: “La Repubblica promuove la formazione e l’elevazione professionale in attuazione degli articoli 3, 4, 35, 38, della Costituzione, al fine di rendere effettivo il diritto al lavoro ed alla sua libera scelta di favorire la crescita della personalità dei lavoratori attraverso l’acquisizione di una cultura professionale. La formazione professionale, strumento della politica attiva del lavoro, si svolge nel quadro degli obiettivi della programmazione economica e tende a favorire l’occupazione, la produzione e l’elevazione dell’organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico”;

• art. 4, Oggetto della formazione professionale: “Le iniziative di formazione professionale costituiscono un servizio di interesse pubblico inteso ad assicurare un sistema di interventi formativi finalizzati alla diffusione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie per svolgere ruoli professionali e rivolti al primo inserimento, alla qualificazione, alla riqualificazione, alla specializzazione, all’aggiornamento ed al perfezionamento dei lavoratori, in un quadro di formazione permanente”.

Le iniziative di formazione professionale sono rivolte a tutti i cittadini che hanno assolto l’obbligo scolastico o ne siano stati prosciolti e possono concernere qualsiasi settore produttivo, sia che si tratti di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, di prestazioni professionali o di lavoro associato.

Alle iniziative di formazione possono essere ammessi anche stranieri, ospiti per ragioni di lavoro o di formazione, nell’ambito degli accordi internazionali e delle leggi vigenti.

L’esercizio delle attività di formazione professionale è libero”.

Dopo la legge del 1978 e l’emanazione da parte delle regioni delle rispettive normative di raccordo, il panorama legislativo italiano in materia di formazione professionale è rimasto sostanzialmente invariato per venti anni.

Nel corso degli ultimi anni, è stato approvato un insieme di norme inerenti al sistema di politiche del lavoro-formazione-istruzione, che hanno impresso una forte evoluzione al sistema medesimo e che ha disegnato un quadro di riferimento notevolmente diverso rispetto al passato.

I tratti principali di questa evoluzione possono essere individuati in due direttrici fondamentali: la prima riguarda la significativa accentuazione del decentramento

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28 istituzionale; la seconda riguarda una visione integrata tra politiche formative diverse (formazione professionale e istruzione) e tra queste e le politiche del lavoro.

La logica di norme è quella del passaggio da una visione amministrativa di adempimento burocratico ad una fondata sull’efficacia e l’efficienza dei servizi all’utenza e delle politiche attive. Anche per quanto riguarda le competenze, ci sono dei cambiamenti: si passa infatti da un’impostazione centralistica alla responsabilizzazione dei livelli regionali e locali. Nel modello gestionale infine, si passa da una visone monopolistica incentrata sullo Stato, ad una pluralistica che guarda all’integrazione pubblico-privato.

La legge n. 59/97 ed i decreti legislativi di attuazione, tendono a ricondurre presso un unico soggetto istituzionale, i poteri in precedenza dispersi in materie di politiche attive del lavoro, con l’obiettivo di favorire sempre di più un’integrazione tra servizi per l’impiego e politiche formative.

I soggetti istituzionali diventano le Regioni per quello che riguarda la programmazione e le province per quello che riguarda la gestione.

Se la legge 845 del 1978 attribuiva una distinzione tra funzioni di governo strategico lasciate alla componente statale e funzioni di programmazione per le Regioni, il D. Lgs. n. 112/98, getta le basi per una responsabilizzazione maggiore alle Regioni e alle autonomie locali. L’art. 14 della suddetta legge, delimita l’oggetto della normativa, ovvero la formazione professionale, mentre l’art. 141 fornisce la definizione di formazione professionale:

“[…] il complesso degli interventi volti al primo inserimento, compresa la formazione tecnico professionale superiore, al perfezionamento, alla riqualificazione e all’orientamento professionali, ossia con una valenza prevalentemente operativa, per una qualsiasi attività di lavoro e per qualsiasi finalità, compresa la formazione impartita dagli istituti professionali […]”.

