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«Episcopus vulterranus est dominus». Il principato dei vescovi di Volterra fino a Federico II.

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN STORIA E CIVILTÀ

Curriculum medievale

TESI DI LAUREA

ANNO ACCADEMICO 2014 - 2015

«Episcopus vulterranus est dominus». Il principato dei vescovi di

Volterra fino a Federico II

Candidato:

Jacopo Paganelli

Relatore:

(2)

Ringraziamenti.

Un grazie sentito va a tutte quelle persone che, con la loro professionalità, hanno consentito che questo lavoro venisse realizzato. Innanzitutto al dott. Alessandro Furiesi, preparatissimo e valente archivista in forza all’Archivio diocesano di Volterra, che ha avuto la pazienza di seguirmi e di guidarmi coi suoi avveduti consigli, mettendomi sempre con cortesia a disposizione tutto il materiale di cui ho avuto bisogno. Un grazie anche al dott. Umberto Bavoni, che mi ha permesso di accedere ad alcune trascrizioni dei documenti dell’Archivio del Capitolo della cattedrale. Ringrazio anche il personale dell’altro grande Archivio volterrano, quello laico della Gurnacci: in primis il bibliotecario dott. Luca Pini, che ha saputo convertire le mie disordinate suggestioni in puntuali riferimenti archivistici; e poi i collaboratori Sandra Biondi e Stefano Cari. Per ultimi (ma primi sicuramente per importanza!) vengono i miei due professori di riferimento, Cecilia Iannella e Simone Collavini, per merito dei quali la Storia medievale è diventata la pietra d’angolo della mia formazione.

(3)

INDICE DEI CONTENUTI.

1.

Introduzione………..………p. 6

1.1.

Lo stato degli studi………...………...p. 7

1.2.

Spunti per la ricerca………..……….p. 12

1.3.

Il patrimonio documentario e il materiale consultato……..………..p. 18

2.

L’età carolingia e i diplomi………..…………...p. 23

3.

Il X secolo………...p. 35

3.1.

La gestione fondiaria………...p. 35

3.1.1. La problematica generale………p. 35 3.1.2. Il caso volterrano………...p. 38

3.2.

La Chiesa e la società all’ombra del Vescovado………p. 42 3.2.1. La Chiesa cittadina………..……….….……..p. 42 3.2.2. Gli Ildizzi……….………...……....p. 45 3.2.3. Gli Atizzi……….……….………..…….…p. 48 3.2.4. I Teudinghi………..p. 49 3.2.5. I giudici cittadini……….p. 49

3.3.

Il potere pubblico e l’ex aristocrazia d’ufficio nella diocesi……….p. 50 3.3.1. Il Comitato volterrano e il monte Torre………..……….p. 51 3.3.2. Il diploma di Ottone del 966………p. 55 3.3.3. L’Impero, la Marca e Montevoltraio………...p. 56 3.3.4. Suppo e Tetberga………p. 58 3.3.5. Lo scontro con gli Aldobrandeschi e l’inviolabilità della res sacra....p. 61

3.4.

Le ragioni del successo………..p. 63

4.

L’XI secolo………...p. 68

4.1.

La gestione patrimoniale e i livelli………p. 68

4.2.

L’arena signorile e le fondazioni monastiche………....p. 70 4.2.1. I lambardi di Staggia………...p. 71

4.2.1.1. Ildebrando chiamato Pesce………..p. 73

4.2.2. I Gherardeschi……….p. 74 4.2.3. I discendenti di Suppo e i Cadolingi………p. 75

4.3.

Il diploma di Enrico III e la difesa dai «comites reliquosque publici

iuris ministros»………...p. 82

4.4.

Chiesa e società volterrana………....p. 85

4.4.1. La fondazione della badia cittadina……….…....p. 86 4.4.2. Vescovado e cenobio dei Ss. Giusto e Clemente……….……....p. 89 4.4.3. I Rustichi……….……p. 93

4.5.

Uno sguardo d’insieme……….…p. 94

5.

L’episcopato di Ruggero Gisalbertini:

la svolta signorile………..………...p. 96

(4)

5.1.1. La Chiesa nella città………..p. 99 5.1.2. La Chiesa fuori della città……….…….p. 100

5.2.

Tendenze centrifughe a San Gimignano……….…….p. 101

5.3.

Le aristocrazie del territorio………p. 103

5.3.1. I Gualandi di Buriano………p. 103 5.3.2. I Da Pichena……….p. 105 5.3.3. I Pannocchieschi………...p. 107 5.3.4. Altre acquisizioni patrimoniali……….……….p. 108

5.4.

La ricerca della legittimità……….……….p. 110 5.4.1. Le clientele della Diocesi……….……….p. 112

5.5.

Il vescovo e la guerra……….……….p. 113

5.6.

Conclusioni……….………...p. 114

6.

L’episcopato di Crescenzio……….……….p. 116

6.1.

La transizione difficile……….………...p. 116

6.2.

Le aristocrazie del territorio……….…………...p. 118 6.2.1. La pace coi Gherardeschi……….………….p. 118 6.2.2. I Pannocchieschi………...p. 120 6.2.3. I Da Pichena……….………….p. 121

6.3.

L’auto-rappresentazione del Vescovado……….………p. 122

7.

L’episcopato di Aldemaro………....p. 124

7.1.

La transazione con Siena……….p. 124

7.2.

Le aristocrazie del contado………..p. 125

7.2.1. I Pannocchieschi………...p. 125 7.2.2. I Gualandi di Buriano……….………...p. 127

8.

Il vescovo Galgano………p. 128

8.1.

Il fattore feudale………..p. 128 8.1.1. L’esempio di Tonda………..p. 129

8.2.

Il fattore economico………p. 132

8.3.

Il Comune volterrano………..p. 134

8.4.

La Diocesi e il Comitato……….……….p. 137

8.5.

Il confine con Pisa……….………..p. 139

8.5.1. I Gherardeschi……….………..p. 140

8.5.1.1. La badia di Serena……….………....p. 141

8.5.2. I conti di Montecuccari e i lambardi di Peccioli….………..p. 142

8.6.

La parte orientale della diocesi……….………...p. 143

8.7.

Le forze signorili del meridione………..p. 146 8.7.1. I Pannocchieschi………...p. 147

8.7.1.1. La vertenza di Travale……….………..p. 149

8.7.2. Gli Aldobrandeschi………...p. 150

8.8.

La Chiesa cittadina………..p. 152

9.

L’episcopato di Ugo………..p. 153

9.1.

I rapporti con Alessandro III………...p. 154

(5)

9.3.

I rapporti con Siena……….p. 156

9.4.

Ugo come signore: l’esempio di Gambassi…………..………...p. 158 9.4.1. L’azione politica………...p. 158 9.4.2. Le basi materiali……….………...p. 161

10.

Il vescovo Ildebrando……….………..p. 167

10.1.

Papato e Impero………..p. 170

10.2.

Vescovo e Volterra……….……….p. 174 10.2.1. I rapporti fino al 1196……….….………..p. 175 10.2.2. La crisi nei rapporti……….……..p. 180 10.2.3. La guerra e la tregua armata del 1204……….………….…..p. 186 10.2.4. Dal conflitto congelato al recupero delle relazioni sotto

l’egida imperiale………..p. 189 10.2.5. Le dinamiche del confronto……….……….…….p. 192 10.2.5.1. La lotta per la legittimità………...p. 192 10.2.5.2. Il confronto militare………..p. 194 10.2.6. Le ultime relazioni con San Gimignano………..…...p. 196

10.3.

La Chiesa cittadina………..p. 197

10.3.1. Il Capitolo della cattedrale……….………...p. 197 10.3.2. La badia dei Ss. Giusto e Clemente……….…….……….p. 200

10.4.

La parte meridionale del districtus………..p. 202

10.5.

Il confine con Pisa………...p. 205

10.6.

Le basi economiche di Ildebrando e la struttura signorile….…………..p. 207 10.6.1. La sedizione di Ranieri di Berignone………..…………..p. 216

10.7.

La dominazione a Montecastelli……….………….p. 218 10.7.1. Le acquisizioni patrimoniali………..………p. 218 10.7.2. Il condominio con i Guaschi e la cosignoria………..…………p. 221

10.8.

Un bilancio………..p. 225

11.

Il vescovo Pagano……….p. 227

11.1.

I rapporti con l’Impero………p. 229

11.2.

Vescovo, Volterra e San Gimignano………...p. 233 11.2.1. Gli acquisti di Volterra nel contado…………..……….p. 245 11.2.2. Un caso esemplare: Montevoltraio…………..………..p. 249 11.2.3. Gli scontri militari coi Volterrani………..………p. 252 11.2.4. L’inimicizia coi Volterrani nelle testimonianze

dell’Archivio capitolare………p. 255 11.2.5. La lotta contro i presunti amici del vescovo:

Aringerio e i Belforti……….p. 257 11.2.6. Uno sguardo d’insieme……….………p. 260

11.3.

