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Analisi e distribuzione dei rischi sanitari associati ai prodotti della pesca ai fini della tutela del consumatore

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Academic year: 2021

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1. PREMESSA E SCOPO DELLA TESI

Fin dalla preistoria il pesce ha costituito un alimento di base per l’uomo che viveva presso litorali o laghi. Questa importanza è d’altronde sottolineata dagli innumerevoli riferimenti ai prodotti ittici nella cultura e nella mitologia di tutti i continenti. (107,133)

Il consumo dei prodotti ittici ha subito un incremento per effetto di varie emergenze sanitarie ed epidemiche avvenute nel corso degli ultimi due decenni, che hanno inciso profondamente sul rapporto antropologico uomo-alimento, portando alla ribalta anche una maggiore attenzione da parte del consumatore ai valori salutistici degli alimenti, oltre quelli propriamente nutrizionali.

Fenomeni come la BSE, “volgarmente” conosciuta come “morbo della mucca pazza” e l’errata modalità d’informazione circa le possibili implicazioni per la salute dell’uomo, legate al consumo di alcuni alimenti, nel corso di questa e altre epidemie, quale l’Influenza aviaria, hanno notevolmente aumentato l’attenzione del consumatore, portandolo a ricercare altre fonti alimentari in forma sostitutiva o alternativa, tra cui i prodotti ittici. (75)

Le ricerche epidemiologiche degli ultimi vent’anni hanno confermato pienamente la validità scientifica, che un maggior consumo di pesce può risultare particolarmente utile per la salute umana, ben prima che in Europa nascessero le preoccupazioni sullo stato di salute di altre specie animali.

Anche le campagne nutrizioniste e salutistiche, svolte dalle Autorità Sanitarie dei Paesi più evoluti, hanno contribuito ad “indirizzare” l’interesse dei consumatori nei confronti del pesce, evidenziando caratteristiche nutrizionali positive migliori di quelle riscontrate in altri tipi di alimenti (carni rosse, suine, avicole).

In Italia i consumatori hanno mostrato una certa sensibilità a questi messaggi, anche se il consumo di pesce, per quanto aumentato rispetto allo scorso

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decennio, risulta essere comunque inferiore rispetto alla media degli altri Paesi Europei, per effetto del costo elevato al dettaglio. (31)

L’aumento nella richiesta dei prodotti ittici ha portato ad una maggiore attenzione in tema di sicurezza alimentare anche nei loro confronti, in considerazione del fatto che i dati epidemiologici confermano il ruolo di alimenti di questo tipo, come responsabili di malattie a trasmissione alimentare. In tale contesto è nata la necessità di un più rigoroso controllo sanitario al fine di prevenire le malattie e le tossinfezioni alimentari, di cui sono responsabili. (19)

Un’attenzione particolare merita il ruolo delle frodi (sanitarie e commerciali) che, oltre a rappresentare per il consumatore un danno di tipo economico-commerciale, possono avere anche un risvolto di carattere sanitario (frode sanitaria) che è di primaria importanza per il settore ispettivo.

A titolo di esempio, oltre all’episodio negativamente famoso alla fine degli anni ‘70 che si rese responsabile della morte di alcune persone (a causa di avvelenamento da tetraodontotossina) per aver ingerito tranci di pesce palla falsamente dichiarate code di rospo (rana pescatrice), ai giorni nostri sono più frequenti casi gravi di intossicazione da istamina in prodotti sottoposti a colorazione innaturale tramite l’utilizzo di CO, capace di mascherare i normali processi alterativi grazie ad una operazione di “maquillage” tecnologica. (44) Il quadro complessivo, brevemente sopra descritto, ha fatto capire l’importanza di una maggiore tutela verso i consumatori attraverso controlli dell’intera filiera, punti fondamentali espressi nel Regolamento CE 178/2002. (5)

Da questa motivazione di fondo, muove l’illustrazione della presente tesi, che si pone l’obiettivo di mettere in evidenza alcuni dei potenziali rischi connessi al consumo dei prodotti della pesca, affrontando quindi quella che è una metodologia moderna di “Analisi del rischio” negli aspetti tipici del settore ispettivo.

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Inoltre descrive le principali frodi che, ai giorni nostri, per effetto dei sistemi tecnologici messi in campo e per le possibilità offerte dalla globalizzazione dei mercati quali possibilità di commercio a livello mondiale in brevissimo tempo di prodotti trasformati, hanno raggiunto livelli di “finezza” e di “peculiarità” che richiedono alle figure deputate al controllo un’elevata attenzione e competenza, con capacità anche predittive sulla pericolosità di nuovi processi di trasformazione.

