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La disciplina dei contratti di investimento nella prospettiva di tutela dell'investitore e del rispetto dell'integrità del mercato

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

LA DISCIPLINA DEI CONTRATTI DI

INVESTIMENTO NELLA PROSPETTIVA DI TUTELA

DELL’INVESTITORE E DEL RISPETTO

DELL’INTEGRITA’ DEL MERCATO

Il Candidato

Il Relatore

Vincenzo Lorenzo Alfarano Prof. Andrea Bartalena

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Indice

Capitolo 1: L’inquadramento dogmatico della figura dell’investitore e l’intervento

del legislatore tra trasparenza e paternalismo. ... 2

1.1. Le ragioni di una disciplina speciale ... 2

1.2. Il rapporto tra la figura dell’investitore e quella del consumatore ... 6

1.3. La graduazione delle regole di condotta in funzione della natura dell’investitore ...16

1.4. La riserva di attività ed accesso ai servizi e alle attività di investimento e la soluzione della giurisprudenza in caso di sua violazione ...20

1.5. Le regole di condotta nei servizi e attività di investimento: dal paradigma della trasparenza a quello del paternalismo ...26

1.5.1. Gli obblighi informativi e la modifica della regola di adeguatezza...29

1.5.2. Il paternalismo del legislatore nella disciplina della product governance ...33

1.5.3. Il superamento della disclosure nella disciplina del conflitto di interessi ...36

1.5.4. La disciplina degli incentivi: la trasparenza come requisito di legittimità ...40

1.5.5. La nuova regola di “best execution” ...42

1.6. Dove la figura del consumatore si sovrappone a quella dell’investitore: la disciplina dell’offerta fuori sede e delle tecniche di comunicazione a distanza. ..44

1.6.1. L’offerta fuori sede ...44

1.6.2. Le tecniche di comunicazione a distanze ed i servizi finanziari online ..49

Capitolo 2: La responsabilità dei soggetti abilitati e le conseguenze derivanti dalla violazione della disciplina dei servizi di investimento ...58

2.1. Il silenzio del legislatore ...58

2.2. La soluzione della nullità...61

2.3. La possibilità dell’annullamento e della risoluzione ...64

2.4. La configurazione della responsabilità risarcitoria per violazione delle regole di condotta: commento e critica delle sentenze n. 26724 e 26725 del 2007 delle Sezioni Unite ...68

2.5. La questione del concorso di colpa dell’investitore ...88

Capitolo 3: Il caso della nullità dei contratti swap per difetto di causa ...92

3.1. I contratti derivati ed in particolare i contratti swap ...92

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Capitolo 4: L’art. 23 TUF e il problema dell’uso selettivo dell’azione di nullità da

parte dell’investitore ...109

4.1. L’art. 23 TUF e il Regolamento Intermediari Consob in materia di contratti. ...109

4.2. La configurabilità della categoria della nullità di protezione ...112

4.2.1. La questione della rilevabilità d’ufficio ...124

4.2.2. La possibilità della convalida delle nullità di protezione ...132

4.3. La cd. “forma informativa” dei contratti di investimento: il neo-formalismo contrattuale ...136

4.4. Contratto quadro e singoli ordini ...140

4.5. La questione dell’abuso della nullità di protezione da parte dell’investitore ...147

4.5.1 Le soluzioni proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza e loro critica ...154

Capitolo 5: Verso un rimedio “globale” di nullità a tutela dell’investitore? ...182

5.1. L’eccezione di dolo come strumento per arginare l’uso abusivo dell’azione di nullità da parte dell’investitore. ...182

5.2. La nullità dei contratti stipulati in violazione delle regole di condotta come strumento di tutela dell’investitore alla luce dell’evoluzione legislativa. .187 5.2.1. Il ridimensionamento dei problemi dogmatici e delle conseguenze economiche in seguito all’adozione del rimedio della nullità ...192

Bibliografia: ...197

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Introduzione

Questo scritto si propone di affrontare il problema della tutela dell’investitore nel diritto dei mercati finanziari. Ravvisando gli estremi per considerare quest’ultimo come contraente debole della disciplina, il legislatore, sotto la diretta influenza del diritto europeo, ha predisposto delle regole speciali con l’obiettivo di approntare una tutela effettiva di esso, funzionale anche ad una maggiore efficienza dei mercati in questione. Ci si propone, in questa sede, di enunciare quelli che sono gli strumenti approntati a tal fine, enunciandone e svelandone la ratio sottesa, dalla legge e, se di fronte al silenzio di questa, dalla giurisprudenza, che prende le mosse dai principi fondamentali dettati in materia per colmare tali lacune. Per quanto riguarda i rimedi stabiliti per le violazioni di tali regole a tutela dell’investitore (siano essi figli del primo o del secondo formante elencati), si pongono non pochi problemi, che possono essere identificati in una scarsa effettività di essi oppure nel loro prestarsi ad un utilizzo abusivo. Dopo aver esaminato accuratamente tutte queste prospettive remediali, si proporrà una soluzione che, non allontanandosi dai principi della materia e dal dettato fornito dal legislatore, tenda a rispettare il più possibile la normativa, tentando di superare gli inconvenienti, a cui si può andare incontro attenendosi troppo formalmente al dato legislativo, siano essi inerenti alla prospettiva dell’analisi economica od a quella della dogmatica giuridica.

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Capitolo 1: L’inquadramento dogmatico della figura

dell’investitore e l’intervento del legislatore tra trasparenza e

paternalismo.

Sommario: 1. Le ragioni di una disciplina speciale – 2. Il rapporto tra la figura dell’investitore e quella del consumatore – 3. La graduazione delle regole di condotta in funzione della natura dell’investitore – 4. La riserva di attività ed accesso ai servizi e alle attività di investimento e la soluzione della giurisprudenza in caso di sua violazione – 5. Le regole di condotta nei servizi e attività di investimento: dal paradigma della trasparenza a quello del paternalismo – 5.1. Gli obblighi di informazione e la modifica della regola di adeguatezza – 5.2. Il paternalismo del legislatore nella disciplina della product governance – 5.3. Il superamento della disclosure nella disciplina del conflitto di interessi – 5.4. La disciplina degli incentivi: la trasparenza come requisito di legittimità – 5.5. La nuova regola di “best execution” – 6. Dove la figura del consumatore si sovrappone a quella dell’investitore: la disciplina dell’offerta fuori sede e delle tecniche di comunicazione a distanza – 6.1. L’offerta fuori sede – 6.2. Le tecniche di comunicazione a distanze ed i servizi finanziari online

1.1. Le ragioni di una disciplina speciale

L’ordinamento speciale del diritto dei mercati finanziari1

è di recente creazione. Fino alla legge 1/1991, esso era tanto lacunoso e schizofrenico da

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Non è agevole dare una definizione di diritto dei mercati finanziari. Nella tradizionale prospettiva dell’analisi economica il mercato finanziario viene considerato come l’unione di tre comparti: quello bancario e creditizio, quello assicurativo (per i profili relativi a quest’ultimo che hanno attinenza con il mercato dei capitali) e quello dell’intermediazione finanziaria in senso stretto. Dal punto di vista dell’evoluzione giuridica possiamo, invece, distinguere, nella disciplina del mercato finanziario, un segmento definibile con l’espressione atecnica di mercato mobiliare, riguardante le attività che hanno attinenza con

