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Indice
CAPITOLO ILe competenze normative dell’Unione europea
1.1 Il principio di attribuzione delle competenze………pag.5
1.2 La tipologia delle competenze dell’Unione………pag.8
1.3 Il principio di sussidiarietà……….………..pag10
1.4 Il principio di proporzionalità……….………..pag.14
CAPITOLO II
Gli atti normativi dell’Unione europea
2.1 Le fonti del diritto dell’Unione europea………pag.17
2.2 Il diritto primario dell’Unione europea………..………pag.18
2.3 Il diritto derivato o secondario dell’Unione europea………pag.20
2.4 I regolamenti……….………pag.22
2.5 Le direttive………..………..pag.23
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2.7 Gli atti non vincolanti del diritto dell’Unione europea derivato……….………pag.25
2.8 Gli atti atipici……….………pag.27
CAPITOLO III
L’adattamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento giuridico europeo
3.1 L’adattamento dell’ordinamento italiano ai Trattati istitutivi delle Comunità……….………pag.30
3.2 L’adattamento al diritto derivato………pag.34
3.3 Il ruolo delle Regioni nel processo di attuazione della normativa dell’Unione europea……….………….….……pag.45
3.4 Il problema dei rapporti tra diritto dell’Unione europea e il diritto italiano alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia e della Corte Costituzionale………..……….pag.53
3.5 I rapporti tra norme interne e norme dell’Unione non dotate di efficacia diretta………pag.63
3.6 Le conseguenze dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona……….…….pag.66
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CAPITOLO IV
La mancata attuazione della normativa europea da parte del legislatore italiano
4.1 Introduzione………..………..pag.69
4.2 La progressiva elaborazione del regime di responsabilità per violazione del diritto dell’Unione e dei suoi elementi costitutivi……….………..pag.73
4.3 La sentenza Francovich come punto d’avvio del riconoscimento della responsabilità risarcitoria degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione………..…….……….pag.74
4.4 La precisazione dei contorni della responsabilità nella giurisprudenza europea successiva alla sentenza Francovich……….……….………pag.79
4.5 L’assetto definitivo e la natura giuridica della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione……..……….pag.86
4.6 La responsabilità dello Stato – amministratore…………...pag.92
4 CAPITOLO V
Ricostruzione della casistica giurisprudenziale europea dal caso Francovich alle condanne più recenti dello Stato per mancato o
inesatto recepimento delle direttive europee
5.1 Introduzione………..………pag.111
5.2 Caso medici specializzandi………..……….…pag.112
5.3 Indennizzo/riparazione vittime di reati violenti ed intenzionali………..…….…….……….pag.121
5.4 Inadempimento dell’Italia in materia di gestione rifiuti nella regione Campania……….,………pag.129
5.5 Condanna dell’Italia per discriminazione disabili sul lavoro……….………...……….……pag.135
5.6 Responsabilità civile dei magistrati per i danni arrecati ai singoli a seguito di violazione del diritto dell'Unione europea…………..….pag.139
Bibliografia………148
5 CAPITOLO I
Le competenze normative dell’Unione europea
1.1 Il principio di attribuzione delle competenze
La Comunità economica europea, sin dalle origini, si è basata sul principio c. d. delle competenze di attribuzione, in base al quale <<la
Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono attribuite e degli obiettivi che le sono assegnate dal presente Trattato>>(art. 5
Trattato CE). Questo principio, che lo stesso NTUE definisce ora formalmente come “principio di attribuzione” , comporta che la legittimità di un’azione delle istituzioni va sempre verificata alla luce del quadro delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri attraverso i Trattati.
Prima del Trattato di Lisbona, i Trattati istitutivi non contenevano in forma esplicita una lista delle competenze attribuite alla istituzioni. Nel Trattato di Roma le competenze erano conferite all’Unione in base al metodo “funzionale”, ovvero secondo la tecnica della definizione teleologica o finalistica, mediante la definizione di obiettivi da conseguire e dei mezzi atti a conseguirli. In alcuni settori, il metodo funzionale è stato, nel tempo, affiancato dal metodo di attribuzione “materiale”, fondato sulla definizione oggettiva o naturalistica delle azioni che la Comunità è chiamata a svolgere1. Nei Trattati infatti, talvolta le competenze attribuite all’Unione vengono definite in maniera puntuale, altre volte, invece, riguardano più in generale un’intera materia. Il principio di attribuzione che comporta, a rigore,
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L. Azzena, Il trattato che adotta una Costituzione per l’Europa: Il sistema delle competenze, in Foro Italiano 2005, n.1, ZANICHELLI, parte V. pp 8 ss.
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la necessità della revisione del Trattato per l’attribuzione di ogni nuova competenza all’Unione, è stato ampiamente tradito.
Le competenze dell’Unione si sono infatti estese ben oltre i limiti posti dal principio di attribuzione. Tra i meccanismi che hanno consentito uno sviluppo in tal senso, emerge in primo piano l’applicazione dell’art. 352 TFUE (precedentemente art. 308 TCE), che dispone una procedura formale per l’ampliamento dei poteri dell’Unione qualora tali poteri, sebbene non espressamente attribuiti dal Trattato, risultino necessari per il raggiungimento degli obbiettivi dell’Unione europea. Tale disposizione, nota anche come “clausola di flessibilità”, dispone che “se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai Trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate”. Inoltre, con un nuovo par.2 , l’art 352 estende a tutte le proposte della Commissione basate su detto articolo il meccanismo di controllo del principio di sussidiarietà.
In relazione, infine, agli obiettivi indicati dall’art.352 TFUE, in seguito all’adozione del Trattato di Lisbona, si è provveduto a specificare che questi sono solo quelli stabiliti e previsti dai paragrafi 2 e 3 dell’art 3 NTUE. Un ulteriore limite intrinseco al ricorso della clausola di flessibilità è stato indicato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia – ed è ora ribadito dalla Dichiarazione n. 42 della Conferenza intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona – nel fatto che la clausola <<essendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio delle competenze di attribuzione, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri
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dell’Unione>>; né esso << può essere in ogni caso utilizzato quale base per l’adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente, con riguardo alle loro conseguenze, a una modifica dei trattati che sfugga alla procedura prevista nel trattato medesimo>>.
Dall’ambito di applicazione della clausola di flessibilità rimane escluso, per espressa previsione dell’art. 352, il settore della politica estera e di sicurezza comune . Questa esclusione mira ad evitare il rischio che attraverso un’azione presa ai sensi dell’art. 352, si possano alterare i meccanismi specifici di questo settore, a partire da quelli relativi alla presa di decisione.
Diverso è il meccanismo che ha consentito l’espansione delle competenze dell’Unione mediante il ricorso alla “teoria dei poteri
impliciti”. La Corte di giustizia ha generalmente fornito
un’interpretazione estensiva delle disposizioni che attribuiscono poteri normativi. Nel parere 2/94 sull’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la Corte ha affermato che la Comunità << agisce normalmente sulla base di poteri specifici che (…) non devono necessariamente risultare in termini espressi dalle disposizioni del Trattato, potendo anche essere dedotti, in modo implicito, dalle disposizioni medesime>>.
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1.2 La tipologia delle competenze dell’Unione.