Si evince quindi come l’analisi del rischio rappresenti un mezzo a disposizione delle Autorità Sanitarie per poter intraprendere iniziative di controllo dei potenziali rischi di processo e, in base a precisi programmi epidemiologici e di sorveglianza, per far conoscere ai consumatori i risultati e le decisioni che scaturiscono da tale tipo di studi, nonché i corretti comportamenti alimentari necessari da parte del consumatore stesso. (83,141) Quindi la prevenzione è in questo caso strettamente collegata alla comunicazione, in maniera efficace e scientificamente pianificata, che solo così diventa tutela dei consumatori in base a quanto previsto dalla normativa europea: i consumatori più consapevoli nella scelta dei prodotti sono anche più sicuri!

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2. INTRODUZIONE

Secondo la definizione del Regolamento CE 853/2004 per prodotti della pesca si intende: “tutti gli animali marini o di acqua dolce (ad eccezione dei molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi e di tutti i mammiferi, rettili e rane), selvatici o di allevamento, e tutte le forme, parti e prodotti commestibili di tali animali”. Nello stesso Regolamento sono considerati a parte: molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi definiti come prodotti d’origine animale. (90)

Negli ultimi anni si è avuto un notevole sviluppo nella produzione dei prodotti ittici, sia pescati che di acquacoltura, in conseguenza della elevata richiesta del mercato. (124)

Nonostante la notevole espansione dell’acquacoltura, la continua domanda di questi prodotti e il conseguente prelievo incontrollato, che ha causato la riduzione della disponibilità di molte specie e il loro aumento di prezzo, hanno stimolato il commercio internazionale. Basti pensare che in Italia attualmente importiamo circa i due terzi del pesce consumato, non solo dal Mediterraneo e dai Paesi del Nord Europa, come già avveniva da alcuni decenni, ma praticamente da ogni parte del mondo. (118,120,124,142) Tale fenomeno è in parte causato dalla riduzione dei quantitativi pescati, dovuta ad una serie di fattori, che hanno influito negativamente sull’attività dell’allevamento ittico nazionale dopo il 2000. Tra essi si ricordano l’aumento dei costi burocratici, gestionali, energetici e di produzione, ma anche l’applicazione di più affidabili e moderne tecnologie di conservazione, nonché l’uso di rapidissimi mezzi di trasporto, che consentono di spostare facilmente grandi quantità di prodotti ittici pescati anche in acque lontanissime. (118,120,142) Basti pensare alle numerose preparazioni ittiche congelate o surgelate, preparate con gamberetti di provenienza vietnamita o tailandese e cefalopodi che sono stati allevati in Cina, merluzzo di provenienza dal Mare del Nord e salmone dalla Norvegia, che ogni giorno possiamo ritrovare sul mercato. (83)

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L’acquacoltura nazionale, in conseguenza delle difficoltà interne al settore, risente fortemente della concorrenza oltre che dei Paesi dell’Unione Europea, soprattutto di quella dei Paesi terzi. (142)

Purtroppo, insieme all’aumento dei prodotti ittici importati da paesi lontani, sono aumentate anche le problematiche di tipo igienico-sanitarie ad essi associate. Basti pensare che gran parte dei Paesi Terzi non sono industrializzati e, nella maggior parte dei casi, non hanno sistemi di controllo degli alimenti ben sviluppati, con una conseguente alta incidenza di malattie gastroenteriche. Inoltre in tali paesi, ma spesso anche nei paesi industrializzati, i prodotti della pesca destinati sia al mercato interno che all’esportazione, provengono da zone marine non ben definite e/o sono trasportati in condizioni igieniche non idonee e a temperature non adeguate, situazioni avverse che influiscono negativamente sulla qualità igienica di un prodotto che già di per sé è molto deperibile. (124) Un ulteriore aspetto che ha influito sui problemi sanitari legati al consumo dei prodotti ittici, è stato sicuramente il cambiamento socio-demografico nella popolazione italiana negli ultimi anni.

In conseguenza dei continui flussi migratori di popolazioni provenienti da altri Paesi, è aumentata l’attenzione agli usi e tradizioni gastronomiche locali, come il consumo di preparazioni a base di pesce crudo, il quale rappresenta un potenziale rischio per la salute dei consumatori. (118,119)

Da un punto di vista microbiologico, i prodotti della pesca devono essere suddivisi in base al loro ambiente di origine: acque dolci o salate, acque costiere rispetto al mare aperto, acque calde tropicali rispetto ad acque fredde, poiché ciascun habitat condiziona fortemente la flora saprofitica e patogena presente in essi. Per tale motivo un’attenzione a sé stante merita l’acquacoltura, in cui le caratteristiche dei prodotti sono influenzate dall’intervento controllato dell’uomo come in qualsiasi altra forma di allevamento zootecnico, dove il controllo di certi contaminanti microbici è reso possibile attraverso l’uso di antibiotici. All’interno poi della stessa acquacoltura dovranno essere

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considerate realtà differenziate in base al tipo di allevamento, ad esempio negli allevamenti a terra l’intervento dell’uomo sarà più marcato rispetto agli impianti di maricoltura. (124,142)

Altra problematica nata in seguito all’importazione di prodotti ittici provenienti da Paesi terzi, è stata la comparsa sul mercato di prodotti (pesci, crostacei e molluschi) spesso sconosciuti ai Servizi Veterinari che su di essi devono effettuare i necessari controlli, in quanto la somiglianza di alcune specie esotiche con le specie autoctone può costituire un presupposto per le “frodi” di questo specifico settore.