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far dubitare della sua stessa esistenza. Non era infatti previsto alcun tipo di controllo su tante attività di intermediazione mobiliare potenzialmente pregiudizievoli per colui che ne usufruiva. Senza stare a ripercorrere tutto questo quadro storico, vi era un unico intermediario regolamentato, ovvero l’agente di cambio, a cui era comunque inibito lo svolgimento di qualunque attività diversa dalla negoziazione per conto altrui. E’ grazie a tale legge dei primi anni ’90, figlia di un impulso comunitario, che per la prima volta si introducono novità importanti sotto questi aspetti. Vengono, infatti, previste; la possibilità di svolgere attività di intermediazione mobiliare solo per soggetti autorizzati sottoposti alla medesima disciplina per il fatto di svolgere le stesse attività (Sim, banche e società fiduciarie), la possibilità di un soggetto di svolgere più attività di intermediazione mobiliare (nel rispetto di regole volte a contenere o eliminare i conflitti di interesse che sarebbero potuti sorgere da una simile impostazione) e l’insistenza sugli stessi soggetti di una vigilanza che assicurasse la correttezza dei comportamenti e la stabilità. Dopo questo primo intervento il TUF e le norme comunitarie in esso recepite successivamente o direttamente esecutive (come nel caso dei regolamenti) hanno contribuito alla costruzione definitiva di tale ordinamento speciale.

Il legislatore appronta, infatti, delle tutele rafforzate a favore dell’investitore, visto ormai, anche grazie alla determinante comunitaria fattasi sempre più pervasiva ed importante negli ultimi decenni, come vero e proprio contraente debole nella disciplina dei servizi e delle attività di investimento2.

il mercato dei capitali, diverse da quelle bancarie ed assicurative così come definite nei rispettivi testi normativi (Vedi ANNUNZIATA, pag. 9).

2 Ai sensi dell’art. 1, comma 5, TUF, costituiscono servizi ed attività di investimento,

quando hanno ad oggetto strumenti finanziari: negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti, assunzione a fermo e/o collocamento sulla base di un impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente, collocamento senza impegno irrevocabile nei confronti dell'emittente, gestione di portafogli, ricezione e trasmissione di ordini, consulenza in materia di investimenti, gestione di sistemi multilaterali di negoziazione e gestione di sistemi organizzati di negoziazione. Si parla di attività per quelle

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Negli ordinamenti a noi più vicini, già da qualche decennio, si può riscontrare come si sia deciso di non lasciare questa disciplina alle regole di diritto comune ma si sia sempre venuti in soccorso del contraente debole approntandosi una disciplina speciale, spesso derogatoria del diritto comune in modo anche profondo.

In particolare si può notare come siano affidate a regole speciali, anche se in misura diversa, l’emissione di strumenti finanziari3

, la loro negoziazione e gestione, in generale, l’attività degli intermediari. Ma tutto ciò non è sufficiente; una struttura pubblica viene incaricata del compito di vigilare sui soggetti, sulle attività e sui contratti riguardanti l’organizzazione ed il funzionamento del mercato mobiliare.

Quali le ragioni di una disciplina derogatoria del diritto comune?4. In primis, la difficoltà di conoscere compiutamente il contenuto di uno strumento finanziario che di per sé si esaurisce in un contratto, come tale meno conoscibile di una qualunque res, che prevede il trasferimento attuale di una somma di denaro a fronte di un’aspettativa.

Da qui innanzi tutto l’esigenza di assicurare all’investitore un grado di informazione sugli strumenti finanziari più intenso di quello consentito dalle norme comuni, soprattutto per quanto riguarda le contrattazioni di massa ed impersonali, dove non sembra esserci spazio per i rimedi di diritto comune (per esempio, correttezza e buona fede). L’informazione rappresenta, in questi casi, un bene pubblico e la trasparenza assolve ad un interesse pubblico perseguito attraverso l’imposizione di particolari doveri e di strutture necessarie per la loro attuazione (si pensi a tutta la recente disciplina della governance degli intermediari).

contemplate in questo catalogo che non configurano, in senso proprio, un servizio reso dall’intermediario ad un cliente investitore, o ad una controparte (si pensi, su tutti, alla gestione di un sistema multilaterale di negoziazione).

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Il comma 2 dell’art. 1 del TUF fornisce una definizione chiusa di strumento finanziario, elencando in modo esaustivo tutti quelli considerati tali e superando l’ambiguità connessa alla precedente definizione di valore mobiliare (prevista dalla legge n. 1/1991).

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L’interesse pubblico al buon funzionamento dell’intermediazione finanziaria impone al legislatore di risolvere i problemi di asimmetria informativa ed imporre una trasparenza che il mercato da solo non riesce a garantire.

Ovviamente, è chiaro come la semplice trasparenza al fine di colmare le asimmetrie informative tra l’investitore e l’intermediario non sia sufficiente per assicurare un efficiente funzionamento del mercato mobiliare. E’ pertanto necessario sottoporre coloro che operano su tale mercato a precisi doveri di comportamento, ritenuti indispensabili sia per il funzionamento del mercato, sia per tutelare sempre maggiormente un investitore edotto.

Un' altra branca di questo ordinamento speciale si occupa poi di assicurare che le funzioni di investitore istituzionale o di impresa di investimento vengano assunte da imprese dotate dei necessari requisiti patrimoniali e professionali, nonché di prevenire od attenuare il pericolo che l’instabilità o l’insolvenza di un intermediario possano trasmettersi a catena all’intero sistema dell’intermediazione mobiliare. Per fronteggiare tale rischio quasi tutti gli ordinamenti che conosciamo, compreso quello italiano, approntano norme tese ad esercitare un controllo sull’ingresso nel mercato da parte degli intermediari ed investono soggetti di diritto pubblico del compito di vigilare sulla loro stabilità.

La necessità di porre rimedi normativi per tutelare una delle due parti del rapporto contrattuale conosce quindi dai primi anni '90 del secolo scorso l'introduzione di molteplici regole di salvaguardia formale e sostanziale dell’investitore. Egli viene inteso qui genericamente come soggetto non professionale, ovvero in situazioni di inferiorità informativa, economica o contrattuale, che entra in "contatto sociale" con controparti rispetto alle quali si è parlato di asimmetria o squilibrio sotto i predetti profili, in un campo in cui informazione e comunicazione assumono valore per sé stesse in relazione alle scelte che possono consentire (si pensi all'investimento e al disinvestimento), tanto più in un'organizzazione dei pagamenti e in un mercato dei titoli ormai formalmente e sostanzialmente "dematerializzati".5

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1.2. Il rapporto tra la figura dell’investitore e quella del consumatore

Come si può notare, non si è, fino ad adesso, mai usata la parola consumatore in luogo di quella di investitore. Riflettendo su questo aspetto, possiamo senza dubbio affermare che l’investitore riveste le caratteristiche di quello che secondo la definizione data dal Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) è il consumatore, ovvero “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.

A partire da questo aspetto è possibile sottolineare come le due discipline (quella a tutela dell’investitore-cliente nel mercato mobiliare e quella a tutela del consumatore) siano di recente introduzione, con una matrice comunitaria, e partano dalla considerazione di entrambi questi soggetti come contraenti deboli nei rapporti giuridici che essi pongono in essere. Non solo questo però. L’obiettivo di tutta questa legislazione (a tutela dell’investitore o del consumatore tout court che sia) non è solo la tutela di un contraente debole. Tutto questo è necessario per pervenire ad un funzionamento efficiente dei mercati; ebbene un contraente debole verso cui la controparte tenga un comportamento trasparente, colmando le asimmetrie informative, potrà scegliere con consapevolezza quella che è per lui l’offerta, l’alternativa più vantaggiosa, premiando le imprese più efficienti e di qualità, degne di restare sul mercato.

