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Il Regolamento Bruxelles II bis e la responsabilità genitoriale

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il Regolamento Bruxelles II bis

e la responsabilità genitoriale

Candidato

Relatore

Giovanna Lombardo Chiar.mo Prof. A. M. Calamia

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A papà, mamma, mio fratello e Mauro, pilastri della mia vita, perché avete sempre creduto in me, gioito dei miei risultati, mi avete sostenuta quando vacillavo e amata sopra ogni cosa.

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INDICE

INTRODUZIONE ... 6

CAPITOLO 1 ... 11

LE FONTI IN MATERIA DI RAPPORTI TRA GENITORI E FIGLI ... 11

1. L’evoluzione storica nel diritto materiale italiano: dalla potestà genitoriale alla responsabilità genitoriale ex l. 219/2012 ... 11

2. Segue: la nozione di responsabilità genitoriale ... 20

3. La responsabilità genitoriale e la tutela dei minori nel diritto internazionale privato e processuale italiano ... 25

4. L’ambito di applicazione della Convenzione dell’Aja del 1961 ... 30

5. L’ambito di applicazione della Convenzione dell’Aja del 1996 ... 34

6. La Convenzione di Lussemburgo del 1980 e la Convenzione dell’Aja del 1980 ... 41

7. Il Regolamento Bruxelles II bis ... 49

8. L’applicabilità delle norme nazionali e convenzionali ... 60

CAPITOLO II ... 67

I CRITERI DI GIURISDIZIONE IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ GENITORIALE ... 67

1. La cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia familiare ... 67

2. L’interesse superiore del minore ... 72

3. Il criterio generale della residenza abituale del minore ... 81

4. I criteri di giurisdizione che conferiscono flessibilità al sistema ... 92

4.1. La proroga di giurisdizione ... 95

4.2. Il trasferimento della competenza ... 104

5. La giurisdizione in caso di necessità ... 111

6. La giurisdizione in caso di provvedimenti provvisori e cautelari ... 114

7. La giurisdizione in materia di diritto di visita nelle ipotesi di trasferimento lecito ed illecito di minore ... 122

8. La litispendenza e la connessione nel Regolamento CE n. 2201/2003 ... 132

9. La giurisdizione nazionale residua ... 139

10. Le novità introdotte in materia di giurisdizione dalla proposta elaborata nel 2016 dalla Commissione per la modifica del Regolamento CE n. 2201/2003 ... 143

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CAPITOLO III... 152

LA CIRCOLAZIONE E L’ESECUZIONE DELLE DECISIONI IN MATERIA DI ESERCIZIO DELLA RESPONSABILITÀ GENITORIALE ... 152

1. Il riconoscimento automatico delle decisioni rese negli altri Stati membri ... 152

2. I motivi di non riconoscimento delle decisioni relative alla responsabilità genitoriale ... 156

2.1 La contrarietà della decisione all’ordine pubblico dello Stato membro richiesto ... 157

2.2. La mancata audizione del minore ... 160

2.3. L’ipotesi di decisione resa in contumacia ... 162

2.4. Il mancato ascolto di una delle parti coinvolte nella causa ... 163

2.5. Le ulteriori ipotesi di non riconoscimento ... 164

3. La procedura per rendere esecutiva la decisione resa in uno Stato membro ... 165

4. La soppressione dell’exequatur per le decisioni in materia di diritto di visita e di sottrazione di minori ... 171

5. Il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti provvisori ... 189

6. La cooperazione delle autorità centrali in materia di responsabilità genitoriale .... 200

7. Segue: il ruolo delle autorità centrali nella procedura di collocamento del minore in un altro Stato membro ... 206

8. Le novità più rilevanti apportate dalla proposta di rifusione del Regolamento CE n. 2201/2003: verso il Regolamento Bruxelles II ter ... 210

CONCLUSIONI ... 227

BIBLIOGRAFIA... 234

GIURISPRUDENZA NAZIONALE ... 252

GIURISPRUDENZA DI CORTI INTERNAZIONALI ... 256

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INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni, il processo di globalizzazione e la crescente multiculturalità sociale hanno determinato il moltiplicarsi di unioni matrimoniali o di fatto tra soggetti aventi diversa cittadinanza o tra soggetti che, per vari motivi - generalmente di studio o di lavoro - vivono in Stati differenti. Nei casi in cui tali unioni si interrompono, risulta di fondamentale importanza tutelare l’unico rapporto familiare che non può essere sciolto, ossia il rapporto tra genitori e figli.

A fronte dell’ampliarsi della autonomia dei partner nel disporre del loro rapporto, dettata dal fatto che il diritto individua misure volte ad agevolare lo scioglimento del vincolo matrimoniale, avanza la consapevolezza della necessità di rafforzare gli strumenti di protezione del minore, sia con riguardo ai comportamenti richiesti ai genitori, che all’intervento pubblico. La crisi dei rapporti coniugali o di fatto, invero, inevitabilmente coinvolge, in maniera preminente, i veri soggetti deboli della famiglia: i figli. Questi diventano spesso un vero e proprio «strumento di conflitto», venendo utilizzati per colpire o punire il partner, o addirittura «oggetto del conflitto» familiare e, di conseguenza, il premio per il vincitore della causa. Tutto ciò a totale pregiudizio del minore e soprattutto non mettendo in primo piano un concetto fondamentale che è quello di responsabilità genitoriale, ben lontano da quello di potestà genitoriale.

Responsabilità genitoriale vuol dire in primis attenzione per il minore, attenzione alla sua cura, alla sua salute, al rispetto della frequentazione di entrambi i genitori, ma significa anche porre al centro della famiglia non il padre o la madre, bensì il figlio stesso. Il mancato rispetto di questa responsabilità genitoriale, fra l’altro, può dare luogo, in molti casi, alla violazione del regime di affidamento, con episodi, noti alla cronaca, di minori sottratti, non restituiti o trasferiti all’estero da genitori stranieri che sperano di aggirare, in tal modo, un provvedimento di affidamento sfavorevole stabilito dal giudice. E se la sottrazione del minore da parte del genitore non affidatario appare essere l’ipotesi più frequente, non mancano certo i casi in cui sia, invece, il genitore affidatario che, senza una preventiva intesa con il genitore titolare del diritto di visita, decida di trasferirsi all’estero insieme al minore - di solito per tornare nel proprio Paese di origine, talvolta anche per sfuggire a situazioni di pericolo o di violenza - e di ostacolare l’esercizio del diritto di visita da parte dell’altro genitore.

Nelle ipotesi in cui la disgregazione dell’unità familiare e delle relazioni affettive presenti elementi di transnazionalità, trovare una regolamentazione efficace dei rapporti familiari e adottare i conseguenti provvedimenti relativi ai figli si rivela cosa maggiormente

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complessa che per le unioni «nazionali», per quanto riguarda sia la individuazione del giudice competente o dei giudici competenti - complicata dal verificarsi di fenomeni di forum shopping e/o di ipotesi di litispendenza internazionale - sia l’individuazione della legge applicabile, sia ancora la necessità di assicurare l’efficacia transfrontaliera delle decisioni adottate a tal proposito.

Appare evidente, pertanto, come difficilmente i singoli ordinamenti giuridici possano garantire strumenti efficaci e come, inevitabilmente, assumano rilievo, in quest’ambito, strumenti di carattere internazionale. Nello specifico, oltre alla Convenzione di Lussemburgo del 1980 in tema di affidamento e alle Convenzioni adottate in seno alla conferenza dell’Aja, quali la Convenzione dell’Aja del 1961 e del 1996 in materia di responsabilità genitoriale e di protezione di minori e la Convenzione del 1980 in materia di sottrazione di minori, assume fondamentale importanza - limitatamente al territorio dell’Unione europea - il Regolamento UE n. 2201/2003. Quest’ultimo costituisce pietra miliare del processo di progressiva espansione della competenza delle istituzioni dell’Unione Europea nell’ambito del diritto di famiglia, nonché della graduale erosione delle prerogative degli Stati membri in questa materia, seppur limitatamente alle questioni di stampo processuale. Il regolamento, infatti, detta norme uniformi in merito alla giurisdizione, al riconoscimento e all’esecuzione delle sentenze emesse in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale.

