L’adattamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento giuridico europeo
4.6 La responsabilità dello Stato – amministratore.
La responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto dell’Unione può sorgere oltre che nei casi in cui detta violazione sia ascrivibile ad organi del potere legislativo o ad organi del potere giudiziario, anche nel caso in cui la trasgressione sia imputabile ad atti riconducibili alla pubblica amministrazione. Può accadere che un atto amministrativo possa opporsi direttamente ad una norma europea immediatamente applicabile oppure può verificarsi un’ipotesi di contrasto mediato, attraverso l’attuazione in via amministrativa di una norma italiana difforme dal diritto dell’Unione europea, e come tale disapplicabile.
Nell’ambito della prima categoria, la prima ipotesi consiste nella violazione diretta, non mediata da fonti interne, ravvisabile quando l’amministrazione adotti un atto in diretto contrasto con la norma sovraordinata e auto-esecutiva. Tale può essere il caso della violazione di un regolamento, perché direttamente applicabile e vincolante in ogni suo elemento, oppure il contrasto immediato con direttive auto-esecutive. Nell’ambito della seconda categoria, essa ricomprende le ipotesi in cui l’amministrazione emani un atto conforme ad una norma interna contrastante con una norma comunitaria, direttamente applicabile. Rispetto all’invalidità c.d. “diretta”, quest’ultima tipologia non implica una violazione né un autonomo vizio dell’atto, presupponendo anzi il rispetto del parametro di legittimità statale: il contenuto lesivo deve ricondursi quindi alla fonte normativa interna, e l’illegittimità può qualificarsi come “derivata”o indiretta. È questo, per esempio, il caso della direttiva non correttamente recepita da norma nazionale da cui sia derivato un atto amministrativo, a sua volta, parzialmente contrastante con la disciplina europea.
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In relazione ai soggetti responsabili, le sentenze Brasserie duPêcheur e
Factortame e infine la sentenza Lomas hanno quindi chiarito che la
responsabilità di uno Stato membro per violazione del diritto eurounitario può sorgere anche a seguito dell’espletamento di attività amministrativa. Come più volte ribadito, lo Stato, inteso quale soggetto passivo dell’onere risarcitorio, va considerato nella sua unità, senza che sia necessario verificare se il fatto causativo del danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo.
Ne deriva che sarà configurabile una responsabilità dello Stato – Pubblica Amministrazione quando un atto amministrativo sia contrario a norma europea che conferisca diritti ai singoli, la cui violazione sia grave, manifesta e legata al danno da un nesso di causalità. La Corte di Giustizia, quindi, comincia a diffondere la propria peculiare visione di “apparato statale”, inteso come interlocutore unitario, nonostante la diversità delle varie articolazioni interne che possano ledere il diritto dell’Unione. I soggetti pubblici, tenuti al rispetto dell’ordinamento europeo, vanno considerati nel loro insieme, senza che si tenga conto della ripartizione interna delle loro competenze.
Con la già citata sentenza Haim, la Corte di Giustizia, pur considerando lo Stato come unico interlocutore delle Istituzioni europee e unico soggetto responsabile, anche per gli atti degli Stati federati o degli enti locali, ha riconosciuto, a questi ultimi, un’eventuale responsabilità aggiuntiva, di cui rimane incerta la natura solidale o sussidiaria. Qualsiasi ente pubblico può essere chiamato a rispondere di una violazione del diritto europeo, da solo o in aggiunta alla responsabilità di uno Stato membro. Secondo la Corte, nello specifico, <<il diritto comunitario non osta a che la responsabilità gravante su un ente di diritto pubblico di risarcire i danni provocati ai
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singoli da provvedimenti da esso adottati in violazione del diritto comunitario possa sorgere oltre a quella dello Stato membro stesso79>>. La Corte, in un quadro così delineato, sembra che abbia operato un progressivo riconoscimento del «decentramento delle responsabilità» per i danni causati da soggetti istituzionali diversi dallo Stato, con la conseguente configurazione di un rapporto di solidarietà nell’obbligo risarcitorio tra tali enti e lo Stato di appartenenza; in particolare, l’ammissione della capacità per altri soggetti di essere responsabili accanto, o più precisamente in aggiunta, allo Stato, sembra individuare una responsabilità sussidiaria dal punto di vista del diritto dell’UE che risulta, però, rovesciata nella prospettiva del diritto nazionale80. Pertanto, è possibile sostenere che, nell’ordinamento interno saranno in primo luogo gli enti autonomi a rispondere degli illeciti commessi, e soltanto in un secondo momento, a garanzia del debito e, dunque, dell’effettività dei diritti sanciti a livello europeo, potrebbe intervenire lo Stato.