Dopo questo excursus, la domanda che quindi ci poniamo è la seguente: è lecito assimilare l’investitore al consumatore ex. art. 3 cod. cons. ?

Nonostante la questione sia stata molto dibattuta e sia ancora (e non solo in Italia) controversa, la stessa disciplina positiva dei contratti del consumatore ci viene in soccorso. Bisogna rilevare, infatti, come, a partire dall’introduzione della disciplina nel 1996, i contratti del consumatore non escludano affatto l’ambito bancario e finanziario e, pur considerandoli parzialmente sottoposti a deroghe e discipline speciali, li ricomprendano. Per contro, nell’art. 33 del Codice del Consumo, dove sono confluite molte

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previsioni (tra cui questa) già introdotte nel codice civile, trattando delle clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore, riscontriamo un trattamento speciale e derogatorio per i contratti inerenti ai servizi finanziari.6

Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito viene da segnalare un’importante sentenza in materia del Tribunale di Torino, ormai vecchia di qualche anno, in cui l’investitore viene sostanzialmente considerato una specie del più ampio genere “consumatore”.7

Il caso riguarda un problema di mancato adempimento degli obblighi informativi “continuativi” da parte di una banca, sull’andamento negativo dei titoli della tristemente nota Lehmann Brothers FRN. In particolare si trattava di capire se quest’obbligo avesse una fonte legale (in particolare, l’art. 21 TUF, che esamineremo nei paragrafi successivi) o semplicemente

6 Art. 33, comma 3, cod. cons.: “Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi

finanziari a tempo indeterminato il professionista può, in deroga alle lettere h) e m) del

comma 2: a) recedere, qualora vi sia un giustificato motivo, senza preavviso, dandone immediata

comunicazione al consumatore; b) modificare, qualora sussista un giustificato motivo, le condizioni del contratto, preavvisando entro un congruo termine il consumatore, che ha diritto di recedere dal contratto”.

Art. 33, comma 4, cod. cons.: “Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari il professionista può modificare, senza preavviso, sempreché vi sia un giustificato motivo in deroga alle lettere n) e o) del comma 2, il tasso di interesse o l’importo di qualunque altro onere relativo alla prestazione finanziaria originariamente convenuti, dandone immediata comunicazione al consumatore che ha diritto di recedere dal contratto.”

Art. 33, comma 5, cod. cons.: “Le lettere h), m), n) e o) del comma 2 non si applicano ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista, nonché la compravendita di valuta estera, di assegni di viaggio o di vaglia postali internazionali emessi in valuta estera.”

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convenzionale. Tralasciandosi un esame in dettaglio della decisione del Tribunale di Torino, che risolve il caso sancendo l’esistenza di un dovere di fonte convenzionale a carico della banca (infatti l'inserzione di un ulteriore contenuto informativo, sottoscritto in calce all'ordine da entrambe le parti ed aggiuntivo rispetto a quello standardizzato, tipico dell'ordine di investimento, costituisce, per i giudici torinesi, una vera e propria pattuizione contrattuale ed integra una fonte di obblighi di natura convenzionale specificamente assunti dalla banca nei confronti del suo cliente investitore), interessa qui soffermasi su un punto particolare della motivazione. Si evoca, infatti, in questa, l’art. 35 cod. cons. che dispone, al secondo comma, “in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore”. Viene, in questo caso, considerato l’investitore un tipo particolare di consumatore, la cui disciplina sarebbe quindi a tutti gli effetti applicabile a quella del primo, al di là dei rinvii espressi che il TUF faccia al Codice del Consumo.

La premessa ideologica del ragionamento che assimila l’investitore al consumatore è la seguente: l’investitore è disinformato, quindi è debole, la disinformazione è ciò che rende strutturalmente debole il consumatore, quindi, per concludere il ragionamento sillogistico, l’investitore è consumatore.8 I motivi per credere che vi sia una spesso inespressa assimilazione tra investitore e consumatore non mancano.

Dalla fine degli anni ’80, quando il consumerismo ha iniziato a contagiare sempre di più il formante dottrinale e quello giurisprudenziale, si è iniziato ad elaborare una serie di orientamenti che ravvisavano nell’intermediazione finanziaria un settore omogeneo dove, con norme imperative, andassero ripristinate alcune condizioni di base (pienezza del consenso, principio di autodeterminazione, uguaglianza sostanziale delle parti) che la standardizzazione e l’alterazione di forza nei rapporti contrattuali avevano alterato.

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Le due considerazioni secondo cui il rapporto che viene ad instaurarsi con l'intermediario finanziario risponde a logiche di spinta standardizzazione9 e il contraente professionale sia dominante nella definizione dei suoi contenuti destano pochi dubbi e hanno dato, in questo senso, una spinta decisiva. Dopo la svolta rappresentata dalla legge 17 febbraio 1992, n. 154, sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, i dati recenti più significativi, in qualche modo, sembrano aver messo la parola fine alla questione.

Diversi sono ormai gli indici rivelatori della volontà legislativa di assimilare l’investitore, il risparmiatore, l’assicurato al consumatore.

Innanzi tutto, il legislatore, attraverso l'introduzione dell'art. 32-bis nel TUF ed il riconoscimento della tutela degli interessi collettivi degli investitori, attribuisce alle associazioni dei consumatori (inserite nell'elenco di cui all'art. 137 cod. cons.) la legittimazione ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori. Trova conferma, per questa via, la necessità di ampliare la nozione di consumatore al fine di racchiudere al suo interno anche l'investitore/risparmiatore che, agendo per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, si rivolge ad un intermediario per la realizzazione di operazioni finanziarie.10

Il secondo intervento del legislatore sembra aver eliminato ogni equivoco in materia. Ci si riferisce alla modifica al Codice del consumo, operata con l'art. 9 del d.lgs. 23 ottobre 2007, n. 221, che ha introdotto un'apposita sezione, la IV-bis (comprendente gli articoli da 67-bis a 67-vicies bis), dedicata integralmente alla disciplina della commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori.

Se è vero che il Codice del Consumo e più in generale la legislazione inerente ai contratti dei consumatori (già presente nel codice civile agli artt. 1469-bis e ss., ora abrogati) si occupava in modo marginale, nei tre commi sopra riportati, di servizi finanziari, con una disciplina derogatoria per

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CAMPOBASSO, pag. 562 ss.

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quanto riguardava alcune clausole vessatorie, già le disposizioni in esso contenute riguardavano in generale colui che si poneva in maniera non professionale come interfaccia dell'intermediario.

La questione merita, però, un ulteriore approfondimento. E’ vero tutto quanto riportato sopra, ma non vi è dubbio che l’investitore sia un consumatore un po’ anomalo. Più che assimilazione, si dovrebbe forse usare il sostantivo “riconducibilità” per identificare il rapporto tra le due figure di investitore e consumatore. Non vi è infatti assolutamente una sovrapponibilità tra le due figure, al massimo (come già detto sopra) un rapporto di genere a specie. Questo appare evidente non solo in alcune disposizioni normative riguardanti l’intermediazione finanziaria, ma anche in alcune pronunce giurisprudenziali.

