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La configurazione della responsabilità risarcitoria per violazione delle

Capitolo 2: La responsabilità dei soggetti abilitati e le conseguenze derivanti dalla

2.4. La configurazione della responsabilità risarcitoria per violazione delle

critica delle sentenze n. 26724 e 26725 del 2007 delle Sezioni Unite

Le sentenze delle Sezioni unite della Corte di Cassazione n. 26724 e 26725 del 19 dicembre 200794 hanno definitivamente superato la tesi della nullità virtuale del contratto per la prestazione di servizi di investimento come conseguenza della violazione degli obblighi di comportamento da parte degli intermediari del mercato mobiliare, che, come ricordato, era stata fino ad allora maggioritaria in giurisprudenza. Le Sezioni Unite della Cassazione, dopo un primo insufficiente intervento del 200595, hanno provato ad ordinare l’ambaradan giurisprudenziale e dottrinale scatenato dalle conseguenze della violazione dei doveri d'informazione del cliente e di corretta esecuzione delle

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operazioni da parte dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d'investimento finanziario.

Il caso che ha portato alle due pronunce “gemelle” della Cassazione è il seguente. Nel 1995, una banca torinese ingiungeva a due clienti il pagamento del saldo debitorio di una linea di credito concessa per operazioni in valuta e su titoli derivati. I clienti si opponevano, deducendo che i risultati economicamente disastrosi degli investimenti fossero da imputarsi alla condotta della banca ricorrente la quale, nel fungere da intermediario per le operazioni finanziarie, aveva tenuto comportamenti contrari agli obblighi imposti dall'allora vigente art. 6 l. 2 gennaio 1991 n. 1. Più precisamente, deducevano che la banca avrebbe suggerito operazioni di enorme rischiosità, senza richiamare sulle medesime l'attenzione dell'investitore, avrebbe consentito il compimento di operazioni per importi manifestamente eccessivi rispetto alle disponibilità finanziarie di cui l'investitore medesimo usufruiva e, infine, avrebbe agito in conflitto di interessi. I clienti chiedevano, quindi, la dichiarazione di nullità dei contratti relativi alle singole operazioni di investimento da cui sono sorte le perdite, in quanto concretanti violazione delle norme imperative contenute nell'art. 6 l. n. 1 cit. Dopo essere stati soccombenti in primo grado ed in appello, i clienti della banca, con due distinte azioni, proponevano ricorso in Cassazione deducendo violazione e falsa applicazione degli art. 1418 c.c. e 6 l. n. 1/1991 per avere la sentenza di appello affermato che le varie prescrizioni imposte dall'art. 6, cit. e le violazioni addebitate alla banca intermediaria avrebbero inciso su adempimenti prenegoziali o esecutivi di un contratto già concluso e sarebbero stati quindi tali da non comportare la nullità dei contratti ex art. 1418 c.c., in quanto non influenti sul contenuto del contratto.

Con le ordinanze 16 febbraio 2007 n. 3683 e 3684, la prima sezione civile della Corte di Cassazione prendeva atto dell'esistenza di un contrasto giurisprudenziale in ordine al se la violazione delle regole di comportamento da parte dell'intermediario potesse comportare ai sensi dell'art. 1418, comma 1, c.c. la nullità dei contratti di investimento e, ritenendo la questione di

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particolare importanza, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Copiose erano le motivazioni alla base della rimessione. Il caso affrontato dalla Corte riguarda la violazione delle norme contenute nell'abrogata l. n. 1/1991, che imponevano all'intermediario obblighi di informazione e di cautela a presidio della consapevolezza del consenso dell'investitore. La violazione di queste norme di condotta, secondo un principio di diritto già espresso in alcune pronunce della Cassazione (tra cui Cass. 29 settembre 2005 n. 19024), non poteva comportare la nullità dei contratti: l'art. 1418, comma 1, c.c. si riferirebbe solamente alle violazioni di norme che, oltre ad essere imperative, attengano anche “ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale”, cioè riguardino “la struttura o il contenuto del contratto”. Di conseguenza, la violazione di norme di condotta nel corso delle trattative per la formazione del contratto ovvero nella sua esecuzione non porterebbe alla nullità del contratto, salvo che la sanzione non sia espressamente prevista dal legislatore.

La prima sezione rilevava tuttavia il contrasto tra tale impostazione ed un diverso orientamento della Corte di Cassazione che riteneva affetto da nullità assoluta il contratto di swap stipulato in contrasto con le norme della stessa l. n. 1/199196. In particolare, erano affermati lì alcuni principi contrastanti con l'orientamento da ultimo ribadito da Cass. 29 settembre 2005 n. 19024; secondo le pronunce antecedenti, infatti, in primis la nullità del contratto può conseguire anche alla violazione di norme imperative non riguardanti elementi intrinseci della fattispecie negoziale, attinenti alla struttura ed al contenuto del contratto, ma che limitino l'autonomia negoziale delle parti dal punto di vista delle qualità soggettive di determinati contraenti e

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La già citata Cassazione 7 marzo 2001 n. 3272 affermava questo sul presupposto che “in presenza di un negozio contrario a norme imperative, la mancanza di una espressa sanzione di nullità non è rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale in conflitto con il divieto, in quanto vi sopperisce l'art. 1418, comma 1, c.c., che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità”.