Scopo del presente elaborato è quello di esaminare la disciplina prevista dal regolamento limitatamente alle questioni in tema di responsabilità genitoriale, così come di vagliare gli aspetti problematici che sono sorti dalla sua applicazione, ormai più che decennale, dedicando particolare attenzione agli orientamenti interpretativi forniti - su tale strumento comunitario - dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Non meno importante sarà l’indagine sulle principali modifiche allo stesso indicate nella proposta di rifusione del regolamento avanzata dalla Commissione europea nel 2016. Tutto ciò non prima di aver svolto una imprescindibile analisi sulla nozione di responsabilità genitoriale.

Più nel dettaglio, il primo capitolo verterà sulla ricognizione delle principali fonti internazionali che disciplinano la responsabilità genitoriale e la protezione dei minori, compreso il regolamento, focalizzando l’attenzione sul loro rispettivo ambito di applicazione materiale e spaziale e sui rapporti che intercorrono tra le stesse, assumendo come punto di riferimento privilegiato il regolamento.

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La trattazione prenderà le mosse dall’esame della nozione di responsabilità genitoriale. In primo luogo ci si soffermerà sull’evoluzione storico - normativa avvenuta nell’ordinamento italiano, che ha portato, tramite la legge delega n. 219/2012, alla sostituzione, in tutto il nostro sistema legislativo - sia di diritto materiale, che di diritto internazionale privato e processuale - della nozione di potestà genitoriale con quella di responsabilità genitoriale. Verrà messa in luce la portata sostanziale e non meramente formale di tale riforma, dal momento che, attraverso la stessa, si vuole indicare il nuovo modo in cui devono essere intesi i rapporti tra genitori e figli; sarà anche particolarmente sottolineata l’influenza che hanno avuto le norme europee e internazionali sull’introduzione, nel nostro ordinamento, del concetto di responsabilità genitoriale. Si provvederà poi ad analizzare più nel dettaglio le norme di diritto internazionale privato e processuale italiano in tema di responsabilità genitoriale e protezione dei minore; di seguito, come già anticipato, la trattazione procederà con la disamina delle fonti esterne di diritto internazionale in materia di responsabilità genitoriale.

Limitatamente al loro ambito di applicazione materiale e spaziale, verranno nell’ordine esaminate: la Convenzione dell’Aja del 1961, la Convenzione dell’Aja del 1996 (che ha costituito il principale punto di riferimento per l’emanazione del regolamento CE n. 2201/2003), la Convenzione di Lussemburgo del 1980 e la Convenzione dell’Aja dello stesso anno. Queste ultime due Convenzioni costituiscono i principali strumenti adottati a livello internazionale in materia di sottrazione di minore, di cui si è pertanto ritenuto opportuno l’esame, in primis perché la sottrazione internazionale di minore rappresenta un aspetto problematico rectius patologico della responsabilità genitoriale; inoltre, perché la Convenzione dell’Aja del 1980 costituisce uno strumento cui il regolamento CE n. 2201/2003 non mira a sostituirsi, semmai ad integrarsi.

Da ultimo, dopo una analisi dettagliata dell’ambito di applicazione del regolamento CE n. 2201/2003 e dei chiarimenti che a tal riguardo sono stati forniti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sarà preso in considerazione il rapporto che intercorre tra il regolamento stesso, la legge italiana di diritto internazionale privato e processuale e le altre Convenzioni internazionali citate in materia di responsabilità genitoriale.

Nel secondo capitolo saranno analizzate le norme in punto di giurisdizione dettate dal regolamento CE n. 2201/2003, mettendo in luce eventuali analogie o differenze presenti rispetto alle altre Convenzioni internazionali sopra richiamate.

Particolare risalto sarà dato al concetto del superiore interesse del minore, il quale - come si vedrà - costituisce sia un principio cardine di tutti gli atti internazionali posti a

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protezione del minore e in materia di responsabilità genitoriale, sia il criterio guida seguito dal legislatore comunitario per formulare le norme contenute nel regolamento e, in particolare, quelle sulla giurisdizione.

Ampio spazio verrà quindi dedicato al criterio di giurisdizione generale adottato dal regolamento, ossia quello della residenza abituale del minore, che trova la sua ratio proprio nella tutela del «best interest of the child». A tal riguardo, si soffermerà l’attenzione sugli elementi forniti dalla Corte di Giustizia, utili a localizzare la residenza abituale del minore, in mancanza di indicazioni esplicite, in tal senso, nel regolamento. L’esame virerà poi sulla disamina dei criteri che conferiscono flessibilità al sistema di giurisdizione posti a garanzia del rispetto concreto ed effettivo, nella fattispecie che viene in rilievo, del superiore interesse del minore. Si esaminerà, pertanto, da un lato la proroga di giurisdizione che introduce spazi di autonomia in favore delle parti, dall’altro il trasferimento della competenza, titolo di giurisdizione che presenta forti analogie con il

forum non conveniens di tradizione anglosassone.

La trattazione proseguirà con l’esame delle regole di giurisdizione in tema di diritto di visita nelle ipotesi di trasferimento lecito e illecito del minore. A queste ultime verrà dato particolare risalto, proprio in virtù del fatto che, in quest’ambito, il regolamento comunitario ha costituito lo strumento per il superamento parziale di alcune delle problematiche che si presentavano in tema di sottrazione di minori nella Convenzione dell’Aja del 1980.

A completamento dello studio dei criteri di giurisdizione, verranno infine analizzate le questioni accessorie alla competenza: litispendenza e connessione; ciò, mettendo in risalto gli orientamenti giurisprudenziali forniti dalla Corte di Lussemburgo sull’operatività di tali meccanismi, tenendo sempre presente il principio di reciproca fiducia tra gli Stati membri, che è posto a fondamento del regolamento.

Considerata la delicatezza dei rapporti familiari, infine, non si potrà evitare di fare alcune osservazioni in tema di competenza ad emettere provvedimenti cautelari, avendo sempre come punto di riferimento le indicazioni fornite, in merito, dalla Corte di Giustizia.

Oggetto di trattazione del terzo ed ultimo capitolo saranno le disposizioni previste dal regolamento CE n. 2201/2003 in tema di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni sulla responsabilità genitoriale emesse da un altro Stato membro, nonché il sistema di cooperazione tra le autorità centrali istituito dallo stesso, volto a rendere più agevole ed efficace l’applicazione pratica del regolamento ed a raggiungere obiettivi che si prefissa. Dopo aver delineato le fondamenta su cui si cui poggia il sistema di riconoscimento

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automatico delle sentenze straniere, si passerà all’esplorazione nel dettaglio, di quelli che, al contrario, costituiscono i motivi di non riconoscimento delle sentenze straniere stesse. Si procederà poi all’analisi minuziosa della procedura prevista - in generale - per rendere esecutiva una decisione emessa in un altro Stato membro in materia di responsabilità genitoriale.

Trattazione autonoma avrà invece il regime speciale e privilegiato di esecuzione per i provvedimenti sul diritto di visita e sul ritorno del minore. A quest’ultimo verrà prestata particolare attenzione, soprattutto soffermandosi sugli aspetti problematici emersi nelle circostanze di una sua attuazione ed esaminando gli orientamenti forniti al riguardo dalla Corte di Giustizia.

Sarà, a seguire, vagliata la problematica questione se il regime di riconoscimento ed esecuzione previsto per le decisioni in materia di responsabilità genitoriale possa essere o meno applicato anche ai provvedimenti che hanno natura provvisoria o cautelare, focalizzando in particolare l’indagine sulle discutibili indicazioni date, sul tema, da parte della Corte di Giustizia.