Il Consiglio di Stato, infatti, nel formulare un parere in ordine alla ripartizione di competenze riguardo alla disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa nel settore finanziario tra l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcom) e la Consob, ha affermato chiaramente che l’investitore si presenta come una specie del più ampio genere “consumatore”, in quanto destinatario finale di un prodotto standardizzato seppur finanziario: un consumatore, cioè, di servizi finanziari. Nel caso in questione però, nonostante questa premessa, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che nelle questioni relative a pratiche commerciali scorrette poste in essere da professionisti che operano nel settore finanziario, le disposizioni applicabili siano quelle del TUF e non quelle del Codice del Consumo.11 Quella del d.lgs. n. 58/1998 è, secondo il Consiglio di Stato, una disciplina speciale più adatta ad un idoneo controllo pubblico sulla trasparenza e correttezza nei confronti degli investitori da parte dei professionisti del settore.

Prescindendosi dal caso specifico, e nonostante la rilevanza in entrambe le discipline delle asimmetrie informative e delle condizioni soggettive delle

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parti (aspetti entrambi ignorati dal codice civile al tempo della sua nascita), altri indizi portano lontano dal far coincidere strettamente le due figure. Mentre si rileva nel consumatore una presunzione assoluta di debolezza12, non possiamo dire lo stesso per quanto riguarda l’investitore. Infatti già l’art. 11 della Direttiva n. 22/1993 imponeva agli Stati membri di tener conto, nel formulare le regole di condotta applicabili agli intermediari finanziari a tutela degli investitori, della natura professionale o meno dei clienti. Questa impostazione è stata mantenuta e rielaborata anche dalle più recenti modifiche intervenute in materia13, che verranno esaminate successivamente. E mentre questo aspetto sembrerebbe quasi portare ad un potenziale minus di tutela dell’investitore rispetto alla protezione accordata al consumatore (posto che in alcuni casi non vi è la suddetta presunzione assoluta di debolezza in capo all’investitore), quello che si esaminerà adesso pone un obbligo molto pesante a carico degli intermediari finanziari.

Infatti, solo quando l'operazione economica coinvolga l’investitore inesperto è previsto l'obbligo a carico del partner professionale di acquisire informazioni: in nessun'altra disciplina di settore fra quelle confluite nel Codice del consumo è dato riscontrare un obbligo analogo. Già nella versione originaria del Regolamento Intermediari Consob (oggi sostituito da nuovo regolamento adottato con la recentissima delibera n. 20307/2018), si imponeva espressamente agli intermediari di chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento nonché la sua propensione al rischio14. L'obiettivo era proprio quello di modulare il

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La stessa definizione di consumatore all’art. 3 lett. a) del d.lgs. 206/2005 parlando di “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” mette in luce come in esso vi sia una presunzione assoluta deficit di professionalità (si parla di scopi estranei) e di informazione nel settore in cui pone in essere rapporti giuridici.

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Direttiva 39/2004 CE e Direttiva 65/2014.

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In particolare l’art. 28, al comma 1, prescriveva così: “Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della

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contenuto degli obblighi di comportamento dell'intermediario, introducendo nel nostro ordinamento la cd. know your costumer rule, di derivazione anglosassone.

Oggi, tale obbligo è confluito nell’art. 54, comma 2, del Regolamento comunitario di esecuzione della MIFID II, n. 565/201715 (con riguardo ai servizi di consulenza professionale e di gestione patrimoniale).

Si può concludere, quindi, questa digressione affermando che indubbiamente la disciplina del consumatore e quella dell’investitore presentano punti di contatto; tuttavia, questo non pare sufficiente ad appiattire la figura dell’investitore su quella del consumatore. Si tratta, piuttosto, di un rapporto di genere a specie, in cui l’investitore veste, sì, i panni di un consumatore, ma in modo un po’ anomalo. Nel criticare la sentenza del Tribunale di

prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L'eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30, ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall'investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all'Allegato n. 3.”

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Così dispone l’art. 54: “Le imprese di investimento determinano la gamma delle informazioni che devono essere raccolte presso i clienti alla luce di tutte le caratteristiche dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione del portafoglio da prestare loro. Le imprese di investimento ottengono dai clienti o potenziali clienti le informazioni di cui necessitano per comprendere le caratteristiche essenziali dei clienti e disporre di una base ragionevole per determinare, tenuto conto della natura e della portata del servizio fornito, se la specifica operazione da raccomandare o realizzare nel quadro della prestazione del servizio di gestione del portafoglio soddisfa i seguenti criteri: a) corrisponde agli obiettivi di investimento del cliente, inclusa la sua tolleranza al rischio; b) è di natura tale che il cliente è finanziariamente in grado di sopportare i rischi connessi all'investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) è di natura tale per cui il cliente possiede le necessarie esperienze e conoscenze per comprendere i rischi inerenti all'operazione o alla gestione del suo portafoglio. “

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Torino16 si è osservato che l’investitore acquista un bene che non vede, che non è tangibile e che quindi non rileva per le sue caratteristiche strutturali, in quanto si tratta di un bene immateriale destinato, normalmente, ad appagare l'aspettativa di mettere a profitto il denaro investito. Solitamente, lo scambio che lo vede protagonista si caratterizza come scambio di un bene presente con un bene futuro, “la cui esistenza e consistenza sfugge in larga misura al controllo del soggetto che attende la futura prestazione”. L’investitore forma, quindi, il proprio convincimento e dunque aderisce alla contrattazione confidando quasi esclusivamente sulle informazioni che gli rende la controparte professionale. Differente è la situazione del consumatore, che agisce negozialmente per scopi connessi al soddisfacimento di bisogni o di interessi personali; di conseguenza, il bene o la prestazione richiesta, siano essi di modico o medio valore, ed il relativo regolamento, anche se vessatorio, possono (al più) comportare un pregiudizio, ma non certo il tracollo della situazione patrimoniale del contraente.

L’investitore si trova, invece, in una posizione ben differente. Egli, infatti, nel rapporto negoziale con la banca o con l’intermediario finanziario, può affidare loro buona parte o tutto il proprio patrimonio.

Da qui la necessità di tutele ulteriori rispetto al consumatore semplice, ovviamente quando le premesse di questa conclusione sussistono; l’investitore “debole”, meritevoli delle ulteriori tutele, è infatti colui che formula il proprio convincimento sulla base delle informazioni fornitegli dalla controparte professionale, ossia l’intermediario finanziario. Chiaro che tale necessità non è presente quando l’intermediario non ha a che fare con un contraente debole, bensì con un investitore professionale, capace di formulare il proprio convincimento su di un determinato investimento sulla base di conoscenze proprie.

Una tesi diversa non ravvisa questo rapporto di genere a specie tra le due figure, ma critica l’irragionevolezza della disciplina che non permette di

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metterle in relazione17. Si rileva in particolare, come, ad esempio, le imprese non siano mai consumatori ma possano essere classificate come clienti al dettaglio e quindi essere soggette alla sola disciplina prevista nel Regolamento Consob, mentre gli investitori sofisticati sono allo stesso tempo clienti professionali e consumatori con la conseguenza che nei loro confronti troverebbero applicazione gli artt. 67-bis e ss. del Codice del Consumo e non invece la disciplina generale che regola i doveri di informazione degli intermediari anche nei contratti a distanza. La definizione dell’ambito di applicazione degli artt. 67-bis e ss. ai soli consumatori, sulla base della tradizionale nozione di consumatore accolta dalla giurisprudenza della Cassazione, della Corte di Giustizia18 ed infine dalla Corte Costituzionale19, pare irragionevole e si presta alle critiche mosse già dalla dottrina all'art. 1469-bis c.c., ritenendo ingiustificata e discriminatoria la definizione di consumatore come la sola persona fisica che agisce per finalità non professionali.

