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Il criterio generale della residenza abituale del minore

A differenza di quanto previsto nel regolamento CE n. 1347/2000, che non dettava criteri di competenza autonomi in relazione alle controversie inerenti alla potestà dei genitori, limitandosi a concentrare la conoscenza dei relativi giudizi davanti al foro competente per le questioni matrimoniali, il regolamento CE n. 2201/2003 dedica apposite norme all’individuazione del giudice chiamato a dirimere le liti sulla responsabilità genitoriale. E, a tal proposito, si sottolinea l’opportunità che le medesime «si uniformino all’interesse

superiore del minore e in particolare al criterio della vicinanza. Ciò significa che la competenza giurisdizionale appartiene innanzitutto ai giudici dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente»207. In tale prospettiva, l’art. 8 individua il foro generale nel

Paese in cui il minore risiede abitualmente alla data di avvio del procedimento.

L’adozione di tale criterio certamente non desta stupore, posto che si tratta di un trend già ampiamente registrato in tutti gli atti aventi ad oggetto la tutela dei minori adottati sotto l’egida della conferenza dell’Aja208 esaminati nel capitolo 1, ed invero, esteso alla quasi

204 A. DELL’ANTONIO, La partecipazione del minore alla sua tutela, un diritto misconosciuto, Milano,

2001, pagg. 92 ss.

205 Tra le tante si veda Corte di Giustizia dell’Unione, sentenza J. McB. c. L. E., cit., pt.60.

206 Si ricordi che la Carta di Nizza, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, che le attribuisce lo

stesso valore giuridico dei trattati, rientra tra le fonti primarie del diritto dell’Unione.

207 Si veda in proposito il considerando n. 12 del regolamento CE n. 2201/2003.

208 In tema di tutela dei minori, il criterio della residenza abituale ha iniziato ad affermarsi fin dalla

Convenzione dell’Aja del 6 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori; Convenzione poi sostituita da quella del 1996 concernente la competenza, legge

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totalità degli strumenti di cooperazione giudiziaria adottati dall’Unione europea209. Con

riguardo al minore, tuttavia, esso acquista un valore particolare, in quanto costituisce l’espressione processualistica dell’obbiettivo materiale perseguito dal legislatore dell’Unione in tale settore, ossia la tutela del superiore interesse del minore. Rispettare la prevalenza degli interessi del minore significa che ogni provvedimento giurisdizionale che riguardi il minore deve rispondere ai canoni di immediatezza e di effettività; da qui l’esigenza di attribuire la competenza giurisdizionale in base ai criteri di prossimità o di vicinanza, e quindi, al giudice del luogo in cui il minore ha la sua residenza abituale, essendo quest’ultimo il più vicino alle esigenze del minore210.

Da questo punto di vista, il criterio della residenza abituale non ha solo una funzione materiale, volta alla tutela del minore in senso stretto, ma rappresenta altresì un collegamento di prossimità del giudice con la fattispecie sottoposta alla sua attenzione211.

Di conseguenza il criterio in oggetto ha la funzione specifica di esprimere un certo grado di radicamento e di integrazione del minore in un determinato luogo o comunque con la comunità sociale che ivi si trova. In questo senso si rivela anche l’abitualità della residenza, caratteristica che determina un legame sostanziale tra il minore ed il luogo in cui vive212.

Si deve sottolineare, però, che questo titolo uniforme di giurisdizione pone, anzitutto, il non agevole problema di individuare i criteri idonei a determinare ove tale residenza abituale sia ubicata. Il regolamento non contiene in proposito alcuna disposizione, né al fine di precisare direttamente tale criterio, né per fare rinvio al diritto nazionale. Al riguardo, fornire una definizione del criterio della residenza abituale è compito meno agevole di quanto potrebbe apparire a prima vista. L’unico aspetto su cui si registra una convergenza di vedute nei diversi Stati è che si tratta di un criterio di fatto e non di diritto, la cui determinazione, rimessa al giudice di merito, non è contestabile in sede di giudizio

applicabile, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori, che presenta un sistema di titoli di giurisdizione tendenzialmente concentrato presso il foro della residenza abituale del minore. Tale criterio ha poi trovato piena conferma nella Convenzione dell’Aja del 1980.