La trattazione si concluderà con la disamina delle disposizioni dedicate alle autorità centrali, anche con riferimento al peculiare ruolo che queste rivestono nella procedura di collocazione transfrontaliera del minore, la quale - si anticipa sin da ora - rientra nell’alveo di applicazione del regolamento.

Un ultimo aspetto sul quale ci si soffermerà, sia nel secondo che nel terzo capitolo - data l’attualità della questione - riguarda la disamina degli aspetti più rilevanti e innovativi presenti nella proposta di rifusione del regolamento CE n. 2201/2003, avanzata dalla Commissione Europea nel 2016. Ciò anche al fine, da un lato, di dare ulteriore risalto a criticità e limiti dell’attuale regolamento, dall’altro di tracciare le linee di intervento entro cui, al riguardo, intendano muoversi, in futuro, le istituzioni europee.

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CAPITOLO 1

LE FONTI IN MATERIA DI RAPPORTI TRA GENITORI E

FIGLI

1. L’evoluzione storica nel diritto materiale italiano: dalla potestà

genitoriale alla responsabilità genitoriale ex l. 219/2012

Il concetto di potestà genitoriale e il percorso evolutivo nella direzione della nuova definizione di responsabilità genitoriale devono necessariamente partire dall’analisi del Codice del 1942, con il quale veniva impostato un sistema incardinato sulla preminenza del marito – padre, il quale era legittimato ad esercitare la propria auctoritas1.

Una siffatta impostazione, va ricondotta, in via preliminare, al concetto tipico del periodo romano, ove il padre di famiglia risultava legittimato ad esercitare una sorta di potere sui figli; corrispondeva una totale soggezione degli stessi al padre, sino, addirittura, al tradursi nello ius vitae ac necis, ergo al potere decisionale sulla vita o sulla morte dei figli medesimi. Tale forma di potere non risultava lontana da quella esercitabile sugli schiavi. Il pater familias esercitava, infatti, un potere assoluto sulla familia, che veniva concepita come una organizzazione di beni e uomini. In alcune concezioni teoriche la familia era considerata un vero e proprio organismo politico originario, che anticipava e rappresentava la «cellula fondamentale» dello Stato. Il pater familias in quanto capo di questo organismo era al centro di tutto l’ordinamento giuridico. Le altre persone che costituivano la famiglia, e in particolare i minori (filii, filiae, nepotes, prenepotes) insieme alle «uxores in manu», ai liberti e ai servi, non avevano una capacità giuridica; per questo motivo erano definiti «alieno iure subiecti». La piena capacità era solo del pater familias, che veniva definito «sui iuris». Durante la storia del diritto romano il potere del pater familias si attenuò progressivamente. Nel periodo classico e post classico, il potere del padre di uccidere i figli, nei fatti, scomparve del tutto, come anche quello di infliggere punizioni corporali gravi2.

Tornando, ad ogni modo, a quanto sancito nel Codice Civile del 1942, senza che vi sia la necessità di ripercorrere dettagliatamente l’istituto dai tempi più antichi, va rilevato come

1 V. D’ANTONIO, La potestà dei genitori ed i diritti e doveri del figlio dopo l’unificazione dello status

filiationis, in www.comparazionedirittocivile.it, pag. 2. 2

Per un approfondimento sul punto e una ricostruzione più analitica dell’evoluzione del concetto di potestà nella cultura giuridica europea si veda A. PALAZZOLO, Trattato di diritto civile e commerciale, La filiazione, 2° ed., Milano 2013, pagg. 509 ss.

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il concetto così espresso fondasse la propria interpretazione sull’immagine e l’idea di una famiglia unita, intesa quale nucleo familiare con una propria formazione gerarchica di potere, in cui il pater, oltre ad essere, per l’appunto, padre e marito, rivestiva anche il ruolo di capo di famiglia3.

Una tale impostazione di famiglia, di derivazione palesemente fascista, iniziò ad essere messa in discussione con l’entrata in vigore della Costituzione, successiva al Codice del 1942, con la quale, attraverso quanto sancito dall’art. 2, si diede risalto ad una concezione individualistica: l’individuo stesso, indipendentemente dal genere e da ogni altra caratteristica, venne posto al centro di ogni tipo di organizzazione sociale nonché politica, imponendo necessariamente un’evoluzione del concetto di famiglia rispetto a quello di istituto chiuso, come precedentemente considerato. Nello specifico, attraverso i principi fondamentali dell’uguaglianza fra i coniugi, sancito dall’art. 29, comma 2 Cost. e del diritto - dovere dei genitori di mantenere educare ed istruire i figli, sancito dall’art. 30 Cost., con il quale si precisava che tale dovere - diritto dovesse vigere anche nei confronti dei figli nati al di fuori del matrimonio, si incise notevolmente sull’istituto della potestà. In tal modo, infatti, il minore iniziò a rivestire un ruolo a se, meritevole di maggiore tutela e protezione.

Ciò si tradusse, nel tempo, in una visione ed un’applicazione del diritto di famiglia del tutto differente rispetto a quella precedente, comportando una preminenza dell’interesse del minore al di sopra di ogni altro concetto da doversi tutelare4. Quanto detto trova una precisa manifestazione nella legge n. 151 del 19 maggio 1975, che, chiudendo un primo ciclo di riforme volte a rivisitare l’istituto, recepì integralmente i principi costituzionalmente sanciti e poc’anzi ricordati. È, infatti, con l’entrata in vigore della medesima che si andò a sancire, per la prima volta, la pari dignità di tutti i membri appartenenti alla famiglia5, stabilendo, peraltro, anche il principio solidaristico fra i vari

membri, i quali sono investiti dall’onere di collaborazione nell’interesse della vita familiare. Con la l. 151/1975 si andarono, inoltre, a disciplinare la filiazione legittima e quella naturale6, peraltro concetti interamente riformati di recente e di cui si dirà oltre.

3 C. M. BIANCA, Famiglia (diritti di), in A. AZARA - E. EULA (a cura di), Novissimo Digesto Italiano,

Torino, 1957, pagg. 68 - 73.

4 M. CERATO, La Potestà dei genitori, i modi di esercizio, la decadenza e l’affievolimento. Milano, 2000,

pagg. 5 ss.

5 Artt. 143 e ss. c.c. e art. 315 c.c.

6 Artt. 261 (abrogato poi ex d.lgs. 154/2012), 317 bis, 537 e 542 c.c. Inoltre, per una ricostruzione analitica

sull’evoluzione del diritto di famiglia si veda G. AUTORINO STANZIONE, Diritto di famiglia, Torino, 2003, pagg. 4 ss.

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Così l’istituto della potestà genitoriale si è evoluto da una concezione secondo cui essa andava a manifestarsi attraverso l’esercizio di poteri7 da parte dei genitori sui figli, sino

all’odierna interpretazione dell’istituto, che deve essere inteso come insieme di diritti, in capo alla prole, di cui l’ordinamento si impone la tutela, ponendo quindi in primo piano l’esclusivo interesse dei minori.

Una tale nozione ha trovato, peraltro, pieno accoglimento in giurisprudenza, tanto da elevare detta concezione a diritto di principio vivente8, che la stessa Suprema Corte ha

definito un «munus (di diritto privato) comportante un potere, nella sua più limitata

accezione di potere - dovere, di curare determinati interessi privati e pubblici del minore».

Nel trattare l’evoluzione del concetto di potestà verso quello di responsabilità genitoriale, si deve, inoltre, prendere in considerazione quanto stabilito dal comma 1 dell’art. 30 Cost.9, in forza del quale viene stabilita una sorta di responsabilità derivante dalla

procreazione10, il che rileva dal punto di vista del riconoscimento dei doveri genitoriali a prescindere dalla natura di coniugi e, pertanto, indipendentemente dall’esistenza di una relazione stabile fra i genitori stessi del minore che l’ordinamento si impone di tutelare. Da tale assunto ne deriva l’interesse oggettivo del minore nel conoscere l’identità dei genitori e nel pretendere l’adempimento dei doveri derivanti da tale posizione.