Un’ulteriore sentenza chiave in questo campo è la Hedley Lomas del 1996 , avente ad oggetto proprio l’insorgenza della responsabilità dello Stato per una violazione derivante da atto amministrativo, la Corte ha vagliato un diniego di autorizzazione da parte dell’amministrazione britannica, reputandolo lesivo perché non rispettoso della direttiva invocata dall’amministrazione in causa e direttamente violativo, nella fattispecie, di una norma del Trattato. La Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla risarcibilità del danno cagionato al privato, ha richiamato le considerazioni espresse nel caso Brasserie, ricognitivo della violazione
79Punto 34 della su citata sentenza
80 Cfr. M. SIMONCINI, Funzionari ribelli e diritto comunitario: nuovi approfondimenti
in materia
di responsabilità extracontrattuale degli Stati membri, in RIDPC, 2007, pp. 1336- 1351.
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del diritto comunitario da parte di uno Stato in settori in cui si disponga di un ampio potere discrezionale per attuare scelte normative. Nel caso di specie, il carattere assolutamente vincolato del potere si compensa, secondo la Corte di Giustizia, con la violazione in sé del diritto europeo, ritenendosi così comunque integrato il requisito di grave e manifesta violazione del diritto europeo. In sostanza, la Corte ha campo libero per estendere alla fattispecie della violazione in sede amministrativa del diritto europeo le conclusioni già raggiunte rispetto agli atti normativi: quando l’amministrazione nazionale non dispone di margini significativi di discrezionalità nell’applicare il diritto europeo, la mera trasgressione del diritto europeo può bastare per l’accertamento una violazione “sufficientemente” grave e manifesta. Tale posizione della Corte conferma come l’obbligo di risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni di diritto dell’Unione Europea rivesta un carattere generale e non può dipendere da norme interne sulle ripartizione delle competenze, ed inoltre è del tutto coerente al fatto che tutti gli organi dello Stato, ivi comprese le autorità amministrative e gli enti locali, sono tenuti a disapplicare la normativa nazionale contrastante con il diritto dell’UE provvisto di efficacia diretta ovvero, dove possibile, ad interpretare la prima conformemente al secondo, adottando i provvedimenti necessari ad assicurare ed ad agevolare la piena efficacia di tale diritto, al fine anche di non coinvolgere la responsabilità dello Stato di appartenenza.
A questo punto pare però necessaria una, sia pur breve, digressione in ordine al concetto di Pubblica Amministrazione nella prospettiva del diritto dell’Unione Europea. Innanzitutto quello di Pubblica Amministrazione ha, oramai, subìto sempre più l’influenza del diritto
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unionale e soggiace alla “ cd. logica della geometrie variabili” 81: a seconda della disciplina cui si faccia riferimento, infatti, un certo ente può essere classificato come pubblico o meno, nell’ottica di una corretta applicazione del principio dell’effetto utile, in virtù del quale la soluzione da preferire nel caso concreto è quella che meglio risponde agli obiettivi dell’Unione. Ecco che il termine Pubblica Amministrazione, in diritto europeo, può avere un campo d’azione più o meno esteso rispetto a quello previsto dal diritto interno. Definita la relazione fra Stato e suoi organi, la Corte di Giustizia europea ha ritenuto opportuno rispondere al quesito relativo al caso in cui sia stato un funzionario pubblico a violare il diritto europeo. Ci si era interrogati sulla possibilità che il diritto dell’Unione Europea imponesse agli Stati membri l’obbligo di far rispondere i rispettivi funzionari per le violazioni del diritto dell’Unione. Rispetto a tale ipotesi, la Corte di Giustizia ha avuto modo di esprimersi con la sentenza emessa il 17 aprile 2007 nella causa C-470/03 A.G.M.-
COS.MET S.r.l che ha risolto alcuni problemi nati in relazione
all’interpretazione di una direttiva (dir. 98/37/CE) sulla sicurezza nell’uso di alcuni macchinari, dove ha ritenuto ammissibile, ma non obbligatorio, l’accertamento in via sussidiaria della responsabilità del funzionario, subordinandolo quindi all’autonoma decisione dell’ordinamento nazionale. Oggetto della controversia è stato l’accertamento della responsabilità dello Stato e la risarcibilità dei danni cagionati, ad una società italiana, dalle dichiarazioni rese da un funzionario pubblico finlandese. Ci si è chiesti se tali dichiarazioni potessero costituire ostacolo alla libera circolazione delle merci di cui all’art. 28 TCE (ora art. 34 TFUE). Nel rispondere affermativamente, la Corte enuncia alcuni importanti principi in ordine alla responsabilità
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degli Stati membri per i comportamenti posti in essere da suoi funzionari. Al punto 66 la Corte statuisce quando è possibile ricondurre allo Stato la responsabilità per comportamenti dei funzionari: <<alla luce delle considerazioni che precedono, si deve
risolvere la prima questione dichiarando che sono imputabili allo Stato le dichiarazioni di un funzionario che, date la loro forma e le circostanze, suscitano nei destinatari l’impressione che si tratti di posizioni ufficiali dello Stato e non di opinioni personali del funzionario. Determinante perché le dichiarazioni di un funzionario siano imputate allo Stato è che i destinatari di tali dichiarazioni possano ragionevolmente supporre, in un dato contesto, che si tratti di posizioni che il funzionario assume con l’autorità derivante dalla sua funzione>>.