La Chiesa volterrana………...p. 261

11.3.1. Il Capitolo della cattedrale……….………...p. 261 11.3.2. La badia di San Galgano………..……..p. 264 11.3.3. La Chiesa fuori della città………..………p. 265

11.4.

La parte meridionale del districtus………..p. 269 11.4.1. I rapporti con Siena……….………..p. 269 11.4.2. Pomarance e gli altri castelli……….……….………p. 272

(6)

11.5.

Il confine con Pisa………...p. 274

11.6.

La gestione economica………p. 274

11.7.

Uno sguardo d’insieme………...p. 282

11.8.

La gestione fondiaria e patrimoniale………...p. 285

11.9.

Il dominatus vescovile nell’esempio di Casaglia……….………p. 287

12.

Fili conduttori della fase principesca………..p. 290

12.1.

Castelli vescovili e residenze fortificate………..p. 294

12.2.

L’amministrazione, gli incarichi di Curia e uil lessico della signoria…..p. 300

12.3.

Il ruolo delle relazioni vassallatico-beneficiarie………..p. 316 12.3.Il rapporto fra vincolo di fedeltà,

gestione fondiaria e fonti scritte………p. 322 13. Epilogo………..p. 324 13.3.“Vescovo-conte”: un’improprietà?...p. 324 13.4. L’aggiustamento della prospettiva volpiana………...……….………...p. 326 14. Bibliografia………...p. 330 14.3. Fonti edite……...………...p. 330 14.4. Studi e ricerche………...……….………...p. 334 15. Edizione dei documenti……….…...p. 358

(7)

1.

Introduzione.

«La città di Volterra la quale non solo per la sua grandissima antichità, ma per la potenza grande che ebbe un tempo non pure in Italia, ma in vari luoghi fuori di essa, è stata sempre in grandissima venerazione e stima appresso tutte le nazioni, è poi a poco a poco (come di tutte le cose mondane e di tutti gli imperi si vede) venuta a cadere e diminuirsi in modo che si può dubitare doversi perdere un giorno se non la memoria, almeno la chiarezza e lo splendore del suo essere di prima. Il che essendo stato considerato da molti, non vi sono mancati di quelli, i quali si sono ingegnati di ridurre in ordine le antiche memorie di lei, per lasciarne lume a’ posteri, prima che intieramente perissero».

Con queste parole Raffaello Maffei cominciava l’introduzione al volume dedicato alla storia di Volterra, redatto nel XVII secolo e stampato nel 1887 a cura di Annibale Cinci presso la tipografia Sborgi. Fiorente centro etrusco prima e Municipio romano poi, Volterra divenne col Cristianesimo una civitas, ovvero luogo di residenza di un presule. Seppure mutilato al tempo dell’invasione longobarda, il districtus diocesano assorbì gran parte dell’ager del municipium, ovvero tutti quei territori che vanno dall’Elsa fino al mare, e da «S. Giovanni a Stecchi sulle pendici di Montemaggio, a Sovicille, a Tocchi e a Santa Sicutera sotto Scalvaia in val di Merse al monastero di Carigi in Val d’Era»1. In questo ambito territoriale,

incastonato nel mezzo della Toscana, ricco di sale e di argento, e prospiciente il mare attraverso il pertugio di costa intorno a Bibbona, i vescovi svilupparono dall’epoca carolingia in poi un potere economico, politico e religioso che aumentò regolarmente nel corso dei secoli, fino a sfociare in una dominazione principesca durante i regni di Barbarossa e del figlio Enrico VI.

Aiutarono non poco le concessioni immunitarie di cui la Sede volterrana fu beneficiaria a partire dal X secolo, e l’adesione dei poteri vescovili – sia promanati dalle concessioni regie sia, anche e soprattutto, sviluppati in maniera spontanea – ai distretti territoriali esistenti:

1 Cfr. Enrico Fiumi, “I confini della diocesi ecclesiastica, del municipio romano e dello stato etrusco

di Volterra”, in Archivio Storico Italiano, CXXVI (1968), pp. 23 – 60, pp. 25 – 26. Cfr. anche il contributo di mons. Mario Bocci, “Cenni sulla storia della Diocesi di Volterra”, nel volumetto

Prospettive di memoria, a c. di Alessandro Furiesi, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera (Pisa), 2010, pp.

67 – 71 (la presentazione del volume è contenuta in Rassegna Volterrana, LXXXVII (2010), pp. 463 e segg., dove sono riportati gli interventi di Tiziano Ghirelli, Alessandro Furiesi, Luigina Carratori e del personale della società Hyperborea, incaricata del riordino dell’Archivio). La Chiesa volterrana, fino al 1856, fu soggetta alla diretta giurisdizione romana.

(8)

quelli delle curtes, delle parrocchie (e dei castelli) in sede locale; e, in una fase successiva, in un range molto più ampio e con risultati alterni, quelli del comitatus e del districtus diocesano.

Se si dovesse figurare questo processo storico secolare su di un foglio, la parabola sarebbe la forma più efficace: essa dovrebbe avere l’incavo rivolto all’ingiù, giacché il vertice, grazie a una serie di circostanze fortunate, come la benevolenza dei sovrani e la volatilità della giurisdizione comitale dei Gherardeschi, ma anche grazie all’abilità di presuli come Gunfredo, Ruggero e Galgano, fu raggiunto solo dopo un’ascesa secolare. Eppure, appena dopo i fasti del vescovo Ildebrando cantato dai menestrelli, con il pontificato del nipote Pagano sarebbe cominciata una discesa a tratti anche vertiginosa, accelerata dalle lotte fra Vescovado e Comune e il conseguente impoverimento della Mensa. La nostra forma geometrica diventerebbe così, dopo molti sussulti, una retta «caratterizzata da equilibri che si sarebbero mantenuti nella sostanza inalterati per il resto del Medioevo e buona parte dell’età moderna»2.

Fuori dalla metafora degli assi cartesiani, l’obiettivo del presente studio è indagare non solo le vicende che portarono alla costituzione del principato, ma anche osservare nel vivo – specie attraverso i testimoniali – i gangli che alimentarono la Curia al punto da renderla baricentro economico, politico, sociale e religioso del Volterrano. Per quanto ho potuto, ho cercato di rendere ogni capitolo il più autonomo possibile, specie per le figure a tutto tondo come i due vescovi Pannocchieschi.

1.1.

Lo stato degli studi.

Dopo i lavori degli eruditi locali, l’analisi ha fatto perno su due cardini principali: da una parte l’imprescindibile Regestum Volaterranum di Fedor Schneider; dall’altra la magistrale messa a punto di Gioacchino Volpe, articolata nei due saggi “Vescovi e Comune di Volterra”, a carattere generale, e il più mirato e specifico “Montieri. Costituzione politica, struttura sociale e attività economica d’una terra mineraria toscana nel sec. XIII”3. Chiunque

2 Michele Pellegrini, Vescovo e città. Una relazione nel Medioevo italiano, Bruno Mondadori,

“Campus”, Milano, 2009, p. 46.

3 Un classico della tradizione erudita volterrana è la Cronistoria dell’antichità e nobiltà di Volterra

(9)

voglia studiare la storia della Diocesi di Volterra deve dunque partire da queste due pietre miliari, l’una strumento operativo e documentario, l’altra retroterra evenemenziale e concettuale. Eppure entrambe invecchiate, in quanto approntate, seppure precorritrici rispetto alla propria epoca, con una forma mentis otto-novecentesca. Dello stesso Schneider ricordo più che volentieri la monografia dedicata alle vicende economiche del Vescovado (“Bistum und Geldwirtschaft. Zur Geschichte Volterras in Mittealter”), di cui molte considerazioni sono ancora oggi condivisibili; e l’indagine sulla “Vertenza di Montevaso del 1150”, con in calce l’edizione di utili documenti4.

