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L’attrito con gli Aldobrandeschi cominciò l’11 aprile del 1161, quando Soffredi e Palto del fu Fralmo, insieme alla madre Eugenia, stando in San Miniato, a prezzo di 44 lire vendettero alla Curia tutti i beni nei castelli di Tremali, Colletalli, Monte Bibbiano, Frosini, Montarrenti e Radicondoli, insieme a tutti i possedimenti dislocati da Casole fino al fiume Merse e dal fiume Cecina fino al Rosia, con una deissi spaziale che procede da nord a sud e

derivati cambiamenti […] ma perché ne rimane una tradizione vivente in una regione del gruppo o in un’altra […] o presso chi ha conosciuto personalmente i testimoni di questi fatti» (Halbwachs, La

memoria, cit., pp. 124 – 125).

87 «Ogni intervento notarile deve essere visto all’interno di una sforzo di fedeltà nella trascrizione,

perché le manipolazioni delle parole dei testimoni non rientrano nel momento della registrazione, ma […] in una fase successiva, quando i dati testimoniali vengono selezionati e riorganizzati ai fini dibattimentali. Nel complesso quindi la trascrizione delle parole dei testimoni è un filtro importante, ma non rende impossibile comprendere la loro azione politica» (Provero, “Dai testimoni al documento: la società rurale di fronte alle inchieste giudiziarie (Italia del nord, secoli XII-XIII)”, in

L'enquête au Moyen Age, a c. di Claude Gauvard, Roma, Ecole française de Rome 2008 (Collection

de l'Ecole française de Rome 399), 75 – l88, p. 84.

da ovest a est disegnando una croce. Al rogito c’era anche Ugeri Pannocchia, figlio di Ranieri, nel solco sì della distensione fra Pannocchieschi e Galgano, ma anche, forse, perché all’orizzonte si profilava un fronte comune contro Ildebrandino. Una ventina di giorni dopo, il 29 aprile, Guiduccio del fu Guglielmo da Tonda vendette alla Curia tutti i propri beni a Barbialla per 16,5 lire. Si trattava in realtà di una garanzia per l’impegno da parte di Guiduccio a spingere i figli del fratello Gontolino, eccetto Saraceno, a vendere entro 10 giorni tutto quello che avevano nella medesima circoscrizione di prima (da Casole al Merse e dal Cecina al Rosia), ovvero in Tremali, Montalcino, Colletalli, Frosini e Montarrenti89. Se si considera che in quel momento gli Aldobrandeschi erano impegnati nella ristrutturazione dei propri domini in diocesi di Volterra attraverso la costruzione di castelli e che essi erano, al contrario di Galagano, partigiani di Barbarossa, è chiaro che non si poteva che arrivare a una frizione.

Ne cogliamo gli svolgimenti solo l’anno successivo, quando le parti, Curia e Aldobrandeschi, decisero di ricorrere a un arbitrato, in particolare riguardo al castello di Tremali. Il 30 aprile del 1162 i consoli di Siena, eletti i qualità di arbitri, emisero un lodo articolato in 3 punti: a) 1/3 di Gerfalco pertiene alla Curia per il tramite di Ildebrandino di Lame, 1/3 agli Aldobrandeschi e 1/3, in feudo, ai Pannocchieschi, fatti salvi i diritti della Canonica di Montieri; b) il vescovo restituirà i beni acquistati a Tremali; c) Ildebrandino non costruirà un castello a Bibbiano (che si trattasse di un processo di rilievo fra le forze più importanti della Tuscia, lo rivela la presenza di illustri avvocati pisani e lucchesi, oltreché l’intervento di Ugo di Bologna90). Il 31 maggio, infine, abbiamo lo scambio di giuramenti,

nella chiesa di San Gallo di Montieri, fra Ildebrandino VII e Galgano (non giurò Pannocchia, col quale la vertenza sarebbe durata ancora un anno) per il reggimento di Gerfalco, al cui centro stavano proprio le argentiere della zona: «non tollam nec contendam nec tolli permittam medietatem castri Gerfalci et eius curtis de curte dico possessiones et argentias tibi episcopo Gualgano». Dopo la promessa di rimettersi all’arbitrato che Ugo di Bologna e Lampretto avrebbero dovuto dare, Ildebrando promise: «item ab hodie usque ad proxima