Le categorie di competenze normative dell’Unione, nonostante l’assenza di un’espressa classificazione nel Trattato di Roma, sono state comunemente individuate e definite in “competenze esclusive” e “competenze concorrenti”. L’art 2 TFUE ripartisce le competenze dell’Unione europea in diverse categorie, individuate in funzione proprio del rapporto esistente tra tali competenze e quelle degli Stati membri.
L’articolo indica innanzitutto che quando i << Trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione europea oppure per dare attuazione agli atti dell’Unione>>. Pertanto, nelle materie di competenza esclusiva non vi è soltanto la prevalenza delle norme dell’Unione rispetto alle norme degli Stati membri, ma risulta illecita, qualunque ne sia il contenuto, una normativa nazionale adottata fuori dalle due circostanze indicate dalla disposizione sopra citata.
Rientrano nella competenza esclusiva dell’Unione europea: l’unione doganale, la definizione delle regole della concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno, della politica monetaria per gli Stati membri la cui moneta è l’Euro, la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, la politica commerciale comune.
L’individuazione delle competenze concorrenti, invece,è relativamente più agevole, risultando, oltre che a contrario dall’individuazione delle competenze esclusive, anche dalla previsione contenuta nel secondo paragrafo dell’art. 4 TFUE tra le quali sono
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indicate il mercato interno,la politica sociale, l’ambiente, coesione economica, agricoltura e pesca, protezione dei consumatori, trasporti, reti trans europee, energia, spazio di libertà, sicurezza e giustizia, problemi comuni di sicurezza in materia di sanità pubblica . Occorre sottolineare come nonostante l’art. 4 elenchi al paragrafo 2 i settori in cui l’Unione ha una competenza di questo tipo, per sua esplicita previsione esso si limita ad enumerarne solo i principali.
Diversamente da quanto avviene nelle materie di competenza esclusiva, gli Stati membri possono quindi, nelle materie di competenza concorrente, esercitare la loro competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria oppure nella misura in cui l'Unione ha deciso di cessare di esercitare la propria.
Il TFUE, all’art. 6, individua un’altra categorie di competenze dell’Unione definita, secondo una nuova previsione del Trattato di Lisbona, di coordinamento. Infatti, in taluni settori e alle condizioni previste nei trattati, l'Unione può svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi alla loro competenza.
10 1.3 Il principio di sussidiarietà.
L’art.5 del NTUE al paragrafo 3 recita : << nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono a motivo della portata e degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione>>.
Il principio, com’è noto, viene enunciato per la prima volta nell’Atto Unico europeocon riferimento alla materia ambientale, con il quale, nel 1986, vennero modificati i Trattati di Roma istituitivi della Comunità economica europea; vi si stabilisce che “la Comunità agisce
in materiaambientale nella misura in cui gli obiettivi… possano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello degli Stati membri”2. La disposizione in parola non fornisce precisi criteri al fine di valutare quando l’azione comunitaria risulti effettivamente necessaria e ciò implica, inevitabilmente, un ampio potere discrezionale delle istituzioni dell’Unione.
Il principio di sussidiarietà ha assunto poi portata generale con il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993, che lo qualifica come principio cardine dell’Unione Europea.
Nell’ordinamento dell’Unione europea il principio costituisce un limite alla possibilità dell’Unione di adottare atti normativi nelle materie che non sono di competenza esclusiva.
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Nelle materie di competenze concorrenti, dunque, l’intervento dell’Unione è, però, subordinato all’accertamento dell’esistenza di elementi specifici: l’insufficienza degli strumenti statali per perseguire l’obiettivo comunitario, il riconoscimento della necessità dell’azione dell’Unione3; le due condizioni non sono necessariamente coincidenti4.
Ne consegue che gli Stati membri mantengono la competenza primaria, nelle materie oggetto di competenza concorrente, rispetto all’azione dell’Unione. L’esercizio di una competenza concorrente da parte dell’Unione per effetto del principio di sussidiarietà, non comporta tuttavia che essa divenga automaticamente esclusiva nella materia in questione e probabilmente neanche definitiva. Tale esercizio, infatti, è consentito soltanto nei limiti indicati dal principio stesso, con riguardo all’obiettivo perseguito e al perdurare delle condizioni che ne giustificano l’esercizio.
Per questo motivo, la sussidiarietà non produce un’alterazione del quadro generale delle competenze attribuite, dal momento che né l’Unione, né gli Stati membri hanno alcuna titolarità esclusiva del loro esercizio; essi quindi non potrebbero invocare alcuna lesione della propria sovranità come conseguenza dell’applicazione del principio stesso.
3 G. Vitale, I principi del regolamento n. 1260/1999. sussidiarietà, partenariato e
addizionalità, in Rivista Giuridica del Mezzogiorno, n. 4/2002, Bologna, pag. 1378
4
Strozzi G., Il principio di sussidiarietà nel futuro dell’integrazione europea. un’incognita e molte aspettative, in Jus –rivista di scienze giuridiche, Milano, 1994, pag. 361
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Il principio di sussidiarietà è perciò configurato più come “limite all’ampliamento delle competenze comunitarie che come mezzo sulla cui base legittimarne l’espansione”5.
L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha posto fine alle divergenze di interpretazione del campo di applicazione della sussidiarietà, grazie ad una delimitazione più precisa dellecompetenze conferite all'Unione. Il principio di sussidiarietà interessa tutte le istituzioni dell'Unione e riveste un'importanza pratica soprattutto nel quadro delle procedure legislative.
Il trattato di Lisbona rafforza il ruolo,rispettivamente, dei parlamenti nazionali e della Corte di giustizia nel controllo del rispetto del principio di sussidiarietà. Oltre ad essere consacrato nei Trattati, il principio in questione è oggetto di trattazione specifica all’interno del Protocollo n.2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Nello specifico, il meccanismo di allerta precoce per il controllo di sussidiarietà, disciplinato nel Protocollo n. 2, consente a ciascun Parlamento nazionale (o Camera) di sollevare obiezioni sulla non conformità con il principio di sussidiarietà di un progetto di atto legislativo, entro otto settimane dalla trasmissione del medesimo progetto nellelingue ufficiali dell’Unione europea. L’obiezione assume la forma di un parere motivato, inviato ai Presidenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, nel quale sono esposte le ragioni per cui si ritiene che il progetto non sia conforme al principio di sussidiarietà. Ciascun Parlamento (o Camera) nazionale può consultare all’occorrenza le Assemblee regionali con poteri legislativi6.
5G.Strozzi, Il principio di sussidiarietà nel futuro dell'integrazione europea:
un'incognita e molte aspettative, in Jus, Rivista di Scienze giuridiche, 3/1994, pp. 359-379.
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Cfr. art. 6 del Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità
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Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione (e, se del caso, il gruppo di Stati membri, la Corte di giustizia, la Banca centrale europea o la Banca europea per gli investimenti, ove il progetto sia stato da essi presentato) tengono conto dei pareri motivati7. Gli ulteriori effetti di un parere motivato variano a seconda del numero di pareri espressi e della procedura decisionale secondo cui il progetto è esaminato.