Infatti, una buona conoscenza delle caratteristiche morfologiche dei pesci è sufficiente per una corretta identificazione di specie in soggetti interi reperibili sui nostri mercati, e rappresenta un ottimo strumento per identificare un’ eventuale frode per sostituzione di specie. Tuttavia, tale conoscenza non è sufficiente per identificare correttamente prodotti finiti diversamente lavorati (filetti, hamburger, surimi ecc.). (118,120) È necessario ricordare infatti che, in seguito ai cambiamenti socio-economici e al comparire di nuovi stili di vita, i convenience food, prodotti pronti per cucinare o pronti da consumare, sono nati anche nel comparto ittico per venire incontro alle esigenze dei consumatori della società moderna. Pertanto, alla tradizionale presentazione del pesce intero si sono affiancate tipologie quali: filetti, bocconcini, tranci, spiedini, crocchette, insalate di mare precotte ecc. Per tali prodotti è necessario ricorrere a metodiche di laboratorio quali IsoElettroFocalizzazione, PCR, ecc. che consentono di risalire esattamente all’identificazione di specie. (118) L’identificazione della specie, sia per i pesci interi che in quelli lavorati, infatti costituisce uno degli obiettivi dell’attività ispettiva, secondo quanto previsto dagli attuali Regolamenti CE 853/2004 e 854/2004, per tutelare i consumatori anche da eventuali “frodi” per sostituzione.

La necessità di riconoscere la specie rappresenta il presupposto per poter indicare la denominazione commerciale del prodotto ittico sul mercato, che

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costituisce una delle informazioni obbligatorie secondo quanto previsto dall’art. 4 del Regolamento CE 104/2000, entrato in vigore il 1° gennaio 2002 e dal D.M. del 27 Marzo 2002 per la corretta informazione dei consumatori. (68)

Una delle difficoltà di identificazione di specie è causata anche dall’uso di sistemi di additivazione, che negli ultimi anni hanno subito un forte progresso; classico esempio è rappresentato dal trancio di Tonno a pinne gialle, additivato con una sostanza che rende il colore delle carni rosso ciliegia e quindi “spacciato” per il nostro pregiatissimo tonno rosso. (119)

L’aumento della domanda dei prodotti della pesca e la loro nota deperibilità hanno indotto a ricorrere all’utilizzo di nuovi trattamenti tecnologici al fine di prolungarne la conservabilità e renderne più attraente l’aspetto, facendo crescere il numero di frodi in materia di additivazione. (120) Oltre a quanto detto, gli additivi aggiunti sia a pesci freschi che trasformati aumentano la resa del prodotto, determinando aumenti di peso del 10-15%, ma soprattutto non sono da sottovalutare gli effetti sulla salute dei consumatori che questi additivi hanno, ad es. l’aumento di casi di allergia. (119)

Anche nella nostra regione, l’attività di controllo ha messo in evidenza l’uso scorretto dell’ossido di carbonio (CO), nel trattamento di tonno fresco e congelato, con lo scopo di mascherare le modificazioni organolettiche del prodotto. (100)

Per tale motivo sono necessarie figure preparate e competenti di veterinari ispettori particolarmente formati per difendere gli ignari consumatori, che possono subire danni non solo di tipo economico, ma in alcuni casi, di tipo sanitario. Tutte queste problematiche prese in considerazione, insieme alle grandi trasformazioni dei sistemi di produzione e di distribuzione degli alimenti, ci fanno comprendere la necessità di un continuo rinnovamento e adeguamento dei metodi e dell’organizzazione dei controlli. Il controllo igienico-sanitario degli alimenti ha assunto, infatti, connotati completamenti

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diversi rispetto alla realtà esistente fino a metà degli anni ’90; non è indirizzato nei confronti del solo prodotto, ma è distribuito lungo tutta la filiera di produzione, “dall’aratro al piatto” e le garanzie date dal produttore sono parte non esclusiva, ma determinante del sistema di sicurezza. (83) In questo contesto, i termini di tracciabilità e rintracciabilità sono diventati di uso quotidiano, ma sicuramente, per quanto riguarda i prodotti ittici selvaggi, nonostante l’esistenza di normative in materia (Reg. CE 104/2000, Reg. CE 2065/2001, Reg. CE 178/2002) siamo lontani da poter dare certezze; infatti anche in presenza di tutte le informazioni riportate in etichetta, è impossibile una loro verifica, in quanto mancano a livello ufficiale le indagini analitiche necessarie. (86,87,88,119)

Diversamente avviene nell’acquacoltura, dove tutte le fasi del ciclo produttivo devono essere soggette a controlli e ad un costante monitoraggio, sia nell’ambito di procedure di autocontrollo volontario da parte dell’allevatore, sia da parte degli organi del Servizio Sanitario Nazionale, che verificano periodicamente tutte le fasi della filiera: dall’allevamento fino al momento della vendita. (142)

