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L’adattamento dell’ordinamento italiano ai Trattati istitutivi delle Comunità.

L’adattamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento giuridico europeo

3.1 L’adattamento dell’ordinamento italiano ai Trattati istitutivi delle Comunità.

Con l’espressione “adattamento” al diritto dell’Unione europea ci si riferisce al modo in cui le fonti di diritto dell’ordinamento giuridico europeo entrano a far parte dei singoli ordinamenti degli Stati membri.

La partecipazione degli Stati agli organismi internazionali cui fanno capo tali ordinamenti, determina obblighi di adattamento degli ordinamenti nazionali, per consentire agli Stati stessi il rispetto degli impegni internazionalmente assunti. Ogni esigenza di adeguamento a norme internazionali, soddisfatta mediante ricezione diretta, indiretta o con altri procedimenti idonei, determina, altresì, un problema di “rapporti” tra le norme così introdotte o emanate nell’ordinamento statale e quelle già presenti nel medesimo ordinamento o successivamente introdotte in applicazione delle consuete esigenze normative.

Tali problemi acquistano massima rilevanza con riferimento all’ordinamento dell’Unione, per l’ampiezza delle competenze attribuite.

La definizione dei rapporti intercorrenti tra l’ordinamento dell’Unione e l’ordinamento giuridico italiano è uno dei problemi più delicati e complessi che hanno accompagnato il cammino del nostro Paese verso l’integrazione europea.

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All’interno del sistema delle fonti del diritto dell’Unione europea si opera una fondamentale distinzione tra le fonti di diritto primario e quelle di diritto derivato.

Per quanto riguarda l’adattamento ai Trattati istitutivi delle Comunità, per lungo tempo il punto cruciale della questione è derivato, per l’essenziale, dalla circostanza che l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione dei Trattati istitutivi CEE ed Euratom sono stati dati con legge ordinaria22, probabilmente a causa della difficoltà di reperire la maggioranza parlamentare richiesta per una legge costituzionale. Ciò significa che le norme dei Trattati comunitari, comprese le modifiche convenzionali intervenute successivamente, nonché le norme derivate, emanate secondo meccanismi di produzione ivi previsti, assumevano rango di legge ordinaria, e come tale, soggetta all’applicazione dei consueti canoni ermeneutici di interpretazione, potendosi così dar luogo alla sua eventuale abrogazione o modificazione ad opera di altre leggi ordinarie, ad esempio successive.

Questa soluzione ha, tuttavia, sollevato dei dubbi in dottrina, dal momento che molti ritenevano che le limitazioni di sovranità derivanti dall’appartenenza all’Unione europea potessero essere introdotte solo attraverso apposita norma costituzionale. Per questo motivo, alcuni Stati membri hanno scelto di introdurre un’apposita norma costituzionale atta a giustificare trasferimenti di sovranità e la superiorità del diritto dell’Unione ( come il nuovo art. 23 della Legge fondamentale tedesca, l’art. 88 della Costituzione francese o l’art. 93 della Costituzione spagnola).

Data la mancanza di siffatta norma costituzionale, la nostra Corte Costituzionale ha provveduto a creare una laboriosa e complessa

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giurisprudenza, tentando di offrire una soluzione alla questione relativa ai rapporti con l’ordinamento comunitario (oggi dell’Unione). Di fronte all’incalzare del fenomeno dell’integrazione europea e delle conseguenti affermazioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, la Corte Costituzionale e la Corte europea hanno dato luogo ad una sorta di dialogo, mediante successive sentenze, avvicinando le rispettive posizioni, fino a modificare radicalmente l’accennata prassi italiana.

La Corte Costituzionale nel caso Costa-Enel 23, sulla questione ha affermato che il ricorso alla legge ordinaria per il recepimento dei Trattati comunitari, trova giustificazione nell’articolo 11 della nostra Costituzione, secondo cui l’Italia “ consente, in condizioni di parità con

gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Questa

norma, secondo la Corte, non si limita a consentire le limitazioni di sovranità, ma riveste anche carattere procedurale, consentendo che dette limitazioni possono essere adottate senza procedere ad una revisione costituzionale.

Il riconoscimento della possibilità di dare esecuzione ai Trattati mediante legge ordinaria, ha comportato tuttavia problemi non di poco conto.

Fin dalla citata sentenza del 1964, la Corte Costituzionale ha infatti ritenuto applicabile anche alle leggi di ratifica dei Trattati comunitari il principio espresso nel brocardo latino “lexposteriorderogat anteriori”. Tale principio era in grado di risolvere agevolmente l’eventuale conflitto quando la norma interna configgente fosse stata anteriore alla norma comunitaria: quest’ultima prevaleva semplicemente in virtù della sua forza di legge ordinaria che le derivava dalla legge di

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esecuzione dei Trattati istitutivi. Il problema diventava invece piuttosto delicato nell’ipotesi opposta, quando la norma interna confliggente fosse stata successiva alla norma costituzionale, poiché in virtù del suddetto principio, quest’ultima era destinata a soccombere.

Questa impostazione è stata contrastata immediatamente dalla Corte di Giustizia, che ha sottolineato la posizione di superiorità delle norme comunitarie rispetto a quelle nazionali. Nella sentenza 15 Luglio 1964, causa 6/64, si legge infatti che <<Istituendo una Comunità senza limiti

di durata, dotata di propri organi, di personalità, di capacità giuridica, di capacità di rappresentanza sul piano internazionale, ed in specie di poteri effettivi, provenienti da una limitazione di competenza o da un trasferimento di attribuzioni degli Stati alla Comunità, questi hanno limitato, sia pure in campi circoscritti, i loro poteri sovrani e creato quindi un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e loro stessi>>.

Il principio del primato, affermato nella sentenza della Corte, è assoluto e si applica rispetto ad ogni norma interna, indipendentemente dal suo rango. Eventuali pretese avanzate dagli Stati, nell’intento di far prevalere i propri principi costituzionali sull’ordinamento dell’Unione, rappresentano un elemento disgregatore dell’Unione europea e sono contrarie al principio di adesione, affermato dalla Corte di giustizia nelle sentenza “Costa

Enel”.

Sulla questione, la modifica dell’art 117 Cost., introdotta dalla legge costituzionale 3/2001, che si limita a stabilire che “ la potestà

legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, non ha determinato

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alcuna modifica di carattere “procedurale” per consentire limitazioni di sovranità.

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