89 Le due compravendite in AVV, nn. 164 e 165 (Cavallini, II, nn. 93 e 94). Colletalli è toponimo nei

pressi di Radicondoli, mentre Bibbiano è in Valdelsa, non lontano da Colle (cfr. REPETTI, I, p. 309), e Tremali nel piviere di Montalcinello (cfr. PIEVI, 50.22).

festivitatem Sancte Marie mensis augusti dabo episcopo predicto pretium pro compara de Tremali sicut in sententia continetur»91.

8.8.

La Chiesa cittadina.

I rapporti del presule con la Chiesa cittadina, in particolare con la Canonica, furono di apparente collaborazione, in quanto i canonici compaiono regolarmente alle transazioni che riguardano la Curia. Ugo in particolare, canonico e levita (come sappiamo dalla bolla per Radicondoli del ’56), lo individuiamo per la prima volta nel ’50, quando concluse il negozio con il conte Alberto Nontigiova; ed è poi insieme al vescovo nel ’53 (patto fra Galgano e Farchisella), nel ’55 (pegno coi Gherardeschi), nel ’56 (lodo fra Curia e Pannocchieschi), nel ’58 (ancora per la vertenza di Travale, nel maggio e nel giugno) e nel ’61 (vendita di Barbialla con la clausola del giuramento). Sparisce poi dalla documentazione per un decennio, per riaffiorare, in qualità di diacono, nel 117392. Burgundio appare al seguito del

vescovo due volte, tutte e due insieme a Ugo (nel ’55 e nel ’56), ma non compare né nella bolla per Radicondoli né altrove.

L’arciprete del Capitolo, Ugo, è insieme a Galgano alla promessa di Gregorio di San Gemignano, il che dà l’idea di una Chiesa cittadina coesa nel fronteggiare la minaccia dei vassalli ribelli della Valdelsa; considerazione applicabile anche all’occasione della bolla per Radicondoli, sottoscritta dal presule e dai canonici. Tuttavia l’arciprete scompare dalla documentazione vescovile per circa 12 anni (probabilmente, ma non ci sono né indizi né tantomeno prove, a seguito delle divisioni causate dallo scisma) finché non testimoniò al mutuo preso da Galgano nel ’68. Del resto sappiamo che lo stesso vescovo trovò una sponda favorevole nei canonici per l’elezione di Bugnolo, il camerario della Curia che, come dichiara il teste Tolomeo, pur essendo di oscura origine, era estremamente versato nelle faccende temporali. Da ultimo, anche le relazioni con la badia dei Ss. Giusto e Clemente dovevano essere buone, giacché Galgano vendette al cenobio, al prezzo di 50 lire, il tenimento che era stato di un certo Vitale figlio di Vicchio93.

91 Cfr. AVV, n. 169 (RV, n. 193).

92 Cfr. RV, n. 215. GHERARDINI, n. 123.

93 Per Bugnolo cfr. le testimonianze edite da mons. Bocci in De sancti Hugonis, cit., pp. 329 – 343.

La notizia della vendita in RV, n. 215, quando fu confermata dall’arciprete Ugo e dall’omonimo presule.

9.

L’episcopato di Ugo.

L’episcopato di Ugo, durato all’incirca 13 anni, rappresentò una battuta d’arresto rispetto all’energica politica del predecessore: se questo aveva trasformato la Diocesi di Volterra in potenza regionale nonostante le difficoltà dello scisma, quello fu un sant’uomo, chiamato appositamente per traghettare Volterra, di concerto con la Santa Sede, fuori dall’impasse filo-sveva in cui si era impantanato Galgano. Il testimone che Ugo si trovò a ricevere fu pesante, giacché la sua Chiesa aveva dovuto attraversare l’eliminazione fisica del primo vescovo-conte e una lunga vacatio sulla cattedra episcopale.