209 Per una rassegna degli atti di cooperazione giudiziaria adottati dall’Unione Europea che fanno uso del

criterio della residenza abituale si veda M. MELLONE, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitario, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, pagg. 685 ss.

210

C. HONORATI, Problemi applicativi del Regolamento Bruxelles II: la nozione di residenza abituale del minore (Prima parte), in Studium Iuris, 2012, pag. 25.

211 M. C. BARUFFI, La responsabilità genitoriale: competenze e riconoscimento delle decisioni nel

regolamento Bruxelles II, in S. M. CARBONE - I. QUIEROLO (a cura di), Diritto di Famiglia e Unione Europea, Milano 2008, pag. 264.

212 P. ROGERSON, Habitual Residence: The New Domicile?, in International e Comparative Law Quartely,

2000, pag. 49 ss.; R. LAMONT, Habitual Residence and Bruxelles II-bis: Developing Concepts for European Private International Family Law, in Journal of Private International Law, 2007, pagg. 261 ss.

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di legittimità, ove sia sorretta da una adeguata motivazione213. Inoltre, la sua natura

fattuale comporta che la sua concretizzazione non possa essere effettuata una volta per tutte, in via generale ed astratta, ma vada rimessa al giudice nazionale sulla base di un esame, caso per caso, della concreta situazione da valutare.

In questa situazione è necessario, date anche le differenze che potrebbero emergere nel ricondurre una tale definizione a quanto stabilito negli ordinamenti nazionali, individuare una nozione autonoma di residenza abituale del minore, in ossequio al metodo interpretativo ripetutamente adottato dalla Corte di giustizia in relazione alle espressioni utilizzate negli atti comunitari 214. La Corte di Giustizia si è occupata di definire la nozione di residenza abituale già dagli anni novanta del secolo scorso in riferimento a materie diverse dal diritto di famiglia215, ma è stato soltanto con le sentenze A e Mercredi,

che la Corte ha individuato per la prima volta i criteri volti a determinare la residenza abituale del minore. Molto opportunamente, quindi, la Corte ha escluso una trasposizione meccanica della nozione «comune» di residenza abituale e ha affermato che quella del minore vada stabilita sulla base delle peculiari circostanze di fatto che caratterizzano ogni caso di specie216. Entrambe le sentenze elaborano una interpretazione autonoma del

criterio della residenza abituale del minore, effettuata tenendo conto del contesto della disposizione, ossia dell’art. 8 del regolamento e dello scopo perseguito dalla normativa. Ciò risulta necessario ad avviso della Corte, se si vuole ottenere una applicazione uniforme del diritto dell’Unione e se si vuole mantenere fede al principio di uguaglianza. Di conseguenza tale interpretazione non può fare riferimento alle nozioni di diritto interno dei singoli Stati membri 217.

213 In tal senso, tra tante, si veda: Cassazione Civile, sentenza del 2 luglio 2007 n.14960 in Foro It. , 2007,

pag. 3396; Cassazione Civile, sentenza del 4 aprile 2006, n. 7864, in Mass. Giur. It, 2006; Cassazione Civile, sentenza del 16 luglio 2004, n. 13167, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, pag. 147; Cassazione Civile, sentenza del 15 febbraio 2008, n. 3798, in Fam. dir., 2009, pag. 885; Cassazione Civile, sentenza del 16 giugno 2009, n. 13936, in Fam. dir., 2009, pag. 876.

214 G. BIAGIONI, Il nuovo regolamento comunitario, cit. pagg. 991 ss.

215 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 25 febbraio 1999, causa C - 90/97, Swaddling. Il caso

riguardava la materia della previdenza sociale. In particolare, la norma oggetto d’interpretazione ripartiva i costi previdenziali tra lo Stato di residenza e quello in cui si era svolta l’attività lavorativa. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 11 novembre 2004, causa C -372/02, Adanez-Vega, riguardante sempre la materia della previdenza sociale. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 15 settembre 1994, causa C - 452/93, P. Magdalena Fernandez, in materia di pubblico impiego, in questo caso la localizzazione della residenza veniva in rilievo per l’indennità di dislocazione. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 17 luglio 2008, causa C - 66/08, Kozlowski, sul mandato di arresto europeo.