Per il nostro Paese, assicurare alti livelli di sicurezza nelle filiere produttive, oltre a rappresentare elemento fondamentale per la tutela dei consumatori, è anche sinonimo di garanzia per lo sviluppo economico. Per questo motivo il sistema dei controlli deve essere capace di assicurare la qualità dei processi, dalla produzione delle materie prime alla somministrazione. In particolare, devono essere individuati, eliminati o minimizzati i potenziali pericoli sanitari, mediante processi trasparenti e documentati di analisi e gestione del rischio. Il settore dei prodotti ittici rappresenta un contesto critico per la tutela delle garanzie di sicurezza alimentare, sia per le modalità produttive, che sono spesso svolte in condizioni ambientali e tecnologiche particolari, sia per la gestione del controllo, non sempre dotato della sufficiente conoscenza dei pericoli e della valutazione dei fattori di rischio.

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Tra i vari strumenti indicati dal sistema legislativo, basato sull’analisi del rischio, l’interesse del Veterinario Igienista dovrà rivolgersi agli “output” derivanti dagli studi di valutazione del rischio condotti a vari livelli.

Il processo di analisi del rischio è strumento necessario per la sicurezza alimentare: è dunque necessaria una conoscenza più approfondita delle fasi che costituiscono tale processo, nonché dei metodi, supportati dall’uso di modelli matematici computerizzati, mediante i quali esso viene condotto per giungere a una conoscenza del rischio più precisa. (83)

Le difficoltà operative riscontrate da parte dei “Controllori”, Veterinari Igienisti, ma anche Tecnici delle prevenzione secondo le rispettive competenze e professionalità, possono essere arginate da un formazione specifica di alto valore specialistico e da un continuo aggiornamento delle proprie conoscenze, in modo tale da garantire interventi di grande efficacia ispettiva, al fine di tutelare la salute del consumatore.

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3. IL MERCATO DEI PRODOTTI ITTICI

Le spinte all’alimentazione salutare hanno sostenuto la domanda crescente di pesce e prodotti derivati dal pesce, che sono riconosciuti quali veicoli di benefici salutari. È ormai riconosciuto che il pesce fornisce, uno dei più alti contributi proteici, e poiché in seguito a misure di sicurezza dovute al morbo della BSE, il consumo della carne rossa è diminuito, il pesce e frutti di mare hanno avuto un buon gioco nel sostituirla.

L’Unione Europea è tra i più importanti mercati del pesce e dei prodotti derivati dal pesce a livello mondiale, insieme al Giappone e agli Stati Uniti d’America. La dipendenza dell’Unione Europea dalle importazioni di pesce è ancora crescente, con cifre che indicano le importazioni rappresentano circa il 60% di tutti i prodotti ittici consumati nell’UE. La difficoltà che l’industria di trasformazione affronta sul tema cruciale della fornitura di materie prime rispetto alla stabilità dei prezzi, alla flessibilità dei volumi, alle tecniche e modalità di presentazione del prodotto e, non ultimo, alla regolarità e tempestività delle consegne ha portato ad un progressivo aumento delle importazioni dai paesi non appartenenti all’Unione Europea.

Il dibattito sul settore della pesca europeo, tende ad essere dominato dalla questione della fornitura di pesce. In aggiunta a ciò, l’acquacoltura sta giocando un ruolo sempre più importante nell’offerta mondiale di pesce. (35) In vista della difficoltà di competere i termini di costi con i paesi non membri dell’Unione Europea che hanno accesso alle risorse primarie a costi di manodopera minimi, l’industria europea si sta movendo da un lato , verso la realizzazione di prodotti con alto valore aggiunto, di qualità superiore e che incontrano meglio le esigenze del consumatore; e dall’altro, verso la promozione di tipologie di prodotto largamente consumate ma operando la diversificazione delle specie di pesce lavorate in modo da utilizzare quelle meno costose.

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LA PRODUZIONE DEL COMPARTO ITTICO IN UE

Pesca e acquacoltura

Pesca e Acquacoltura, rappresentano attività economiche importanti nell’Unione Europea. Per quanto riguarda il contributo del settore alieutico al prodotto nazionale lordo degli Stati membri sia generalmente inferiore all’uno per cento, il suo ruolo è tutt’altro che trascurabile in quanto fonte di occupazione in zone spesso prive di alternative consistenti. Inoltre, il settore fornisce prodotti ittici all’intero mercato europeo, uno dei maggiori del mondo. (136)