Perdipiù il contesto politico nella Tuscia degli anni Settanta non era favorevole: nel dicembre del 1170, ai combattimenti che opposero Lucca e Pisa, prese parte la «nobilis militia episcopi vulterrani», quel nugolo di vassalli aggregatosi intorno al carisma-di-carica vescovile e funzionante anche in assenza di un presule. L’anno successivo, l’esercito di Cristiano di Magonza che aveva occupato Colle in Valdelsa fu sconfitto dai Fiorentini, i quali, poco dopo, cambiarono schieramento, unendosi alla pars poco prima avversa e attirando l’interdetto su Firenze. Nel ’73, infine, i Lucchesi arrivarono a devastare Ghezzano in Valdera, castello situato nel cuore dei possedimenti dei lambardi di Peccioli e dei conti di Montecuccari. Il turbinio di eventi fu arrestato per un po’ da Barbarossa – che impose con fare risoluto la pace in Toscana nel 1175 – ma riprese a ridosso e all’indomani di Legnano, quando Firenze riaccese le proprie mire in Valdelsa e Siena guardò di nuovo verso il Volterrano1.

A Ugo toccò inoltre ricucire lo strappo fra le frange di società urbana che si erano divise sull’appoggio a Barbarossa o ad Alessandro III; ma in che rapporto stettero il vescovo e le istituzioni comunali della civitas? Alla domanda, allo stato attuale, è impossibile rispondere, se non altro perché le menzioni di consoli e altri reggitori del Comune si arrestano fino al 11902. Una sola volta, invece, Ugo viene dalle fonti menzionato come conte, allorquando quando l’abate di San Salvatore di Sesto in Lucchesia concesse in livello alla Diocesi, per 39 anni e a un censo ricognitivo di 10 soldi all’anno, i beni detenuti nel castello di

1 La notizia relativa alla militia episcopi è in Maragone, Annales, cit., ad annum 1171. Per tutte queste

vicende cfr. comunque Davidsohn, Storia, I, cit., pp. 759 e seg.

2 Per le attestazioni di organismi comunali si veda Ceccarelli, “Saggio di cronotassi”, cit., pp. 83 –

Pomarance. Le circostanze del negozio purtroppo ci sfuggono (si trattava di una garanzia politica?), ma è probabile che i possedimenti che Sesto aveva nel Volterrano fossero di origine fiscale3.

9.1.

I rapporti con Alessandro III.

Spinto dalla necessità di salvaguardare i beni della Curia, forse già in parte spogliati, Ugo ottenne nel 1171 la protezione di Alessandro III per i vasti possedimenti vescovili (lo stesso giorno in cui fu rilasciato un privilegio analogo per la Canonica): decine di castelli, sparsi nell’ampio territorio della diocesi, redditi signorili (pedaggi, placiti e bandi), i diritti del fiscum rimessi da Barbarossa e le immense proprietà fondiarie (che fruttavano sia affitti in moneta che canoni naturali di largo smercio). Nella bolla è inoltre presente, così come doveva esserlo nel privilegio rilasciato a Galgano, la giurisdizione sulla città di Volterra («civitatem Vulterre cum suis pertinentiis»)4.