216 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 2 aprile 2009, causa C - 523/07, A, pt. 37; Corte di

Giustizia dell’Unione Europea, 22 dicembre 2010, causa C - 497/10, Mercredi, pt. 47.

217 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza, A, cit., pt. 36; Corte di Giustizia dell’Unione Europea,

sentenza Mercredi, cit., pt. 45 e 46. La Corte richiama in queste due cause altri casi precedenti in cui si era espressa nello stesso senso, seppur in ambiti diversi, si vedano in particolare: Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 6 marzo 2008, causa C - 98/07, Nordania Finans e BG Factoring, pt. 17, nonché Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza del 18 gennaio 1984, causa C - 327/82, Ekro, pt.11.

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Nella sentenza A la Corte non fornisce una precisa qualificazione della residenza abituale, ma offre alcuni parametri utili alla localizzazione della residenza abituale del minore. Il caso riguardava, nello specifico, tre minori finlandesi che si erano recati, accompagnati dalla madre e dal patrigno, in Finlandia, per trascorrere le vacanze estive, al termine delle quali erano rimasti in Finlandia, abitando in roulotte in vari campeggi, senza che venissero iscritti a scuola. La famiglia, lo stesso autunno, aveva presentato una domanda di alloggio presso i servizi sociali della città in cui si trovavano. Poco dopo, le autorità finlandesi dichiaravano lo stato di abbandono dei minori e collocavano i minori presso un istituto di accoglienza. La madre, quindi, impugnava il provvedimento finlandese, eccependo, in particolare, la carenza di giurisdizione, e asserendo che i bambini fossero abitualmente residenti in Svezia. La Corte, tramite rinvio pregiudiziale, è stata chiamata a chiarire se in una situazione in cui il minore ha la residenza stabile in uno Stato membro, ma soggiorna in un altro Stato membro in cui non ha fissa dimora, possa essere considerato competente il giudice del secondo Stato.

Innanzitutto essa sente l’esigenza di ribadire che la residenza abituale non equivale alla mera presenza fisica218. La Corte motiva tale conclusione non in base all’interpretazione letterale del criterio di cui è chiamata a chiarire la portata, quanto piuttosto alla struttura e al sistema del regolamento. Essa osserva infatti che questo introduce uno specifico criterio di collegamento, il c.d. forum necessitatis di cui all’art. 13, che attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui il minore si trova, nelle sole ipotesi in cui non sia possibile individuare la residenza abituale del minore in alcuno degli Stati membri. La natura residuale del forum necessitatis, costituito dalla mera presenza fisica del minore, implica dunque che il criterio della residenza sia integrato da qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto alla mera presenza fisica del minore in un determinato territorio219. Già

alla luce di tale rilievo, occorre concludere per l’erroneità di quella giurisprudenza italiana, seppur minoritaria, che fa coincidere la residenza di fatto del minore con il luogo ove è collocata la dimora ai sensi dell’art. 43 del c.c.220. La residenza abituale del minore,

presupposta la presenza fisica sul territorio, viene definita, dalla Corte di Lussemburgo,

218 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza A, cit., pt. 33. L’affermazione è poi ribadita nella

sentenza Mercredi, cit., pt. 49.

219 C. HONORATI, Problemi applicativi del regolamento Bruxelles II ( prima parte), cit., pag. 29.

220 Esiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale minoritario che non considera le specificità della materia

e finisce per accettare, anche con riferimento a fattispecie relative a minori, l’interpretazione consueta modellata sull’accezione comune di residenza. Questa giurisprudenza si richiama indirettamente all’ art. 43 del c.c., che stabilisce che la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Si veda in proposito: Cassazione Civile, Sez. Un., sentenza del 13 giugno 2008, n. 16112, in studiolegale.leggiditalia.it; Cassazione Civile, sentenza del 31 gennaio 2006 , n. 2171, in Dir.& Giust., 2006, fasc. 9, pagg. 18 ss. con nota di E. ZINCONE, Basta con i minori in cerca di un giudice. Affidamenti, la mappa della competenza; Cassazione Civile, sentenza del 23 gennaio 2003, n. 1058, in Fam. e dir., 2003, pag. 273.