Dopo la stagione dei primi del Novecento, la parola è passata a Enrico Fiumi, «infaticabile ricercatore», come lo ha definito Violante, che ha passato al vaglio non solo gli aspetti prettamente economici della Volterra bassomedievale, ma anche quelli demografici, sociali e topografici, oltreché quelli schiettamente politici, anche attraverso la preziosissima pubblicazione Statuti di Volterra (1210 – 1224)5. Il suo impegno è maturato contestualmente al progredire di ulteriori ricerche: penso in particolare al contributo di Gabriella Rossetti, la quale «riusciva a superare in qualche misura i limiti posti dalla scarsezza dei documenti e dalla inadeguatezza delle edizioni e a dare una prima storia globale di Volterra e del suo territorio nell’alto medioevo»6. Il rendiconto storiografico di Violante si ferma qui; la sua

fondamentale Cinzio Violante, “Tradizione storiografica e problemi storici di Volterra medioevale”, in Bollettino Storico Pisano, LVI (1987), pp. 229 – 239, p. 229. Sul regesto dello Schneider –

Regesten der Urkunden von Volterra (778 - 1303), Regesta Chartarum Italiae, vol. I, Loescher,

Roma, 1907 – cfr. Violante (“Tradizione storiografica”, cit., in part. p. 234: «il lavoro, pur meritorio e soprattutto per l’età in cui venne realizzato, non è esente da mende»); e Giovanni Cherubini (“La storiografia su Volterra medievale”, a margine del convegno “Dagli albori del comune medievale alla rivolta antifrancese del 1799”, 8-10 ottobre 1993, in Rassegna Volterrana, LXX (1994), pp. 5 – 17), il quale rileva, a proposito del saggio dello stesso Violante, che «meglio non si poterebbe dire» (p. 8). “Vescovi e Comune” è stato riedito in Toscana medioevale, Sansoni, Firenze, 1964, pp. 141 – 311. “Montieri” si trovava in Vierteljahrschrift für Sozial-und Wirtschaftsgeschichte, VI (1908), pp. 315 – 423, poi riedito in Medioevo italiano, Vallecchi, Firenze, 1923, ristampato da Sansoni, Firenze, 1961, pp. 419 – 423.

4 Il saggio dal taglio economico in Quellen und Forschungen aus des italienischen Archive und Bibliotheke, VIII (1905), pp. 77 – 112; e IX (1906), pp. 271 – 315. La vertenza di Montevaso in Bullettino Senese di Storia Patria, XV (1908), pp. 3 – 22.

5 La sua disparata, intelligente e ampia produzione è oggi raccolta nel volume Volterra e San Gimignano nel medioevo, a c. di Giuliano Pinto, Nuovi Quaderni, San Gimignano, 1983. La cit. in

Violante, “Tradizione storiografica”, cit., p. 232. Gli Statuti volterrani sono usciti presso Olschki, “Documenti di Storia italiana. Serie II”, Firenze, 1951.

6 Il saggio della Rossetti è “Società e istituzioni nei secoli IX e X: Pisa, Volterra, Populonia”, in Lucca e la Tuscia nell’alto medioevo. Atti del V congresso internazionale di studi sull’alto medioevo

(10)

biografia di Ruggero Giselbertini costituì il fertile humus di un analogo saggio di Maria Luisa Ceccarelli Lemut, mentre la sua attenzione all’organizzazione della vita religiosa tracciò il solco per l’analisi condotta da Emilio Cristiani sul Capitolo della cattedrale volterrana7.

A completamento e integrazione del Regestum Volaterranum sono state elaborate due sillogi di regesti: “Vescovi volterrani fino al 1100. Esame del Regestum Volaterranum con appendice di pergamene trascurate da Fedor Schneider” di mons. Maurizio Cavallini; e la sua continuazione da parte di mons. Mario Bocci, uscita dieci anni dopo. Lo stesso mons. Bocci si è reso protagonista della pubblicazione del volume De Sancti Hugonis Actis liturgicis nel quale ha raccolto le deposizioni duecentesche scaturite a margine di una causa fra Canonica e Curia vescovile8. Infine, last but not least, meritano senz’altro un richiamo l’utilissima schedatura delle pievi volterrane eseguita da Silvano Mori, e la “Cronotassi dei vescovi di Volterra dalle origini all’inizio del XIII secolo”, a opera della Ceccarelli9: griglia

precisissima e indispensabile scandaglio diatopico, la prima; riferimento obbligatorio sulla diacronia degli accadimenti che coinvolsero la cattedra di Santa Maria, la seconda.

Siamo così arrivati agli sgoccioli del XX secolo, nel quale, tirando le somme, la “questione volterrana” è uscita dall’ambito prettamente locale, è stata presa in carico da valenti studiosi

(Lucca, 3-7 ottobre 1971), CISAM, Spoleto, 1973, pp. 241 – 246 e 270 – 283. La cit. in Violante, “Tradizione storiografica”, cit., p. 234.

7 Cfr. Violante, “L’origine lombarda di Ruggero vescovo di Volterra e arcivescovo di Pisa

(1099/1103 – 1113/1132)”, in Lincei-Rendiconti morali, XXXV (1980), fasc. 1-2, pp. 11 – 17; Ceccarelli, “Ruggero, vescovo di Volterra e arcivescovo di Pisa”, in Studi di storia offerti a Michele

Luzzati, a c. di Silio Pietro Paolo Scalfati e Alessandra Veronese, Pacini, Pisa, 2009, pp. 53-71; ed

Emilio Cristiani, “Le origini della vita canonicale nella diocesi di Volterra (sec. X-XII)”, in La vita

comune del clero nei secoli XI e XII. Atti della settimana di studio, Mendola, settembre 1959, Vita e

Pensiero, Milano, 1962, vol. II, pp. 236 – 244.

8 L’opera di mons. Cavallini, del 1918, con introduzione di mons. Mario Bocci, fu pubblicata in Rassegna Volterrana, XXXVI-XXXIX (1972), pp. 3 – 83; la sua diretta continuazione fu “Vescovi

volterrani fino al 1100. Esame del Regestum Volaterranum con appendice di pergamene trascurate da Fedor Schneider. Supplemento. Introduzione e revisione di Mario Bocci”, in Rassegna

Volterrana, LVIII (1982), pp. 23 – 112. L’edizione di mons. Bocci è uscita presso Olschki, Firenze,

1984.

9 “Pievi della diocesi volterrana antica dalle origini alla visita apostolica (1576). Una griglia per la

ricerca”, in Rassegna Volterrana, LXIII-LXIV (1987-88) pp. 163 – 188; LXVII (1991), pp. 3 – 123; LXVIII (1992), pp. 3 – 107. La cronotassi della Ceccarelli in Pisa e la Toscana occidentale nel

Medioevo. A Cinzio Violante nei suoi 70 anni, a c. di Gabriella Garzella, GISEM, Pisa, 1991, pp. 23

(11)

ed è maturata sotto l’ala di una rigorosa ricerca scientifica. Ma il quadro non sarebbe completo se non si desse conto anche dell’ultimo ventennio, decisamente importante, mi sento di dire, per la virata verso un approccio multidisciplinare alla materia storica, impressa sia dagli storici stricto sensu, sia dagli archeologi dell’Università di Siena. Al primo campo appartengono le indagini della Ceccarelli, concentrate sui Gherardeschi10, sulle loro reti di relazioni politiche, e sul ruolo di monasteri e castelli nel territorio; ampia è stata anche la sua produzione di saggi squisitamente volterrani: “I rapporti tra vescovo e città a Volterra fino alla metà dell'XI secolo”, “Palazzo Comunale e città a Volterra nel medioevo”, la voce “Erimanno” per l’enciclopedia Treccani e, insieme ad Alessandro Furiesi e Marinella Pasquinucci, Breve storia di Volterra11. Nello stesso filone s’inquadrano i validi sondaggi di

10 A partire dal “I conti Gherardeschi”, in I ceti dirigenti in Toscana nell'età precomunale. Atti del I

Convegno del Comitato di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana (Firenze, 2 dicembre 1978), Pacini, Pisa, 1981, pp. 165 – 190. Successivamente: “Della Gherardesca Alberto, Bonifazio, Bonifazio Novello, Gherardo IV, Gherardo di Guglielmo, Gherardo di Bonifazio, Guelfo, Jacopo, Lotto, Ranieri, Ranieri Novello, Tedice, Ugolino”, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXXVII (1989), sul web alla pagina treccani.it.