Secondo i sostenitori di questa tesi, l'oramai consolidata interpretazione di consumatore comporta infatti un'ingiustificata disparità di trattamento, che parrebbe fondarsi solamente su una visione assunta arbitrariamente dal legislatore (ovvero che solo per i consumatori e non per gli imprenditori sussista uno squilibrio contrattuale ed un'asimmetria informativa), anche se non corrispondente alla realtà fattuale sottostante (che ci dice che lo squilibrio contrattuale e l'asimmetria informativa sussistono indipendentemente dalle categorie del legislatore). Tali rilievi critici paiono ancor più giustificati per i contratti di investimento, materia in cui la tutela informativa del cliente è in via generale svincolata dall'esercizio di un'attività professionale, e quindi dall'appartenenza a categorie sociali protette, richiedendo invece una concreta analisi della realtà dei rapporti contrattuali

17 FIORIO, [1], pag. 14 ss. 18 FIORIO, [2], pag. 543 ss. 19 PALMIERI, pag. 337.

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15

per verificare se il cliente dell'intermediario sia un soggetto dotato di sufficiente esperienza e di specifiche conoscenze negli investimenti.

Per quanto riguarda la disciplina, tipica della legislazione consumeristica, riguardante la nullità di protezione, la si affronterà più avanti, unitamente al problema delle nullità formali nella disciplina di tutela dell’investitore. Dopo esserci posti il problema del rapporto tra la tutela dell’investitore e del consumatore, della loro possibile sovrapposizione e delle loro differenziazioni, pare opportuno soffermarsi un istante sul rapporto invece della disciplina del TUF con quella del codice civile.

In passato, soprattutto inizialmente dopo il recepimento delle prime direttive europee in materia e dopo l’emanazione del TUF, ci si è posti il problema dell’integrazione, con regole e schemi civilistici, di alcuni istituti o tipologie contrattuali che presentavano zone grigie su cui tale disciplina era silente. Un problema su tutti, a titolo puramente esemplificativo, era quello relativo alla natura degli ordini di borsa (prima del d.lgs. n. 58/1998) e successivamente del servizio di esecuzione di ordini per conto dei clienti. Il dibattito, in dottrina ed in giurisprudenza, riguardava la riconducibilità del rapporto che si instaurava allo schema del mandato e della commissione da un lato, o a quello della mediazione dall’altro, pur essendo stata avanzata anche la tesi dell’atipicità di tale contratto, regolato dagli usi di borsa e del mercato.20

Oggi, stante la sempre più pervasiva disciplina, quasi esclusivamente di matrice comunitaria, e a livello regolamentare che investe il rapporto tra intermediario e cliente, la questione ha perso gran parte della sua rilevanza.21 Questo dell’esecuzione di ordini era solo un esempio, utile però per capire come i sempre più incisivi interventi del legislatore comunitario, non più solo tramite direttive che gli Stati membri sono tenute a recepire (spesso ciò avviene a livello di regolamenti della Consob, in virtù del principio di delegificazione in materia adottato a partire dal TUF) ma anche tramite regolamenti di esecuzione, immediatamente esecutivi per gli Stati membri,

20

CARBONETTI, pag. 18.

21

(19)

16

abbiano completato la disciplina, che non necessita quasi più di norme integrative ricavate dalla disciplina civilistica.

1.3. La graduazione delle regole di condotta in funzione della natura dell’investitore

Riprendendo il discorso di cui sopra, nel disciplinare i comportamenti degli intermediari sussiste la tendenza a differenziare il contenuto e l’applicabilità stessa delle regole di condotta nei confronti dei clienti “esperti” o “professionali”. L’impostazione risale alle prime direttive europee in materia di servizi di investimento ed è stata mantenuta fino ad oggi22. Come già accennato, la ratio di tutta la disciplina è quella di tutela del contraente debole del rapporto, di cui sono in gioco interessi rilevanti il cui pregiudizio potrebbe avere effetti pesanti sulla situazione finanziaria del cliente. La medesima ratio è sottesa alla disciplina pervasiva dei contratti che intercorrono tra consumatore e professionista, in cui è necessario colmare quelle che sono le asimmetrie informative e di potere contrattuale. Quando tali asimmetrie non sussistono è ovvio che il senso di tutte le regole di condotta a tutela del contraente debole risulta fortemente sminuito. E non solo non sussiste ragione per applicare tale disciplina, ma il sottoporre l’intermediario agli stessi obblighi quando contratta con un investitore esperto può portare ad un inutile dispendio di risorse per entrambi i contraenti. La natura professionale del cliente non comporta, tuttavia, la disapplicazione dell’intera disciplina del settore, ma solo di alcune regole di condotta. Resta, invece, ferma la disciplina generale dei servizi di

22 Così l’art. 11 della Direttiva n. 22/1993: “Gli Stati membri elaborano le norme di

comportamento che le imprese di investimento devono osservare in permanenza. Tali norme devono porre in atto almeno i principi di cui ai trattini seguenti e devono essere applicate in modo da tenere conto della natura professionale della persona a cui è fornito il servizio.”

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17

investimento, compresa la necessità di munirsi di autorizzazione per lo svolgimento dell’attività23

.

Prima di esaminare più nel dettaglio le varie regole di condotta e le sfumature che presentano causa la ragione precedentemente enunciata, si può notare come la disciplina derivante dalla MIFID II classifica le diverse categorie di investitori. Si individuano, infatti, tre categorie di clienti; le cd. “controparti qualificate”, i “clienti professionali” ed i “clienti al dettaglio”. Il TUF ha recepito le prime due nozioni, mentre l’ultima viene individuata in negativo, tra coloro che non rientrano in queste. Si parla, quindi, di controparti qualificate all’art. 6, comma 2-quater, lett. d), che intende come tali tutti i soggetti che operano professionalmente sul mercato dei capitali. Tuttavia, come specifica la legge, la classificazione di un cliente come controparte qualificata vale solo con riferimento alla prestazione dei servizi di negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti e ricezione e trasmissione di ordini; per quanto riguarda gli altri, il cliente potrà essere trattato al massimo come professionale24.

Nell’ambito dei clienti professionali poi, si possono distinguere due sottocategorie; quelli di diritto e quelli su richiesta. Mentre per i primi tale classificazione dipende dal possesso di requisiti tendenzialmente oggettivi25,

23

Con riferimento ai requisiti previsti dall’art. 19 perché scatti la riserva di autorizzazione, è da rilevare come il servizio prestato solo ad investitori professionali è comunque prestato nei confronti del pubblico.

24 Questi ultimi, sono invece individuati direttamente dalla Consob, nel rispetto della

pervasiva disciplina comunitaria, sentita la Banca d’Italia. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze è abilitato, invece, ad individuare i clienti professionali pubblici. Secondo l’allegato n. 3 al nuovo Regolamento Intermediari, adottato dalla Consob con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018: “Un cliente professionale è un cliente che possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assume.”