Qualora i pareri motivati rappresentino almeno un terzo dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali (un quarto, nel caso di proposte relative allo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia), il progetto deve essere riesaminato (cosiddetto ‹‹cartellino giallo››)8. A tal fine, ciascun Parlamento dispone di due voti; mentre, nei sistemi bicamerali, ciascuna delle Camere dispone di un voto9. Al termine del riesame il progetto può essere, con una decisione motivata, mantenuto, modificato o ritirato dalla Commissione europea (o dagli altri autori del progetto). Tale decisione deve essere motivata10.
A tale meccanismo si affianca il cd. “cartellino arancione”. Se sulla proposta si esprime, in negativo (con riferimento alla violazione del principio di sussidiarietà), almeno la maggioranza semplice dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali. In tal caso, se l’organo cui risale l’iniziativa legislativa decide di continuare l’iter mantenendo l’atto, è necessario allegarvi un parere motivato che verrà inviato, insieme ai pareri dei Parlamenti statali, al legislatore europeo.
7
Cfr. art. 7, par. 1, co. 1, Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità
8
Cfr. art. 7, par. 2, co. 1, Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.
9 Cfr. art. 7, par. 1, co. 2, Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità.
10
Cfr. art. 7, par. 2, co. 2, Protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità
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Resta immutata, invece, rispetto a quanto previsto nel Trattato costituzionale, la possibilità per i Parlamenti nazionali di far valere ex post la violazione del principio di sussidiarietà. Il ricorso alla Corte di giustizia può essere presentato anche dal Comitato delle regioni, per la salvaguardia delle proprie prerogative, quando la Costituzione prevede la sua consultazione per l’adozione di atti legislativi. Questa prerogativa del Comitato delle regioni, costituisce, senza dubbio, un importante riconoscimento della necessaria “presenza regionale” nel circuito legislativo e giuridico europeo11, compiendo un ulteriore passo verso il rafforzamento della legittimazione democratica dell’azione dell’Unione.
1.4 Il principio di proporzionalità.
Il secondo principio sul quale si fonda l’esercizio delle competenze dell’Unione è quello di proporzionalità. L’art.5 NTUE al paragrafo 4 prevede che <<il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati>>.
E’ oramai noto come le origini del principio di proporzionalità siano da farsi risalire al diritto tedesco e come sia per il tramite della giurisprudenza della Corte di giustizia che questo principio abbia acquisito un definito ruolo nell’ambito del Trattato quale principio generale di diritto dell’Unione, modulando, assieme alla sussidiarietà con cui si coniuga, l’esercizio delle competenze dell’Unione europea.
Il principio in esame comporta una valutazione circa la congruità dei mezzi impiegati rispetto all’obiettivo perseguito, la congruità del
11
G. D’Ignazio. Le sfide del costituzionalismo multilivello tra il Trattato di Lisbona e le riforme degli ordinamenti decentrati. Giuffrè editore. Ed. 2011 cit. pag. 290
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mezzo al fine, e implica che tali mezzi devono essere limitati a quelli occorrenti per il raggiungimento dell’obiettivo in questione12. Esso ha un campo di applicazione più ampio rispetto al principio di sussidiarietà in quanto opera, quale principio generale dell’ordinamento dell’Unione, in tutti i settori di sua competenza, anche quando esclusiva: concerne tutte le azioni dell’Unione, regola il grado di intensità, la natura dell’azione e la scelta delle misure di intervento.
Anche la scelta del tipo di atto da adottare deve rispondere al principio di proporzionalità: ciò comporta, ad esempio, che se l’Unione può scegliere tra i diversi mezzi di azione nell’esercizio di una sua competenza, dovrà seguire quello che lascia maggiore libertà agli Stati e ai singoli ( preferendo ad esempio lo strumento delle direttive piuttosto che quello dei regolamenti), verificando che la disciplina vincolante emanata non si traduca in un eccesso di regolamentazione13.
Il principio di proporzionalità si traduce inoltre in un vincolo di compatibilità. Certamente proporzionalità e sussidiarietà talora si integrano a vicenda: l’esercizio di una competenza concorrente che non rispetti il principio di sussidiarietà è qualificabile ipso facto come non congrua, indipendentemente da una corrispondenza tra mezzi e fine, se questo può essere raggiunto dagli Stati membri con sufficiente efficacia, lasciando in pari tempo impregiudicate le loro libertà ed esigenze specifiche.
12 U. Villani. Istituzioni di diritto dell’Unione europea. Cacucci Editore S.a.s.,
2013Citpag. 81
13
R. Mastroianni – G. Strozzi. Diritto dell’Unione europea: parte istituzionale. Giappichelli editore, 2013. Cit pag.82
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Nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione europea, il sindacato di proporzionalità è applicato sia alle misure di carattere normativo che alle misure di natura amministrativa adottate dalle istituzioni, organi ed organismi dell’Unione e, in particolare, dalla Commissione14. Tuttavia, solo raramente l’esistenza del vizio di proporzionalità viene positivamente accertato dal giudice dell’Unione con conseguente annullamento dell’atto impugnato.
CAPITOLO II
Gli atti normativi dell’Unione europea
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2.1 Le fonti del diritto dell’Unione europea
L’ordinamento giuridico dell’Unione europea si fonda su un sistema di fonti di produzione del diritto, dovendo intendersi con tale nozione, ogni atto o fatto idoneo a produrre regole giuridiche all’interno dell’ordinamento europeo. Una prima distinzione da compiere all’interno di tale sistema di fonti è tra le fonti di diritto primario e quelle di diritto secondario o derivato.
Costituiscono fonti di diritto primario, i Trattati NTUE e TFUE senza che tra di loro sia determinato un diverso valore giuridico e senza alcuna gerarchia, nonché i principi generali di diritto.
Le fonti di diritto derivato o secondario sono, invece, quelle emanate dalle istituzioni dell’Unione europea sulla base dei poteri loro attribuiti dai Trattati. Gli atti che compongono il diritto dell’Unione europea derivato possono essere suddivisi in due categorie: gli atti
tipici, ossia quelli espressamente previsti e disciplinati dai Trattati e gli atti atipici (non previsti dai Trattati). Nell’ambito della prima categoria
è possibile distinguere ulteriormente gli atti vincolanti, ossia quelli che impongono obblighi a carico dei destinatari, e atti non vincolanti, rispetto ai quali il destinatario è libero di conformarsi o meno all’atto europeo.
Gli atti tipici vincolanti previsti dal TFUE sono rappresentati da
regolamenti, direttive e decisioni; pareri e raccomandazioni costituiscono gli atti tipici non vincolanti.
In ultimo, sempre di più frequente utilizzazione da parte delle istituzioni europee sono gli atti atipici, atti non vincolanti che non rientrano nell’elencazione dell’art. 288 TFUE. Dato il loro carattere
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vario ed estremamente eterogeneo, una loro classificazione sistematica non appare possibile.
2.2. Il diritto primario dell’Unione europea.
Tra le fonti del diritto dell’Unione europea, la posizione di vertice è occupata dai Trattati istitutivi della Comunità Europea del Carbone
edell’Acciaio (1951), della Comunità Economica Europea e della Comunità perl’Energia Atomica (Roma 1957), più volte modificati dal Trattato sull’UE (Maastricht1992), dal Trattato di Nizza (2001) e da
quello di Lisbona (2007).