Con 7,2 milioni di tonnellate di prodotti pescati e allevati nel 2004, l’UE è la terza potenza mondiale dopo la Cina e il Perù ed incide per oltre il 5%

sull’output mondiale. Tra i principali paesi produttori emerge Spagna insieme a Danimarca, Regno Unito e Francia: i quattro paesi più importanti hanno fornito quasi i 2/3 della produzione complessiva comunitaria. Il contributo dei nuovi 10 paesi dell’UE (entrati il 1° maggio 2004), in termini di produzione di pesce non è molto rilevante e, in effetti nel 2004 ha rappresentato solo il 9,1% della produzione comunitaria: i quantitativi complessivamente prodotti da questi paesi sono stati pari a 658 mila tonnellate, di cui il 91,6% (ovvero la quasi totalità) proveniente dalla Polonia (37,7%) e dai tre stati baltici (Lituania, Lettonia, Estonia) che sono poi gli stati che hanno un settore ittico importante. (134)

Impianto di acquacoltura

La flessione produttiva comunitaria, in atto da diversi anni, è da imputare esclusivamente al settore della pesca. L’adozione di misure di contenimento

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dello sforzo di pesca (che comprende la capacità e l’attività di pesca) da parte dell’UE, per far fronte all’eccessivo sfruttamento degli stock ittici, si è tradotta negli anni in un netto calo delle catture comunitarie: solo nel 2004 le catture dei 15 paesi dell’Unione Europea sono scese a quota 5,2 milioni di tonnellate, con una flessione dell’1,1% rispetto al 2003 e, addirittura , del 13,5% rispetto al 2000. Se si guarda ancora più indietro nel tempo, la contrazione è ancora maggiore (-27% rispetto al 1995). (134)

Al tempo stesso l’acquacoltura dopo il forte sviluppo registrato negli anni ’80 e ’90 ha accusato una battuta d’arresto a partire dal 2000 e nel 2004 si è fermata a poco meno di 1,4 milioni di tonnellate (-0,4% rispetto al 2003), mentre in valore ha superato i 3,2 miliardi di euro (+4,4% rispetto al 2003). Nonostante le dinamiche non sempre brillanti degli ultimi anni, l’acquacoltura comunitaria è stata comunque in grado di soddisfare una domanda crescente, diversificando l’offerta sul mercato attraverso l’introduzione di nuove specie e taglie. In Europa, altre realtà produttive importanti sono la Norvegia (primo produttore al mondo per l’allevamento dei salmoni) e tra i nuovi paesi membri dell’UE, da segnalare la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, dove vi è una lunga tradizione nell’allevamento dei pesci d’acqua dolce (prevalentemente carpe). Il comparto dell’acquacoltura è un comparto con grandi potenzialità di sviluppo: si pensi che dal 1994 al 2004, il tasso di crescita medio annuo dell’acquacoltura comunitaria è stato del 2,5%e del 3,1%, rispettivamente in volume e in valore, seppure tale percentuale è ancora nettamente inferiore alla media mondiale. (54) Nel 2002, la Commissione europea ha inaugurato una strategia per lo sviluppo dell’acquacoltura, con tre obiettivi fondamentali: quello di creare occupazione staile in particolare nelle zone dipendenti dalla pesca; offrire prodotti sicuri e di alta qualità promovendo elevati stati di salute e benessere degli animali; infine sviluppare un settore ecocompatibile. (134)

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Attività di import ed export dell’UE

La flessione della produzione ittica comunitaria ha accentuato la strutturale dipendenza dell’UE dai Paesi terzi per l’approvvigionamento dei prodotti ittici. Per far fronte ad un fabbisogno interno piuttosto elevato ed in crescita (si pensi che i 15 Paesi membri vantano un alto consumo medio pro capite, pari a 26,2 kg nel 2003 contro un consumo pro capite mondiale pari a 16,1 kg), le importazioni dell’UE 15 da Paesi terzi, nel 2004, secondo l’Eurostat, sono state di poco inferiori a 5 milioni di tonnellate, mentre le esportazioni verso i Paesi terzi sono state poco meno di 2 milioni di tonnellate; il deficit in volume della bilancia commerciale ittica ha pertanto quasi raggiunto i 3 milioni di tonnellate, per un valore di 9,2 miliardi di euro; tale deficit risulta peraltro anche maggiore se si considerano i nuovi 10 Paesi membri (-10,6 miliardi di euro). (54)

La dipendenza dalle importazioni è particolarmente alta nel caso del pesce fresco e congelato. Tra i principali prodotti importati vi è il salmone, per lo più proveniente dalla Norvegia; altri fornitori sono la Scozia, il Cile, entrambi ancora con quote limitate e la Danimarca che interviene però come intermediario. I paesi che prevalentemente lo importano sono la Francia, la Germania, La Danimarca e la Svezia. Un terzo delle importazioni di prodotti ittici nell’UE sono rappresentate dal merluzzo, dal pollack d’Alaska e dal nasello. Nel caso del merluzzo, le richieste dall’Europa occidentale rappresentano il 70 - 80% delle forniture mondiali. I principali fornitori sono soprattutto la Russia, la Norvegia, l’Islanda e recentemente anche la Cina. Nel dettaglio, il merluzzo nordico viene pescato prevalentemente nel nord Atlantico e nel mar di Barents, proviene dalla Norvegia, dalla Russia e dall’Islanda e viene importato in larga quantità dal Regno Unito, dalla Danimarca, dalla Francia e dal Portogallo. Il merluzzo carbonaro e le aringhe, che provengono da similari zone di pesca, sono acquistati principalmente da Norvegia, Danimarca e Islanda. Il pollack d’Alaska proviene dalla Russia e dagli Stati