25

In base sempre all’allegato già nominato: “Si intendono clienti professionali per tutti i servizi e gli strumenti di investimento:

(21)

18

per i secondi spetta all’intermediario valutare la fondatezza della richiesta. Una volta pervenuta la richiesta, l’intermediario non può presumere che tali clienti possiedano conoscenze ed esperienze di mercato comparabili a quelle dei clienti professionali di diritto. La disapplicazione di regole di condotta previste per la prestazione dei servizi nei confronti dei clienti al dettaglio è, quindi, consentita solo dopo un’attenta valutazione delle competenze, conoscenze ed esperienze del cliente che porti l’intermediario a ritenere che questi sia capace di adottare consapevolmente le decisioni in materia di investimenti ed essere consapevole dei rischi che assume. L’allegato n. 3 al nuovo Regolamento Intermediari prevede una serie di indici dai quali l’intermediario può ricavare elementi utili per l’accoglimento della suddetta richiesta. In particolare, l’investitore deve soddisfare almeno due dei requisiti ivi previsti26. Inoltre è prevista una procedura da seguire per poter

(1) i soggetti che sono tenuti a essere autorizzati o regolamentati per operare nei mercati finanziari, siano essi italiani o esteri quali: a) banche; b) imprese di investimento; c) altri istituti finanziari autorizzati o regolamentati; d) imprese di assicurazione; e) organismi di investimento collettivo e società di gestione di tali organismi; f) fondi pensione e società di gestione di tali fondi; g) negoziatori per conto proprio di merci e strumenti derivati su merci; h) soggetti che svolgono esclusivamente la negoziazione per conto proprio su mercati di strumenti finanziari e che aderiscono indirettamente al servizio di liquidazione, nonché al sistema di compensazione e garanzia (locals); i) altri investitori istituzionali; l) agenti di cambio;

(2) le imprese di grandi dimensioni che presentano a livello di singola società, almeno due dei seguenti requisiti dimensionali: - totale di bilancio: 20 000 000 EUR; - fatturato netto: 40 000 000 EUR; - fondi propri: 2 000 000 EUR;

(3) gli investitori istituzionali la cui attività principale è investire in strumenti finanziari, compresi gli enti dediti alla cartolarizzazione di attivi o altre operazioni finanziarie.”

26

L’allegato C prevede che: “Nel corso della predetta valutazione, devono essere soddisfatti almeno due dei seguenti requisiti:

- il cliente ha effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti; - il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare 500.000 EUR;

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19

procedere alla qualificazione di un cliente come professionale “su richiesta”. Ovvio che la richiesta debba provenire dagli investitori ma, tra le altre cose, è qui interessante ricordare come l’intermediario sia tenuto ad avvertire questi ultimi “in una comunicazione scritta e chiara, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere” ed essi “devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni”. Si può, qui, iniziare a notare come il cliente non possa rinunciare alle regole apprestate dal legislatore in sua protezione nemmeno se questa è la sua volontà (magari per un’esigenza di maggiore speditezza degli investimenti e di minori prezzi per quanto riguarda la prestazione dei servizi) senza il possesso di requisiti oggettivi che possano spingere l’intermediario ad accogliere la richiesta. Questa tendenza paternalistica del legislatore sarà esaminata nel dettaglio nei paragrafi successivi.

Questa disposizione ricorda molto da vicino l’art. 1341 c.c. sulle condizioni generali di contratto, nella parte in cui prevede che qualsiasi condizione che preveda “a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria”, insomma qualsiasi clausola pregiudizievole per l’aderente al contratto debba essere specificamente approvata per iscritto dall’altro contraente. In realtà le due situazioni non sono sovrapponibili in quanto qui non si tratta di aderire ad un contratto accettandone le condizioni generali,

- il cliente lavora o ha lavorato nel settore finanziario per almeno un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti. In caso di persone giuridiche, la valutazione di cui sopra è condotta con riguardo alla persona autorizzata a effettuare operazioni per loro conto e/o alla persona giuridica medesima.”

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20

ma di una richiesta di disapplicazione di regole di condotta, di modo che la tutela del contraente “debole” sia più accentuata. Pur infatti trattandosi di obblighi propedeutici alla prestazione di servizi di investimento ed alla successiva conclusione di contratti di investimento, non solo il contraente debole deve dichiarare per iscritto di essere consapevole del pregiudizio che la sua scelta può infliggergli, ma lo stesso intermediario deve prima comunicargli per iscritto a quali vantaggi egli sta rinunciando.

Da sottolineare come questa classificazione sia “mobile”, per cui un cliente, come esemplificato poco sopra, può chiedere di essere inquadrato in una categoria inferiore o superiore (ad eccezione della classificazione come controparte qualificata) rispetto a quella che sarebbe la sua collocazione “naturale”. La richiesta di essere classificato diversamente dalla sua destinazione “naturale” può, inoltre, pervenire limitatamente a singoli servizi, strumenti ed attività. Nel caso in cui l’intermediario rigetti la richiesta del cliente di essere trattato diversamente, l’intermediario dovrebbe recedere dal rapporto, non potendo questo essere prestato secondo modalità concordate con il cliente (addirittura ai sensi dell’allegato II alla MIFID II, per la classificazione di un cliente professionale come cliente al dettaglio, è necessario un accordo scritto con il prestatore del servizio, dal quale risultino i servizi, le operazioni ed i prodotti ai quale si applica il trattamento come cliente al dettaglio). Le regole di condotta che possono essere disapplicata in ragione della natura dell’investitore verranno esaminate via via che si affronteranno i vari argomenti, nel prosieguo della trattazione.

1.4. La riserva di attività ed accesso ai servizi e alle attività di investimento e la soluzione della giurisprudenza in caso di sua violazione

Tra le varie branche della disciplina del mercato mobiliare che si propongono di predisporre una tutela adeguata per l’investitore-contraente debole ed anche una finalità di portata più generale, avendo come scopo ulteriore di assicurare l’efficienza dei mercati, si è sopra accennato alle

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21

regole che si preoccupano che la qualifica di intermediario finanziario non sia assunta da imprese non dotate di sufficienti requisiti patrimoniali o professionali.

Per cui, in base alla disciplina comunitaria, l’accesso alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento deve essere subordinata ad un’autorizzazione, rilasciata dalle singole autorità competenti degli stati membri.

Tale riserva di attività, per quanto riguarda il nostro ordinamento, è formulata all’art. 18, comma 1, TUF, ai sensi del quale l’esercizio professionale e nei confronti del pubblico è, primariamente, riservato alle Sim (imprese di investimento) ed alle banche.

La riserva è configurata per Sim e banche sostanzialmente senza limitazioni. Per la rilevanza del ruolo da loro svolto nel mercato dei capitali, esse possono prestare tutti servizi e le attività di investimento, senza eccezioni. Da segnalare che non si tratta, tuttavia di una riserva assoluta, in quanto condivisa, da banche e Sim, con altri soggetti.27

27 Secondo l’art. 18, commi 2,3, TUF: “2. Le Sgr possono prestare professionalmente nei

confronti del pubblico i servizi previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere d) ed f). Le Sgr possono, altresì, prestare professionalmente nei confronti del pubblico il servizio previsto dall’articolo 1, comma 5, lettera e), qualora autorizzate a prestare il servizio di gestione di FIA. Le società di gestione UE possono prestare professionalmente nei confronti del pubblico i servizi previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere d) ed f), qualora autorizzate nello Stato membro d'origine.

3. Gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico bancario possono esercitare professionalmente nei confronti del pubblico, nei casi e alle condizioni stabilite dalla Banca d'Italia, sentita la Consob, i servizi e le attività previsti dall'articolo 1, comma 5, lettere a) e b), limitatamente agli strumenti finanziari derivati, nonché il servizio previsto dall'articolo 1, comma 5, lettere c) e c-bis). “

L’ art. 18-bis TUF, comma 1, stabilisce poi che: “La riserva di attività di cui all’articolo 18 non pregiudica la possibilità per le persone fisiche, in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali stabiliti con regolamento adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Consob, ed iscritte in una sezione apposita dell’albo di cui all’articolo 31, comma 4, di prestare la consulenza in materia di

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22

A testimonianza che la disciplina è dettata, sì, per assicurare il buon funzionamento dei mercati, ma che per il raggiungimento di questo obiettivo è ritenuta indispensabile la tutela dell’investitore-contraente debole, la sottoposizione alle pervasive regole che elencheremo per lo svolgimento dei servizi ed attività di investimento, non avviene tout court per ogni intermediario abilitato. In particolare, è soggetto a riserva il servizio di investimento svolto “professionalmente” e “nei confronti del pubblico”28

. Una volta esaminati gli elementi che connotano la portata della riserva di attività per i servizi e attività di investimento, l’art. 19 TUF, che individua nella Consob l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione (sentita la Banca d’Italia), prescrive una serie di requisiti che le singole imprese

investimenti, relativamente a valori mobiliari e a quote di organismi di investimento collettivo, senza detenere fondi o titoli appartenenti ai clienti. I requisiti di professionalità per l’iscrizione nell’albo sono accertati sulla base di rigorosi criteri valutativi che tengono conto della pregressa esperienza professionale, validamente documentata, ovvero sulla base di prove valutative.”

L’art. 201, comma 7, TUF, “Gli agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale possono svolgere i servizi di investimento indicati nell'articolo 1, comma 5, lettere b), c-bis), d), e) ed

f). Essi possono svolgere altresì l'offerta fuori sede dei propri servizi di investimento e i

servizi accessori indicati nell’Allegato I, Sezione B, numero 2), limitatamente alla conclusione di contratti di riporto e altre operazioni in uso sui mercati, e numero 4), nonché attività connesse e strumentali, ferme restando le riserve di attività previste dalla legge.”

28Art. 19 d.lgs. n. 58/1998. Fonti regolamentari chiariscono poi il significato di queste due

nozioni. Dal D.M. 26 giugno 1997 (emanato in attuazione dell’ormai abrogato d.lgs. n. 415/1996) possiamo dedurre che la nozione di “professionalità” viene intesa come svolgimento sistematico, abituale dell’attività, come già poteva ricavarsi dalla nozione di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c., essendo, tuttavia, più ampia di essa in quanto comprendente il requisito dell’organizzazione. Per quanto attiene allo svolgimento nei confronti del pubblico, l’interpretazione, ormai consolidata, sul punto ritiene, quindi, svolta nei confronti del pubblico l’attività che si rivolge a soggetti o economie “terze”, pur se numericamente limitate o preventivamente identificate.

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23

debbano possedere per ottenere l’autorizzazione alla prestazione di detti servizi29.

E’ interessante segnalare come, ai sensi dell’art. 19, comma 2, TUF, il rilascio dell’autorizzazione non sia subordinato al semplice ricorrere delle condizioni indicate, ma anche al fatto che da esse risulti garantita la “sana e prudente gestione” del soggetto30

e che sia “assicurata la capacità dell’impresa di esercitare correttamente i servizi o le attività di investimento”.

Un punto interessante è rappresentato dalle conseguenze della violazione, da parte dell’intermediario, delle norme inerenti a tale branca della disciplina del mercato mobiliare. Ricordiamo semplicemente che lo svolgimento di servizi e attività di investimento da parte di soggetti non abilitati configura il reato di abusivismo, punito dall’art. 166 TUF31

.

L’aspetto che qui verrà esaminato è invece inerente al profilo civilistico; cosa ne è infatti dei contratti conclusi da soggetti non abilitati?

E’ importante rilevare che il d.lgs. n. 58/1998, così come la sua antesignana l. n. 1/1991, è silente sul punto.

Tuttavia, è da rilevare come un orientamento giurisprudenziale consolidato ritenga che i contratti stipulati da soggetti non abilitati siano affetti da nullità per contrarietà a norme imperative.

Una ormai risalente sentenza della Cassazione sul punto32 fu una delle prime a dover decidere un caso del genere. I giudici presero le mosse a partire dall’art. 1418 c.c., che dopo aver stabilito al primo comma la nullità del contratto contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga

29

Vedi il suddetto articolo.

30 In genere, secondo la dottrina prevalente, possiamo definire “sana” quella gestione

potenzialmente redditizia e “prudente” quella caratterizzata dall’avversione al rischio che deve connotare questi tipi di attività. Tra gli altri v. AMOROSINO, La regolazione pubblica delle banche, pag. 120.

31

La sanzione è rappresentata dalla reclusione da uno ad otto anni, e la multa da 4.000 a 10.000 euro.

32

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24

diversamente, aggiunge al terzo comma “il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”. Ad un primo impatto, non sembra che questo articolo possa darci una grande mano, dato il silenzio del legislatore. E’ da rilevare come, sotto la spinta della determinante comunitaria e non solo nel settore finanziario, l’istituto della nullità ha assunto negli ultimi decenni una conformazione diversa da quella che lo caratterizzava nel codice del 1942. In particolare, se la legge nulla dispone per risolvere il dilemma della nullità o annullabilità, ogni qualvolta si presenta una difformità tra fattispecie e schema normativo e ci troviamo nella situazione di dover valutare se e quale tipo di invalidità sussiste, sarà indispensabile esaminare la natura degli interessi tutelati dalla norma. Secondo la Cassazione, la nullità si differenzia dall’annullabilità perché, in questo caso, non solo l’atto è difforme dallo schema legale e pregiudica gli interessi del suo autore (i casi tipici di annullabilità sono, infatti, quelli che presuppongono l’incapacità di agire o un vizio del consenso) ma perché mette a rischio i valori preminenti della comunità, in nome della correttezza, equità e stabilità dei rapporti sociali. Se l’interesse sotteso alla disposizione è, quindi, pubblico e non privato, il compimento dell’atto contro il divieto legale genera ipotesi di nullità cd. “virtuali”, proprio perché non necessitano di espresse comminatorie di legge. Bisogna quindi ricomprendere la fattispecie in esame nel comma 1 dell’art. 1418 c.c. che sopperisce alla mancanza di una sanzione testuale di nullità (caso contemplato già dal comma 3 del suddetto articolo). Interessante rilevare come, a differenza delle altre ipotesi di nullità configurate dalla legge o dalla giurisprudenza nel settore finanziario33, la sentenza del 2001, proprio per quanto sostenuto, respinge la tesi che tale nullità possa essere qualificata come nullità di protezione e, quindi, relativa, invocabile dal solo investitore. Sappiamo oggi come la giurisprudenza più recente abbia legittimato definitivamente tale categoria, sotto la spinta sempre più forte della determinante comunitaria in materia consumeristica. In alcuni passi

33

Si veda tutta la giurisprudenza concernente la responsabilità dell’intermediario per violazione delle regole di condotta che accoglie la tesi della nullità.