L’elenco fondamentale delle funzioni e dei compiti amministrativi mantenuti in capo allo stato, in materia di formazione professionale, rimane pressoché invariato rispetto alla normativa precedente. Tra essi si rinvengono: i rapporti internazionali e il coordinamento con l’Unione Europea; la definizione dei requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture che gestiscono la formazione professionale; l’individuazione degli standard minimi delle qualifiche professionali.

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29 In questo contesto si inserisce la legge costituzionale n. 3 del 18.01.2001; la riforma ha operato una redistribuzione di funzioni legislative tra Stato e Regioni, rafforzando il ruolo e l’assetto delle autonomie territoriali.

L’art. 117 della Costituzione, al comma 3 enuncia che l’istruzione e la formazione professionale sono materie rimesse alle competenze delle regioni, cui spetta l’emanazione della normativa regionale di dettaglio per l’esercizio delle funzioni amministrative da parte delle Province.

In particolare le funzioni delle province in materia di formazione professionale, differentemente attuate a seconda dello stato di avanzamento delle deleghe operate dalle Regioni, fanno riferimento a:

• rilevazione dei fabbisogni formativi territoriali;

• programmazione pluriennale e/o annuale dei corsi di formazione;

• la progettazione e gestione dei corsi di formazione attraverso proprie strutture, laddove esistano;

• erogazione delle attività formative attraverso enti convenzionati;

• monitoraggio, controllo, vigilanza e valutazione delle attività formative; • reperimento dei docenti;

• gestione della commissione per il rilascio di attestati di qualifica e certificati di frequenza;

• riconoscimento delle idoneità dei centri di formazione e delle strutture alternative ed aziendali.

Tali funzioni sono finanziate con fondi regionali propri o dove previsto dal Fondo Sociale Europeo.

La ristrutturazione, che è oggi in atto nelle organizzazioni pubbliche, punta a logiche di semplificazione amministrativa e burocratica; e questo conduce alla valorizzazione di una nuova cultura della formazione. Si sono sviluppate numerose tipologie di offerte formative coerentemente con i bisogni sociali e produttivi del territorio, così come numerose sono le interazioni tra attori e sistemi (si veda la formazione professionale, la scuola, l’università e la ricerca, le istituzioni, le imprese). In conclusione se da un lato, l’evoluzione normativa punta a conferire un ruolo sempre più strutturato alle province, dall’altro il processo in atto è disomogeneo.

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30 Restano numerose questioni aperte, tra le quali:

▪ individuare strumenti stabili di raccordo tra le istituzioni; ▪ completare il quadro normativo di riferimento;

▪ integrare e coordinare la formazione pubblica e privata, distinguendone ruoli e funzioni;

▪ omogeneizzare i sistemi formativi locali;

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1.6 Il panorama europeo

La centralità del tema della formazione compare già nel trattato che istituisce la Comunità Europea del 1957, che al capo 3 disciplina “Istruzione, Formazione Professionale e Gioventù”. In particolare è l’art. 150 che afferma che:

“La Comunità attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi per quanto riguarda il contenuto e l’organizzazione della formazione professionale …”

Il Fondo Sociale Europeo ha avuto fin dal principio l’obiettivo di promuovere all’interno della Comunità, le possibilità di occupazione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale.

Esiste a livello europeo un nesso inscindibile tra formazione ed occupazione. Tuttavia in materia di occupazione, la cooperazione tra gli Stati membri si è sviluppata fino al 1997 come una tradizionale collaborazione tra governi, in seno ad organizzazioni internazionali.

Le difficoltà macroeconomiche degli anni ’90, hanno generato l’esigenza di una risposta coordinata a livello europeo, che è arrivata nel 1995 con il “Libro Bianco17 su istruzione e formazione – insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva”. Il Libro bianco, dopo aver delineato i tre “fattori di cambiamento che contribuiscono all’evoluzione verso la società conoscitiva” (ovvero la società della conoscenza, lo sviluppo della civiltà scientifica e tecnica e la globalizzazione dell’economia), afferma che la buona strutturazione di questa società dipenderà dalla capacità di apportare due grandi risposte alle implicazioni negative possibili. La prima risposta è incentrata sulla rivalutazione della cultura generale; la seconda risposta è volta a sviluppare l’integrazione fra accumulazione di conoscenze di base (per le quali è fondamentale il sistema di istruzione), di conoscenze tecnico-professionali (che possono essere acquisite in parte nel sistema d’istruzione, nella formazione professionale e nell’impresa) e di attitudini sociali (acquisibili nel contesto di vita e di lavoro).