Ciò senza dimenticare il principio in virtù del quale, pur se in presenza di una crisi familiare, l’interesse del minore non può essere trascurato e, pertanto, il genitore non può disinteressarsi del medesimo né venire meno ai propri obblighi di legge. In quest’ottica è stata elaborata la l. 54/200611, relativa all’istituto dell’affidamento condiviso: attraverso la

sua applicazione viene tutelato il diritto della prole di mantenere significativi rapporti con

7 Si veda al riguardo R. DE MEO, La tutela del minore e del suo interesse nella cultura giuridica Italiana ed

euopea, in Dir. fam., fasc.1, 2012, pagg. 461 ss. L’autrice ricorda come, anteriormente all’avvento della Costituzione, della riforma del 1975 e della costante interpretazione adeguatrice della giurisprudenza, la potestà fosse considerata come un «insieme di poteri attribuiti ai genitori, che i più concepiscono come un ufficio di diritto privato con connotazioni pubblicistiche, in cui sono strettamente legate situazioni di diritto e di obbligo. Il soggetto passivo del rapporto, il minore, sarebbe in una situazione di soggezione».

8 Ex multis Cassazione Civile, Sez. I, sentenza del 2 giugno 1983, n. 3776, in Dir. fam. pers., fasc. 1, 1984,

pagg. 39 ss.; Cassazione Civile, Sez. I, sentenza del 14 aprile 1988, n. 2964, in Foro it., fasc. 1, 1989, pagg. 466 ss.; Cassazione Civile, Sez. I, sentenza del 8 novembre 2010, n. 22678 in www.eius.it/giurisprudenza.

9 Tale disposizione, prevede, infatti che «chi ha tenuto comportamenti tali da portare alla nascita di un figlio

è poi responsabile della sua formazione come persona e come cittadino», sul punto, si veda, in dottrina, M. BESSONE - G. ALPA - A. D’ANGELO - G. FERRANDO - M. R. SPALLAROSSA, La famiglia nel nuovo diritto, IV ed., Bologna, 1995, pagg. 225 ss.

10 G. GIACOBBE, Responsabilità per la procreazione ed effetti del riconoscimento naturale, in Giust. civ.,

fasc. 3, 2005, pagg. 730 ss., a commento di Cassazione Civile, sentenza del 26 maggio 2004, n.10124 e Cassazione civile, sentenza del 26 maggio 2004, n. 10102.

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entrambi i genitori, sancendo, pertanto, un principio di bigenitorialità ed equiparazione fra madre e padre del minore12.

In forza del principio della bigenitorialità, introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento, il figlio minore, finalmente riconosciuto - con scelta di netta rottura rispetto al sistema normativo previgente - soggetto titolare di interessi propri e insopprimibili nella crisi familiare, vanta, oltre al diritto soggettivo di mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori, anche il diritto a mantenere una relazione con i nonni13. Per realizzare il suddetto fine, la l. n. 54/2006 ha introdotto il principio secondo

cui il giudice è tenuto a valutare, prioritariamente, la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori, perpetuando, per tale via, una salutare continuità del rapporto parentale, già emersa, quale bene fondamentale, nella Convenzione di New York del 20 settembre 1989 sui diritti del fanciullo14. In una sorta di ideale continuità del

nucleo familiare coeso, il minore, non più mero oggetto del potere dei genitori, titolare di diritti soggettivi insopprimibili, vanta ora, il diritto ad essere curato, amato e allevato, con pari prerogative, da entrambi i genitori.

Si abbandona in questo modo la vecchia idea in forza della quale, una volta scioltasi la coesione familiare, il bambino potesse e dovesse continuare a rapportarsi, in via privilegiata, ad un solo genitore, reputato più «affidabile» ovvero degno di «fides»15. In

precedenza, troppo spesso, proprio in virtù di tale impostazione, fondata su un assioma assai criticabile, l’affidamento monogenitoriale, ordinaria modalità di affidamento, si traduceva nello svilimento del genitore escluso, e nei casi più gravi nella totale perdita di rapporto con detta figura parentale, perdita sicuramente deleteria per il figlio. Il genitore affidatario, forte dell’essere giudicato «più idoneo» all’affidamento, finiva per l’esercitare un potere incondizionato sul figlio, diventando figura predominante della coppia genitoriale; viceversa, il genitore escluso, pur mantenendo formalmente le proprie prerogative, restava «quasi relegato sullo sfondo» e quindi indebolito del suo ruolo educativo, conservando, di fatto, una ingerenza limitata nella vita del figlio, in più casi soggetta ai veti del genitore affidatario, sovente alimentato da motivi di astio e intenti di ritorsione inerenti al fallimento del rapporto di coppia16.

12 Art. 155 c.c., attraverso il quale si stabilisce, altresì, il diritto del figlio di mantenere i rapporti anche con le

rispettive famiglie dei propri genitori.

13 M. BIANCA, Il diritto del minore «all’amore» dei nonni, in Riv. dir. civ., fasc. 2, 2006, pagg. 155 ss. 14 La Convenzione in questione è stata ratificata dall’Italia con la l. del 27 maggio 1991, n. 176.

15 Si veda al riguardo - A. ARCIERI, La crisi della coppia genitoriale e gli effetti personali nei confronti dei

figli, in M. SESTA - A. ARCIERI (a cura di) La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, Trattato di diritto civile e commerciale, Terza ed., Milano 2016, pagg.159 ss.

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Il netto favore che il legislatore ha espresso, quanto meno a livello di diritto del minore (e quello speculare dei genitori), per la bigenitorialità, fondandosi, per l’appunto sul predicato di parità delle figure parentali e sulla preferenza per l’affido condiviso, fa si che il giudice, soltanto in stretto subordine, opti per l’affidamento esclusivo. A tal fine occorre tuttavia che il giudice stesso espliciti, nel relativo provvedimento le ragioni, oggettive e soggettive, che rendano uno dei due genitori, in concreto, inidoneo, impossibilitato od inadeguato ad assumere le responsabilità relative alla crescita e alla cura del figlio.

Uno degli aspetti della riforma del 2006 ritenuto più significativo, nonché utile all’indagine che ci si propone di condurre, riguarda le funzioni genitoriali. L’esercizio di tali funzioni, in passato ricondotte alla figura della potestà, veniva in origine posto dall’art. 155 della legge del 1975 ad uno solo dei genitori: il testo attribuiva al solo genitore affidatario, salva diversa disposizione del giudice, l’esercizio esclusivo della potestà sui figli, mentre le decisioni di maggiore interesse dovevano essere assunte di comune accordo. In conseguenza di ciò, al genitore non affidatario, salvo che per le questioni di maggiore interesse, spettava soltanto il diritto di vigilare sulle decisioni assunte dall’altro genitore, potendo tutt’al più ricorrere al giudice nel caso le avesse ritenute pregiudizievoli nell’interesse dei figli.

L’articolo 155 ha subito radicali modifiche nel 2006, con l’introduzione al comma 317 del

principio della bigenitorialità; lo stesso principio si è perpetuato nell’odierna l. 219/2012 all’art. 337 ter comma 3, che ha sostituito l’articolo 155 della legge del 2006.

Tale principio ha indubbiamente un forte significato sul piano della politica del diritto, rappresentando il segno più evidente della discontinuità rispetto al passato. La necessità di partecipazione attiva di entrambi i genitori alla cura, educazione e mantenimento dei figli, e, più in generale, in tutti i compiti in cui si sostanzia l’affidamento e l’esercizio della potestà genitoriale, devono essere svolti tenendo conto che l’affidamento dei figli è, prima che un potere, una responsabilità18. Quanto introdotto dalla l. 219/2012 ha sancito

in maniera efficace ed inconfutabile il diritto e l’equiparazione di entrambi i genitori, unitamente ad i relativi doveri, nei confronti dei propri figli. In tal modo si è potuto superare definitivamente l’orientamento giurisprudenziale che era andato mano a mano

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L’art. 155 ha dunque stabilito che la potestà spetti ad entrambi i genitori e che le decisioni di maggiore interesse per i figli, relativi alla istruzione, all’educazione e alla salute, debbano essere assunte di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazione naturale e delle aspirazioni di figli. Al terzo comma della medesima disposizione si prevede inoltre che «in caso di impossibilità di raggiungere un accordo sulle questioni di maggiore interesse riguardanti la prole, la decisione è rimessa al giudice».