Alessandro aiutò di nuovo il vescovo di Volterra in una data compresa fra il ’73 e il ’79: poiché il clero diocesano disobbediva all’autorità episcopale («ad aures nostras pervenit quod venerabili fratri nostro episcopo vestro non illam obedientiam et reverentiam impenditis quam debetis»), il pontefice lo richiamò severamente all’obbedienza («quatinus predicto episcopo debitam obedientiam et reverentiam impendatis et fidelitatem occasione postposita faciatis»). Il papa puntellò l’auctoritas di Ugo forse nel torno di tempo compreso fra la pace generale in Tuscia (1175) e la pace di Venezia (1177), lasso cronologico in cui la società volterrana probabilmente si spaccò in opposti schieramenti. Tuttavia, negli anni concilianti della pace di Venezia e del Concilio lateranense, Alessandro III rilasciò un nuovo e ulteriore privilegio (1179), che suona sì come un tentativo di frenare la dispersione dei possedimenti della Diocesi, ma anche come una pacificazione calata dall’alto: vi si trovano elencati 30 castelli, la giurisdizione su Volterra, 12 monasteri e 50 pievi. Eppure, come

3 La transazione con Sesto in Cavallini, II, n. 127 (AVV, n. 197). Nel 1166, con rogito vergato presso

il ponte di Bientina, Stefano abate di San Salvatore di Sesto vendette a Biascio del fu Alberto, abitante a Fiorli, i beni che quest’ultimo già deteneva dalla badia a prezzo di 46 soldi lucchesi (GHERARDINI, n. 121). Fiorli è località tuttora esistente fra Lajatico e Volterra, a sud dell’Era.

4 La bolla per Ugo (da una copia trecentesca conservata presso l’Archivio vescovile) è in P. F. Kehr,

“Papsturkunden im westlichen Toscana”, in Nachrichten der Königl. Gesellschaft der

Wissenschaften zu Göttingen. Phil.-hist. Klasse (1903), pp. 592 – 641, n. 9. Il privilegio per i canonici

ricorda mons. Cavallini, l’elenco è incompleto sia rispetto al diploma del ’71 sia rispetto ai privilegi arrivati dopo il ’79, forse perché le località mancanti erano temporaneamente sfuggite dalla mano vescovile5.

9.2.

La Chiesa volterrana.

Il primo documento che getta luce sulla Chiesa cittadina è il già citato atto del 1173, col quale l’Episcopio e la Canonica confermarono al cenobio dei Ss. Giusto e Clemente la vendita di un terreno compiuta da Galgano. Poiché in calce alla pergamena si trovano le sottoscrizioni di tutti i membri del Capitolo, l’atto dovette trovare un largo consenso nel clero, al punto che esso appare come un pretesto per tracciare una linea di continuità col presule precedente, dimenticando i passati motivi di scontro e sottolineando al contrario la ritrovata unità della Chiesa6.

A ulteriore sanzione del clima di collaborazione, nei già rammentati testimoniali dell’ACV, alcune deposizioni attestano che fu proprio Ugo a corrispondere per primo la decima dell’argento di Montieri alla Canonica, la cosiddetta «trenta». Pare anzi che lo stesso arciprete si recasse personalmente colà a prenderne possesso, e che le vene argentifere valessero complessivamente alcune migliaia di lire all’anno. Quello che è certo è che della prosperità portata dal minerale montierino si giovò anche il collegio canonicale, se è vero che, nel 1178, l’arciprete Ugo prestò 7 marche, 5 once e un quarto d’argento «ad marcam Monterii» a un tale Viviano del fu Guiduccio, ricevendo in pegno (e in usufrutto) alcuni terreni dentro le mura e una coppa d’argento7.

Le dinamiche che regolavano i rapporti interni alla Chiesa erano tuttavia assai più complesse di quanto non si riesca a evincere dalla scarna documentazione disponibile. Sappiamo infatti

5 Cfr. Cavallini, “Vescovi volterrani”, II, p. 44, note 57 e 58: mancano Cellori (in Valdelsa), Menzano

e Morrona. Qualche anno dopo Innocenzo III ricordò in una lettera le offese e le ingiurie fatte ai danni del vescovo Ugo (ed. in Lorenzo Guazzesi, Dell'antico dominio del vescovo di Arezzo, Giovannelli e Compagni, Cortona, 1760, pp. 66 – 67). La bolla del ’79 è in GIACHI, Appendice, XXXVI.