La Corte, peraltro, si era prodigata nell'enunciare alcuni indici in presenza dei quali possa ritenersi che le dichiarazioni del funzionario siano idonee a far presumere l’affidamento, da parte dei destinatari della dichiarazione, della loro appartenenza alla Pubblica Amministrazione: <<il funzionario sia in generale competente nel
settore interessato; il funzionario diffonda le sue dichiarazioni scritte utilizzando la carta intestata ufficiale del servizio competente; il funzionario conceda interviste televisive presso gli uffici del suo servizio; il funzionario non sottolinei il carattere personale delle sue dichiarazioni e non indichi che esse divergono dalla posizione ufficiale del servizio competente, e i servizi statali competenti non procedano al più presto ad effettuare quanto necessario per dissipare l’impressione, suscitata nei destinatari delle dichiarazioni del funzionario, che si tratti di posizioni ufficiali dello Stato>>82
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Nella stessa pronuncia la Corte di Giustizia si è inoltre espressa sulla possibilità che il funzionario fosse titolare di una responsabilità diretta e se questa subisca o meno delle limitazioni prevedendo che la responsabilità del funzionario può essere subordinata a condizioni o limitazioni ulteriori solo se tale responsabilità va ad aggiungersi a quella dello Stato e si ha quando il soggetto danneggiante sia dipendente pubblico e l’atto sia stato commesso nell’esercizio delle proprie funzioni. In tali casi, infatti, un adeguato risarcimento del danno è già garantito dalla responsabilità dello Stato. Dunque, in termini del tutto simili a quanto affermato con riferimento alla possibilità di agire in giudizio contro una regione o altro ente statale, la Corte di giustizia impone l’integrazione dello Stato nella riparazione dei danni lì dove l’azione nei confronti del funzionario non sia in grado, de facto, di soddisfare il diritto al risarcimento del singolo. L’esigenza di garantire l’efficacia della riparazione e l’effettività del diritto dell’UE, quindi, obbliga lo Stato ad essere particolarmente attento e vigile al comportamento dei propri funzionari.
Un’ulteriore questione in ordine alla responsabilità dello Stato – amministrazione per violazione di norme eurounitarie attiene all’elemento soggettivo della colpa. Dopo diverse sentenze che hanno preso atto dell’orientamento vincolante per i giudici nazionali del giudice di Lussemburgo, il Consiglio di Stato, con la recente sentenza del 31 gennaio 2012, n. 482, si è espresso optando per la compatibilità tra sistema italiano e sistema europeo in ordine alla responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione. La questione verteva su una controversia tra una società operante nel campo della produzione e vendita delle sigarette e l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato. Il TAR adito, pur annullando l’atto dell’AAMS per violazione della disciplina eurounitaria, aveva negato il
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risarcimento del danno rilevando la carenza della colpa, uno degli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano in capo all’amministrazione. La società attrice ha allora proposto appello innanzi al Consiglio di Stato dolendosi del rigetto della domanda di risarcimento. Il Consiglio di Stato, nel respingere il ricorso, ha negato l’incompatibilità tra disciplina interna della responsabilità che prevede l’accertamento del requisito soggettivo e la disciplina eurounitaria che segue invece un’impostazione oggettiva, prevedendo una sostanziale sovrapponibilità delle due discipline. Rileva il Consiglio di Stato che la giurisprudenza interna esclude che la responsabilità della P.A. possa fondarsi sulla mera illegittimità dell’atto, costituendo essa solo un indice presuntivo della colpa e conclude affermando che «se la giurisprudenza interna séguita ad ancorare l’accertamento della responsabilità anche al requisito della colpa (o del dolo), ciò non comporta necessariamente una violazione dei principi del diritto europeo in subiecta materia, essendo soltanto la conseguenza dell’applicazione delle coordinate entro le quali la predetta responsabilità è inquadrata nell’ordinamento interno; ed è appena il caso di rammentare come la Corte europea abbia sempre ribadito che, una volta rispettati i parametri generali da essa fissati, è sulla base del diritto interno che il giudice nazionale deve accertare la sussistenza o l’insussistenza della responsabilità nei singoli casi».