18 Essenziale innovazione, pertanto, è stata l’introduzione dell’idea che la crisi della coppia o l’instabilità del

rapporto tra i genitori non possono tradursi nella compressione del diritto dei figli a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, e che quest’ultimi devono cooperare affinché la dissoluzione della loro unione non porti con sé anche la dissoluzione del rapporto genitoriale.

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consolidandosi, dell’affidamento esclusivo ad uno solo dei genitori, in caso di separazione personale, che tendenzialmente andava a favorire la figura materna19.

Il principio per cui l’interesse del minore, fatti salvi i casi in cui vi si possa trovare in presenza di particolari pregiudizi per il benessere del minore medesimo, vada a manifestarsi nella tutela della conservazione dei rapporti con entrambi i genitori e le rispettive famiglie, va così consolidandosi e sancisce così l’esercizio della potestà (oggi responsabilità) genitoriale, in maniera continuativa, indipendentemente dai rapporti fra i genitori (quindi indipendentemente dalla sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un rapporto di convivenza di fatto tra questi).

In una tale ottica ha avuto una particolare influenza anche la disciplina europea e internazionale, che considera la potestà genitoriale come un aspetto della responsabilità genitoriale.20

La legge del 10 dicembre 2012 n. 219, contiene una serie di disposizioni, alcune delle quali entrate in vigore con effetto immediato, altre fatte oggetto di delega21. Queste ultime

hanno poi trovato la loro attuazione attraverso l’adozione del d.lgs. 154/2013, entrato in vigore nel febbraio 2014, con il quale si è notevolmente modificato quanto sancito dal codice civile in materia di filiazione. Si è giunti, pertanto, ad una definitiva equiparazione22 tra i figli nati all’interno del vincolo matrimoniale e quelli nati al di fuori

di esso, consolidando pertanto l’equiparazione tra parentale naturale e legittima, comportando, conseguentemente, l’eliminazione di quest’ultima23.

19 Al contrario, si deve ritenere - come è stato recentemente sottolineato anche da parte del Trib. di Catania,

ordinanza del 2 dicembre 2016, n.1565/14 - che la responsabilità genitoriale appartenga ad entrambi i genitori. Essa non è patria e non è matria. I figli sono di entrambi i genitori, che hanno, con riferimento ad essi, eguali diritti ed uguali doveri. In mancanza di prove del contrario, entrambi i genitori si devono presumere idonei ad esercitare le loro responsabilità ed a divenire affidatari o collocatari dei figli; i provvedimenti che dispongono l'affidamento e/o il collocamento dei figli presso i padri non richiedono motivazioni ulteriori e diverse rispetto a quelli che dispongono l'affidamento e/o il collocamento dei figli presso le madri. Il mutamento delle condizioni di affidamento e/o collocamento dei figli, dalla madre al padre e/o viceversa, non costituisce atto violento o innaturale, essendo, al contrario, per un verso coerente con la uguale dignità di entrambi i genitori ad occuparsi dei figli e, per altro verso, utile a favorire nei figli la consapevolezza del fatto che essi sono figli di due genitori e di due genitori con eguali responsabilità e capacità

20 Si fa riferimento al regolamento CE n.2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, in GUUE L 338/1,

del 23 dicembre 2003.

21 Art. 2 della legge n. 219/2012 per un commento specifico alle disposizioni dell’art. 2 che ha conferito al

Governo la delega nell’esercizio della quale è stato introdotto il d.lgs. 154/2013, si veda M. DOGLIOTTI, La nuova filiazione: la legge delega al Governo,in Fam. dir, fasc. 3, 2013, pagg. 279 ss.

22 L’abolizione di ogni discriminazione tra figli in ragione del rapporto esistente tra i genitori costituisce

attuazione di precisi obblighi internazionali ravvisabili sia nell’art. 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, sia in numerosi altri atti internazionali a tutela del minore. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha da molti anni affermato l’illegittimità, per contrasto con l’art. 8 e l’art. 14 della Carta, delle norme nazionali che, sotto diversi profili, stabiliscono differenze di trattamento tra figli nati all’interno e fuori del matrimonio.

23 Il primo dei principi, contenuto nell’art. 2, comma 1 lettera a), della legge delega, stabilisce che il

legislatore delegato procede alla sostituzione, in tutta la legislazione vigente, dei riferimenti ai figli «legittimi» e «naturali» sostituendo queste parole con la parola «figli», salvo l’utilizzo delle locuzioni «figli

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Quanto al codice civile, né la riforma del 1975, né la più recente riforma del 2006, avevano modificato il suo impianto sistematico. La disciplina relativa ai doveri dei genitori verso i figli veniva in parte declinata nel Capo IV, del Titolo VI, del Libro I del codice civile dedicato ai diritti e doveri dei coniugi; in parte era trattata nel Capo V del medesimo titolo, dedicato allo scioglimento del matrimonio; ed ancora, in parte, nel Titolo XI, del Libro I, disciplinante la potestà dei genitori. Ciò senza considerare le norme collocate fra le leggi speciali sullo scioglimento del matrimonio. Già il piano sistematico del codice, quindi, rappresentava ex se una discriminazione.

La riforma del 2013 ha voluto cancellare la descritta discriminazione, che oltre a rendere disomogeneo l’impianto codicistico, sembrava porre l’accento su una sorta di archetipo della genitorialità da ravvisare in quella che aveva la sua fonte nel vincolo coniugale24.

L’allineamento sistematico ha comportato la trasposizione di tutte le norme relative alla responsabilità genitoriale e ai diritti e doveri del figlio nel Titolo IX, del Libro I, dando una piena attuazione dei richiamati criteri di delega25.

La riforma ha previsto26 che il nuovo titolo IX, del Libro I del codice civile, sia rubricato

«Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio»27. Tale rubrica è stata in parte modificata rispetto a quella prevista dalla legge delega28 che faceva riferimento alla

nozione di potestà dei genitori; nozione della quale lo stesso legislatore delegante ha previsto il superamento, indicando, tra i criteri di delega, la necessità di delineare la nozione di «responsabilità genitoriale» in luogo di quella «di potestà genitoriale»29.

nati nel matrimonio» o «figli nati fuori dal matrimonio», «quando si tratta di disposizioni a essi specificatamente relative». Questo criterio costituisce una specificazione di quanto previsto al comma 11, dell’art. 1, della stessa legge delega laddove si legge «Nel codice civile, le parole «figli legittimi» e «figli naturali», ovunque ricorrono, sono sostituite dalla seguente «figli».

24 Erano infatti le norme sul matrimonio e quelle disciplinanti la separazione e il divorzio a costituire il

modello, salve poche eccezioni, da applicare per la disciplina dei rapporti genitore-figlio in caso di assenza di vincolo coniugale, quasi a sottolineare che il modello normativo di genitorialità fosse, in via pressoché esclusiva, quello del coniuge-genitore.

25 Si tratta di una piccola rivoluzione sistematica dai grandi effetti socio-culturali, laddove nel caso di

contrasti a seguito della dissoluzione del vincolo coniugale tra i genitori le norme applicabili non saranno più quelle della separazione ma le norme proprie della filiazione applicabili a tutti i figli senza distinzioni. La riforma pertanto indica quale unico modello normativo quello del genitore, senza aggettivazioni o specificazioni, prevedendo che a questo modello delineato nel Titolo IX, del Libro I, rinviino le norme in materia di matrimonio, separazione, divorzio, nullità, annullamento del matrimonio, ovvero in materia di disciplina degli effetti del riconoscimento.