6 L’atto di conferma è in RV, n. 205.

7 Le testimonianze in ACV, n. 200; il prestito in Cavallini, II, n. 113. Si trattava del mutuo definito vadium mortuum, in cui il creditore godeva del pegno e dei suoi frutti (cfr. Violante, “Monasteri e

canoniche”, cit., pp. 381 e seg.). Per l’aumento della redditività dei terreni nei pressi della città o nei suoi confini cfr. Idem, La società milanese nell’età precomunale, “Universale Laterza”, Laterza, Roma-Bari, 1974 (I ed. IISS, 1953), pp. 123 e seg.

che, fra il 1173 e il 1179, Ildebrando, il futuro vescovo Pannocchieschi, diventò canonico della cattedrale. Insieme a lui, nel ’79, Ugo si recò presso Alessandro III al Concilio lateranense, accompagnato anche, come racconta Ildebrandino di Todino, il cui padre era parente del pontefice, dall’arciprete e dai canonici Matteo e Lamberto. Se non è improbabile che Ildebrando sia da identicare con l’omonimo pievano di Gerfalco attestato nel 1160, chiamato al soglio vescovile con l’intento di ricucire lo strappo con quei notabiliores del contado che avevano sostenuto strenuamente la pars imperiale, è tuttavia indubbio che quella di Ildebrando, oltre a essere “chiamata”, fu anche “andata”, rispondente a un chiaro disegno di affermazione della casata comitale, in quanto l’accesso Canonica permetteva di ottenere al nuovo membro incarichi di prestigio e incrementare il peso politico ed economico della propria domus8.

9.3.

I rapporti con Siena.

Oltre alla difficile situazione interna, Ugo dovette affrontare – come Aldemaro prima di lui – le mire dei Senesi sulla parte meridionale del districtus. Il 19 dicembre del 1178 i conti Gherardeschi di Frosini, ovvero Tedice di Ugolino e i figli Baviero, Tedicengo e Guerriero, insieme a Ugolino di Strido e Ugolino di Pepo, donarono a Siena 1/4 del castello di Miranduolo (che, si ricorderà, era stato oggetto della pace del 1133 fra Gherardeschi e vescovo Crescenzio) e metà delle argentiere e del castello di Monte Beccaio9. Due anni dopo, nel 1180, Cristiano di Magonza, prigioniero dei Monferrato e intenzionato a pagare il riscatto per la propria liberazione, rimise a Siena, fra le altre cose, le prerogative imperiali su

8 La testimonianza di Ildebrandino Todini è in Bocci, De Hugonis, cit., pp. 329 – 343. L’Ildebrando

pievano di Gerfalco compare in AVV, n. 162 (cfr. Cavallini, II, n. 92, con datazione posticipata) e viene facile, se non altro per il luogo del suo pievanato, identificare costui con l’omonimo vescovo Pannocchieschi (anche se non ci sono prove dirette). Per le strategie di affermazione delle casate aristocratiche nei collegi canonicali e nelle Chiese cittadine cfr. Sergi, “Vescovi, monasteri, aristocrazia militare”, in La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a c. di Giorgio Chittolini e G. Miccoli, “Annali della storia d’Italia”, IX, Einaudi, Torino, 1986, pp. 73 – 98, spec. pp. 92 e 93, dove è citato il caso dei Pannocchieschi: «si manifestò l’ovvia ambizione dei maggiorenti cittadini verso le carriere canonicali: gli sforzi per entrare nei capitoli cattedrali accumunano famiglie cospicue ma di fisionomia diversa, come i Pannocchieschi a Volterra, i Bicchieri a Vercelli, i Buonconti a Pisa».

9 Il negozio in Schneider, Regestum Senense. Regesten der Urkunden von Siena, “Regesta chartarum

Italiae”, ISIME, Roma, 1911, (d’ora in poi: Reg. Sen.) n. 286. Monte Beccaio è presso Boccheggiano, Valdimerse (cfr. REPETTI, I, p. 331), mentre Frosini è non lontano da Chiusdino (cfr. REPETTI, II, pp. 348 – 349).

