L’adattamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento giuridico europeo
3.4 Il problema dei rapporti tra diritto dell’Unione europea e diritto italiano alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale della Corte d
giustizia e della Corte Costituzionale.
L’ordinamento giuridico dell’Unione europea si è presentato fin dall’inizio come << un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale>>, la cui caratteristica principale sta, senz’altro, nel fatto di avere << come propri soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini>>34.
Nel momento in cui lo Stato diventa parte dell’ordinamento dell’Unione, esso accetta e si impegna alla contemporanea applicazione, all’interno del proprio ordinamento, del diritto di derivazione statale e di quello europeo. Occorre perciò verificare in che modo le norme di origine europea si collocano all’interno delle
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Corte giust. Sentenza 5 Febbraio 1963, causa 26/6, van Gend&Loos c. Amministrazione olandese delle imposte
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gerarchia delle fonti di uno Stato, al fine di stabilire, se in caso di difforme disciplina tra fonte europea e fonte interna, nel momento di concreta applicazione del diritto, quale delle due debba prevalere sull’altra.
La capacità di raggiungere anche soggetti individuali, non esclude che esista anche per l’ordinamento dell’Unione europea e dal punto di vista di questo, un problema dei rapporti con l’ordinamento degli Stati membri, dei quali gli individui sono ugualmente soggetti. Come ha sottolineato la stessa Corte di giustizia, i due ordinamenti vivono in un rapporto di integrazione 35, che vede l’ordinamento dell’Unione a causa della sua parzialità, avvalersi di quello degli Stati per molti aspetti del suo funzionamento, con il risultato di una permanente situazione di interferenza, e di potenziale conflitto tra le rispettive norme.
La questione della definizione dei rapporti tra ordinamento dell’Unione e l’ordinamento giuridico italiano ha dato luogo ad una prolungata contrapposizione tra Corte di giustizia e Corte Costituzionale, raggiungendo un’uniformità di vedute solo intorno alla metà degli anni ’80.
Il riconoscimento della prevalenza del diritto sovranazionale sul diritto nazionale, rappresenta l’epilogo di un lungo iter giurisprudenziale scandito da quattro fasi36.
La Corte costituzionale italiana, investita più volte della questione , ha inizialmente impostato su basi paritarie il rapporto tra le fonti dei due ordinamenti, in considerazione dell’identica forza posseduta dalla
35 Corte giust. Sentenza 15 Luglio 1964 causa 6/64 Costa c. ENEL , 1129 36
S. Cassese, Ordine giuridico europeo e ordine nazionale, in Giorn. Dir.
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legge di esecuzione,tramite la quale il diritto dell’ Unione trova ingresso nel nostro ordinamento, e le leggi comuni. In questa prima fase, la Corte ha individuato il criterio per risolvere il contrasto tra diritto interno e diritto eurounitario nel principio della successione di leggi nel tempo. In particolare la Corte, con la sentenza 7 marzo 1964, n.14 (giudizio Costa c. Enel), dopo aver giudicato legittimo il ricorso alla legge ordinaria per il recepimento dei Tratti comunitari in virtù della previsione dell’art.11 della Costituzione, ha affermato che le norme dei Trattati hanno rango di leggi ordinarie e come tali possono essere modificate o abrogate da una legge interna successiva. In definitiva, secondo la Corte Costituzionale, la legge interna successiva contrastante con la norma europea è pienamente efficace e deve essere applicata dal giudice italiano, ferma restando la responsabilità dello Stato per violazione degli obblighi europei.
In tal modo viene sancito l’imperio del criterio cronologico per risolvere l’antinomia tra norma europea e norma interna. Del resto, emerge chiaramente l’inidoneità di tale sistematica per risolvere il contrasto in parola, in quanto l’istituto dell’abrogazione può esplicare la propria operatività soltanto rispetto a fonti tra loro paraordinate, e quindi non è affatto idoneo a risolvere il conflitto tra norme poste da leggi nazionali e norme europee, essendo queste ultime da considerarsi – in buona sostanza – sovraordinate.
Le conclusioni della Corte Costituzionale sono state immediatamente contrastate dalla Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla medesima causa Costa contro Enel, ad essa approdata attraverso un ricorso pregiudiziale. Con la sentenza 15 Luglio 1964 ( C- 6/64, Costa c.