11 “Il lodo tra i conti Gherardeschi e il vescovo di Volterra nel settembre 1133: una tappa nel processo

di dispersione della famiglia e nella ristrutturazione del patrimonio”, in Bullettino Senese di Storia

Patria, LXXXIX (1982), pp. 7 – 28; Il monastero di S. Giustiniano di Falesia e il castello di Piombino (secoli XI-XIII), Pacini, Pisa, 1972; “Scarlino: un castello della costa tirrenica tra storia e

archeologia, II. La storia, secoli X-XIV”, in Castelli. Storia e archeologia, Atti del I Convegno internazionale di studi (Cuneo, 6-8 dicembre 1981), Regione Piemonte, Torino, 1984, pp. 151 – 167; “Scarlino: le vicende medievali fino al 1399”, in Scarlino, I: “Storia e territorio”, a c. di R. Francovich, All'insegna del Giglio, Firenze, 1985, pp. 19 – 74; “La Rocca di S. Silvestro nel medioevo ed i suoi signori”, in Archeologia Medievale, XII (1985), pp. 322 – 341, ora, ampliato, in

Eadem, Medioevo Pisano. Chiesa, famiglie, territorio, Pacini, Pisa, 2005, pp. 301 – 349; “I conti

Gherardeschi e le origini del monastero di S. Maria di Serena”, in Nobiltà e chiese nel medioevo e

altri saggi. Miscellanea di scritti in onore di G. Tellenbach, a c. di C. Violante, Jouvence, Roma,

1993, pp. 47 – 75; “Tra Volterra e Pisa: il monastero di S. Maria di Morrona nel Medioevo (secoli XI-XIII)”, in La badia di Morrona e il suo territorio nel Medioevo e in età moderna, Giornata di studi (Morrona, 18 ottobre 2008), a c. di Scalfati, Pacini, Pisa, 2008, pp. 1 – 17; “Un castello e la sua storia. Montescudaio nel Medioevo”, in Storia di Montescudaio, a c. di Romano Paolo Coppini, Felici, Pisa, 2009, pp. 43 – 70. Il saggio sui rapporti fra città e vescovo in Vescovo e città nell'alto

medioevo: quadri generali e realtà toscane, Atti del Convegno Internazionale di studi (Pistoia,

16-17 maggio 1998), a c. di Giampaolo Francesconi, Biblioteca Storica Pistoiese, VI, Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia, 2001 pp. 133 – 178; quello sul palazzo comunale in Les palais dans la ville.

Espaces urbains et lieux de la puissance publique dans la Méditerranée médiévale, textes réunis par Patrick Bourgeron et Jacques. Chiffoleau, Presses Universitaires de Lyon, Lyon, 2004, pp. 123 –

137. La voce biografica in Dizionario Biografico degli Italiani, XLIII (1993), Istituto per l'Enciclopedia Italiana, Roma, pp. 211 – 212 (reperibile online, così come le voci “Ildebrando Pannocchieschi”, LXXX (2014), e “Pagano Pannocchieschi”, LXXX (2014), sempre sul portale web Treccani). Alessandro Furiesi è da non confondere con l’omonimo, valente archivista in forza all’archivio diocesano (a cui rivolgo ancora una volta i miei ringraziamenti): si parla invece del

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Andrea Puglia: da quelli, a carattere generale, che riguardano l’amministrazione della Marca; a quelli, più spiccatamente locali, che hanno contribuito a definire le strategie documentarie della Curia volterrana12.

Entrambi gli studiosi hanno prestato la propria opera al meritevole progetto del “Laboratorio universitario volterrano”, dal quale è scaturita l’omonima collana, edita da Pacini e poi da ETS, che ha visto lavorare fianco a fianco professori, ricercatori, e studenti13. Il campo si è infine arricchito con l’apporto degli archeologi senesi, attratti dalla possibilità di studiare il territorio attraverso i suoi numerosi castelli. Si possono qui richiamare alcune preziosissime sintesi: in primis quella di Maria Ginatempo, che viaggia sul binario che fu di Enrico Fiumi, sul popolamento bassomedievale; e quelle di Andrea Augenti prima e Monica Baldassarri dopo sul panorama delle fortificazioni14.

direttore della pinacoteca cittadina. Il volume sulla storia di Volterra è stato pubblicato presso Pacini, Pisa, 2008.

12 La Marca di Tuscia tra X e XI secolo. Impero, società locale e amministrazione marchionale negli anni 970-1027, Edizioni Campano, Pisa, 2003; “Marca, marchio, comitatus, comes: spazio e potere

in Tuscia nei secoli IX-XI”, in Atti del seminario di studi: Dalla marca di Tuscia alla Toscana

comunale (Pisa, 10-12 giugno 2004), a c. di Giuseppe Petralia e Mauro Ronzani (edito in formato

digitale sul portale online retimedievali.it); “Chiesa e impero a Volterra nei secoli IX e X: interazioni politiche e pratiche documentarie”, in Studi di Storia e archeologia in onore di Maria Luisa

Ceccarelli, a c. di Monica Baldassarri e Simone Maria Collavini, Pacini, Pisa, 2014, pp. 35 – 48;

“Forme e dinamiche della rappresentazione dell’autorità vescovile a Volterra nella seconda metà del secolo XI”, in Rassegna Volterrana, LXXXVIII (2011), pp. 339 – 372.

13 Sui Quaderni cfr., e. g., i saggi della Ceccarelli: “Organizzazione ecclesiastica della città di

Volterra”, I (1996-1997) pp. 31 – 34; “Assistenza e ospitalità a Volterra nel Medioevo”, III (1998-1999) pp. 117 – 119; “Volterra medievale. Le attività di ricerca e di studio”, IV (1999-2000), pp. 25 – 30; “Il castello di Montevoltraio nel quadro del primo incastellamento del territorio volterrano”, VI (2001-2002), pp. 115 – 118; e “Saggio di cronotassi dei consoli, rettori e podestà del Comune di Volterra fino al 1253”, VII (2002-2003), pp. 83 – 89. I contributi di Andrea Puglia sono invece: “Tre documenti del secolo XI conservali nell'Archivio Municipale di Volterra” (con Anna Bottoni), IV (1999-2000), pp. 39 – 44; “Gli statuti di Montevoltraio conservati nell'Archivio Municipale di Volterra: breve descrizione e prospettive di ricerca” (con il direttore della pinacoteca cittadina), VI (2001-2002), pp. 119 – 124; “La formazione del territorio cittadino volterrano nel Medioevo: recenti acquisizioni e prospettive di ricerca”, VII (2002-2003), pp. 103 – 108; “Politica e finanza a Volterra nei secoli XII e XIII: una citta minore nel sistema economico toscano. Appunti per una ricerca”, IX (2004-2005), pp. 95 – 100; “Gli statuti di Volterra della prima metà del Duecento: analisi preliminari per un'edizione”, X (2005-2006), pp. 81 – 82; “Mutamenti politici e legislazione a Volterra negli anni Cinquanta e Sessanta del Duecento: il governo del Popolo”, XI (2006-2007), pp. 193 – 198; e “Le infrastrutture della cultura a Volterra nel Medioevo”, XVI (2013), pp. 71 – 81.

14 «È solo a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo che si è registrato un cospicuo incremento

nell’analisi non solo storica, ma anche archeologica e architettonica di singoli siti o località fortificate, come nei casi di Radicondoli, Gambassi, Pietracassa, Montevaso, Rocca Sillana,

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Citare uno per uno tutte le singole pubblicazioni sarebbe tuttavia un adynaton; giacché oltretutto al mio appello mancano diverse branche della ricerca (la storia dell’arte, per esempio15), anch’esse più che utili per affinare il grado della comprensione del reale. Mi preme comunque sottolineare che non esiste a oggi uno studio mirato sul “vescovo di Volterra come signore territoriale”, per parafrasare il titolo di un famoso saggio di Wilfried Hartmann16. In questo senso restano ancora molte questioni da precisare, e (relativamente)

nuovi metodi da esperire. Concludendo questo breve excursus a volo d’uccello, si deve infatti constatare che dopo la grande messa a punto del Volpe è mancato per Volterra uno studio a tutto tondo, che considerasse il principato vescovile quale esperienza storica complessiva: economica, sociale e politica; e che evitasse le distorsioni e gli errori di prospettiva che riguardo a questa compagine territoriale si sono generati e che mi paiono ancora, ahimé, dominanti: il dominatus vescovile non fu né un rimasuglio o un accidente della storia, un abbozzato preludio al dominio della città-stato e del Comune di Volterra, né una creazione dei sovrani o la risultante dei loro privilegi assegnanti le cosiddette regalie (iura fiscali e giurisdizionali che, sebbene preziosi, non furono l’effetto bensì la manifestazione della prosperità episcopale). Solo scavalcando con lo sguardo questi due ostacoli, che formano per lo storico quasi una siepe di leopardiana concezione, si potrà riconoscere che lo spazio a oggi esplorato e conosciuto è solo una minima parte dell’intero.

1.2.

Spunti per la ricerca.

«De his vero, que a quibuslibet emerit vel vivorum donationibus acceperit, principibus consueta debet obsequia, ut et annua eis persolvat tributa, et convocato exercitu cum eis

Pomarance, Monte Voltraio, Berignone e Libbiano» (Monica Baldassarri, “I castelli dell'area volterrana, ovvero delle possibilità di sviluppo della ricerca storico-archeologica in un'area centrale della Toscana”, in Castelli e fortificazioni della Repubblica Pisana, a c. di Ceccarelli e Massimo Dringoli, Pacini, Pisa, 2009, pp. 101 – 132). Per i singoli casi si rimanda alla bibliografia citata all’inizio dell’articolo della Baldassarri. Il saggio della Ginatempo: “Il popolamento del territorio volterrano nel basso medioevo”, in Rassegna Volterrana, LXX (1994), pp. 19 – 74. Il saggio di Augenti è “Un territorio in movimento: la diocesi di Volterra nei secoli X-XII”, in Castelli. Storia e

archeologia del potere nella Toscana medievale, a c. di M. Ginatempo e Riccardo Francovich,

All’insegna del Giglio, Firenze, 2000, pp. 111 – 139. Per l’articolo della Baldassarri, “I castelli dell’area volterrana”, cfr. supra.