17 Il Libro bianco (White Paper) è un documento ufficiale designato dalla Commissione Europea; la sua

funzione è quella di proporre azioni mirate ad un settore particolare dell'economia ed è in genere sottoposto al vaglio del Consiglio dell'Unione, al Parlamento Europeo e alle parti sociali. Fonte Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Libro_bianco_(Unione_europea).

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32 L’accesso alla formazione per tutto l’arco della vita è posto tra le condizioni essenziali per garantire nuovi diritti di cittadinanza, ma anche garantire i livelli minimi di conoscenze e competenze a quella percentuale di popolazione adulta in possesso di bassi livelli di istruzione; inoltre la formazione permette di affrontare in modo adeguato le sfide della modernità all’interno di quelle che vengono definite società complesse. Il Consiglio Europeo di Essen del 9 e 10 dicembre 1994, identifica cinque obiettivi prioritari in materia di occupazione, tra cui lo sviluppo delle risorse umane tramite la formazione professionale; tali obiettivi però, sarebbero rimasti difficili da realizzare senza un fermo impegno da parte di Stati membri.

Così interviene il Trattato di Amsterdam del 1997, nel quale il diritto di formazione trova un riconoscimento formale in ambito europeo, inserendo nel preambolo dello stesso, il comma secondo cui gli stati membri si impegnano a “promuovere lo sviluppo al massimo livello di conoscenza […] attraverso un ampio accesso all’istruzione e all’aggiornamento costante”. Oltre al valore simbolico di questo atto, non si può fare a meno di notare come esso rifletta un cambiamento rilevante, in quanto la formazione e l’istruzione assumono il ruolo di politiche attive della cittadinanza.

Nella Dichiarazione di Amburgo, approvata dall’organizzazione scientifica, culturale ed educativa delle Nazioni Unite nel corso della V Conferenza internazionale (luglio 1997):

“L’educazione degli adulti (viene considerata) più di un diritto, […] una chiave per il ventunesimo secolo.”18

L’educazione permanente elimina le barriere tra educazione formale, educazione non formale ed educazione informale ed assicura a tutti la possibilità di proseguire la loro educazione al di là della formazione scolastica iniziale. Nel documento si assegna un nuovo ruolo allo stato che resta il veicolo essenziale per assicurare a tutti il diritto all’educazione; egli non è solo un fornitore di servizi ma anche un consulente, un finanziatore e controllore attraverso azioni di monitoraggio.

Successivamente il 23 e 24 marzo del 2000, il Consiglio Europeo, ha tenuto a Lisbona (da qui l’appellativo di Strategia di Lisbona), una sessione straordinaria dedicata ai temi economici e sociali dell’Unione Europea.

18Fonte: Dichiarazione finale della quinta conferenza internazionale sull'educazione degli adulti,

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33 È con questo documento che viene fissato in maniera netta e decisiva come obiettivo strategico dell’Unione Europea per il nuovo decennio:

“Diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Il raggiungimento di questo obiettivo richiede una strategia globale, (predisponendo) il passaggio verso un’economia ed una società basate sulla conoscenza […], modernizzando il modello sociale europeo, investendo sulle persone e combattendo l’esclusione sociale, (sostenendo) il contesto economico sano e le prospettive di crescita favorevoli (con) una adeguata combinazione di politiche macroeconomiche, (sullo sfondo) della piena occupazione in Europa nella nuova società emergente, maggiormente adeguata alle scelte di donne e uomini”19.

Per raggiungere tali obiettivi si punta sulle competenze, per questo il documento enuncia che:

“Occorre che ogni cittadino possieda le competenze necessarie per vivere e per lavorare in questa nuova società dell’informazione […], (che venga intensificata) la lotta contro l’analfabetismo (e contro l’esclusione, a partire da quella dei disabili)”20.