Ad essi, la Corte di giustizia ha conferito rigidità affermando che non possono essere modificati se non mediante una revisione da effettuarsi ai sensi dell’articolo 48 NTUE che prevede un’articolata procedura15. Anche il TFUE, nel descrivere i poteri attribuiti alla Corte di Giustizia europea(art. 263c. 2), si occupa dei Trattati istitutivi, posto che la Corte può annullare un atto, adottato dalle istituzioni, in caso di violazione delle disposizioni dei Trattati.
Il carattere “primario” di questi strumenti deriva dalla loro natura di veri e propri accordi internazionali e,quindi, dal fatto che si tratta di atti che esprimono la volontà congiunta degli Stati membri. Essi, infatti, vengono conclusi nelle forme dell’accordo internazionale e, solo per il suo tramite, possono essere modificati (art. 48 NTUE).
Con il ricorso al termine “Trattati” si indica, in realtà, un complesso di atti piuttosto vasto comprendente anche i Protocolli e gli Allegati, i quali ne costituiscono parte integrante. Le Dichiarazioni allegate ai
15
A. M. Calamia. Diritto dell’Unione europea. Manuale breve. Giuffrè editore. 2013, Cit. p.114
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Trattati, invece, non sono sottoposte a ratifica da parte degli Stati membri e hanno valore solo di strumenti interpretativi delle disposizioni dei Trattati alle quali direttamente si riferiscono.
Vengono tradizionalmente collocati tra le fonti primarie del diritto dell’Unione europea “i principi generali di diritto”. Sono principi che hanno una valenza particolare, inderogabili e posti a fondamento dell’Unione.
Possono avere una duplice derivazione: normativa o giurisprudenziale. Appartengono alla prima categoria quei principi che trovano espressa affermazione e sostegno in particolari norme del Trattato: così per i principi di non discriminazione, di proporzionalità, dell’efficacia diretta, dell’effetto utile, dell’equilibrio istituzionale. Nella maggior parte dei casi, però, i principi sono frutto dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte di giustizia (il principio della certezza del diritto, il principio del legittimo affidamento dei terzi in buona fede, il diritto ad un giusto processo). Essi costituiscono ormai una fonte non scritta del diritto dell’Unione : la Corte ha svolto dunque una vera e propria funzione normativa o di “legislazione giurisprudenziale”16.
Nell’ambito dei principi di derivazione giurisprudenziale, occorre avanzare una distinzione tra i principi generali di diritto relativi ad ogni sistema giuridico,desunti dagli ordinamenti degli Stati membri e recepiti nell’ordinamento dell’Unione e i principi generali propri del diritto dell’Unione, attinenti in modo specifico a questo ordinamento.
La collocazione dei Trattati e delle altre norme di diritto primario al vertice dell’ordinamento dell’Unione, comporta che essi abbiano
16
R. Mastroianni. G. Strozzi. Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale. Giappichelli editore. Torino 2013, cit. p. 214
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come destinatari tutti i soggetti di questo. Dalla configurazionedei Trattati come istitutivi di un ordinamento giuridico, enunciata nella sentenza Van Gend&Loos resa il 5 febbraio 1963, si riconoscono quali soggetti dell’ordinamento dell’Unione anche gli individui, con la conseguenza che le loro disposizioni sono idonee ad attribuire a quest’ultimi diritti soggettivi. Qualora tali disposizioni abbiano un contenuto chiaro, preciso e incondizionato, esse sono munite di efficacia diretta.
Per quanto riguarda, infine, i criteri interpretativi delle norme dei Trattati, la Corte segue un particolare criterio ermeneutico: il cosiddetto criterio “dell’effetto utile”. Tra le varie interpretazioni possibili, la Corte preferisce quella che consente di raggiungere in modo più completo gli scopi dei Trattati17 .
2.3 Il diritto derivato o secondario dell’Unione europea.
I Trattati prevedono,per la realizzazione dei loro obiettivi, l’emanazione di norme giuridiche da parte delle istituzioni dell’Unione. L’insieme di queste norme costituisce il diritto derivato o secondario dell’Unione europea.
Le fonti del diritto derivato hanno base giuridica nell’art. 288 TFUE, il quale elenca e definisce cinque tipologie di atti, regolamenti, direttive,
decisioni, raccomandazioni e pareri. Nell’ambito di tale categoria è
possibile distinguere tra atti vincolanti e atti non vincolanti.
Costituiscono atti vincolanti del diritto dell’Unione europea derivato il regolamento, la direttiva e la decisione. Occorre, in via preliminare,
17
S. Scarafoni. Il processo civile e la normativa comunitaria. Utet giuridica. 2012 Cfr. p.34
21
ricordare come più volte la Corte di giustizia abbia chiarito che l’identificazione dell’atto, cioè la sua appartenenza all’una o all’altra categoria, non va fatta semplicemente in base al nomeniuris, cioè alla sua denominazione ufficiale, ma in considerazione del suo contenuto e dei suoi caratteri sostanziali.
Fermo restando la diversità di caratteristiche ed effetti tra loro esistenti, gli atti normativi tipici vincolanti dell’Unione sono soggetti ad un regime in linea di principio comune. In primo luogo, l’art. 296 TFUE sancisce l’obbligo di motivazione. Questa va intesa come una formalità sostanziale, la cui omissione o insufficienza comporta l’invalidità dell’atto censurabile ai sensi dell’art. 263 TFUE. Lo scopo di questo requisito sostanziale è diretto, da un lato, a consentire alla Corte stessa di esercitare il proprio controllo, ripercorrendo l’iter logico seguito dalle istituzioni, dall’altro, a far conoscere agli Stati membri e ai singoli le ragioni del provvedimento adottato, anche al fine, eventualmente, di tutelare i propri diritti.
L’indicazione della base giuridica dell’atto, più specificamente, consente di stabilire l’efficacia di tale atto, di valutare la sua legittimità con riguardo ad esempio alla procedura di formazione dell’atto.
Infine, ultimo profilo comune agli atti normativi tipici vincolanti del diritto dell’Unione derivato è il riferimento al profilo dell’efficacia nel tempo. L’art. 297 TFUE impone la pubblicazione sulla Gazzetta
ufficiale degli atti legislativi dell’Unione adottati secondo la procedura
legislativa ordinaria, mentre per quelli adottati secondo la procedura legislativa speciale è sufficiente la notifica ai loro destinatari. L’entrata in vigore è poi prevista il ventesimo giorno dalla loro pubblicazione o dal momento dell’avvenuta notifica.
22 2.4 I regolamenti.
Il regolamento, che l’art 288 TFUE definisce come atto a portata
generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, rappresenta la forma più
completa di normativa dell’Unione.
La definizione operata dall’art. 288 TFUE mette in luce le sue tre caratteristiche: la portata generale, l’obbligatorietà, l’applicabilità diretta.