15 Fra tutti, cfr. p. es. Italo Moretti, “L'architettura romanica religiosa nella diocesi medievale di

Volterra”, in Rassegna Volterrana, LXX (1994), pp. 215 – 240.

16 “Il vescovo come giudice. La giurisdizione ecclesiastica sui crimini laici nell’alto medioevo (secoli

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proficiscatur ad castra». Il precetto è tratto dal Decretum di Graziano (p. 962, c. XXV), e riguarda il tipo di relazione a cui vescovi e grandi ecclesiastici erano vincolati nei confronti del re: essi imbracciavano sì il pastorale ed erano responsabili della cura d’anime della diocesi; ma erano pure titolari, nella misura in cui le avevano ricevute dalla Corona, di regalie, dunque tenuti al servitium regis in virtù dei beni che avevano avuto dalle mani del sovrano, e inquadrati nel disegno di coesione interna del Regno. Come ha dimostrato Friedrich Prinz, si tratta dell’esito di un processo secolare che affonda le proprie radici nella transizione dal mondo romano a quello merovingio, e che portò all’ambiguità delle istituzioni religiose nell’accezione tabacchiana17. Anche se non è qui possibile ricapitolare

per intero il contributo prinziano, è bene rilevare che, come sostiene Giuseppe Sergi nell’introduzione italiana, «non si può che essere dalla parte di Prinz» (p. X): non si può cioè fare storia di una Diocesi senza guardare ai rapporti intercorrenti fra trono imperiale e cattedra episcopale. Bisogna in questo senso rivedere, illuminati da una più nuova luce, i diplomi indirizzati ai presuli (tenendo a mente quanto esposto da Sergi), posto che, dopo una stagione in cui essi sono serviti a redigere elenchi di castelli e possedimenti, «we now look for discourse, textual strategies and power relationships. Historians are now keenly consciuous of the need to understand first and foremost what a text is for and how it works: its use, its context of production, what kind of project it was part of»18.

Parallelamente, si è per fortuna allontanata la «tendenza a leggere in modo autonomo e separato, se non addirittura pregiudizialmente contrapposto, da un lato gli aspetti più marcatamente religiosi e pastorali del dinamismo delle istituzioni ecclesiastiche locali, e dall’altro i contestuali sviluppi delle vicende economiche e patrimoniali, o quelli

17 Clero e guerra nell’alto medioevo, con introduzione di G. Sergi, Piccola Biblioteca Einaudi,

Einaudi, Torino, 1994 (trad. di Francesco Saba Sardi dall’orig. Klerus und Krieg in fruheren

Mittelalter, Hiersemann Verlag, 1971).

18 Fondamentali le puntualizzazioni di Sergi in “Poteri temporali del vescovo: il problema

storiografico”, Vescovo e città nell’alto medioevo, cit., pp. 1 – 16: «[i vescovi] non erano inseriti in senso funzionariale nell’apparato pubblico: non erano “conti”, dunque, erano invece titolari di un privilegio, avevano cioè poteri di qualità signorile ma ufficializzati da un superiore riconoscimento pubblico» (p. 9). Sulla legittimità d’utilizzo del sintagma “vescovo-conte” si tornerà in seguito, relativamente all’età sveva; la considerazione di Sergi riguarda qui i periodi precedenti, alto- e pieno-medievali. Una recente messa a punto sulle strategie politiche nei diplomi regi è quella di Alice Rio,

Legal Practice and the Written Word in the Early Middle Ages. Frankish Formulae, c.500–1000,

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dell’affermazione politica e temporale di quelle stesse istituzioni»19. La strada si è così aperta

a sviluppi nuovi: penso per esempio a Episcopal Power and Florentine Society 1000 – 1320 di George W. Dameron (Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 1991), monografia che, sebbene incentrata sullo sviluppo dell’aristocrazia fiorentina (e le circostanze in cui il potere episcopale s’intersecò con essa, come la formazione dei Comuni rurali e l’affermazione delle linee patrilineari), espone conclusioni per molti versi condivisibili: per esempio che occorre entrare addentro le logiche di potere nel contado, analizzarne gli ingranaggi e dar conto della sua diastratia per spiegare il grip dei vescovi nella diocesi. Detto altrimenti, la costruzione e la manutenzione nel tempo della rete di relazioni sociali andava di pari passo con il mantenimento della posizione (politica ed economica) egemone del vescovo. Lo stesso Dameron racconta di come il suo soggiorno in Africa, e il suo contatto con una realtà di matrice rurale, contrassegnata da forti relazioni familiari e permeata dalla presenza del sacro, abbia fornito l’input necessario alla stesura del suo saggio20. Se dunque non è a mio avviso praticabile una storia staccata dal vertice regio, allo stesso modo non lo è una che sia scollata dalla base, dalle dinamiche della società locale.

Per partire dal basso è tuttavia necessario – oltre al consueto bagaglio documentario fatto di donazioni, livelli e vendite – uno sguardo ribaltato, che prenda in considerazione, per dirla con Luigi Provero, «le parole e le forme della comunicazione politica»21. Vale a dire le testimonianze, prodotte durante le contestazioni – e conseguenti ri-definizioni – del potere consolidato, che servivano ad accertare e mettere sul banco l’ammontare di censi, oneri, diritti, proprietà: vere e proprie dichiarazioni dei redditi (e dei poteri) ante litteram. Comunità intere furono chiamate fornire una propria versione del potere dentro cui erano inserite, e quello che emerge è la padronanza di un lessico politico comune, di un sapere saputo, direbbe Antonino Pagliaro, significato attraverso una casistica ricorrente di sostantivi, che mostra come, all’ombra del dominatus vescovile, gruppi di uomini e donne forgiassero una propria memoria collettiva in grado di condizionare e rinegoziare i margini

19 Pellegrini, Vescovo e città, cit., p. 11. 20 Episcopal Power, cit., pp. X-XI.

21 Le parole dei sudditi. Azioni e scritture della politica contadina nel Duecento, CISAM, Spoleto,

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dell’intervento signorile22. «Sono testi […] che condividono […] la ricchezza descrittiva o

definitoria del potere signorile e la capacità di esprimere – per quanto in modo parziale e indiretto – l’interpretazione che i sudditi danno di questo potere»: proprio come accade nella celeberrima testimonianza di Travale studiata da Arrigo Castellani, uno dei più antichi esempi del nostro volgare23.

Rimane da inserire nel discorso quella che Eugenio Dupré Theseider ha definito, riprendendo le parole di papa Gelasio I, l’«auctoritas sacra pontificum». Il fatto è che, parlando di un presule, non si può non pensare al suo essere persona consacrata, al suo magistero spirituale e al suo carattere intrinsecamente sacrale, dianzi messo in luce attraverso le parole del Decretum: «solo la dignità vescovile ha un vero carattere carismatico, nel senso proprio della parola, e il carisma è legato alla funzione che il vescovo compie, stando nella propria chiesa cattedrale»24. Questa dimensione, che si rifà direttamente all’Amtscharisma di Weber, è stata riconosciuta da Dameron – in quanto «semi-mystical and influential quality» – come uno degli strumenti di cui le élites si servirono, una volta raggiunto il soglio episcopale, per legittimare il proprio status. Si pensi a quanto un vescovo poteva avvantaggiarsi del ruolo di guida dei culti patronali, delle litanie, delle processioni e delle cerimonie; del suo bagaglio culturale, del suo essere profferitore della Parola sacra durante la s. Messa e del latino della liturgia (considerazione non banale, dacché ancora nel Seicento il «latinorum» riusciva a impressionaregli incolti, come insegna il Manzoni); e dell’impatto che il particolare modo di vestire, legato alle insegne pontificali, al pastorale, alle croci impresse sulle vesti e ai

22 La memoria collettiva è il titolo di un famoso saggio di Maurice Halbwachs (Unicopli, Milano,

2001; trad. it. di Paolo Jedlowski e Teresa Grande dall’orig. La mémoire collective, Presses Universitaires de France, Paris, 1968). Cfr. le preziose considerazioni di Collavini in “Il principato vescovile di Volterra nel XII secolo (in base ad alcune deposizioni testimoniali dell’ottobre 1215)”, in Studi di storia e archeologia, cit., pp. 91 – 105.