26 Art. 7 comma 10, d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154.

27 Il nuovo titolo IX del Libro I si compone di due Capi: il primo, rubricato «Dei diritti e dei doveri del

figlio», nel quale sono raccolti gli articoli dal 315 al 337; il secondo «Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ovvero all’esito dei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio».

28 Art. 1 comma 6 l. 219 del 2012.

29Locuzione, questa, che aveva sostituto quella più risalente di patria potestà, e che - nonostante i

temperamenti introdotti nel 1975 - continuava sempre ad indicare lo stato di soggezione dei figli minorenni ai poteri attribuiti dalla legge ai genitori.

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Norma cardine di questo Titolo IX del Libro I del c.c. è l’art. 316, anche esso novellato30,

che introduce un’ unica disciplina della responsabilità genitoriale, pur non definendola31,

e che, nella sua nuova formulazione, rimuove l’ultima vestigia della patria potestà, quale si manifestava nella norma che attribuiva al solo padre il potere di prendere provvedimenti urgenti e indifferibili nel caso di «incombente pericolo di pregiudizi per il

figlio»32. La nuova formulazione dell’art. 316 identifica in via diretta la titolarità

responsabilità in capo al padre e alla madre - «entrambi i genitori hanno la responsabilità

genitoriale»33- e precisa quanto al suo esercizio, che esso avviene «di comune accordo

tenendo conto della capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio»,

formula che rispecchia testualmente quella oggi riportata nelle disposizioni in tema di diritti del figlio (art. 315 bis)34, a sua volta tratta dall’art. 147 cc nel testo oggetto della

riforma del 1975. Sotto questo profilo, la necessità di tenere conto di tali elementi, riferiti alla posizione del figlio, modifica la precedente norma35, che si limitava a menzionare

l’esercizio «di comune accordo da entrambi i genitori», senza fare riferimento, in via diretta e testuale, ai limiti di esplicazione dei poteri dei genitori, in ragione dei diritti del figlio.

L’articolo in questione, inoltre, disciplina l’esercizio della responsabilità genitoriale qualora il rapporto di filiazione sia collocato al di fuori del matrimonio. In questo caso la

30 Conformemente a quanto previsto dall’art. 39 d.lgs. Il precedente art 316 c.c. conteneva la seguente

formulazione: «Il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino alla maggiore età o all’emancipazione. La potestà è esercitata di comune accordo da entrambi i genitori. In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Se sussiste un incombente pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, il padre può adottare i provvedimenti urgenti e indifferibili. Il giudice, sentiti il genitore ed il figlio, se maggiore degli anni quattordici, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e della unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio».

31 Anteriormente alla riforma in questione coesistevano due disposizioni nel codice civile entrambe destinate

a disciplinare l’esercizio della potestà genitoriale. Tuttavia una (art. 316) era di contenuto generale e l’altra (art. 317 bis) era specificamente diretta a regolare l’esercizio della potestà in caso di riconoscimento del figlio e dunque, per i soli figli nati fuori dal matrimonio. Il legislatore delegato, invece, ha sentito la necessità di eliminare l’art. 317 bis dal nuovo impianto codicistico, per ricondurre ad una sola norma, il novellato art. 316 c.c., la disciplina della responsabilità genitoriale e il suo esercizio.

32La norma, chiaramente incostituzionale, è stata espunta dal sistema senza la previsione di una soluzione alternativa. Al riguardo, fermo restando la possibilità di un’azione cautelare d’urgenza sottesa all’emissione di un provvedimento ex art. 316, deve ritenersi applicabile il criterio, proposto dalla dottrina in sostituzione del previgente, secondo cui, ciascuno dei genitori può provvedere in caso di pericolo di pregiudizio per il figlio che non possa essere risolto nei tempi caratteristici della tutela giurisdizionale.

33In chiave sistematica, con riferimento alle interazioni della responsabilità genitoriale con i nuovi modelli familiari si veda E. AL. MUREDEN, La responsabilità genitoriale tra condizione unica del figlio e pluralità di modelli familiari, in Fam. dir., fasc. 5, 2014, pagg. 466 ss. L’autore sostiene che l’istituto «può essere osservato come un corollario di un nuovo assetto dei rapporti familiari che il legislatore ha delineato prendendo atto della pluralità dei modelli familiari», nell’ottica «di garantire al figlio la maggiore coesione possibile della rete familiare che lo circonda».

34 Nella letteratura antecedente alla riforma, si veda per un commento all’art. 147 c.c. E. LA ROSA, Tutela

dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano, 2005, pag. 365 ss.

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responsabilità genitoriale viene esercitata dal genitore che abbia riconosciuto il figlio, o da entrambi, qualora il riconoscimento sia stato fatto sia dal padre, sia dalla madre. Più in generale, la regola vale a prescindere dalla modalità con la quale sia stato stabilito lo stato di figlio, ed opera quindi anche nelle ipotesi di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, positivamente esperita. Al riguardo, sembra significativo evidenziare come questa specifica ipotesi, alla luce del principio di unicità dello stato di figlio (art. 315 c.c.), sia stata inserita nella disciplina unitaria della responsabilità genitoriale, mentre in precedenza era oggetto di una disposizione collocata in un diverso articolo del codice (317 bis). Viene, in ultimo, previsto che «il genitore che non esercita la responsabilità

genitoriale vigila sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio».

L’utilizzo dell’indicativo presente «vigila» in luogo dell’espressione «ha il potere di

vigilare» prevista nella precedente formulazione36, sottolinea ancora una volta la

dimensione del dovere di tale comportamento, in coerenza con il concetto di responsabilità genitoriale. L’opzione terminologica utilizzata dal legislatore esprime il mutamento degli assetti sostanziali che caratterizzano l’istituto della responsabilità genitoriale, non più incentrato sul potere di intervento del genitore nella sfera giuridica del figlio ma sull’elemento del dovere del genitore di provvedere, sempre nell’interesse del figlio, alle sue necessità37.

Si vuole, infine, segnalare che la stretta influenza che vi è tra diritto materiale e diritto internazionale privato ha fatto emerge l’esigenza di conformare le norme contenute nella legge n. 218 del 199538 alle nuove disposizioni introdotte dalla riforma della filiazione.

Pertanto il d.lgs.154/2013, seppur in mancanza di indicazioni esplicite in tal senso nella legge delega39, ha inciso anche sulla disciplina della responsabilità genitoriale. Infatti in

primo luogo è stato sostituito il termine «potestà» con quello di «responsabilità

36

La norma in questione è oggi contenuta nell’art. 316 c. c. Tale norma, in precedenza, oltre ad avere una formulazione differente, era ubicata in un articolo diverso, ossia nell’ 317 bis c. c.

37 Per un approfondimento sul concetto di responsabilità genitoriale nell’ottica del dovere si veda A. G.

CIANCI, La nozione di responsabilità genitoriale, in C. M. BIANCA (a cura di), La riforma della filiazione, Padova, 2015, pagg. 579 ss.

38 Si tratta della legge del 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale

privato e processuale.

39La legge delega indica al Governo solo di provvedere «all’adattamento e riordino dei criteri di cui agli

articoli 33, 34, 35 e 39 della l. 31 maggio 1995 n 218»,con la specificazione di provvedere «anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione del principio di unificazione dello stato di figli». A differenza di quanto previsto per la filiazione, non compare nella legge delega un esplicito riferimento alla modifica della legge n. 218/1995 in materia di potestà dei genitori. Il Governo, dunque, pare essersi mosso sulla base dei più generali principi e criteri direttivi, posti dall’art. 2 della legge delega, ed in particolare, per quanto concerne questa materia, sulla base della lettera h), che si riferisce in modo alquanto generico «all’unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e doveri dei genitori nei confronti di figli nati nel matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto della potestà genitoriale». Si veda al riguardo O. LOPEZ PEGNA, Riforma della filiazione e diritto internazionale privato, in Riv. dir. int., fasc. 2, 2014, pag. 395.