Il regolamento ha, quindi, portata generale, nel senso che, come ha precisato la Corte, tale atto si rivolge << non già ad un numero limitato di destinatari, indicati espressamente oppure facilmente individuabili, bensì a una o più categorie di destinatari determinate astrattamente e nel loro complesso>>18. Non sono mancati, tuttavia, nella prassi, casi in cui i regolamenti sono stati applicati in modo differenziato nell’ambito dell’Unione,
Il regolamento è poi << obbligatorio in tutti i suoi elementi>>; tale carattere vale a differenziare il regolamento, in maniera netta, dalla direttiva. Tuttavia, tale caratteristica non implica,necessariamente, una completezza di contenuto normativo. Spesso, infatti, accade che si provveda al suo completamento attraverso atti di attuazione. Questi saranno adottati dagli Stati membri o dall’Unione a seconda che sussista un’esigenza di uniformità nell’attuazione.
Il regolamento è, infine, direttamente applicabile nell’ordinamento interno, non necessitando di alcuna attività integrativa da parte
18
Sentenza 14 Dicembre 1962, cause riunite 16 e 17/62,
23
delloStato membro. Conseguenza di quanto appena detto è la loro idoneità a legittimare ilsorgere, immediato e diretto, di diritti e obblighi in capo ai cittadini, con l’eventualesupporto dell’adozione di sole misure d’esecuzione.Il regolamento può produrre sia effetti verticali che orizzontali. Questo è un ulteriore elemento di distinzione dalle direttive che, invece,producono effetti solo verticali, senza regolare direttamente i rapporti tra i singoli.
2.5Le direttive.
La direttiva, ai sensi dell’art. 288 TFUE, è un atto che pone un obbligo di risultato allo Stato membro, il quale ha però discrezionalità quanto alla forma e i mezzi per realizzarlo.
I tre elementi che caratterizzano la direttiva sono: la portata non generale, l’obbligatorietà e l’applicabilità indiretta.
A differenza del regolamento, la direttiva non ha portata generale.Si suole distinguere tra direttive generali, indirizzate a tutti gli Stati membri, e direttive individuali o particolari, indirizzate ad uno o ad alcuni di essi.
La direttiva, in secondo luogo, è espressione di un esercizio di competenze limitato. L’obbligatorietà della direttiva è limitata solo in relazione ai principi giuridici di una determinata materia, lasciando invece agli Stati membri la competenza ad attuare tali principi. Nel modello ideale definito dal Trattato, la direttiva dovrebbe quindi stabilire una sorta di normativa – quadro, che consenta allo Stato di esercitare la propria competenza in relazione alla normativa di
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dettaglio. 19 Ciascuna direttiva indica un termine entro il quale lo Stato o gli Stati devono provvedere ad attuarne gli obblighi.
Molto spesso, l’UE cede alla tentazione di emanare direttive dettagliate (autoesecutiveoself-executing), quelle cioè che contengono una disciplina talmente minuziosa di una certa materia, lasciando sempre più ridotti gli spazi di discrezionalità allo Stato chedeve recepirle e producendo effetti diretti nell’ordinamento giuridico nazionale.
La dottrina è intervenuta al riguardo distinguendo l’ipotesi in cui la direttiva dettagliata dovrebbe essere considerata legittima, il che si verifica quando la direttiva dettagliata venga emanata in una materia che può essere disciplinata indifferentemente con regolamenti, direttive o decisioni, in quanto nell’ordinamento dell’Unione prescinde il nomeniurisdell’atto, rilevando invece il suo contenuto. Diversamente, se si tratta di materia che può essere disciplinata soltanto mediante l’emanazione di una direttiva, si dovrebbe negare la legittimità dell’adozione di direttive dettagliate20.
2.6Le decisioni.
Le decisioni rappresentano la terza categoria di atti delle istituzioni europee disciplinate dall’art. 288 TFUE, il quale le definisce come obbligatorie in tutti i loro elementi e,se designano i destinatari, obbligatorie soltanto nei confronti di questi.
19 E. Cannizzaro. Appunti di diritto dell’Unione europea. il sistema istituzionale e il
sistema normativo. GIAPPICHELLI EDITORE. Torino. 2013. Cfr p. 74
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A. M. Calamia. Diritto dell’Unione europea. Manuale breve. Giuffrè editore. 2013. Cfr. p. 120
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Caratteristica essenziale delle decisioni è rappresentata dalla portata individuale, cioè dalla loro riferibilità ai soli destinatari, siano essi Stati membri o singoli individui. Esse sono,inoltre, direttamente applicabili negli ordinamenti giuridici nazionali, fino al punto di costituire, nel caso in cui impongano obblighi pecuniari, titolo esecutivo da far valere negli Stati membri attraverso le procedure nazionali. Strettamente connesso al carattere dell’obbligatorietà è il problema dell’efficacia delle decisioni, dato che, come gli altri atti delle istituzioni, anch’esse sono destinate a non esaurire i loro effetti nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione europea, ma a produrne anche negli ordinamenti degli Stati membri.
L’art. 288 TFUE,tuttavia, nulla dispone con riferimento all’efficacia delle decisioni negli Stati membri. Questo, probabilmente, dipende dal fatto che l’efficacia non è sempre la medesima, ma varia in rapporto al tipo di decisione considerata. Qualora una decisione s’indirizzi ad un soggetto privato, la conseguenza è di modificaredirettamente la sua posizione giuridica e dunque di esercitare un effetto diretto immediatonei confronti sia del destinatario e sia di chi vi ha interesse. Nel caso, invece, in cui ildestinatario sia uno Stato, saranno le disposizioni di attuazione statali a creare diritti eobblighi in capo ai soggetti di diritto.
2.7Gli atti non vincolanti del diritto dell’Unione europea derivato.
L’art. 288 TFUE menziona due tipi di atti che non hanno efficacia vincolante: le raccomandazioni e i pareri.
Secondo una distinzione approssimativa, le raccomandazioni rappresentano una manifestazione di volontà con cui l’istituzione
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emanante chiede al destinatario di tenere la condotta raccomandata, mentre i pareri sono di solito lo strumento attraverso cui una istituzione fa conoscere la propria valutazione su una determinata questione o su un determinato atto.
Le raccomandazioni ed i pareri non sono sottoposti ad alcuna forma particolare, ad eccezione per alcuni pareri, per i quali il Trattato prevede una motivazione espressa. Possono avere come destinatari sia gli Stati membri che le singole persone fisiche o giuridiche o le altre istituzioni.
Anche se per espressa previsione del TFUE si tratta di atti sprovvisti di efficacia vincolante, la Corte di giustizia nella sentenza Grimaldi del 13 Dicembre del 1989, ha dichiarato,sul piano generale, che le raccomandazioni sono produttive di un effetto giuridico, consistente nel dovere dei giudici nazionali di prenderle in considerazione ai fini della soluzione delle controversie ad esse sottoposte, in particolare quando esse sono di aiuto nell’interpretazione di norme nazionali.
Sembra corretto attribuire anche alle raccomandazioni dell’Unione l’effetto giuridico cd. di liceità, generalmente riconosciuto alle organizzazioni internazionali. Tale effetto consiste nel rendere lecito un comportamento che, in assenza della raccomandazione, sarebbe illecito perché contrario ad un obbligo giuridico.
Per quanto riguarda i pareri, va osservato che ,malgrado l’assenza di obbligatorietà, specifiche disposizioni del Trattato prevedono conseguenze giuridiche in caso di inosservanza. Un caso particolare è quello dei pareri emessi dalla Commissione nei casi previsti dagli artt. 258 e 259, qualora si reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati. E’ frequente che sotto il nomeniurisdi pareri,si celino atti di diversa natura, quale
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ad esempio una decisione, idonea ad incidere sulla sfera giuridica del destinatario.