23 La cit. in Provero, Le parole dei sudditi, cit., p. XI. La testimonianza di Travale («Viventii

quondam filius, qui Henrigulus vocatur, dicit quod audivit dicere Berardinum predictum quod isti de Casa Magii, hii sunt li Nappari, fuerunt de la curte di Travale, ut ipse audivit dicere; de la Montanina dicit: Io de presi pane e vino p(er) li maccioni a T(r)avale […] Pogkino, qui Petrus dicitur, dicit quod ipse stetit cum Gkisolfolo Africinu et ab eo audivit quod Casa Magii erat de la curte de Travale et fecit ibi servitium, non quod ipse viderit vel sciat; et ab eodem Gkisolfolo audivit quod Malfredus fecit la guaita a Travale. Sero ascendit murum et dixit: Guaita, guaita male; non mangiai ma mezo pane») così trascritta in Castellani, I più antichi testi italiani. Edizione e commento, Patron, Bologna, 1973, pp. 155 – 164.

24 “Vescovi e città nell’Italia precomunale”, in Atti del II° Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Roma, 5-9 sett. 1961), Antenore, Padova, 1964, pp. 55 – 109, pp. 73 – 74.

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colori del calendario liturgico, aveva sui fedeli, come si vedrà nel caso di Tonda. La «dimensione rituale e simbolica del potere» fu in sostanza un dardo in più (e che dardo!) che i presuli tennero nella faretra, pronto per essere scagliato durante la competizione per l’ottenimento e il mantenimento di determinate prerogative25.

Il quadro così dipinto può essere infine inserito dentro la cornice “signoria territoriale”, in quanto la concretizzazione del potere episcopale – l’organismo territoriale, più o meno coerente, appannaggio della Sede volterrana – funzionava con logiche pienamente signorili. Il dibattito degli ultimi anni, a partire da un ormai classico saggio di Chris Wickham, ha dato sempre più lumi sulla specificità della situazione toscana; una situazione, è la tesi dell’autore, diatopicamente composita e variegata: aree ad impatto signorile forte si giustapposero ad altre in cui l’impatto risultò debole o pressoché assente. Analogamente utile è la griglia proposta da Collavini, che per tracciare il profilo dei signori (da quelli personali fino agli aspiranti-principi) prende in esame la tipologia dei diritti esercitati, i loro rapporti con la città e i loro progetti politiche26. «Alcune vaste signorie ecclesiastiche (vescovili o monastiche),

25 L’Amtscharisma è in Max Weber, Economy and Society. An outline of interpretive sociology, a c.

di Guenther Roth e Claus Wittich, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, London, 1978, (trad. inglese da Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss der verstehenden Soziologie, a c. di

Johannes Winckelmann, Tübingen, Mohr, 1956), pp. 1111 e seg. La prima cit. da Dameron, in Episcopal power, cit., p. 3; la seconda da Alessio Fiore, Signori e sudditi. Strutture e pratiche del potere signorile in area umbro-marchigiana (secoli XI – XIII), CISAM, Spoleto, 2010, p. 393. Sullo

sfondo rimane l’accezione larga di “potere”, impiegata da Bisson per distinguere questo sostantivo dal più moderno “governo”: il potere di un signore «meant lordship and nobility, the precedence of one or (very exceptionally) a few». Esso si sostanziava in “sottomissione, alleanza, paternità, amicizia e cerimonia; in petizione, giuramento o testimonianza; nella presenza del signore di qualcuno, nei suoi castelli, nei suoi distretti […] Esso era misteriosamente avvertito nei rituali sacri di promessa, impegno, festività, consacrazione, ordalia e rifiuto. Era avvertito come violenza: sequestro, rapina, intimidazione, estorsione, incendio, omicidio”. Cfr. Thomas N. Bisson, The Crisis

of the eleventh Century. Power, Lordship, and the Origins of the European Government, Princeton

University Press, New Jersey, 2009, p. 12.

26 Il contributo di Wickham è “La signoria rurale in Toscana”, in Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X - XIII. Atti della XXXVII settimana di studio, 12 – 16 settembre 1994, a

c. di C. Violante e Gerhard Dilcher, Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento, (quaderno 44), Il Mulino, Bologna, 1996, pp. 7 – 56, a cui rimando anche per i presupposti storiografici. Il saggio di Collavini è “I signori rurali in Italia centrale (secoli XII metà XIV): profilo sociale e forme di interazione”, in I poteri territoriali in Italia centrale e nel Sud della Francia. Gerarchie, istituzioni

e linguaggi (secoli XII – XIV): un confronto, a c. di Guido Castelnuovo e Andrea Zorzi, Mélanges

de l'École française de Rome: moyen-âge, École française de Rome, Roma, 2011, pp. 301 – 318. Si veda anche il contributo di Sandro Carocci, “Signori e signorie”, in Storia d'Europa e del

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continua Collavini, ebbero una funzione analoga ai dominati [delle] grandi famiglie comitali»; e anche se il motore di una signoria vescovile spingeva con logiche – si è testé visto – in parte proprie, poiché di dominatus loci comunque si tratta è doveroso stilare – con un taglio il più diacronico possibile – anche l’evoluzione dell’egemonia economica dei presuli27.

Se da un lato la storiografia ci ha fornito nei decenni passati spunti di riflessione degni di nota (penso in particolare ai lavori di Cinzio Violante e di Liubov Alexandrovna Kotelnikova), dall’altro occorre anche formulare, sulla scorta delle più recenti acquisizioni, nuovi interrogativi a cui far rispondere le nostre fonti28. Da filo rosso in tal senso

funzioneranno i tre aspetti che, una decina d’anni fa, Sandro Carocci ha posto all’attenzione degli studiosi di storia medievale. Il primo, che si concentra sull’interazione fra «fisionomia sociale» dei signori e tipo di regime signorile, spingerà a sottolineare, di volta in volta, gli aspetti sacramentali del vescovo di Volterra, dominus territoriale ma anche vertoce della propria Chiesa (si pensi al vantaggio di poter disporre, per il controllo della diocesi, delle strette maglie della cura animarum dislocate sul territorio). In questo contesto un peso significativo assumnono, da un lato, il suggerimento regio dell’immunità conferita a partire dal X secolo; e, dall’altro, il principio della territorialità, per cui i poteri (delegati o sviluppatisi in maniera autonoma) tesero prima all’adesione ai distretti informali e locali delle curtis e della cura d’anime, prima; e a quelli formali ed estesi del comitatus e della diocesi, poi29. Il secondo aspetto verte sull’impatto che la dominazione del signore ebbe su un dato territorio «come principale elemento di qualificazione delle fisionomie sociali»: ciò porterà a considerare le modalità con cui il Vescovado funzionava da mezzo di elevazione e definizione dello status, e quanto ampi fossero i margini per la condivisione di prerogative

IV: “Il medioevo (secoli V-XV)”, a c. di S. Carocci, vol. VIII: “Popoli, poteri, dinamiche”, Salerno, Roma 2006, pp. 409 – 448.

27 La cit. in “I signori rurali”, cit., nota n. 30.

28 Il saggio di Violante è “I vescovi dell'Italia centro-settentrionale e lo sviluppo dell'economia

monetaria”, in Studi sulla cristianità medioevale. Società, istituzioni, spiritualità, Cultura e Storia, Vita e Pensiero, Milano, 1972, pp. 325 – 347; il libro della Kotelnikova è Mondo contadino e città

in Italia dall'XI al XIV secolo: dalle fonti dell'Italia centrale e settentrionale, Il Mulino, Bologna,

1975.

29 Cfr. C. Violante, “La signoria rurale nel contesto storico dei secoli X – XII”, in Strutture e trasformazioni della signoria rurale, cit., pp. 7 – 56, spec. pp. 15 – 18.

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signorili all’ombra del presule. In terzo luogo Carocci auspicava uno sforzo per specificare in che misura i raccordi di fidelitas fra signore e sudditi strutturassero i principati territoriali nella loro ricomposizione dal basso: si constaterà che, nel Volterrano, questi legami trovarono un’applicazione sistematica a partire dal XII secolo30.

Restano fuori da questi propositi di massima alcune questioni specifiche del Volterrano: in che modo, per esempio, i vescovi si rapportarono con potentati laici (Cadolingi, Alberti…) e soprattutto coi Gheradeschi, i titolari ab origine del comitatus? Cosa cambiò quando in cattedra salì il bi-vescovo (in quanto, contemporaneamente, arcivescovo di Pisa) Ruggero Gisalbertini? Grazie a quali circostanze Galgano fu creato primo vescovo-conte? In che modo evolse la coordinazione con le forze del territorio e con la Chiesa cittadina (Canonica in testa) quando salirono in cattedra i presuli emanati dagli stessi poteri locali (nello specifico, i Pannocchieschi)? In che modo l’autorità vescovile si interfacciò coi domini loci (si pensi ai Guaschi, ai domini di Buriano...)? Attraverso quali strumenti e quali canali l’azione politica del Vescovado si riverberava sulle comunità rurali locali?