Da qui il “Documento di lavoro dei servizi della commissione - Memorandum sull’informazione e la formazione permanente”, redatto il 30.10.2000, che si propone di fornire un quadro concettuale per sviluppare una strategia globale e condivisa. Il documento ha lo scopo di favorire in tutti i Paesi dell’Unione Europea, la costruzione delle condizioni per la promozione dell’occupabilità e della cittadinanza attiva ed individua una serie di problemi e di questioni raccogliendone gli aspetti salienti in una tavola circostanziata di sei messaggi chiave21:

1. nuove competenze di base per tutti, per garantire un accesso universale e permanente alla società della conoscenza;

19 Fonte: Consiglio Europeo, Lisbona 23 24 marzo 2000, conclusioni della presidenza,

http://www.europarl.europa.eu/summits/lis1_it.htm.

20 Ibidem.

21 Fonte: Documento di lavoro dei servizi della commissione - Memorandum sull’istruzione e la

formazione permanente, https://archivio.pubblica.istruzione.it/dg_postsecondaria/memorandum.pdf, Commissione delle Comunità Europee, 2000.

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34 2. maggiori investimenti nelle risorse umane, tesi ad assicurare una crescita visibile dell’investimento nelle risorse umane per investire nella più importante risorsa dell’Europa, le persone;

3. innovazione nelle tecniche di insegnamento e di apprendimento, volte a sviluppare contesti e metodi efficaci di insegnamento e di apprendimento;

4. valutazione dei risultati dell’apprendimento, per migliorare i modi con i quali sono valutati e giudicati la partecipazione ed i risultati delle azioni formative;

5. nuova attenzione all’orientamento, affinché sia garantito a tutti un facile accesso alle informazioni e all’orientamento di qualità sulle opportunità di istruzione e formazione in tutta Europa;

6. un apprendimento sempre più vicino a casa, con l’obiettivo di offrire opportunità di formazione permanente il più possibile vicine agli utenti della formazione.

La diffusione del Memorandum, ha richiamato l’attenzione di tutti, sui risultati degli apprendimenti e su coloro che apprendono, piuttosto che sull’attività dell’insegnare e sugli insegnamenti.

Il tracciato europeo sul tema delle strategie e delle politiche circa l’istruzione e la formazione rompe in maniera definitiva l’autoreferenzialità del sistema formativo di ciascuno degli stati membri, mettendo a nudo tagli negativi e positivi in uno scenario controllato dagli obiettivi strategici fissati per tutti.

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1.7 Un’analisi di contesto

Oltre ogni etichetta, come quella della globalizzazione, l’inizio del millennio è stato caratterizzato da una serie di novità che incidono sul funzionamento delle aziende, e di conseguenza sugli attori che ne fanno parte.

Le aziende che sono nate nel vecchio secolo, hanno subito cambiamenti notevoli, tanto da diventare irriconoscibili anche per quei lavoratori che non sono top management. Le aziende che nascono oggi, assumono fin dall’inizio, una struttura organizzativa completamente diversa da quella del passato: l’attuale scenario del mercato, la globalizzazione, lo sviluppo di nuove tecnologie e prodotti, la variabilità e varietà dei gusti dei consumatori, una conoscenza che non si ferma ai limiti geografici, tutto questo sta causando processi di profonda innovazione organizzativa e gestionale delle aziende. Tutte le imprese che si trovano ad operare oggi in questo scenario, hanno bisogno di conquistare e mantenere un vantaggio competitivo e il successo dipende in larga misura da questi fattori:

• Capacità di coordinarsi con gli altri operatori, poiché la focalizzazione delle aziende sulle proprie core competences e l’orientamento al cliente, implicano l’instaurarsi di una catena del valore alla quale collaborano numerose imprese. Inoltre attenzione costante ai cambiamenti nelle attività e nel profilo di business dei clienti e dei partner.

• L’adattabilità ai continui cambiamenti della domanda dei consumatori, la capacità di operare una personalizzazione di massa di prodotti, servizi e informazioni nei confronti di mercati e culture diverse.

• L’abilità nel selezionare risorse in modo efficace ed efficiente, monitorando i costi dell’intera catena del valore.