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Uniti. Il nasello, pescato nell’Atlantico, proviene principalmente dall’Argentina e dall’ Africa australe (Namibia, Sud Africa). I pesci piatti (sogliole, platesse, passere, etc.), di importanza notevole negli scambi dell’UE, sono essenzialmente pescati nel Mare del Nord e gli approvvigionamenti sono principalmente comunitari. (54)

Nonostante la flessione della produzione l’UE esporta anche svariati quantitativi di prodotto, esclusa la battuta d’arresto del 1999 (pari a –0,6% rispetto al 1998), i dati del 2000 ci dicono che si è avuto un incremento dell’1,5% grazie ai 5.200.000 circa di tonnellate esportate; ciò tuttavia, non è riuscito ad impedire nello stesso periodo, che il saldo risultasse ancora negativo, in particolare, superiore ai 9 miliardi di euro. (108)

Il settore della trasformazione dei prodotti ittici in UE

Per quanto riguarda i prodotti ittici trasformati, le attività di lavorazione possono comprendere il sezionamento, la filettatura, la salatura, l’essiccazione, l’affumicatura, la cottura, il congelamento o l’inscatolamento. Il loro consumo, soprattutto sotto forma di cibi pronti è in continuo aumento nella Comunità. A fronte di una domanda abbastanza vivace, tale produzione è in continua crescita ed è attualmente di maggiore rilievo rispetto alla produzione primaria: il valore dei prodotti ittici forniti dal settore della lavorazione e conservazione di pesce e di prodotti a base di pesce è di circa 18 miliardi di euro l’anno, quasi il doppio del valore degli sbarchi e della produzione acquicola considerati insieme. I più importanti prodotti provenienti dal settore della trasformazione sono i prodotti pronti e in scatola che, secondo i dati divulgati dalla Commissione europea, raggiungono i 6,7 miliardi di euro, seguiti da pesce fresco, refrigerato, congelato, affumicato o essiccato che raggiungono i 5,2 miliardi di euro. Le società del settore di trasformazione ittica sono vulnerabili soprattutto alle fluttuazioni dell’offerta. Quindi per garantire un offerta regolare di tali prodotti, le aziende dell’UE devono contare sull’importazioni. (54,135)

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Alcune iniziative dell’UE

A seguito delle importazioni sia di prodotti ittici destinati immediatamente al consumo sia di materie prime destinate all’industria della trasformazione dai Paesi terzi, l’UE ha introdotto un sistema di contingenti tariffari autonomi e di sospensione dei dazi doganali, come eccezione al sistema generale della tariffa doganale comune. Peraltro i prodotti della pesca (sia freschi che trasformati) rientrano nel regime preferenziale previsto nell’ambito del Sistema delle Preferenze Generalizzate (SPG): adottato dall’UE a partire dal 1971, tale strumento privilegiato di tariffe permette a determinati prodotti esportati dai paesi meno avanzati di accedere al mercato comunitario in esenzione totale o parziale dai dazi doganali; si tratta, quindi, di un regime tariffario autonomo, unilaterale e complementare alla liberalizzazione multilaterale del WTO.

Sempre sul fronte commerciale, bisogna considerare che i rapporti commerciali tra l’Unione europea e i Paesi terzi, in particolare i meno avanzati si inseriscono in quadro complesso, quello degli accordi di partenariato finalizzati non solo a liberalizzare gli scambi dei prodotti (tra cui anche quelli della pesca), ma anche a promuovere lo sviluppo economico, culturale e sociale dei Paesi terzi coinvolti. (54)

IL SETTORE ITTICO IN ITALIA

I principali indicatori economici del settore ittico

Negli ultimi, anni il settore della pesca e dell’acquacoltura in Italia è stato caratterizzato da una contrazione produttiva. Il calo nei quantitativi prodotti (oltre 130 mila tonnellate), registrato dal 2000 al 2004, è da imputare quasi esclusivamente al comparto della pesca; mentre l’acquacoltura, stabilizzatasi dopo la forte crescita registrata negli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90, ha interrotto il trend positivo nel 2003, per poi tornare a crescere l’anno successivo. In flessione anche i ricavi di settore (-6,5% nel confronto

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2004/2000), seppure in misura inferiore al calo dell’offerta (-19,7%), per il graduale aumento dei prezzi medi alla produzione(+16,5%). Un lieve recupero della produzione ittica nazionale si è registrato solo nel 2004, grazie all’acquacoltura ; tanto che i quantitativi prodotti sono risultati in aumento per la prima volta dalla seconda metà degli anni ’90.