Montieri (la metà del castello e delle sue pertinenze) a prezzo di 400 lire. Nel generale processo di avocazione a sé dei diritti di natura regia, Barbarossa aveva reclamato anche la metà di Montieri, di cui l’altra metà era (per diritto o consuetudine) della Curia volterrana10.

A questo punto i Senesi, che evidentemente miravano a trasformare il condominio di Montieri in proprietà esclusiva, rispolverarono il negozio del tempo di Aldemaro e pretesero dalla Curia di Volterra metà della località («cum controversia esset inter me Ugonem Dei gratia venerabilem episcopum […] et Senenses de medietate totius castello de Montieli […] et totius argentarie […] et curte sive districtu eius, quam medietatem Senenses ad se pertinere ex quadam permutatione ab episcopo Aldimario facta cum eis dicebant, ostendentes inde publicum instrumentum»). Le trattative andarono avanti fino al settembre del 1181, quando Ugo addivenne a un accordo con il quale il presule consegnò alla controparte, a prezzo di 300 lire, 1/4 di tutti i diritti della Curia su castello, pedaggi e argentiere della località («integram quartam partem totius iamdicti castelli et turris de Montieli et burgorum eius, cum integra quarta parte curtis et districtus eiusdem castelli et argentarie, que in predictis locis modo apparent vel in antea apparebunt, cum integra quarta parte bannorum et placitorum et cum omni iure et usu»)11.

Contestualmente alla transazione fu elaborata una serie di giuramenti: nel primo, Ugo promise di mantenere saldi gli accordi con Siena, impegnandosi a non tenere nessun gastaldo nel fortilizio e a ottenere la fedeltà ai Senesi da parte degli uomini dei castelli di Chiusdino, Montalcino, Frosini e Gerfalco («salvare et defendere Senenses et eorum bona»)12. Seguì il giuramento pronunciato in prima persona dagli uomini di Montieri a salvamento dei diritti di Diocesi e Comune. La versione volterrana è contenuta da pergamena fatta di due parti: nella prima ogni montierino faceva fede al vescovo di «defendere personam vestram et honorem vestrum et vestra bona et eorum qui vobiscum erunt […]» e, inoltre, di «[non tollere] vobis Cluslinum nec Montelium nec Frosinum nec Gerfalcum», impegnandosi per converso, «si ablata fuerit», a «recuperare et recuperata retinere nisi contra eos quibus

10 Cfr. Cecchini, Il Caleffo, cit., n. 41. È assai probabile che il gesto di Cristiano di Magonza fosse

dovuto all’impellenza di liberarsi dalla prigione e che esso non seguisse la linea politica dettata da Barbarossa.

11 Il doc. di compravendita con Siena è Cecchini, Il Caleffo, cit., n. 18. 12 Ibidem, n. 19 (Reg. Sen., n. 304).

sacramento teneor». Nella seconda parte, invece, i Montierini promisero a Curia di Volterra e Comune di Siena di non arrecare pregiudizio né alla torre né al castello, di non danneggiare i tributi lì riscossi, e di salvaguardare attivamente la suddivisione dell’area e delle sue pertinenze minerali, militari e fiscali13.

9.4.

Ugo come signore: l’esempio di Gambassi.

L’analisi sull’esercizio del potere da parte di Ugo nella zona di Gambassi prende il via dal prezioso lavoro di edizione di Antonella Duccini, la quale ha portato alla luce un ricco testimoniale, conservato nell’Archivio vescovile di Volterra, stilato nei primissimi anni del XIII secolo: vi si trovano non solo ricordo di diritti, redditi e possedimenti della Curia, ma anche riferimenti alle condizioni di singoli personaggi (di cui, ricostruendo un rapido cursus honorum, i testimoni raccontavano se fossero allodieri oppure homines alterius); e perfino informazioni di carattere evenemenziale, che stillano in genere dalle deposizioni più informate e più vicine al potere vescovile14.