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dell'esistenza di specifici presupposti; in secundis, è irrilevante, in caso di contrarietà del negozio a norme imperative, la mancata previsione normativa di un'espressa sanzione di nullità. A tale defezione sopperisce, infatti, il disposto dell'art. 1418, comma 1, c.c., che stabilisce un principio generale volto a disciplinare proprio i casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione espressa di nullità. Le ordinanze di rimessione osservavano come fossero frequenti nella giurisprudenza dichiarazioni di nullità del contratto per violazione di norme imperative riguardanti la condotta delle parti, oppure attinenti alla mancata attuazione di adempimenti preliminari o alle modalità esecutive del rapporto contrattuale. Merita di essere menzionata la parte della motivazione in cui la prima sezione fa trasparire la sua posizione sul punto. In questo senso, la Corte percepisce elementi di novità sul fronte legislativo, osservando come il “tradizionale principio della non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validità del negozio”, accusato di essere il principale ispiratore dell'interpretazione restrittiva dell'art. 1418, comma 1, c.c., sia stato messo in discussione dal “tendenziale inserimento, in sede normativa, del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto”97

.

La prima sezione sembra, nel rimettere la questione alle Sezioni Unite, prendere timidamente posizione in favore della soluzione della nullità

97E’ il caso, tra gli altri, dell’art. 16, comma 4, d. lgs. 19 agosto 2005 n. 190, che recepisce la

direttiva n. 2002/65/Ce relativa alla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori. Tale norma contiene ben tre ipotesi di nullità per violazione di regole comportamento. Ed infatti, essa afferma che è “nullo” il contratto nel caso in cui il fornitore ostacoli “l'esercizio del diritto di recesso da parte del contraente”, ovvero non rimborsi “le somme eventualmente pagate”, ovvero violi “gli obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione delle sue caratteristiche”.

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virtuale dei contratti di investimento, se sussiste violazione delle regole di condotta a cui è soggetto l’intermediario98

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Le Sezioni Unite, con le due sentenze in questione (del tutto identiche nella parte che qui interessa), in linea con quanto già affermato da Cass. 29 settembre 2005 n. 19024, affermano che la violazione dei doveri d'informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni imposti agli intermediari finanziari può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, quando tali violazioni si collochino nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione che regolerà i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, e nel caso portare alla risoluzione del predetto contratto, qualora le violazioni riguardino le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei citati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art. 1418, comma 1, c.c.

L'unica pronuncia della Cassazione intervenuta sul punto99 faceva già conseguire all'inadempimento da parte dell'intermediario dei doveri di comportamento previsti dal TUF, la responsabilità precontrattuale di esso. La sentenza in questione si inseriva nel dibattito giurisprudenziale sulle

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In particolare nell’ordinanza di rimessione si afferma che: “Una volta messo in discussione il principio di non interferenza delle regole di comportamento con le regole di validità, ed ammesso che il comportamento della parte possa rilevare ai fini della nullità del negozio, non sembra esservi ragione perché, in presenza di comportamenti contrattuali che violino precetti che si ritengano imperativi, anche se non assistiti dalla esplicita sanzione di nullità, non possa trovare applicazione la disposizione dell'art. 1418 c.c., che configura un'ipotesi di nullità virtuale rivolta a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione di precetti imperativi non si accompagni una espressa sanzione di nullità”.

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tutele dell'investitore sostenendo una tesi ben diversa da quella della nullità del contratto di investimento e indicando una strada sino ad allora quasi mai percorsa, ovvero quella del risarcimento del danno per conclusione di un contratto sì valido ed efficace, ma pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto. Nell’affermare questo, la sentenza non si limitava ad esaminare la normativa di settore contenuta nel TUF, ma ispezionava in modo meticoloso questioni di estrema rilevanza per la disciplina generale del contratto, recependo, specie in tema di responsabilità precontrattuale, le soluzioni prospettate dalla dottrina più recente.

Le Sezioni Unite chiariscono previamente che nel caso in esame non sorge “la necessità di comporre un contrasto giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi decisioni delle sezioni semplici sulla questione di diritto” relativa alla questione in esame. Infatti, l’unico precedente in termini della Corte di Cassazione100 e “le diverse decisioni menzionate nella ordinanza di rimessione hanno ad oggetto questioni diverse, nessuna delle quali [...] investe specificamente il tema della presente causa”101. Ci si trova, comunque, “in presenza di una questione di massima e

di particolare importanza” perché chiama in causa profili di principio, come conferma l'incertezza sul punto nella giurisprudenza di merito.