La contrazione della produzione nazionale, a fronte di una domanda interna stabile e di una domanda estera debole, ha determinato l’intensificarsi delle importazioni e la concomitante flessione delle esportazioni, con la conseguente dipendenza del mercato italiano dei prodotti ittici dalle importazioni (tendenza che non riguarda solo l’Italia ma molti paesi dell’UE).

Tutti gli indicatori di settore mostrano il carattere deficitario della bilancia ittica italiana e il peggioramento che si è avuto negli ultimi anni: dal saldo normalizzato (rapporto tra deficit commerciale e consistenza degli scambi), giunto al 75% in volume e al 76% in valore; al grado di copertura dell’import (export/import), sceso al di sotto del 15% in volume e al 14% in valore; dalla propensione all’import (import/consumi apparenti), arrivato a quota 67% sia in volume che in valore (ciò significa che il 67% della domanda interna è soddisfatta da prodotto estero); al grado di autoapprovvigionamento (produzione/consumi apparenti) che, speculare al precedente indicatore, è sceso, in termini quantitativi, dal 53% nel 2000 al 43% nel 2004. (143)

Alcuni segnali positivi sono emersi, comunque, nel corso del 2004: accanto alla ripresa della produzione italiana, sono tornate a crescere le vendite oltre frontiera di pesci, molluschi e crostacei (+2,5% in volume e +2,1% in valore rispetto al 2003); mentre le importazioni, aumentate sul fronte dei quantitativi (+0,8%), hanno registrato una netta flessione in valore (-2,2%), per effetto della diminuzione dei valori medi unitari (-3%). Pertanto, dopo un decennio caratterizzato dal progressivo inasprimento del deficit, nel 2004 i conti con l’estero hanno segnato un -2,9% nel passivo monetario.

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Indicazioni di ripresa provengono anche dalla domanda finale, con un consumo ittico pro capite di 21,5 kg nel 2004. In particolare, sul fronte dei consumi domestici, dopo il picco negativo del 2002 (-9,1% in quantità rispetto al 2001) le richieste hanno ripreso a crescere nel 2003 (+0,9%) e soprattutto nel 2004 (+1,8%), aiutate anche da una favorevole dinamica dei prezzi (l’indice Ismea dei prezzi dei prodotti ittici acquistati dalle famiglie italiane, dopo il trend crescente nel triennio 2001-2003, ha segnato un -0,9% nel confronto 2004/2003). In aumento nel 2004 anche la spesa delle famiglie per il consumo di pesce fra le mura domestiche, peraltro in controtendenza con l’andamento della spesa alimentare complessiva. (143)

Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio Consumi Domestici Ismea-ACNielsen riguardanti il periodo 8 gennaio 2006 – 6 gennaio 2007, i consumi di prodotti ittici a casa sono stati poco meno di 455.600 tonellate, con un incremento degli acquisti del 3,9% rispetto al 2005, per una spesa di 4.35 miliardi di euro, con un incremento del 10,5% rispetto all’anno precedente. (55) Segnali positivi si rilevano anche dai dati riferiti ai consumi extradomestici dei prodotti ittici del 2006. (53)

La pesca nelle acque del Mediterraneo

La produzione della pesca italiana, nel 2005, è scesa al di sotto delle 300 mila tonnellate, con una perdita in cinque anni di oltre 100 mila tonnellate. Come diretta conseguenza, il fatturato ha subito una contrazione, passando dai 1.555 milioni di euro del 2000 ai circa 1.414 milioni di euro del 2005. La riduzione del fatturato ha assunto una minore intensità rispetto al calo dell’offerta (rispettivamente -11,3% e -26,5%), grazie al rialzo dei prezzi che ha caratterizzato gli ultimi anni. (143) Nel 2006 la produzione, è scesa al di sotto delle 290 mila tonnellate, con una perdita in sette anni di oltre 100 mila tonnellate, di conseguenza il fatturato ha subito una contrazione, passando dai 1.555 milioni di euro del 2000 ai 1.495 milioni di euro del 2006. (132)

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Tab. - La pesca nel Mediterraneo in Italia, anni 2000 e 2005

Anni 2000 2005 2000 2005 2000 2005

Tonnellate Mln euro Prezzi medi unitari

€/kg

Pesca nel

Mediterraneo 392.284 268.368 1.555 1.388 3,96 5,17 Fonte:Mipaaf (132)

Tab. - Andamento della produzione della pesca in mare, anni 2000 e 2006

Anni 2000 2006 2000 2006 2000 2006

Regioni Tonnellate Mln euro Prezzi (€/kg)