2.8Gli atti atipici
Nel corso degli anni, le istituzioni dell’Unione europea hanno sviluppato strumenti di intervento non previsti dai Trattati, il cui valore giuridico non è certo, anche se non sono del tutto privi di effetti.
Tali atti adottabili dall’Unione europea sono denominati atipici, in quanto non figurano nella nomenclatura dell’art. 288 TFUE, ma trovano le loro basi in altre disposizioni del Trattato o sono derivati della pratica istituzionale . Essi comprendono una varietà di figure, la cui portata si ricava di volta in volta sulla base del loro contenuto e delle loro caratteristiche.
Data il carattere estremamente eterogeneo degli atti atipici, una loro classificazione sistematica non appare possibile. Ne sono esempio gli accordi interistituzionali, che appaiono come una manifestazione del principio di leale cooperazione tra le istituzioni e la cui efficacia è quella di strumenti di autodisciplina per le istituzioni, in particolare nei settori legislativi e di bilancio. Ad essi è oggi dedicato un apposito articolo del TFUE. Secondo l’art. 295, infatti, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione possono concludere, al fine di definire di comune accordo le modalità di una reciproca collaborazione in settori delle loro relazioni, accordi interistituzionali.
E’ sempre più frequente l’adozione da parte del Consiglio di <<conclusioni>> o <<risoluzioni>>, che hanno un carattere politico più che giuridico, ma che possono incidere sulle procedure legislative.
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L’importanza politica di tali atti consiste nel fatto che l’istituzione preannuncia le possibili linee di sviluppo di una successiva attività normativa dell’Unione.
Un’ulteriore categoria di atti atipici è rappresentata dalle Comunicazioni, aventi un contenuto informativo, decisorio o interpretativo. Le prime sono indirizzate dalla Commissione al Consiglio e/o al Parlamento europeo su un determinato tema e destinate ad alimentare un dialogo interistituzionale. Quelle aventi contenuto decisorio sono emanati dalla Commissione per precisare quali sono i propri orientamenti in merito ad una determinata materia. Infine, attraverso le comunicazioni interpretative, la Commissione, in quanto custode del diritto dell’Unione, fa conoscere agli Stati e ai singoli, le evoluzioni della giurisprudenza relative ad un determinato settore.
Vi sono, poi, degli atti previsti nominativamente da disposizione dei Trattati, corrispondenti al nomeniuris degli atti previsti dall’art. 288 TFUE, ossia decisioni, direttive, regolamenti, ma non ne condividono il contenuto e soprattutto hanno caratteri ed effetti radicalmente diversi. I regolamenti interni e i regolamenti di procedura , ad esempio, hanno un effetto vincolante ma riguardano la sola istituzione cui sono destinati. Le direttive interne, contrariamente alle direttive che rientrano nella nomenclatura dell’art. 288, sono vincolanti solo nel quadro delle relazioni tra le istituzioni.
Va da sé come la categoria degli atti atipici non possa mai alterare il contenuto dei Trattai istitutivi e sono soggette a tutte le procedure di controllo previste dai Trattati. La Corte di giustizia è chiamata a giudicare i vizi di tale atti derivanti dall’incompetenza, quando l’istituzione che ha emanato l’atto non poteva farlo, per violazione
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delle forme sostanziali o violazione del Trattato e delle norme giuridiche relative alla sua applicazione e infine per sviamento di potere21.
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F. Carinci – A. Pizzoferrato. Diritto del lavoro dell’Unione europea. UTET GIURIDICA. 2010. Cit. p.83
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CAPITOLO III
L’adattamento dell’ordinamento nazionale
all’ordinamento giuridico europeo
3.1 L’adattamento dell’ordinamento italiano ai Trattati istitutivi delle Comunità.
Con l’espressione “adattamento” al diritto dell’Unione europea ci si riferisce al modo in cui le fonti di diritto dell’ordinamento giuridico europeo entrano a far parte dei singoli ordinamenti degli Stati membri.
La partecipazione degli Stati agli organismi internazionali cui fanno capo tali ordinamenti, determina obblighi di adattamento degli ordinamenti nazionali, per consentire agli Stati stessi il rispetto degli impegni internazionalmente assunti. Ogni esigenza di adeguamento a norme internazionali, soddisfatta mediante ricezione diretta, indiretta o con altri procedimenti idonei, determina, altresì, un problema di “rapporti” tra le norme così introdotte o emanate nell’ordinamento statale e quelle già presenti nel medesimo ordinamento o successivamente introdotte in applicazione delle consuete esigenze normative.
Tali problemi acquistano massima rilevanza con riferimento all’ordinamento dell’Unione, per l’ampiezza delle competenze attribuite.
La definizione dei rapporti intercorrenti tra l’ordinamento dell’Unione e l’ordinamento giuridico italiano è uno dei problemi più delicati e complessi che hanno accompagnato il cammino del nostro Paese verso l’integrazione europea.
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All’interno del sistema delle fonti del diritto dell’Unione europea si opera una fondamentale distinzione tra le fonti di diritto primario e quelle di diritto derivato.
Per quanto riguarda l’adattamento ai Trattati istitutivi delle Comunità, per lungo tempo il punto cruciale della questione è derivato, per l’essenziale, dalla circostanza che l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione dei Trattati istitutivi CEE ed Euratom sono stati dati con legge ordinaria22, probabilmente a causa della difficoltà di reperire la maggioranza parlamentare richiesta per una legge costituzionale. Ciò significa che le norme dei Trattati comunitari, comprese le modifiche convenzionali intervenute successivamente, nonché le norme derivate, emanate secondo meccanismi di produzione ivi previsti, assumevano rango di legge ordinaria, e come tale, soggetta all’applicazione dei consueti canoni ermeneutici di interpretazione, potendosi così dar luogo alla sua eventuale abrogazione o modificazione ad opera di altre leggi ordinarie, ad esempio successive.
Questa soluzione ha, tuttavia, sollevato dei dubbi in dottrina, dal momento che molti ritenevano che le limitazioni di sovranità derivanti dall’appartenenza all’Unione europea potessero essere introdotte solo attraverso apposita norma costituzionale. Per questo motivo, alcuni Stati membri hanno scelto di introdurre un’apposita norma costituzionale atta a giustificare trasferimenti di sovranità e la superiorità del diritto dell’Unione ( come il nuovo art. 23 della Legge fondamentale tedesca, l’art. 88 della Costituzione francese o l’art. 93 della Costituzione spagnola).
Data la mancanza di siffatta norma costituzionale, la nostra Corte Costituzionale ha provveduto a creare una laboriosa e complessa
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giurisprudenza, tentando di offrire una soluzione alla questione relativa ai rapporti con l’ordinamento comunitario (oggi dell’Unione). Di fronte all’incalzare del fenomeno dell’integrazione europea e delle conseguenti affermazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Corte Costituzionale e la Corte europea hanno dato luogo ad una sorta di dialogo, mediante successive sentenze, avvicinando le rispettive posizioni, fino a modificare radicalmente l’accennata prassi italiana.