Enel, in Raccolta, 1964, p 1127), la Corte di giustizia, ribadendo i
principi già affermati nella sentenza Van Gend en Loos37, in particolare
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che il Trattato ha istituito un ordinamento giuridico proprio integrato con quelli nazionali, ha dedotto che gli Stati membri non possono opporre al Trattato leggi interne successive, senza con questo far venire meno la necessaria uniformità ed efficacia del diritto comunitario in tutta la Comunità . La Corte di giustizia sosteneva con decisione la superiorità della norma europea sulla norma interna, preesistente o superiore, prevedendo, infatti, che << l’integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie e, più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l’impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all’ordinamento comune>> ; infatti << il diritto del Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità >>38
Una conferma della supremazia del diritto europeo, secondo la Corte, è inoltre rinvenibile nella previsione dell’ art. 249 TCE ( oggi art. 288 TFUE), che sancisce l’obbligatorietà e l’efficacia diretta negli Stati membri dei regolamenti e di conseguenza l’illegittimità degli atti statali diretti a dare esecuzione ai regolamenti. Tale previsione, quindi,perderebbe significato se uno Stato potesse unilateralmente annullarne gli effetti con un provvedimento legislativo che prevalesse sui testi europei.
Con la sentenza 27 Dicembre 1973, n. 183 ( giudizio Frontini e altri c.
Amministrazione delle Finanze) , che apre la seconda fase,la Corte
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Costituzionale modifica il proprio orientamento, confermando l’attitudine delle norme europee a derogare alle norme interne con esse incompatibili, affermandone la resistenza rispetto a norme successive in ragione della previsione dell’art 11 Cost. La diretta applicabilità della disposizione europea viene ammessa dalla Corte solo con riguardo alle norme europee sopravvenienti, mentre non è stata prevista per il caso inverso. Laddove, pertanto, una legge nazionale avesse disposto in contrasto con norme sovranazionali anteriori, avrebbe dovuto essere sollevata una questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte per violazione dell’art. 11 Cost. Il principio del primato del diritto dell’Unione incontrava ,però, un limite nel carattere inderogabile dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona umana. La Corte ha, in sostanza, inteso compensare le limitazioni di sovranità, cui fa riferimento l’art. 11 Cost. , con i c.d. contro limiti, costituiti dai principi che stanno alla base del nostro ordinamento, comunque indisponibili. 39
A queste indicazioni giurisprudenziali consegue che il giudice ordinario rileva l’abrogazione della norma interna contraddetta da una norma europea successivamente entrata in vigore, e invece, solleva questione di legittimità costituzionale se si tratta di una norma nazionale posteriore rispetto a quella emanata dalle istituzioni europee. Un sistema così strutturato – il cui vantaggio è quello di impedire il formarsi di una giurisprudenza eterogenea sugli ambiti di applicazione delle norme europee, risolvendo il contrato in modo univoco e definitivo – ha il vistoso difetto di condizionare l’applicabilità della norma europea all’intervento di un atto interno
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P. Costanzo.,L. Mezzetti , A.Ruggeri , Lineamenti di diritto Costituzionale dell’Unione europea,Giappichelli, Torino, 2010, cit. p. 288.
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dello Stato (la sentenza della Corte Costituzionale o l’atto abrogativo). D’altra parte, il dover attendere l’intervento del giudizio di costituzionalità ritarderebbe l’applicazione della normativa europea, portando ad una differenziazione nel tempo della piena efficacia del diritto eurounitario nei diversi Stati membri e creando nel contempo un “limite nazionale” alla sua efficacia.
Una svolta importante si ebbe nel 1984 con il noto caso Granital, sentenza 8 giugno n. 179, che dà inizio alla terza fase. Questa segna un ulteriore avvicinamento della Corte Costituzionale alle posizioni della Corte di Giustizia, garantendo sostanzialmente gli stessi risultati pur senza rinunciare alla propria impostazione di fondo, parzialmente divergente, sulla separazione degli ordinamenti. Ciò è stato possibile solo a seguito di una profonda revisione e rivisitazione della precedente giurisprudenza e delle premesse teoriche che ne erano a fondamento. Sviluppando il principio della separazione dei due ordinamenti, la cd. concezione dualista , già contenuta in una pronuncia precedente40, la Corte ha riconosciuto che l’ordinamento europeo e l’ordinamento nazionale sono autonomi e distinti, pur se coordinati tramite una precisa articolazione di competenze, a differenza della posizione cd. monista della Corte, che invece li vuole uniti e gerarchicamente ordinati.
