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Capitolo 5: Verso un rimedio “globale” di nullità a tutela dell’investitore?

5.1. L’eccezione di dolo come strumento per arginare l’uso abusivo

contratti stipulati in violazione delle regole di condotta come strumento di tutela dell’investitore alla luce dell’evoluzione legislativa – 2.1. Il ridimensionamento dei problemi dogmatici e delle conseguenze economiche in seguito all’adozione del rimedio della nullità

5.1. L’eccezione di dolo come strumento per arginare l’uso abusivo dell’azione di nullità da parte dell’investitore.

E’ stata esaminata, nei capitoli precedenti, la disciplina a tutela dell’investitore di derivazione comunitaria. E’ stata accostata la figura dell’investitore a quella del consumatore, rilevando come la prima, pur con qualche perplessità e con qualche differenziazione, possa essere vista come una particolare specie della seconda. Entrambe rientrano, infatti, nel genus del contraente debole (pur con le dovute eccezioni che si ritrovano negli investitori istituzionali e nelle controparti qualificate, la cui disciplina presenta alcune peculiarità dovute appunto alla mancanza degli elementi di “debolezza” in queste figure), già preso in considerazione nella stesura originaria del codice civile nella disciplina delle condizioni generali di contratto e delle clausole vessatorie.

E’ stato poi rilevato il forte paternalismo a cui tende oggi sempre di più la disciplina, con una forma di tutela che si è evoluta rispetto a quella originaria, incentrata solo sulla trasparenza e su una completa discovery nei confronti della controparte, con il fine di colmare l’asimmetria informativa tra le due parti contrattuali, ragione principale della debolezza dell’investitore e, in generale, del contraente debole.

Passando all’orizzonte dei rimedi conseguenti alla violazione di detta disciplina, si è osservato come, nei silenzi della normativa, dopo un percorso durato alcuni anni, per quanto riguarda la violazione degli obblighi di

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condotta, la giurisprudenza, con due pronunce gemelle della Cassazione a Sezioni Unite309, si sia assestata sul riconoscimento di una responsabilità da parte dell’intermediario, in contrapposizione all’originaria soluzione che propugnava il rimedio della nullità.

Successivamente, dopo un breve excursus sui casi di nullità per difetto di causa dei contratti swap, è stato opportuno soffermarsi sull’art. 23 TUF, esaminando tutte le questioni che esso impone di affrontare. In particolare, c’è stato un preliminare inquadramento della categoria della nullità di protezione, nella cui categoria è inquadrabile il rimedio che prevede il suddetto articolo, con tutte le controversie giurisprudenziali che questa categoria remediale, ormai di decennale introduzione ad opera della determinante comunitaria, pone. Dopo aver circoscritto, causa previsioni normative anche qui poco esplicite, l’ambito di applicazione dell’art. 23 al solo cd. “contratto-quadro”, assecondando orientamenti dottrinali e le decisioni della giurisprudenza maggioritaria che non comprendono in esso i singoli ordini, si è affrontato il problema principale che tutt’ora si pone nell’analisi della disciplina derivante da tale norma.

Si è parlato quindi dell’uso abusivo del rimedio della nullità di protezione da parte di colui in favore del quale l’ordinamento predispone tale forma di tutela, ovvero il contraente debole, e delle varie soluzioni proposte per evitare tale distorsione, senza, ovviamente pretendere di by-passare la previsione normativa, in certi punti molto chiara nello scongiurare soluzioni che si emancipino troppo dalla sua impostazione.

Come fatto già trasparire nel corso della trattazione, la soluzione più consona al dettato normativo e più scevra di inconvenienti dal punto di vista dottrinale per arginare l’abuso della nullità di protezione, sembra quella che suggerisce il rimedio dell’eccezione di dolo per paralizzare la pretesa dell’investitore.

E’ stato osservato come il rimedio dell’exceptio doli, fortemente sostenuto dall’ordinanza della prima sezione della Corte di Cassazione, con cui si

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rimette Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite la questione concernente la mancata sottoscrizione dell’investitore nel cd. “contratto monofirma”310

, presenti comunque degli inconvenienti.

In particolare, potrebbe non sembrare una soluzione dirimente al problema dell’uso selettivo dello strumento della nullità di protezione da parte dell’investitore perché necessiterebbe di una prova, particolarmente ostica, da parte dell’intermediario, di una condotta che presenti i tratti dell’agire malizioso e fraudolento da parte dell’investitore (come già detto superiormente si fa l’esempio di chi si fa sostituire in sede di sottoscrizione per poter invocare successivamente la natura apocrifa della firma).

Sono state esposte le critiche alle altre soluzioni che la dottrina e la giurisprudenza hanno proposto per ovviare al problema.

E’ vero che, adottando la soluzione sopra prospettata (ovvero la possibilità di un’exceptio doli che paralizzi un abuso del diritto che l’ordinamento riconosce all’investitore) si ridurrebbero al minimo le ipotesi in cui effettivamente l’esercizio abusivo della nullità di protezione trova uno strumento in grado di porle limiti, causa evidenti difficoltà probatorie da parte dell’intermediario.

Tuttavia, il rischio che si corre in questi casi è quello di voler “conformare” la normativa a quelli che sono alcuni ideali di giustizia sostanziale di parte degli interpreti della dottrina e della giurisprudenza.