La Corte Costituzionale nel caso Costa-Enel 23, sulla questione ha affermato che il ricorso alla legge ordinaria per il recepimento dei Trattati comunitari, trova giustificazione nell’articolo 11 della nostra Costituzione, secondo cui l’Italia “ consente, in condizioni di parità con
gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Questa
norma, secondo la Corte, non si limita a consentire le limitazioni di sovranità, ma riveste anche carattere procedurale, consentendo che dette limitazioni possono essere adottate senza procedere ad una revisione costituzionale.
Il riconoscimento della possibilità di dare esecuzione ai Trattati mediante legge ordinaria, ha comportato tuttavia problemi non di poco conto.
Fin dalla citata sentenza del 1964, la Corte Costituzionale ha infatti ritenuto applicabile anche alle leggi di ratifica dei Trattati comunitari il principio espresso nel brocardo latino “lexposteriorderogat anteriori”. Tale principio era in grado di risolvere agevolmente l’eventuale conflitto quando la norma interna configgente fosse stata anteriore alla norma comunitaria: quest’ultima prevaleva semplicemente in virtù della sua forza di legge ordinaria che le derivava dalla legge di
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esecuzione dei Trattati istitutivi. Il problema diventava invece piuttosto delicato nell’ipotesi opposta, quando la norma interna confliggente fosse stata successiva alla norma costituzionale, poiché in virtù del suddetto principio, quest’ultima era destinata a soccombere.
Questa impostazione è stata contrastata immediatamente dalla Corte di Giustizia, che ha sottolineato la posizione di superiorità delle norme comunitarie rispetto a quelle nazionali. Nella sentenza 15 Luglio 1964, causa 6/64, si legge infatti che <<Istituendo una Comunità senza limiti
di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale, ed in specie di poteri effettivi, provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e loro stessi>>.
Il principio del primato, affermato nella sentenza della Corte, è assoluto e si applica rispetto ad ogni norma interna, indipendentemente dal suo rango. Eventuali pretese avanzate dagli Stati, nell’intento di far prevalere i propri principi costituzionali sull’ordinamento dell’Unione, rappresentano un elemento disgregatore dell’Unione europea e sono contrarie al principio di adesione, affermato dalla Corte di giustizia nelle sentenza “Costa
Enel”.
Sulla questione, la modifica dell’art 117 Cost., introdotta dalla legge costituzionale 3/2001, che si limita a stabilire che “ la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, non ha determinato
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alcuna modifica di carattere “procedurale” per consentire limitazioni di sovranità.
3.2 L’adattamento al diritto derivato
L’adattamento alle fonti derivate del diritto europeo si configura in maniera diversa a seconda del tipo di atto dell’Unione cui appartengono le disposizioni che debbono essere applicate, cioè tra regolamento, direttiva e decisione.
Posto che i regolamenti e le decisioni non necessitano di una norma interna di attuazione, salvo diversa previsione dell’atto stesso, il problema dell’adattamento al diritto europeo derivato, riguarda essenzialmente le direttive, che imponendo agli Stati destinatari il conseguimento di un certo risultato, lo lasciano libero di scegliere forme e mezzi idonei a tal fine.
L’art 288 TFUE, nel sancire la definizione delle direttive, prescrive la necessità di adottare provvedimenti nazionali idonei a recepire tale fonte, onde attuare l’obiettivo dalla stessa posto. Le direttive contengono solitamente un termine entro il quale lo Stato deve dare loro attuazione. Tuttavia accade sovente, specie nel nostro ordinamento, che si verifichino ritardi considerevoli in tale adempimento: lo Stato italiano è stato più volte convenuto dinanzi alla Corte di Giustizia per mancata ottemperanza alle prescrizioni dell’Unione.
In Italia, per cercare di ovviare a tale situazione di cronica inadempienza, in un primo momento il loro recepimento è avvenuto attraverso il ricorso ad una legge con cui il Parlamento delegava il Governo ad emanare decreti legislativi di attuazione delle norme
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comunitarie, oggi europee, strumento questo che richiedeva tempi eccessivamente lunghi.
Successivamente, con la legge 9 Marzo 1989, n. 86 nota come legge “la Pergola” è stata introdotta una specifica procedura per velocizzare i tempi di attuazione degli atti comunitari. E’ stata prevista,infatti, l’approvazione annuale, da parte del Parlamento, di un disegno di legge del Governo (c.d. Legge Comunitaria) contenente l’indicazione delle direttive e degli altri atti europei che dovevano essere recepiti nell’ordinamento nazionale.
La legge comunitaria poteva contenere essa stessa norme di adattamento agli obblighi europei, oppure conferire al Governo una delega legislativa ai sensi dell’art 76 della Costituzione o ancora dettare disposizioni che autorizzavano il Governo ad emanare un regolamento di attuazione delle direttive europee, purchè esse riguardassero materie di competenza statale esclusiva e non coperte da riserva assoluta di legge24.
Nonostante i ritardi verificatisi nell’emanazione delle leggi comunitarie, tale strumento periodico di adeguamento ha consentito di recuperare molti inadempimenti e di porre lo Stato italiano in una situazione di maggiore ottemperanza agli obblighi europei. Peraltro, si è anche verificato che, in casi di urgenza o in ragione della specificità della materia, in alcuni casi, l’adempimento degli obblighi in questione ha avuto luogo con provvedimenti normativi, definiti “salva-infrazioni” estranei al meccanismo delle leggi comunitarie annuali: è il caso ad esempio del decreto legge 8 aprile 2008, n. 5925,
24 Addenda di aggiornamento alla L. n. 234//2012 A.M. Calamia. Diritto dell’Unione
europea. Manuale breve. Cit. p.2
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Il decreto è stato convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2008 n. 101
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recante disposizioni finalizzate a porre termine ad alcune procedure di infrazione avviate contro l’Italia.
La legge la Pergola è stata sostituita dalla legge 4 Febbraio 2005 n.11 (cosiddetta legge Buttiglione), recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi “comunitari”, che ha confermato lo strumento della legge comunitaria. Tra le novità introdotte dalla legge vi è il riconoscimento al Governo delle facoltà di adottare “provvedimenti, anche urgenti, necessari a fronte di atti
normativi e di sentenze degli organi giurisdizionali dell’Unione europea che comportano obblighi statali di adeguamento solo qualora la scadenza risulti anteriore alla data di presunta entrata in vigore della legge comunitaria relativa all’anno in corso” (art. 10 comma 1).
In sostanza la norma consentiva al Governo, anche in assenza di una delega al Parlamento, di adottare decreti legge o atti amministrativi per adeguare l’ordinamento italiano agli obblighi europei, che dovevano essere attuati entro un termine anteriore alla presumibile entrata in vigore della legge comunitaria annuale.
La legge “Buttiglione” è oggi abrogata e sostituita dalla l. n 234/2012, recante “norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea” (pubbl. in GU – Serie gen., n. 3 del 4 Gennaio 2013).
L’ambito di applicazione della legge n.234 del 2012, in realtà, è molto più ampio rispetto alle precedenti, trattandosi di un articolato provvedimento di carattere generale finalizzato a disciplinare il processo di formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti dell’Unione europea ( c.d fase ascendente), nonché garantire l’adempimento degli obblighi derivanti
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dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (c. d. fase discendente).