Ne consegue che, laddove vi sia competenza eurounitaria in base al Trattato, il giudice nazionale, a fronte di una normativa interna incompatibile con il diritto europeo direttamente applicabile o dotato di effetti diretti, dovrà procedere senza indugio all’applicazione di quest’ultimo e alla non applicazione della norma interna. Bisogna sottolineare, però, che la prevalenza del diritto europeo – come ha
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precisato la Corte- si ha solo quando ricorre << una formazione compiuta e immediatamente applicabile dal giudice interno>>41, per cui fuori da tale ambito materiale e temporale, la legge statale e incompatibile mantiene il proprio valore e può spiegare la propria efficacia nell’area in cui non va ad interferire con la normativa europea 42.
La sentenza 10.11.1994 n.384 rappresenta un ulteriore passo in avanti nello sviluppo del cammino europeo della giurisprudenza costituzionale, aprendo la cd. quarta fase. La Corte Costituzionale, al fine di garantire nel migliore modo possibile la prevalenza del diritto eurounitario, ha differenziato i meccanismi di possibile intervento nella soluzione dell’antinomia. Accanto alla tradizionale
disapplicazione/ non applicazione da parte di ciascuno operatore
(salvo la successiva abrogazione), cui si ricorre nel caso si tratti di norme nazionali già vigenti in contrasto col diritto eurounitario, aggiunge infatti la diretta dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte, per le ipotesi di norme interne non ancora in vigore. Nel caso di specie la Corte è chiamata ad esaminare un contrasto tra il diritto europeo ed una deliberazione legislativa di un consiglio regionale, in forza di ricorso governativo in via principale. Si tratta, nella fattispecie, di una norma non ancora vigente per la quale non vi può essere un giudizio di legittimità in via incidentale, e quindi un potenziale giudice a quo che possa far direttamente prevalere il diritto europeo mediante non applicazione. La Corte risolve la
41R. Luzzatto, La diretta applicabilità nel diritto comunitario,Angeli, Milano, 1980.
Cit. pag 7 ss
42 La Corte ha successivamente ribadito tale suo orientamento con le sentt.
22.2.1985, nn. 47 e 48, GI, 1986, I, 28, con nota di BELLOCCI, Sul nuovo orientamento della Corte costituzionale in tema di rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamento interno; e con ord. 20.3.1985, n. 81, GiC,1985, I, 560 ss. e 26.3.1990, n° 144, ivi, 1990, 812 ss
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questione mediante declaratoria di illegittimità costituzionale dell’atto regionale. Infatti, in siffatte ipotesi, una pronuncia di inammissibilità della Corte << potrebbe sortire l’effetto opposto al fine perseguito dagli orientamenti recenti in materia comunitaria>>, mentre volendo perseguire << l’esigenza di assicurare l’immediata ed uniforme efficacia nel diritto europeo, nel caso delle leggi regionali impugnate in sede di controllo governativo, la declaratoria di illegittimità costituzionale produrrebbe l’effetto di interdire l’entrata in vigore delle leggi in questione configgenti con il diritto comunitario. E quindi sarebbe proprio la declaratoria di incostituzionalità pronunciata nei confronti delle leggi regionali ad assicurare l’effettiva vigenza delle norme comunitarie non rispettate>>43. A ben vedere, l’intervento diretto della Corte Costituzionale per dichiarare l’incostituzionalità di una delibera legislativa regionale contrastante con norme europee, altro non è che un ulteriore e dovuto avanzamento verso il massimo adeguamento del diritto interno al diritto eurounitario.