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come «il luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e

familiare». A tal fine, si devono considerare una molteplicità di fattori, volti a dimostrare

che la presenza del minore in quel dato territorio non sia meramente temporanea o occasionale, ma che esprima una certa e durevole integrazione in quell’ambiente sociale e familiare221. La Corte si discosta, pertanto, dalla definizione data in precedenti casi in cui

la residenza abituale era stata definita come «il luogo cui si trova il centro principale dei

propri interessi»222, per ritagliare una definizione dello stesso concetto che sia più

confacente ai caratteri del minore cui è riferito. Emerge, in tal senso, una precisa scelta della Corte di giustizia di ricondurre la concretizzazione della residenza abituale non tanto ad una definizione rigida, simile a quella fatta dal nostro legislatore all’art. 43 c.c., quanto incentrata su una pluralità di fattori, di elementi di contatto con uno Stato, di natura soggettiva e oggettiva, che devono essere soppesati, nel caso concreto, direttamente dal giudice nazionale. L’elencazione di indici, che corrispondono ad elementi di fatto, dimostra come la residenza abituale ben possa essere considerata come il collegamento più stretto tra il minore e il foro della residenza abituale. La ricerca del collegamento più stretto con la fattispecie, d’altra parte, sembra essere il leitmotive che si rintraccia nell’individuazione dei vari fori competenti in materia di responsabilità genitoriale previsti nel regolamento. Ad esempio, le disposizioni sulla proroga della competenza o in tema di trasferimento di competenza223 , pur utilizzando come criterio

base quello della residenza, con riferimento ad ipotesi particolari, dispongono che questo sia rinforzato da altri elementi, che operano, pertanto, cumulandosi con la residenza quali la cittadinanza del minore, la residenza del genitore, il foro della causa dello scioglimento del matrimonio ecc.., così da confermare l’esistenza di uno stretto collegamento con il foro così indicato.

La caratteristica principale del criterio del collegamento più stretto è la sua flessibilità, che permette al giudice di dare rilevanza ad una pluralità di elementi di fatto, pensandoli in modo diverso a seconda del caso concreto. Come quello, anche il criterio della

221 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza A, cit., pt. 44.

222 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza Swaddling, cit. pt.29; Corte di Giustizia dell’Unione

Europea, sentenza Magdalena Fernàndez, cit., pt. 22. Tuttavia, le differenze rispetto alla nozione di residenza abituale che ritaglia in riferimento al minore si assottigliano, ove si osserva che, anche in questi casi appena citati, la Corte non si è limitata a definire una nozione secca di residenza abituale, ma l’ha completata con la raccomandazione che occorra prendere in considerazione «tutti gli elementi di fatto» che contribuiscono alla sua costituzione. Così, ad esempio, nella sentenza Swaddling, la Corte stessa precisa che occorra prendere in considerazione la situazione fattuale del lavoratore, i motivi che l’hanno indotto a trasferirsi, la durata e la continuità della residenza, nonché il fatto - specifico a quella ipotesi - di disporre eventualmente di un posto di lavoro stabile e l’intenzione del lavoratore. Similmente nella sentenza Magdalena Fernàndez, la Corte di Giustizia chiede al giudice nazionale di dare rilievo ad elementi di fatto che assumono particolare importanza in quel caso, quale «l’assenza sporadica e di breve durata dal Paese della sede di servizio, all’inizio del periodo di riferimento precedente l’entrata in servizio».

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residenza, fermo restando il paletto oggettivo della presenza del minore sul proprio territorio, consente al giudice nazionale di dare rilievo a qualsivoglia elemento di contatto purché capace di esprimere un sia pure minimo attaccamento sul territorio224.

L’importanza della sentenza «A» sta dunque nell’aver reso più certo e univoco un criterio flessibile, quale quello della residenza abituale, dando ai giudici nazionali una sorta di

check list di parametri, evidentemente non tassativa né esaustiva, ma sufficientemente

articolata e completa da costituire un utile e uniforme base di partenza. La Corte non fornisce quindi una vera e propria definizione della residenza abituale del minore, ma mette in luce alcuni elementi utili alla sua individuazione e tale soluzione corrisponde a quella consolidatasi nell’interpretazione delle Convenzioni dell’Aja sulla protezione dei minori225.