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25

della sentenza in esame si legge, invece, come ancora allora ci fossero dubbi sulla configurabilità della categoria delle nullità relative e nello specifico “si è osservato in dottrina che la nullità, essendo una qualificazione relativa del negozio, non può che essere unica di fronte a tutti, per cui, avendo carattere obiettivo, non è concettualmente possibile parlarne in termini relativi” ed ancora “l’argomento che abilitato sia solo il risparmiatore, in quanto unico interessato a far valere la nullità, costituisce una petizione di principio, giacché suppone quanto invece avrebbe dovuto essere dimostrato e cioè che l’interesse alla rimozione dell’atto sia solo suo. Le considerazioni svolte più sopra, che hanno evidenziato l’ampiezza degli interessi protetti, giovano a disattendere il rilievo della ricorrente e al rigetto delle censure”.

Per cui, la Cassazione configura, sì, in questo caso un’ipotesi di nullità, ma non, come forse una rilettura suggerirebbe sulla base di recenti pronunce anche se non specifiche sul tema in questione, azionabile solo dall’investitore. La questione, oggi, non è così impellente da suggerirne una revisione a quanto pare. E’ vero, come rileva la Suprema Corte, che in questo caso la tutela è quella di un interesse pubblico, al buon funzionamento del mercato ed alla stabilità, correttezza dei rapporti economici posti in essere, ma il rischio che si riscontra dietro una previsione di nullità assoluta parrebbe sufficiente a scongiurare questa soluzione. Se infatti, anche il giudice o l’intermediario possono rilevare tale nullità, c’è il rischio che gli effetti di questa possano recare pregiudizio ad un investitore che non ha violato nessuna disposizione legislativa.

Una riflessione più ampia sul tema delle nullità di protezione nel settore finanziario verrà fatta più sotto, quando ci occuperemo della nullità, azionabile in questo caso solo dall’investitore, conseguente alla violazione dell’art. 23 TUF.

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26

1.5. Le regole di condotta nei servizi e attività di investimento: dal paradigma della trasparenza a quello del paternalismo

Negli ultimi decenni si è sentita in modo sempre maggiore, per esigenze di tutela dell’investitore in connessione biunivoca con quelle di buon funzionamento del mercato (come ricordato più volte sopra), la necessità di disciplinare, mediante regole pregnanti e stratificate, la condotta dei prestatori di servizi di investimento. A livello comunitario si è dapprima puntato su un grado di armonizzazione piuttosto modesto con le direttive degli anni ’90. Non avendo tale iniziativa portato i risultati sperati, e sotto la sentita necessità di una maggiore uniformità di regole, più incisive e dettagliate sono state le due direttive MIFID. La disciplina di recepimento ricalca, infatti, sostanzialmente, il testo delle direttive ed un intero corpo di disposizioni è affidato a regolamenti di esecuzione, in quanto tali direttamente applicabili negli stati membri34. Con l’avvento delle direttive MIFID è, inoltre, sempre più forte, il legame tra regole di organizzazione interna del soggetto e regole di condotta; il modo in cui un soggetto si struttura e si disciplina viene visto in modo funzionale al corretto svolgimento dei servizi e all’adempimento degli obblighi nei confronti dei clienti.

Dall’esame di queste fonti, si può vedere chiaramente, come riscontrato da parte della dottrina, la strada intrapresa dal legislatore, soprattutto europeo, per quanto riguarda la tutela del consumatore nella disciplina dei servizi di investimento. E’ noto come il problema della tutela dell’investitore possa essere impostato secondo approcci diversi35.

Nel primo, quello economico neoclassico, l'intervento a protezione degli investitori si giustifica per il difetto di efficienza che consegue alla distribuzione asimmetrica dell'informazione e, pertanto, si risolve in una disciplina di trasparenza, in modo che i risparmiatori possiedano gli elementi

34

In particolare qui ci interessa il Regolamento n. 565/2017.

35

(30)

27

necessari per assumere decisioni di investimento informate. Quindi, la completa disclosure delle informazioni in possesso dell’intermediario è il più importante strumento di tutela per un agente economico razionale, perfettamente capace di operare l'analisi costi benefici e coerente nel proprio comportamento con le risultanze di tale valutazione. L’approccio europeo continentale presenta, invece, alcune differenze, in quanto da sempre tendente a vedere l’intervento normativo come strumento per assicurare la giustizia sostanziale dei rapporti. Ciò, nello specifico ambito di tutela dell’investitore, si traduce in interventi normativi che pongono regole di comportamento orientate all’equità dei rapporti. Il diritto europeo dei mercati finanziari ha, però, tradizionalmente disciplinato i servizi di investimento secondo un modello orientato alla disclosure . La disposizione dell'art. 28, comma 2, Regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522, che prescriveva per la prestazione dei servizi di investimento la comunicazione delle informazioni “la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento”, ne è il paradigma fondante. A partire, tuttavia, dalla MIFID, come già ricordato, la configurazione della tutela avviene, per la maggior parte, in funzione degli obblighi dell’intermediario nei confronti dell’investitore. I vari default hanno, infatti, manifestato la diffusione dei limiti cognitivi degli investitori, che li portano a fare scelte spesso lontane del modello dell’agente economico razionale. I motivi del fallimento sembrano essere due in particolare. In primis, i pervasivi conflitti di interesse che hanno caratterizzato le politiche gestionali degli intermediari e il comportamento delle società di rating sono alcuni tra gli esempi più evidenti della distanza tra il dato reale e i postulati del paradigma fondato sulla disclosure. Inoltre, le asimmetrie caratterizzanti tale mercato non sono solo quelle informative, ma vi è una ben più consistente asimmetria di potere contrattuale, cui non possono supplire regole con il solo obiettivo della trasparenza. Prima del recepimento della MIFID II, la dottrina postulava, quindi, l’insufficienza, da questo punto di vista, delle regole di adeguatezza ed appropriatezza, in cui la trasparenza viene ancora considerata il

(31)

28

paradigma di riferimento. In particolare quest’ultima, caratterizzata dalla mera segnalazione dell'eventuale incongruenza tra investimento ed esperienza finanziaria del cliente, costituirebbe semplicemente una forma “rafforzata” di informazione lasciata dal legislatore nella libera disponibilità dell'investitore. Ma anche nella prima “una valutazione della conformità tra investimento ed esperienza, situazione finanziaria e obiettivi di investimento del cliente risulta del tutto ovvia quando il servizio prestato abbia i tratti della raccomandazione personalizzata o della gestione su base discrezionale di un portafoglio di investimenti altrui”36.

Questo giudizio di insufficienza della valutazione di adeguatezza non sembra, del tutto, condivisibile. Non si ritiene, infatti, che si possa postulare come ovvia la valutazione succitata di conformità, quando la ampia casistica giurisprudenziale conseguente ai default dei primi anni duemila ci ha mostrato il contrario, tanto da costringere il legislatore comunitario a riformulare, con la Direttiva MIFID II, tale regola in termini di inderogabilità.

Non si può negare, inoltre, che, con la stessa direttiva ma non solo, si sia sempre più affermato il paternalismo del legislatore nei confronti dell’investitore; questa tendenza lo porta addirittura a proteggere questo contraente particolarmente debole (come già esaminato) da un suo stesso inadempimento (ovvero la mancanza, inesattezza ed obsolescenza delle informazioni che l’intermediario deve obbligatoriamente acquisire al fine di poter prestare il servizio, secondo la “nuova” regola di adeguatezza).

Si esamineranno, quindi, “orizzontalmente” le varie regole di condotta imposte dalla legge all’intermediario, al fine di poter avere una panoramica chiara di questo cambio di paradigma. Per quanto interessa qui, saranno esaminate solo le regole applicabili a tutti i servizi e a tutte le attività svolte dal soggetto, trascurando le regole di comportamento tipiche dei singoli servizi.

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