Con la sentenza 30.3.1995 n. 94 la Corte Costituzionale è tornata ad esaminare un caso di conflitto tra diritto e europeo e una norma interna non ancora vigente, ugualmente arrivando a dichiarare l’illeggittimità costituzionale di quest’ultima ( nella specie una delibera legislativa siciliana in materia di aiuti alle imprese). La Corte ribadisce che nei giudizi in via incidentale – ove ci sia, quindi, un giudice che possa direttamente riconoscere la prevalenza del diritto europeo - non può essere la Corte Costituzionale ad intervenire, trattandosi di questioni prive del requisito della rilevanza, data dalla non applicabilità. In questo caso, diversamente dalla sent. n. 384 del 1994, la consulta assume a discrimine la modalità di accesso alla
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Corte, per farne derivare che nei giudizi in via principale – non solo più nel caso di impugnazione dello Stato, ma anche in caso di impugnazione regionale , e quindi per norme di regola già entrate in vigore – è ben possibile un controllo accentrato con eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma interna; mentre nei giudizi in via incidentale la norma deve essere dallo stesso giudice a quo in termini di non applicazione delle norme interne 44. Questa ricostruzione rende, ancora una volta, la soluzione incongrua, perché la Corte Costituzionale, in tutti questi anni ha costantemente cercato di conciliare la ricostruzione dualista dei rapporti tra ordinamento europeo e ordinamento interno con l’esigenza di eliminare comunque e nel modo più rapido, le norme interne configgenti con il diritto eurounitario.
Ripercorrendo le tappe giurisprudenziali, la Corte di giustizia ha elaborato la propria concezione dei rapporti tra norme dell’Unione e norme nazionali soprattutto in due sentenze, entrambe rese a titolo pregiudiziale su richiesta di giudici italiani. Nella prima, la sentenza
Costa Enel, il fondamento teorico della preminenza delle norme
sovranazionali non è individuato in un rapporto di prevalenza gerarchico tra norme, ma è tratto dalla costruzione dell’ Unione europea come ente superiore, le cui regole si impongono per forza propria. Sotto questo profilo si è parlato, quindi, di una concezione monista45 della Corte di giustizia, nel senso che le prime operano per effetto della loro appartenenza all’ordinamento sovranazionale e si integrano con le seconde, prevalendo su di esse in caso di contrasto.
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Nella stessa linea, v. le successive sentt. 7.11.1995, n° 482, GiC, 1995, 4093 ss. e 28.12.1995,n° 520, ivi, 1995, 4361 ss
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Le implicazioni derivanti dalla preminenza delle norme dell’Unione, sono state precisate nella successiva sentenza Simmenthal del 9
Marzo 1978. In questa pronuncia la Corte stabilisce che, in forza del
principio della preminenza del diritto europeo, il regolamento, in quanto fonte direttamente applicabile, prevale sulla norma interna, anche se successiva. Coerente con questo assunto è la definizione del ruolo del giudice nazionale operata dalla Corte. Quest’ultimo ha “l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di
tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria”.
Successivamente alla su indicata pronuncia, la Corte di giustizia ha avuto modo di chiarire, nella sentenza CGCE 22 giugno 1989 Fratelli
Costanzo, che la disapplicazione di norme interne incompatibili con il
diritto eurounitario sussiste non soltanto quando tali norme interne contrastino con un regolamento, ma anche quando siano configgenti con norme aventi effetti diretti. La Corte, in questa sentenza, afferma la rilevanza, anche per le autorità amministrative, degli effetti diretti di una direttiva.
Muovendo dal principio della preminenza del diritto dell’Unione, gli ulteriori svolgimenti della giurisprudenza della Corte hanno condotto all’affermazione dell’obbligo dei giudici nazionali di non applicare le norme dello Stato che, pur senza risultare direttamente in contrasto con la norma europea applicabile alla fattispecie, ne impediscono l’effettiva applicazione. 46
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R. Adam., A Tizzano ., Lineamenti di diritto dell’Unione europea, Giappichelli,Torino, 2010, cit. p.208.
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Paradigmatica è la sentenza Factortame, resa con riferimento ad una norma del diritto inglese che avrebbe vietato al giudice britannico di sospendere in via cautelare l’applicazione di una disposizione interna finchè non fosse stata accertata la compatibilità con il diritto dell’Unione. Ad analoga conclusione la Corte è pervenuta rispetto ad una norma processuale belga che precludeva al giudice nazionale la possibilità di valutare d’ufficio la compatibilità di un provvedimento di diritto nazionale con una disposizione dell’Unione, quando quest’ultima non fosse stata invocata dal singolo entro un determinato termine.47
3.5 I rapporti tra norme interne e norme dell’Unione non dotate di