1.3.

Il patrimonio documentario e il materiale consultato.

La mia ricerca si è concentrata in gran parte presso l’Archivio storico diocesano, il cui complesso documentario è suddiviso in due grandi sottosezioni: una membranacea, il Diplomatico, costituito da 1591 pergamene – più altre arrotolate all’interno – che vanno dall’anno 834 al 1806 e sono corredate da riproduzione digitale in alta definizione; e una seconda sezione, cartacea, composta da 3498 unità, compredente documenti vergati fra il 1260 e il 1988. In particolare, una tale suddivisione fa seguito al riordino generale dell’Archivio andato avanti dal 2006 al 2009: essendo la documentazione «conservata secondo modalità solo apparentemente coerenti con la sua attribuzione», e non essendo mai stati stilati inventari antichi, l’intervento ha avuto «caratteri di radicalità» che hanno rivoluzionato la vecchia segnatura in secoli e decadi, ideata da Francesco Marmocchi fra XVIII e XIX secolo, a cui fa riferimento lo Schneider nel Regestum. Molte delle datazioni sono inoltre state riviste: come esempio valga la pergamena n. 347, conosciuta nella segnatura del Marmocchi come la n. 23 della decade IV del secolo XIII, e regestata dallo

30 Cfr. “I signori: il dibattito concettuale”, in Señores, siervos, vasallos en la Alta Edad Media.

XXVIII Semana de Estudios Medievales, Estella, 16-20 julio 2001, Gobierno de Navarra, Departamento de Educacion y Cultura, Pamplona, pp. 147 – 181, spec. pp. 17 – 22.

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Schneider al n. 415 con una data compresa fra il 19 e il 21 giugno 1225; ebbene, il riassetto archivistico ha ri-datato la cartapecora al 15 giugno 1235. Essendo stata così abbandonata la vecchia ratio cronologica in secoli e decadi, tutte le datazioni hanno dovuto essere ricontrollate e i riferimenti di segnatura riportati allo stile vigente31.

Le pergamene conservate nel Diplomatico (segnalate da qui in poi, in assenza di ulteriori aggiunte, con la sigla AVV) comprendono privilegi emanati da papi, imperatori e sovrani; concessioni, rinnovi e conferme di diplomi, ordini, lettere; atti di emanazione vescovile: sinodi, visite pastorali, collazioni di benefici parrocchiali, assoluzioni da scomuniche, elezioni di potestà e vicari vescovili, imposizioni di tasse e di contributi per la Terra Santa; atti di natura privata, squisitamente economica: contratti d’affitto di terre e beni (locazioni iure feodi, enfiteusi, livelli), compravendite, permute, richieste di mutui, soluzioni di debito, ma anche testamenti, costituzioni di eredità, donazioni e oblazioni. Delle pergamene di questo deposito, su consiglio del dott. Furiesi, non ho dato qui l’edizione, che riservo a studi futuri. Nell’appendice al presente lavoro si troverà altresì l’edizione di alcuni documenti particolarmente importanti conservati in altri Archivi.

Sebbene il ricorso al Diplomatico sia stato preponderante per la mia ricerca, ho anche preso visione del codice tradizionalmente conosciuto come Protocollo IV, cioè la Moneta (Mensa vescovile, serie Contratti, n. 13), e di altri registri che, custoditi presso la sezione Mensa, contengono utili informazioni sulla gestione di beni e possessioni a sostentamento del vescovo e dei suoi collaboratori. Poiché da tempo la storiografia ha indicato i registri vescovili «quali fondamentali strumenti e specchi della razionalizzazione delle pratiche di governo e disciplinamento di cui gli episcopati si facevano portatori tanto nella sfera politico-giurisdizionale quanto negli affari squisitamente spirituali»32, ho inteso consultare, presso la serie Inventari di beni, il Memoriale delle terre e dei diritti (n. 1); presso la serie

31 Come generale introduzione agli aspetti di produzione, conservazione e tradizione del patrimonio

documentario ecclesiastico medievale si veda Robert Brentano, Due chiese; Italia e Inghilterra nel

XIII secolo, Bologna, Il Mulino, “Nuova collana storica”, 1972, (trad. di Sandra Ballerini dall’orig. Two Churches. England and Italy in the Thirteenth Century, Princeton University Press, New Jersey,

1968), cap. V (“La chiesa scritta”), pp. 307 e segg.

32 Cfr. il contributo di Gianmarco di Angelis, “Recensione a I registri vescovili dell’Italia settentrionale (secoli XII-XV)”, in Scrineum, II (2004), accessibile on-line all’indirizzo

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Campioni di livelli, il Liber affictum, pensionum, reddituum et proventuum (n. 38); infine, presso la serie Contratti, il Liber sive quaternus allogationum (n. 12)33. Infine, presso l’Archivio del Capitolo del duomo, ho potuto sfogliare anche le carte autografe del canonico Terzo Callai, compilate intorno alla metà dell’Ottocento, che riproducono abbastanza fedelmente le cartapecore del Diplomatico della Canonica, un deposito a parte rispetto all’Archivio diocesano34.

Il mio lavoro si è poi servito anche del fondo Diplomatico della biblioteca Guarnacci, dove ha sede l’Archivio municipale, in palazzo Vigilanti. Se da un lato il materiale della Guarnacci è stato oggetto di trattazione in sede di tesi di laurea nella seconda metà del secolo scorso, dall’altro occorre rilevare che molte delle pergamene del fondo di Badia, datate e brevemente regestate da don Gherardini nel Settecento, risultano ancora inesplorate o non adeguatamente valorizzate (se si eccettua l’edizione condotta da Daniela Gennai in sede di tesi fino all’XI secolo). Presso l’Archivio pubblico sono inoltre conservate, all’interno di scatole e in fogli protocollo sciolti, le 1635 trascrizioni che il canonico Giuseppe Mariani, fine conoscitore del patrimonio archivistico volterrano, ha eseguito degli atti del Diplomatico vescovile dall’834 al 1347: anche di esse mi sono avvalso per un confronto, su consiglio del dott. Furiesi, laddove l’originale presentava particolari difficoltà di lettura35.

33 La Moneta è un registro membranaceo legato in mezza pergamena (mm. 390 x 290 x 50), composto

da 118 carte e suddiviso per località. Fu approntato dal vescovo Ranieri III dei Belforti nei primissimi anni del Trecento come strumento di rivendicazione delle terre e dei diritti spettanti alla Mensa. Il

Liber sive quaternus allogationum è parimenti un registro membranaceo legato in mezza pergamena,

di dimensioni e consistenza simile al primo (mm. 370 x 270 x 40), comprendente una numerazione coeva per carte (in tutto 95); il codice, commissionato dal presule Filippo dei Belforti alla metà del Trecento, raccoglie imbreviature di contratti anche molto anteriori. Infine, il codice Beni della Mensa si presenta come un registro cartaceo legato in mezza pergamena (mm. 340 x 270 x 40); esso è composto da 85 carte e annota le possessioni di cui Ranieri II degli Ubertini disponeva in Valdera all’anno 1265, nello specifico presso Orciatico, Rivalto, Legoli e Chianni.

34 Cfr. Prospettive di memoria, cit., pp. 83 e seg.; mentre la cit. è a p. 19. I documenti afferenti alla

Mensa vescovile costituiscono di solito una sezione dell’Archivio diocesano, mentre l’ultimo riordino ha optato per considerli in un fondo a sé stante (cfr. Prospettive di memoria, cit., pp. 106 – 112) anche a causa del luogo separato della loro conservazione. Il titolo completo dell’opera del Callai, che ho consultato svariate volte, è Chartae pergamenae archivii capitularis.

35 Cfr. le tesi di Carla Carocci, I documenti dell’Archivio Municipale di Volterra durante gli anni 1115-1251 (Fondo delle Provenienze Diverse), tesi di laurea, rel. C. Violante, Università di Pisa,

1969-70; e di Daniela Gennai, Documenti dell’Archivio Municipale di Volterra durante gli anni

1000-1099 (Fondo di Badia), tesi di laurea, rel. Violante, Università di Pisa, 1971-72. Fino al 1099,

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Estremamente prezioso è stato il ricorso a tutto quello che, degli Archivi toscani, è stato digitalizzato ed è disponibile online per libera consultazione: penso ad esempio al fondo Comune (provenienza: Volterra) all’ interno del Diplomatico dell’Archivio di Stato di Firenze (in parte disponibile all’interno del Regestum Volaterranum); al fondo San Ponziano presso il Diplomatico dell’Archivio di Stato di Lucca; e infine alle Riformagioni del Diplomatico dell’Archivio di Stato di Siena (in gran parte già prese in considerazione da Fedor Schneider nel suo Regestum Senense, uscito a Roma nel 1911 da Loescher, e da Alessandro Lisini nel suo Inventario delle pergamene conservate nel Diplomatico dall'anno 736 all'anno 1250, compilato nel 1908 e reperibile sul portale web del Dipartimento di Storia dell’Università di Siena).