L'ampia motivazione, con cui le Sezioni Unite decidono la questione sottoposta al loro giudizio, presenta alcuni passaggi argomentativi fondamentali.

E’, intanto, opportuno evidenziare la distinzione che le Sezioni Unite pongono tra il "contratto-quadro" e le singole operazioni. Il "contratto-

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La plurime volte citata sentenza 29 settembre 2005 n. 19024.

101 Secondo SALANITRO, pag. 1006 “sorge il dubbio che la prima sezione si sia

rappresentata il preteso contrasto giurisprudenziale, rinviando la questione alle sezioni unite, per non dover adottare una decisione difforme dalla precedente sentenza della stessa sezione e, in virtù di tale decisione, pregiudicare in modo definitivo la posizione dell'intermediario, malgrado la tesi della nullità fosse controversa e gli investitori non avessero richiesto nel giudizio di merito il risarcimento del danno ai sensi dell'art. 13, comma 10, l. n. 1 del 1991”.

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quadro" viene ritenuto assimilabile alla figura del mandato, dal quale derivano obblighi e diritti reciproci dell'intermediario e del cliente. Le successive operazioni che l'intermediario compie per conto del cliente, pur potendo consistere in atti di natura negoziale, fanno pur sempre parte della fase esecutiva del precedente contratto d'intermediazione.

Da questo punto di vista, gli obblighi di comportamento indicati dalle disposizioni in materia di intermediazione, finalizzati all’assolvimento dell’obbligo generale di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nell'interesse del cliente, si collocano sia nella fase precedente la stipulazione del contratto-quadro, sia nella fase esecutiva di esso. I doveri d'informazione sussistono, infatti, anche dopo la stipulazione del contratto d'intermediazione e sono finalizzati alla sua corretta esecuzione102.

Dalla lettura della sentenza emerge come la questione rilevante sia dunque rappresentata dalla possibilità di affermare la nullità (c.d. virtuale) del contratto perché contrario a norme imperative rappresentate dagli obblighi informativi posti a carico degli intermediari finanziari ed oggi rinvenibili nell'art. 21 del TUF. A questo proposito, è importante sottolineare come la tipizzazione dei doveri di diligenza implica un chiarimento della serie di comportamenti che in concreto l'operatore è tenuto a porre in essere, con lo scopo di rendere l'operazione il più possibile trasparente e comprensibile anche ad un cliente che sia scarso conoscitore dei meccanismi del mercato e degli strumenti finanziari: l’obiettivo di tali obblighi è quello di assicurare correttezza e trasparenza dell'attività di intermediazione, nell’interesse degli investitori e del mercato. Come già evidenziato, pare scontato che tutta legislazione più recente sostenga che l'informazione precontrattuale sia parte integrante dell'operazione economica, poiché ad essa è riconosciuta la funzione di permettere al contraente debole di munirsi di notizie chiare ed esaustive. L'obbligo di informazione ha, dunque, lo scopo di assicurare al contraente debole il massimo possibile di conoscenze qualificate utili e

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rilevanti possibili, che lo pongano nella condizione ideale di effettuare consapevoli e ragionate scelte103. La corretta interpretazione delle preferenze di investimento dei risparmiatori e la valutazione informata dei rischi da parte di costoro confinano il rischio connesso agli investimenti finanziari entro il recinto della normale alea di mercato, riducendo tendenzialmente, il rischio anomalo ed evitando che questo sia addossato in modo inconsapevole al risparmiatore104.

Negli anni una copiosa giurisprudenza ha adottato infatti il principio secondo cui, dinanzi alla violazione di una norma imperativa che non preveda espressamente la nullità, occorra controllare la natura della disposizione violata per dedurne la nullità o la semplice irregolarità dell'atto, e tale controllo si risolva nell'indagine sullo scopo della legge e in particolare sulla natura dell’interesse tutelato, ovvero se esso sia pubblico o privato105

. Si deve certamente convenire sul fatto che le norme dettate dal citato art. 6 della legge n. 1 del 1991 (al pari di quelle che le hanno poi sostituite) hanno carattere imperativo: esse, non essendo, infatti, dettate solo nell'interesse del singolo contraente di volta in volta implicato ma anche nell'interesse generale all'integrità dei mercati finanziari (come è ora reso esplicito dalla formulazione dell'art. 21, lett. a), del d. lgs. n. 58 del 1998, ma poteva ben ricavarsi in via d'interpretazione sistematica già nel vigore della legislazione precedente), si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti.