Il provvedimento stabilisce il nuovo quadro generale per l’intervento del Parlamento, del Governo, delle Regioni e degli altri attori istituzionali ai fini della formazione della posizione italiana nella fase di predisposizione degli atti e delle politiche dell’Unione europea e dell’adempimento degli obblighi derivanti dall’ordinamento europeo. Costituisce una delle più importanti riforme di sistema della XVI Legislatura ed è frutto dell’iniziativa legislativa parlamentare e del lavoro svolto dalle Commissioni per le politiche dell’Unione europea di Camera e Senato. I motivi di questo intervento normativo sono connessi all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, in particolare ai nuovi poteri di intervento del Parlamento nel processo decisionale europeo, e all’esigenza di una più tempestiva attuazione degli obblighi , europei. Il provvedimento appare, però anche volto a porre rimedio a lacune e carenze strutturali del sistema Italia sul processo di formazione e di attuazione delle politiche europee manifestate già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Dunque, l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha contribuito ad accrescere la consapevolezza dell’urgenza di un adeguamento delle procedure nazionali in relazione alle nuove prerogative espressamente conferite ai Parlamenti nazionali, in quanto vi è un rafforzamento delle funzioni di indirizzo e di controllo di ciascuna assemblea nazionale sull’azione del rispettivo governo nelle sedi decisionali europee. Quest’ esercizio di un controllo parlamentare diviene un “contrappeso” necessario per assicurare la legittimazione democratica dell’intero sistema.
La legge si compone di ben 61 articoli, divisi in nove capi, che comprendono disposizioni organizzative, norme sul processo di formazione “ascendente” del diritto europeo con disposizioni
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riguardanti la partecipazione a tale processo da parte del Parlamento, delle Regioni, degli enti del sistema delle autonomie e delle parti sociali, disposizioni riguardanti il contenzioso e gli aiuti di Stato, nonché le regole generali sull’attuazione del diritto europeo.
Rispetto alla fase ascendente, la legge n. 234 del 2012 sembra muoversi in una direzione di rafforzamento del principio democratico, attraverso un maggior coinvolgimento delle Camere e degli enti territoriali nell’elaborazione degli atti dell’Unione.
L’art. 3 della legge in commento prevede espressamente che il Parlamento partecipi al processo decisionale dell’Unione europea intervenendo, in coordinamento con il Governo, nella fase di formazione delle normative e delle politiche europee, secondo quanto previsto dal Trattato sull’Unione europea e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Ai sensi dell’ art. 4 e ss. della legge si richiede innanzitutto al Governo di svolgere una costante, qualificata e tempestiva attività di informazione e consultazione delle Camere, in modo da consentire a quest’ultime di condizionare l’attività svolta dal primo nelle sedi istituzionali dell’Unione. Ciò vale, in primo luogo, rispetto alla posizione che il Governo intende assumere nelle riunioni del Consiglio europeo e nel Consiglio dell’Unione.
L’informazione delle Camere deve poi essere assicurata anche per le iniziative o questioni relative alla politica estera e di difesa comune. Lo stesso vale, infine, per le procedure di conclusione di accordi in materia finanziaria o monetaria. Inoltre, alle Camere vengono trasmessi dal Presidente del Consiglio dei Ministri i progetti normativi presentati dalle istituzioni europee, le loro modificazioni, nonché i documenti preordinati alla loro formazione.
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L’art 9, concernente la partecipazione delle Camere al dialogo politico con le istituzione dell’Unione europea, prevede che, fatta salva la procedura di allerta precoce per la valutazione di sussidiarietà, le Camere possano far pervenire alle istituzione dell’Unione europea e contestualmente al Governo, ogni documento utile alla definizione delle politiche europee, tenendo conto anche di eventuali osservazioni e proposte formulate dai consigli regionali e dalle Province autonome.
Sul versante governativo, è stato istituito con l’art. 2 della legge in questione, il Comitato interministeriale per gli affari europei (CIAE), con il compito di concordare le linee politiche del Governo nel processo di formazione degli atti dell’Unione, nonché di coordinarle con i pareri espressi dal Parlamento nelle medesime materie. Il CIAE è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, convocato e presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro per gli affari europei.
Il capo II della legge si conclude con una serie di disposizioni di contenuto più puntuale. Esse concernono, tra l’altro, la partecipazione delle Camere alle procedure semplificate di modifica di norme dei Trattati. Infine, gli obblighi di informazione delle Camere in capo al Governo si estendono anche alle procedure giurisdizionali e di pre – contenzioso riguardanti l’Italia.
La ”fase discendente”, ossia la fase di attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, è invece oggetto del capo VI della legge n.234 del 2012, rubricato “adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”, nel quale l’art. 29 prevede le nuove “legge di delegazione europea” e “legge europea”, definizioni queste che si utilizzano in sostituzione della ora superata “legge comunitaria”annuale.
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Ai sensi dell’art 29, quarto comma, il Governo presenta al Parlamento non più uno, come nella disciplina precedente, bensì due disegni di legge annuali. Il primo, da presentare entro il 28 Febbraio di ogni anno26, reca il titolo di “ Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea”. Il secondo è rappresentata dalla c.d. “legge europea”.
La legge 234/2012 ha previsto che la “legge di delegazione” sia finalizzata esclusivamente all’attuazione delle direttive e delle decisioni quadro da recepire nell’ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei.
La legge di delegazione annuale contiene anche: disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell’ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all’Italia dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 258 TFUE o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea; delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione, come previsto dall’art 33 della Legge; delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle Regioni e delle Province autonome, conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell’Unione europea recepite dalle Regioni e dalla Province autonome; disposizioni che individuano i principi fondamentali nel cui rispetto le Regioni e le Province autonome esercitano la propria competenza
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Non è esclusa l’adozione di una seconda legge di delegazione nel medesimo anno, qualora se ne dovesse presentare la necessità (art. 29, ottavo comma).
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normativa per attuare gli atti eurounitari nelle materie di cui all’art. 117, terzo comma. Cost.; delega legislativa al Governo per l’adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi attuativi di direttive comunitarie.
Nel caso di ulteriori necessità di adempimento di direttive, un secondo disegno di legge di delegazione europea può essere presentato entro il 31 Luglio di ogni anno.
La legge europea, anch’essa di cadenza annuale, ma per la quale non è previsto un termine specifico di presentazione del relativo disegno di legge, è finalizzata essenzialmente ad adottare interventi di “attuazione diretta” del diritto dell’Unione. (art. 30, terzo comma). Essa contiene disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d’infrazione avviate dalla commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea; disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l’applicazione di atti dell’Unione europea; disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai Trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazione esterne dell’Unione europea; disposizioni emanate nell’ambito del potere sostitutivo di cui all’art. 117, quinto comma, della Costituzione. 27
Va ricordato che il potere sostituivo si configura come potere eccezionale, in virtù del quale un soggetto o un organo gerarchicamente superiore oppure investito di una funzione di controllo nei confronti di altri soggetti, provvede in caso di persistente
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R. Mastroianni – G. Strozzi, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale. Giappichelli, Torino. Sesta edizione. Cit. p.462