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genitoriale» nell’art. 3640 sui rapporti tra genitori e figli; in secondo luogo è stato inserito,

ex novo, l’art. 36 bis, che indica alcune norme di diritto italiano che «nonostante il richiamo ad altra legge si applicano in ogni caso». Sulle disposizioni in questione ci si

soffermerà più diffusamente nel paragrafo 3 del presente capitolo.

2. Segue: la nozione di responsabilità genitoriale

L’espressione «responsabilità genitoriale», già ampliamente invalsa nella prassi europea a seguito del suo utilizzo nel Regolamento Bruxelles II bis, esprime, in modo più compiuto, la diversa visione prospettica che nel corso degli anni si è sviluppata, relativamente al rapporto tra genitore e figlio, e che è stata accolta dalla legge poiché definisce meglio i contenuti dell’impegno dei genitori.

In una siffatta ottica, totalmente innovativa rispetto all’ordinamento precedente, la potestà genitoriale (ora responsabilità genitoriale) deve essere collocata non più fra le disposizioni che disciplinano i rapporti fra i coniugi, bensì, in via più estesa, fra quelle che regolano i rapporti fra genitori e figli, ed investe ogni diritto e dovere derivante dalla posizione di genitore, indipendentemente da ogni altro dato oggettivo, ponendo in risalto in questo modo il superiore interesse del figlio.

Appare, altresì, opportuno rilevare come, attraverso l’adozione del termine responsabilità, si è inteso ribadire ancora una volta, in maniera più marcata ed inequivocabile, l’interesse che la legge si pone, ossia la tutela del figlio. In questa prospettiva i genitori non esercitano più, su di lui, dei poteri, ma sono investiti di doveri.

La nuova nozione, che in tutta la legislazione vigente si è andata a sostituire a quella di potestà, sottolinea la necessità di abbandonare una visione che si potrebbe definire «genitoricentrica» delle relazioni genitori - figli, quale era quella collegata al termine potestà, e di considerare autonomamente le prerogative dei figli senza il filtro della lente dei genitori41, declinando ogni decisione che li riguardi, in modo da rendere effettivi i loro

diritti, intesi pur sempre in chiave relazionale.42

40L’articolo riformato dispone quanto segue: «I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli,

compresa la responsabilità genitoriale sono regolati dalla legge nazionale del figlio» in luogo della precedente versione «I rapporti personali e patrimoniali tra genitori e figli, compresa la potestà dei genitori, sono regolati dalla legge nazionale del figlio».

41Si veda sul punto E. GIACOBBE, Il prevalente interesse del minore e la responsabilità genitoriale.

Riflessioni sulla riforma «bianca», in Dir. fam. pers., fasc. 2, 2014, pagg. 817 ss.

42 R. SENIGAGLIA, Status filiationis e dimensione relazionale dei rapporti di famiglia, Napoli, 2013,

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Non esiste, tuttavia, una definizione reale del concetto di responsabilità genitoriale. Il legislatore italiano, in linea con l’orientamento precedente, ha consapevolmente e volutamente omesso di definire i contenuti della nozione di responsabilità genitoriale, al fine di rendere tale nozione suscettibile di essere riempita di contenuti, a seconda dell’evoluzione socio-culturale dei rapporti genitori figli, e idonea, come tale, ad adattarsi alle eventuali future evoluzioni43.

Nondimeno, la Relazione illustrativa alla riforma precisa che con il termine responsabilità genitoriale si indichi «una situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri,

gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione»44.

La nozione di responsabilità ha, quindi, una portata assai più ampia rispetto a quella che aveva la potestà genitoriale; tale differenza emerge anche sotto il profilo temporale. Si deve rilevare, infatti, come quest’ultima andasse a riguardare e disciplinare i rapporti intercorrenti fra genitori e figli minori, mentre la responsabilità, così come introdotta dalla riforma del 2012, vada ad investire il concetto di figlio, con tutti i diritti e doveri che ne nascono, prescindendo dal compimento della maggiore età45, tenendo invece, quale

parametro di riferimento per l’esplicitazione di diritti e doveri reciproci, l’autonomia economica.

Sebbene sia esclusa, in termini generali, una durata temporale della responsabilità genitoriale, il legislatore è intervenuto a modificare il testo di alcune disposizioni, nelle quali - tenendo in considerazione aspetti della responsabilità genitoriale riferiti al figlio non ancora capace di agire - si rende necessario esplicitare che la responsabilità genitoriale persiste sino «alla maggiore età o all’emancipazione»46. In conseguenza di

questa premessa, si può sostenere che al raggiungimento della maggiore età, si estingua solo il potere di intervento nella sfera giuridica del figlio per l’acquisto della capacità di agire, mentre permanga il dovere, da parte del genitore, di assicurare i diritti derivanti dallo status di figlio (art. 315 bis c.c.), che non si estinguono con il compimento della maggiore età.

Appare corretto sostenere pertanto che, nonostante molti autori abbiano nutrito perplessità relativamente alla eliminazione dal nostro ordinamento dell’istituto della

43Cfr. Relazione illustrativa del d.lgs. n. 154/2013.

44 Ciò appare coerente rispetto alle linee guida emerse nelle discipline europee più recenti e, in particolare,

con quanto previsto all’art. 2, n. 7, regolamento CE n. 2201/2003 che definisce la responsabilità genitoriale come l’insieme dei «diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore».

45Non è presente, nella nuova formulazione dell’art. 316 c.c., nessun riferimento alla durata della

responsabilità genitoriale. È stata eliminata, infatti, quella parte di norma che - a seguito della riforma del 1975 - prevedeva che il figlio fosse soggetto alla potestà genitoriale «sino alla maggiore età o all’emancipazione».

46 Questa precisazione, infatti, è contenuta nel nuovo testo degli articoli: 318 c.c. («Abbandono della casa del

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potestà47, l’attuale locuzione rappresenti il punto di approdo di una scelta che, non solo

era matura dal punto di vista culturale, ma certamente era già stata ampiamente introdotta nel nostro sistema giuridico, come già evidenziato.

Sul punto si può aggiungere che il passaggio evolutivo sembra, se non determinato, quanto meno favorito dai lavori del CEFL48, confluiti nella elaborazione dei «Principi di diritto europeo della famiglia», che, sebbene nella materia di cui ci stiamo occupando, non hanno valore vincolante per gli Stati, costituiscono, d’altra parte, un importante parametro di riferimento al momento di modificare o emendare le legislazioni nazionali. In particolare, il principio 3.1 già individuava e definiva la responsabilità genitoriale come «un insieme di diritti e doveri volti a promuovere e salvaguardare il benessere del

bambino», fornendo dunque una chiara traccia del percorso da seguire, per realizzare i «best interests» del minore.

Si ritiene opportuno sottolineare che la elastica ed atecnica nozione europea di responsabilità genitoriale, di matrice essenzialmente internazionale privatistica, sia più ampia e comprensiva rispetto alla nozione di diritto materiale interno di «responsabilità genitoriale», nella misura in cui si presta ad includere anche situazioni giuridiche di cui sono titolari nei confronti dei minori, soggetti diversi dai genitori. Ciò si spiega agevolmente se si pone mente al fatto che l’espressione responsabilità genitoriale, che viene utilizzata nel regolamento CE n. 2201/2003 (dal quale è stata mutuata dal nostro legislatore come si riconosce nella relazione illustrativa del d.lgs. n. 154/1349) per

47 Si veda sul punto G. DE CRISOFARO, Dalla potestà alla responsabilità genitoriale: profili problematici

di una innovazione discutibile, in Nuove leg. civ. com., fasc. 4, 2014, pagg. 782 ss. L’autore sostiene che, nonostante il mutamento di terminologia, la situazione giuridica oggi designata come responsabilità genitoriale è sostanzialmente identica alla situazione giuridica che il codice civile un tempo designava come potestà. Lo stesso asserisce come la sostituzione della potestà genitoriale con la responsabilità genitoriale non era né imposta, né, tantomeno, autorizzata dalla legge delega, la quale, anzi, muoveva dal presupposto della conservazione della nozione di potestà genitoriale, limitandosi a richiedere al Governo di intervenire sulla determinazione dei contenuti di tale nozione affinché al suo interno venisse opportunamente valorizzato, evidenziato e regolamentato il profilo attinente alla responsabilità genitoriale.