I giudici di legittimità, su tale punto, pur partendo dal presupposto che le norme in materia di intermediazione hanno carattere imperativo, perché dettate non solo nell'interesse del singolo contraente di volta in volta implicato, ma anche nell'interesse generale all'integrità dei mercati finanziari, e si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti, non ritengono che ciò possa dimostrare che la violazione di una o

103 GRECO, [3], pag. 5.

104FERDINANDO BRUNO, ANDREA ROZZI, , pag. 604 ss.

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più tra dette norme comporti la nullità dei contratti stipulati dall'intermediario col cliente.

Infatti, contrariamente a quanto auspicato da parte della dottrina, le Sezioni Unite hanno, nelle succitate sentenze, sposato la tesi della sentenza della Cassazione del 29 settembre 2005, n. 19024, sopra citata. I punti presi in considerazione dai giudici supremi sono stati molteplici. Il primo riguarda la ormai risalente distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto, che i giudici continuano a sostenere operante all'interno del sistema. La cernita tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto implica che la violazione delle regole di comportamento “tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dovere di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi dell'atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità”106. Contrariamente a quanto affermato nelle ordinanze di rimessione, le sezioni unite statuiscono, quindi, che la distinzione tra norme di comportamento e norme di validità del contratto sussiste tutt’ora, non

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Ad avviso dei giudici supremi tale regola deve dirsi “fortemente radicata nei principi del codice civile” ed è confermata dal fatto che “dal fondamentale dovere che grava su ogni contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede, immanente all'intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 cost., e sottostante a quasi tutti i precetti legali di comportamento delle parti di un rapporto negoziale (ivi compresi quelli qui in esame), il codice civile faccia discendere conseguenze che possono, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza dell'atto (come nel caso dell'annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabilità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del contratto (semmai eventualmente annullabile, rescindibile o risolubile), ancorché l'obbligo dì comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo”.

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essendo stata superata ad opera della recente legislazione settoriale, nota per la tendenza a trasportare il principio di buona fede sul terreno della validità dell'atto. A questo riguardo, afferma la Suprema Corte, “è possibile che una tendenza evolutiva in tal senso sia effettivamente presente in diversi settori della legislazione speciale, ma [...] un conto è una tendenza altro conto è un'acquisizione. E va pur detto che il carattere sempre più frammentario e sempre meno sistematico della moderna legislazione impone molta cautela nel dedurre da singole norme settoriali l'esistenza di nuovi principi per predicarne il valore generale e per postularne l'applicabilità anche in settori ed in casi diversi da quelli espressamente contemplati da singole e ben determinate disposizioni”. L’esempio, in tal senso, più vicino al punto in esame è quello della commercializzazione dei servizi finanziari ai consumatori mediante tecniche di comunicazione a distanza.

Affermato questo, si ricava, quindi, la conclusione che la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative (art. 1418, comma 1, c.c.) operi soltanto al cospetto di violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto. Contrariamente a quanto sostenuto dalle ordinanze di rimessione viene escluso che l'illegittimità della condotta che l’intermediario può aver tenuto, nel corso delle trattative prenegoziali ovvero nella fase dell'esecuzione del contratto stesso, possa esser causa di nullità, data l’irrilevanza della natura delle norme con le quali tale natura contrasti, salva l’espressa previsione di tale sanzione.

Dopo questo ragionamento che investe in generale il diritto dei contratti, la Corte arriva a trattare la questione specifica su cui l’ordinanza di rimessione ha chiamato in causa le Sezioni Unite. Ci si chiede se sia configurabile la nullità del contratto di acquisto di prodotti finanziari in caso di violazione delle regole di comportamento da parte dell'intermediario. Per risolvere la questione, le Sezioni Unite si chiedono se nello specifico settore dell'intermediazione finanziaria, sia eventualmente riscontrabile un principio di segno diverso, tale cioè da derogare al criterio di distinzione sopra

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tracciato tra norme di comportamento e norme di validità degli atti negoziali e da condurre ad una differente conclusione. Giungendo ad una risposta negativa107, di conseguenza, la violazione degli obblighi che accompagnano la stipula del contratto di intermediazione (quali, per esempio, l'obbligo di consegnare al cliente il documento informativo; il dovere dell'intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione finanziaria del cliente), ove non si traduca addirittura in situazioni tali da determinare l'annullabilità del contratto per vizi del consenso, produrrà una responsabilità di tipo precontrattuale, da cui ovviamente discenderà l'obbligo per l'intermediario di risarcire gli eventuali danni. Nella fase successiva alla stipulazione del contratto d'intermediazione (quali il dovere di porre sempre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni d'investimento o di disinvestimento), la violazione di tali doveri avrà i caratteri di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale: tali obblighi, infatti, integrano a tutti gli effetti, derivando da norme inderogabili, il regolamento vigente tra le parti.