Infine, è doveroso precisare che non mi è stato possibile visionare tutto: da un lato, la necessità di mantenere questo lavoro all’interno dei limiti temporali e contenutistici dettati da una tesi di laurea mi ha fatto desistere dal voler prendere in considerazione ogni cosa offrisse l’ampia documentazione, il che sarebbe sfociato in un vero e proprio opus infinitum; dall’altro, è opportuno rilevare che una quota della stessa documentazione fu dispersa nelle varie traversie della storia volterrana: fra le tante, rammento che nel 1380, durante il vescovato di Simone de’ Pagani, molti attestati e diplomi vescovili «fuerunt combusta per Vulterranos tempore destructionis castri Berignonis […] cum quibus privilegiis multe confirmationes summorum pontificum et alia iura fuerunt similiter combusta in magnum dampnum et interesse ecclesie vulterrane»36. Sono infatti mancati alla mia ricognizione, fra le altre cose, sia i Caleffi dell’abbazia cistercense di San Galgano, confluiti nell’Archivio di

da Maria Inghirami, I più antichi documenti dell’Archivio Vescovile di Volterra nelle trascrizioni del

canonico Mariani (anni 833 – 1099), rel. M. L. Ceccarelli. Sulla consistenza dell’archivio della

Guarnacci ha scritto Puglia (“Le infrastrutture”, cit., pp. 71 – 72) che «la costruzione dell’odierno patrimonio della Biblioteca è frutto sia degli studi, ricerche e acquisti di Mario Guarnacci, sia dallo zelo di ricerca dei direttori della Biblioteca Guarnacci».

36 La cit. dall’ed. di un passo del Liber Iurium, conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze

(Capitoli, Appendice, 44), in Oretta Muzzi, “Il Liber iurium del vescovato di Volterra”, in Rassegna

Volterrana, LXXV (1998), pp. 45 – 55 (la cit. alle pp. 49 – 50). Cfr. la cronotassi dei vescovi in Prospettive di memoria, cit., p. 75; sull’assedio cfr. Scipione Ammirato, Vescovi di Fiesole, di Volterra e d’Arezzo, con l’aggiunte di Scipione Ammirato il Giovane, Firenze, 1637, p. 159.

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Stato di Siena; sia il Liber Iurium, un registro stratificatosi nel corso dei secoli e conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze37.

37 I Caleffi in Archivio di Stato di Siena, Conventi, nn. 161, 162, 163 (cfr. Camille Enlart, “L'abbaye

de S. Galgano au XIIIe siècle”, in Mélanges d'archéologie et d'histoire de l'École de Rome, XI (1891), pp. 201 – 240, spec. il II paragrafo: “Description du Cartulaire”); il lavoro più recente sul cenobio cistercense è comunque quello di Andrea Barlucchi, “Il patrimonio fondiario dell'abbazia di San Galgano (secc. XIII - inizi XIV)”, in Rivista di storia dell’agricoltura, XXXI (1991), pp. 63 – 102. Per il Liber Iurium cfr. supra.

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2.

L’età carolingia e i diplomi.

Non essendo conservata praticamente nessuna carta sull’attività patrimoniale dei vescovi anteriore al X secolo, il discorso dovrà necessariamente prendere il via dall’analisi dei documenti regi. I diplomi sovrani, nonostante raggiungessero dall’esterno il Vescovado, ci forniscono informazioni sulle strategie messe in campo dai presuli per legittimare il proprio crescente potere, specie atraverso prerogative quali l’immunità; e, allo stesso tempo, indicano le modalità con le quali il vertice imperiale cercava il sostegno e l’appoggio delle Sedi vescovili alleate.

Il primo privilegio di cui si conserva menzione, indirizzato alla Chiesa volterrana da Carlo Magno, è perduto; lo conosciamo tuttavia tramite il secondo diploma, che ne richiama le disposizioni: il 27 ottobre dell’821 Ludovico il Pio, da Diedenhofen, concesse l’immunità al vescovo Grippo, così come aveva fatto il primo imperatore. Il discorso è condotto secondo i canoni consueti1: la Chiesa e i suoi possessi fondiari vennero a ricadere sotto la tuitio imperiale, furono messi al riparo dall’ingerenza degli ufficiali regi («ut nullus iudex publicus vel quislibet ex iudiciaria potestate in ecclesias aut loca vel agros seu reliquas possessiones memorate ecclesie […] ingredi audeat») e furono dichiarati destinatari dei proventi delle multe («sed liceat memorato presuli suisque successoribus res predicte ecclesie cum omnibus sibi iuste et legaliter subiectis et cum omnes fredos concessos sicut in precepto domini et genitoris nostri continetur […] exorare»)2. Tutto ciò, dichiara il sovrano, «pro […]

totius imperii nostri stabilitate». Dopo la fine della sedizione del nipote Bernardo e la dieta di Thionville (primavera dell’821), anche a mezzo del diploma volterrano, Ludovico il Pio ribadiva «la difesa dell’immenso patrimonio fondiario delle chiese di fronte all’invadenza

1 L’originale è conservato presso l’Archivio capitolare di Volterra; è stato edito in Antonio Giachi, Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra dalla sua prima origine fino ai nostri tempi per facilitare ai giovani lo studio della storia patria, Luigi e Benedetto Bindi, Siena, 1798,

(d’ora in poi: GIACHI), Appendice, XV; Adolf Fanta, “Unedirte Diplome II. Mit einem Excurs über die Urkunden Ludwigs II. für Montamiata”, in Mitteilungen des Instituts für Österreichische

Geschichtsforschung, V, 1884, pp. 378 – 415, n. 2, p. 381.

2 Il fredum è definito dal Fresne du Cange (www.ducange.enc.sorbonne.fr) come «mulcta,

compositio» dovuta al all’autorità pubblica come prezzo per l’intervento di quest’ultima in favore della pace.

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regia e alle usurpazioni dei laici»3, promuovendo l’«inquadramento della Chiesa nella struttura amministrativa carolingia»4 perseguito dal padre.

All’atto dell’821 si richiamò anche il figlio di Ludovico il Pio, Lotario, col privilegio rilasciato ad Andrea da Aquisgrana (30 dicembre dell’845)5. La defensio della Sede

volterrana costituiva un filo rosso della stirpe carolingia, che ormai, dopo la pace di Verdun (843), aveva ritrovato l’equilibrio: la parte centrale del documento – quella in cui si accenna all’immunità accordata dai regnanti precedenti – è infatti descritta, cioè costruita attraverso una ripresa ad verbum dei precedenti diplomi. Il vero elemento di novità lo troviamo alla fine, quando il sovrano dichiara: «concedimus [al presule] duos quos elegerint habere advocatos, qui utilitatibus predicte sancte voloterrensis ecclesie prudenter viriliterque procurare decertent». «Con Lotario – spiega infatti Paolo Cammarosano – si fecero particolarmente frequenti, fra l’837 e la metà del secolo, le clausole di privilegio nelle procedure giudiziarie»6. Nella fattispecie l’Impero sanzionava, e forse constatava, la possibilità per la Chiesa di dotarsi di laici per la gestione del patrimonio fondiario. «Originariamente per la rappresentanza nelle procedure giudiziarie, vescovi e abati avevano infatti propri rappresentanti laici, gli advocati, ai quali veniva poi attribuita una più ampia e generica delega di funzioni amministrative e fiscali», e che non dovevano essere «più di due per ente»7: limite che si ravvisa applicato anche nel nostro caso.

In un contesto d’immunità dalle giurisdizioni secolari, i due advocati costituirono un salto di qualità importante. Stante la difficoltà dei gruppi sociali più deboli ad accedere ai tribunali pubblici, nel quadro del generale «indebolimento di larghi segmenti del laicato urbano e

3 Giovanni Tabacco, Alto Medioevo, a c. di G. Sergi, UTET, Torino, 2010, p. 144. 4 Prinz, Clero e guerra, cit. p. 113.

5 L’originale si conserva nell’Archivio vescovile (AVV, n. 2); è edito in GIACHI, Appendice, XI,

pp. 427 – 429; in Fanta, “Unedirte Diplome”, cit., n. 3, pp. 382-383, poi in Monumenta Germaniae

Historica (MGH), “Lotharii I et Lotharii II diplomata”, a c. di Theodor Schieffer, n. 93, pp. 228 –

229, cosultato sul web (come d’ora in poi ogni rimando ai Monumenta) all’indirizzo mgh.de/dmgh.

6 Nobili e re. L’Italia politica dell’alto medioevo, Biblioteca Universale, Laterza, Roma-Bari, 2009

(I ed. 1998), p. 124.

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