Il fatto che il nostro ordinamento conosca nell’ambito del diritto civile numerose disposizioni che sanzionano l’esercizio abusivo dei diritti in modo specifico311 (pur nell’assenza di una generale previsione che consenta di sanzionare ogni abuso del diritto), ed alcune considerate persino estensibili ad intere categorie di diritti312, non sembra comunque poter spingere, verso

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Ordinanza n. 12390/2017

311 Ad esempio vedi art. 330 c.c., relativo all’abuso della potestà genitoriale, art. 1015 c.c.,

relativo all’abuso del diritto di usufrutto, art. 2793 c.c., relativo all’abuso della cosa da parte del creditore pignoratizio.

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Su tutte l’ art. 833 c.c., che, pur relativo al diritto di proprietà, è stato utilizzato come norma di repressione dell’abuso dei diritti reali in genere e gli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c.

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soluzioni azzardate in tal senso. Questo anche in considerazione dello storico dibattito mai risolto definitivamente in dottrina circa la questione se le norme citate possano considerarsi espressione di un principio generale dell’ordinamento (non codificato in quanto immanente ad esso) o se rappresentino (in quanto settoriali) un’eccezione alla regola secondo la quale l’esercizio del diritto è sempre legittimo313

ed in considerazione della specialità della disciplina.

In particolare, la disciplina in analisi che, pur figlia del diritto civile presenta forti caratteri di specialità, è fortemente incentrata sulla tutela dell’investitore in quanto contraente debole, con un potere contrattuale molto ridotto rispetto all’intermediario, sia dal punto di vista informativo che dal punto di vista economico314. L’art. 23 TUF in particolare, impone, in modo netto e chiaro, un obbligo molto forte sull’intermediario, a tutela e garanzia dell’investitore. Sembra scontato osservare qui come l’intermediario non potrebbe mai andare incontro a problemi derivanti dall’esercizio abusivo della nullità di protezione se solo si attenesse alle prescrizioni che la legge sancisce per lui, stipulando il contratto per iscritto.

Nella sentenza che, per ultima, ha affrontato il problema delle nullità selettive tout court la Cassazione si esprime appunto in questi termini, sostenendo che la presunta inidoneità della soluzione prescelta dal legislatore non legittima l’interprete a scavalcare completamente le previsioni di legge315.

L’orientamento più attinente ai principi della materia sembra essere, quindi, quello che vede nell’eccezione di dolo l’unico rimedio attivabile

che, attraverso la clausola della buona fede, hanno consentito in tempi recenti alla giurisprudenza, su suggerimento della dottrina più avvertita, di sanzionare, in termini di illecito contrattuale, l’abuso di diritti relativi o di credito.

313 LEVANTI, Abuso del diritto, in www.diritto.it, 28 giugno 2001. 314

Il codice civile presenta una disciplina che ignora in gran parte, d’altro canto, la categoria del contraente debole, riservandogli due soli articoli; il 1341 c.c. sulle condizioni generali di contratto e il 1342 c.c. sulle clausole vessatorie.

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dall’intermediario nel caso di esercizio abusivo della nullità di protezione da parte dell’investitore, con la prova gravante sul primo.

La chiarezza della norma, la tutela che la disciplina vuole approntare, indipendentemente dalle soluzioni preferibili secondo la concezione di giustizia sostanziale che può avere un qualsiasi interprete, non può portare a soluzioni più spregiudicate. Come già affermato, l’assenza di un diritto vivente sul tema impedisce di affermare (in assenza di una norma generale volta a reprimere nel codice civile l’abuso del diritto tout court) la sussistenza di un principio generale di questo stampo nell’ordinamento e, se anche così non fosse, la specialità della disciplina inibirebbe di estendere a cuor leggero tale disciplina all’art. 23 TUF. Per cui, la soluzione migliore sembra quella più cauta, ovvero la possibilità di un’eccezione di dolo che paralizzi l’esercizio abusivo della nullità da parte dell’investitore, che tuteli l’intermediario da un agire non semplicemente opportunistico di questo, ma premeditato, malizioso e fraudolento, con onere della prova a suo carico316. La ratio di quella soluzione sembra essere la stessa a fondamento di quella adottata dalla Cassazione nella recentissima sentenza a Sezioni Unite sul tema del cd. “contratto monofirma”317

. Come già visto, la Suprema Corte in tale sentenza ribalta gli orientamenti precedenti affermando che non è necessaria la sottoscrizione dell’intermediario perché possa dichiararsi concluso il contratto, essendo fondamentale soprattutto la consegna al cliente del testo contrattuale da questi firmato. Questo perché, come precedentemente affermato, l’obbligo di informazione assolto dalla forma del contratto può dirsi adempiuto in tal modo.

316Lo strumento dell’eccezione di dolo, a seconda delle interpretazioni accolte (non quella

adottata dalla citata ordinanza della Cassazione n. 12307/2017), potrebbe addirittura paralizzare pressoché sempre l’azione opportunistica dell’investitore. Infatti, il fatto che costui abbia agito per la nullità, chiedendo la restituzione solo degli investimenti andati male, potrebbe essere esso stesso visto come sintomo di abuso, e quindi di dolo.

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Il fatto che l’investitore potesse dedurre la nullità del contratto nonostante la banca o l’intermediario adducesse il testo contrattuale con la sottoscrizione del cliente consentiva, quindi, un uso fraudolento della nullità, che andava oltre il semplice opportunismo. Anche qui, in assenza di una generica possibilità di utilizzo della categoria dell’abuso del diritto, ci si limita a paralizzare quell’esercizio del diritto che non sia semplicemente opportunistico, ma malizioso e fraudolento.

Si può pensare quindi che questa pronuncia a Sezioni Unite possa aprire la strada ad un estensione di tale ratio anche alla categoria generale delle nullità selettive tout court.

5.2. La nullità dei contratti stipulati in violazione delle regole