I parametri individuati nella Corte di Giustizia nel caso «A» sono i seguenti226:

- durata227 del soggiorno, regolarità, condizioni e ragioni del soggiorno - cittadinanza del minore228

- il luogo e le condizioni della frequenza scolastica229

224 A tal riguardo, l’avvocato generale J. Kokott, nelle sue conclusioni relativamente al caso A (presentate il

29 gennaio 2009, C - 523/07, A), da ragione al Governo inglese quando sostiene che la nozione di residenza abituale non sia ulteriormente interpretabile e che l’interpretazione dovrebbe lasciare al giudice nazionale un potere discrezionale sufficiente per prendere in considerazione tutte le circostanze di fatto che risultano rilevanti nel caso concreto. Si veda in proposito in proposito il pt. 15 delle conclusioni.

225 S. MARINO, Note a Corte di Giustizia CE, sentenza 2 aprile 2009, Causa C - 523/07. Nuovi criteri

interpretativi per la determinazione della giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale: la nozione di residenza abituale dei minori in una recente sentenza della Corte di Giustizia CE, in Riv. dir. proc., fasc. 2, 2010, pagg. 461 ss.

226 Sentenza A, cit., pt. 39.

227 Sull’importanza del fattore tempo si veda: C. HONORATI, Problemi applicativi del Regolamento

Bruxelles II: la nozione di residenza abituale del minore (Seconda parte), in Studium Iuris, 2012, pagg. 162 - 164. Al riguardo, l’autrice sottolinea che, sebbene il fattore tempo, che esprime la durata e la continuità della presenza del minore sul territorio di uno Stato, costituisca il primo fattore dal quale muovere, l’art. 9 del regolamento CE n. 2201/2003 sul ricollocamento del minore lascia intendere che il minore possa acquisire una nuova residenza in soli tre mesi. Fra l’altro, l’autrice evidenzia che la stessa «Guida pratica all’applicazione del Regolamento Bruxelles II bis» , cit., sub. art. 8, afferma che non si possa escludere che «un minore possa acquisire la sua residenza abituale in un solo giorno». In verità, secondo l’autrice, quest’ultima affermazione non va interpretata alla lettera, altrimenti il carattere dell’abitualità verrebbe meno, ma va letta nel particolare contesto in cui è resa. Il passaggio citato infatti, sempre secondo l’autrice stessa, non è dettato dall’esigenza di definire la nozione di residenza abituale, finalità la cui opportunità era stata presa in considerazione ma poi abbandonata, quanto piuttosto da quella di evitare il sorgere di conflitti positivi (o negativi) di competenza. L’espressione utilizzata dalla Commissione, significa, dunque, ad avviso dell’autrice, che l’acquisizione di una nuova residenza dovrebbe coincidere con la perdita della precedente, in modo tale da evitare la contemporanea e confliggente esistenza di due titoli di giurisdizione.

228 La residenza del minore nello Stato di cittadinanza mostra una realtà empirica evidente, non ha quindi,

necessità di una particolare dimostrazione, poiché il legame del minore con quello Stato è già in parte dimostrato dall’esserne cittadino. Opposto appare invece il ragionamento laddove il luogo di residenza di un soggetto non coincida con lo Stato in cui lo stesso abbia cittadinanza. Posto che, normalmente, la discordanza tra Stato di cittadinanza e Stato di residenza implica che vi è stato un trasferimento (della residenza) da uno Stato all’altro, l’accertamento della nuova residenza può implicare una prova più accurata.

229 Si tratta di un indice che, a differenza del precedente, è già tenuto ampiamente presente nella prassi

giurisprudenziale interna e a cui si fa, pertanto, sovente ricorso. Esso esprime un profilo importante della vita del minore in età scolare e prescolare, poiché rivela il suo grado di relazioni sociali in un determinato ambiente.

87 - le conoscenze linguistiche230

- le relazioni familiari e sociali231

- l’intenzione del genitore di radicarsi in un determinato luogo.

Quest’ultimo criterio, ad avviso della Corte, deve essere desunto da circostanze oggettive. Quali prove dell’«oggettivazione» della volontà di stabilire la propria residenza in un determinato Stato si adduce ad esempio l’affitto o l’acquisto di un alloggio, oppure, più semplicemente, la richiesta di stabilire la propria residenza in un determinato Stato. Fra