Nel medesimo senso si veda anche L. LENTI, La sedicente riforma della filiazione,in Nuova giur. civ. comm, fasc. 4, 2013, pag. 214, il quale peraltro evidenzia l’oscurità della formulazione della disposizione della legge delega e M. DOGLIOTTI, La nuova filiazione, cit., pag. 285, il quale pur riconoscendo l’importanza del riferimento fatto dalla legge delega alla responsabilità genitoriale, afferma che «non è dato peraltro capire se il Governo delegato abbia da intervenire pure sulla struttura della potestà». I citati autori fanno leva sul fatto che l’art. 2, comma 1, lettera h) della l. n. 219/2012 si è limitato ad annoverare tra i principi e i criteri direttivi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi nell’esercitare la delega così conferita: «l’unificazione delle disposizioni che disciplinano i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei figli nati nel matrimonio e fuori dal matrimonio, delineando la nozione di responsabilità genitoriale quale aspetto dell’esercizio della potestà genitoriale; il Governo era incorso, dunque, in un eccesso di delega secondo costoro.

48 La Commission on European Family law, istituita nel 2001 allo scopo di sviluppare la riflessione sulla

problematica questione dell’armonizzazione del diritto di famiglia in Europa, ha affrontato il tema della responsabilità genitoriale fin dal 2004, con un metodo di lavoro fondato su relazioni fornite dagli esperti nazionali sulla base di un questionario (per ogni ulteriore riferimento si veda www.ceflonline.net).

49

Nella relazione al d.lgs. n. 154/2013 (al paragrafo 9) si afferma che la introduzione della nozione di responsabilità genitoriale in sostituzione della nozione di potestà è stata attuata «in considerazione dell’evoluzione socio-culturale, prima che giuridica, dei rapporti tra genitori e figli», si aggiunge che «la

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designare, come si è già evidenziato, il complesso «dei diritti e dei doveri riguardanti la persona o i beni di un minore di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo giuridicamente valido ed efficace» (art. 2 n .7), si riferisca non solo alla situazione giuridica (comunque denominata dal diritto nazionale applicabile) della quale sono titolari i genitori nei confronti dei loro figli, ma anche alle situazioni giuridiche (più o meno assimilabili a quelle di cui sono investiti i genitori) di cui soggetti (persone fisiche, o enti collettivi) possono - ex lege, in forza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria ovvero sulla base di un atto negoziale - divenire titolari nei confronti del minore 50 .

Infatti, ad esempio, non soltanto il genitore, ma anche il tutore nominato al minore ai sensi dell’art. 343 c.c. (del quale non può dirsi nella prospettiva del diritto nazionale italiano, che esercita la responsabilità genitoriale) deve considerarsi titolare della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 2 n. 7 del regolamento.

Peraltro, della maggiore portata della nozione europea di responsabilità genitoriale viene data conferma anche nella Convenzione dell’Aja del 16 ottobre del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, il cui art. 2 lett. b statuisce che, ai fini della Convenzione stessa, per detentori della «responsabilità

genitoriali» debbano intendersi «i genitori e altre persone o organi abilitati ad esercitare tutte le - o una parte delle - responsabilità genitoriali». Si conferma così che, sul piano

del diritto internazionale privato, la nozione di responsabilità genitoriale sia più ampia e estesa rispetto alla nozione che un tempo veniva designata dal nostro c.c. come potestà, poiché include anche la situazione giuridica dei tutori e di qualsiasi voglia rappresentante legale del minore diverso dal genitore; la situazione giuridica di cui i genitori sono titolari nei confronti del minore viene, invece, designata dalla Convenzione con una espressione distinta quale quella di «parental authority», configurandosi pertanto come una sottocategoria della parental responsibility. Altrettanto dicasi della Convenzione di Strasbrugo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei minori, in cui l’art. 2 lett. b statuisce che, ai fini della Convenzione stessa, «per detentori della responsabilità genitoriale» debbano intendersi «i genitori e altre persone o organi abilitati ad esercitare tutte - o una parte

delle - responsabilità genitoriali».

nozione di responsabilità genitoriale presente da tempo in numerosi strumenti internazionali (tra cui il regolamento (CE) 22001/2003 - c.d. Bruxelles II bis, che disciplina all’interno dell’UE - con la sola eccezione della Danimarca - la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale) è quella che meglio definisce i contenuti dell’impegno genitoriale, da considerare non più come una potestà sul figlio minore, ma come una assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio».

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Il legislatore europeo, inoltre a differenza di quello italiano, pur non proponendosi di determinare in modo esaustivo e completo i contenuti della nozione di responsabilità genitoriale (ciò che sarebbe stato d’altro canto ultroneo rispetto alle finalità complessive dallo stesso perseguite), non manca, tuttavia, di definirne gli aspetti principali individuati nel diritto di affidamento e nel diritto di visita.

Tuttavia, sembra significativo notare che, la scelta del legislatore italiano di ricorrere all’espressione responsabilità genitoriale, risulta in armonia con il panorama europeo e internazionale di diritto di famiglia. Basti pensare, a titolo di esempio, all’espressione «parental responsibility» impiegata nel britannico Children Act 1989 51, alla nozione «responsabilidades parentais» inserita, nel 2008, nel codice civile portoghese in

sostituzione della tradizionale nozione di «Poder paternal»52, al concetto di «elterliche

Sorge» del BGB tedesco53, e quello di «child support» con riferimento al sistema degli

Stati Uniti d’America, tutti orientati a sottolineare l’elemento del dovere - responsibility,

support, responsabilidades - piuttosto che del potere54.

Se si guarda in generale all’esperienza dei Paesi europei dotati di codice civile, può rilevarsi che sicuramente, in ciascuno di essi, la disciplina codicistica delle relazioni genitori - figli è stata, negli ultimi 25/30 anni, profondamente (e a più riprese) riformata e modificata, per essere ammodernata e soprattutto adeguata ai contenuti delle più recenti Convenzioni internazionali e al principio fondamentale in forza del quale i poteri e i doveri - di cui i genitori sono investiti nei confronti dei figli minori - sono ad essi attribuiti dalla legge esclusivamente in funzione del perseguimento del superiore interesse del minore.

Si deve peraltro, sottolineare, che non in tutti i Paesi europei dotati di codice civile il legislatore ha ritenuto che la indiscutibile esigenza di modificare e ammodernare la disciplina dei contenuti della situazione giuridica di cui i genitori sono titolari nei

51 Nella sua sezione terza si prevede che: «In this act «parental responsibility» means all the rights, duties, powers, responsibilities and authority which by law a parent of a child has in relation to the child and his property».

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Al riguardo il codice civile portoghese statuisce espressamente che i figli sono soggetti alla responsabilidades parentais dei genitori fino alla maggiore età (art. 1877) e si preoccupa di definire in positivo e con puntualità i contenuti di tale situazione giuridica, stabilendo (art. 1878 1° comma) che «ai genitori compete, nell’interesse dei figli, vigilare sulla loro sicurezza e salute, provvedere al loro mantenimento, dirigerne l’educazione, rappresentarli, e amministrarne i beni». Specifica inoltre che «i figli debbono obbedienza ai genitori, i quali, in correlazione al grado di maturità dei figli, debbono tenere conto delle loro opinioni, nelle questioni familiari importanti e riconoscere ai figli autonomia nell’organizzazione delle loro vite».

53 La disciplina della eterliche Sorge (cura genitoriale) è contenuta nel Titolo V della Sezione II del libro IV

del codice civile tedesco. L’art. 1626 1 com. BGB prevede espressamente che «i genitori hanno il dovere e il diritto di prendersi cura dei figli minori di età (eterliche Sorge). La cura genitoriale include la cura della persona del figlio (Personensorge) e la cura del patrimonio del figlio (Vermögenssorge)».

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