• La capacità di costruire una conoscenza approfondita sui clienti attuali e potenziali e una fiducia nei fornitori, rispetto ai quali valutare successi ed insuccessi.

Tutto è reso più complesso se si considera che questi fattori devono combaciare tra loro in un contesto caratterizzato da mutamenti repentini e profondi.

La riduzione delle barriere doganali, la liberalizzazione dei mercati finanziari, la libera circolazione di beni e servizi, hanno posto le economie sotto una crescente competitività.

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36 La globalizzazione genera nuovi mercati, nuovi prodotti, nuove competenze da acquisire, nuovi modi di approcciarsi al business. Vengono richiesti rapidi movimenti di prodotti, persone, informazioni, e idee e per una organizzazione diventa fondamentale riuscire a fornire beni e servizi in modo efficiente e migliore rispetto ai competitors. La globalizzazione richiede da un lato uno sguardo globale, dall’altro uno sguardo locale per soddisfare tutte le richieste dei consumatori.

Un’altra forza trainante è la figura del cliente, che impone i propri fabbisogni e pretende un prodotto ed un servizio su misura. Già a partire dagli anni ’80 del secolo scorso, il mondo aziendale aveva iniziato ad adottare interventi organizzativi per migliorare la soddisfazione del cliente, la qualità totale, e la concorrenzialità; ma mai come oggi trovare e saper fidelizzare i clienti è diventato il principale obiettivo delle imprese. Anche la tecnologia è straordinariamente cambiata, coinvolgendo profondamente l’assetto delle aziende e sono cambiati oltre ai macchinari, soprattutto le competenze richieste, i ruoli ricoperti, le scolarità necessaire, l’impegno richiesto e le modalità di interazione.

L’information technology22 nel campo economico e non solo, sta mutando l’equilibrio

dei soggetti coinvolti, della politica e dell’economia.

Il mondo del lavoro è mutato dal punto di vista qualitativo e quantitativo; è un mercato caratterizzato da soluzioni contrattuali nuove e da soggetti con caratteristiche diverse dal passato.

A tutto questo, vanno aggiunte le grandi trasformazioni negli assetti proprietari, come le privatizzazioni, l’outsourcing, le aggregazioni e le disaggregazioni; tutte novità che contribuiscono a cambiare i rapporti fra le funzioni e incidono sull’integrazione aziendale delle persone.

E tutto questo fa cambiare le qualifiche richieste, le competenze e le conoscenze da acquisire, la gestione e lo sviluppo delle risorse umane; tutti i livelli di istruzione e formazione sono in corso di riorganizzazione per adeguarsi al nuovo sistema economico.

Le imprese si orientano verso una gestione più flessibile per valorizzare il capitale umano e ottimizzare le risorse nel perseguimento dei propri obiettivi.

22 ICT: Information and communication technologies; tecnologie riguardanti i sistemi integrati di

comunicazione, i computer, le tecnologie audio-video e relativi software, che permettono agli utenti di creare, immagazzinare e scambiare informazioni. Fonte: Enciclopedia Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/ict_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/.

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37 La persistenza di barriere che ostacolano l’accesso di molti a standard culturali migliori e fenomeni come l’analfabetismo di ritorno, generano forme di deficit formativo talvolta molto forte e paradossale se si pensa che tali fenomeni si sviluppano all’interno della società della conoscenza.

Il mercato della formazione odierno punta verso l’outsourcing, così come si fa per la logistica o per i sistemi informativi, si utilizzano agenzie esterne capaci di fornire i servizi necessari.

Una critica mossa in analisi a tale sistema riguarda il rischio che la formazione realizzata dagli esterni sia starata rispetto alle esigenze aziendali e questo comporta due conseguenze molto gravi: le persone si formano ma rientrano in azienda impreparate; aumenta la diffidenza verso le attività non direttamente produttive, verso cui non si è in grado di stimarne la resa.

Tutto questo è valido per aziende piccole e medie che non fanno quasi mai formazione ma realizzano solo piccoli interventi di addestramento quando sono costrette dall’innovazione di processo o tecnologica.

Ma il saper fare fornito dall’addestramento non è sufficiente, è necessario molto di più per competere e mantenere il vantaggio competitivo.

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