Calabria 12.986 12.254 49 61,16 3,74 4,99 Campania 14.825 17.333 77 93,22 5,22 5,38 Puglia 59.305 47.862 245 237,70 4,12 4,97 Sicilia 99.014 62.055 446 445,92 4,5 7,19 Regioni in obiettivo di convergenza 186.13 0 139.50 4 816 838,00 4,38 6,01 Abruzzo 21.436 22.421 85 66,85 3,97 2,98 Emilia Romagna 37.565 27.548 90 75,04 2,39 2,72 Friuli V. G. n.d. 6.199 n.d. 29,28 n.d. 4,72 Lazio 10.000 6.957 64 67,54 6,43 9,71 Liguria 8.537 4.905 36 44,49 4,28 9,07 Marche 50.625 27.705 164 129,33 3,24 4,67 Molise n.d. 1.223 n.d. 12,51 n.d. 10,23 Sardegna 13.000 11.151 79 101,87 6,1 9,14 Toscana 17.817 11.099 75 49,48 4,19 4,46 Veneto 47.174 27.120 146 80,36 3,09 2,96 Regioni fuori obiettivo di convergenza 206.15 4 146.32 8 739 656,75 3,59 4,49 Italia 392.28 4 285.83 1 1.555 1.495 3,96 5,23 Fonte: Mipaaf-Irepa (132)

La dinamica negativa degli sbarchi è da attribuire soprattutto alla riduzione della capacità della flotta ed alla minore attività di pesca. Tra il 2000 e il 2002, a fronte di una leggera crescita dei giorni di pesca, si è assistito ad una forte

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contrazione della capacità sia in termini numerici sia in termini di tonnellaggio. Negli ultimi anni, ha assunto maggiore rilevanza la contrazione del livello di attività; nel 2005, le giornate lavorative dei battelli nazionali sono state pari a 134 contro i 141 giorni dell’anno precedente. Nel 2005, il calo degli sbarchi ha interessato, in maniera generalizzata, gran parte delle Regioni con alcune eccezioni riguardanti, in particolare, l’area del medio adriatico. In Abruzzo ed Emilia Romagna, le ottime performance dei battelli strascicanti sono state associate al mantenimento di elevati livelli di attività, in contrapposizione a quanto registrato per le altre flotte a strascico che hanno limitato i giorni di pesca rispetto all’anno precedente. (143)

La pesca oceanica

Le navi svolgono la propria attività utilizzando, in via prioritaria, gli accessi resi disponibili dagli accordi di pesca negoziati a livello comunitario, anche se non mancano casi di accordi di pesca negoziati direttamente dagli armatori.

Le catture complessive della pesca oceanica sono state pari, sempre nel 2005, a 14 mila tonnellate, per un fatturato di poco superiore a 25 milioni di euro. Negli ultimi anni, si è assistito ad un sostenuto calo dei ricavi, che nel 2000 sfioravano i 40 milioni di euro.

Il segmento oceanico, che pure nel corso degli anni ’60 e ’70 vantava una consistenza di circa 80 unità, è stato oggetto di un progressivo ridimensionamento, fino a scendere alle attuali 23 unità. La dinamica che ha accompagnato l’evoluzione della flotta oceanica italiana non ha mai assunto connotati di disimpegno rispetto all’attività imprenditoriale del settore. Al contrario, il lunghissimo periodo che ha accompagnato il processo di ristrutturazione, ha consentito all'armamento di adeguarsi alle nuove condizioni operative e tecnologiche che hanno caratterizzato il segmento oceanico negli anni '80.

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Lo sforzo di pesca della flotta oceanica italiana, a differenza di altre flotte oceaniche europee, viene esercitato esclusivamente all'esterno dei confini europei e non insiste in alcuna misura su stock interni.

Una attenzione particolare è stata rivolta alla pesca oceanica del tonno per il notevole rilievo che tale risorsa assume per l’industria della trasformazione ittica italiana. Gli accordi di pesca per il tonno, che riguardano l'armamento italiano, sono quelli che fanno riferimento al tonno tropicale nell'Oceano Indiano. I Paesi con i quali sono stati stipulati accordi UE per la pesca del tonno, e che vedono impegnato il naviglio italiano, sono le Seycelles, le Mauritius, il Madagascar e le Comore. Anche in questo caso non mancano accordi di tipo privato che riguardano Somalia, Kenia, Chagos, Mozambico, Mayotte e Iles Eparses. Al momento, una sola nave oceanica dell'armamento italiano è impegnata nello sfruttamento degli stock di tonno in tali aree, ma è evidente che motivazioni di ordine tecnico-economico, prima ancora che l'esigenza di assicurare un più elevato grado di auto approvvigionamento di materia prima per l'industria conserviera nazionale, rimandano ad un ampliamento delle unità afferenti a questo segmento.

Oltre al tonno, gli accordi di pesca riguardano le specie di maggior interesse per il mercato italiano: demersali (pesci codati e cefalopodi), i gamberi, mentre le tecniche di pesca previste nell'ambito degli stessi accordi riguardano lo strascico. Attualmente, nell’ambito degli accordi internazionali negoziati dall’UE, sono 22 le navi da pesca della flotta italiana che utilizzano gli accordi di pesca siglati con la Guinea Bissau, la Guinea Conakry, la Mauritania ed il Senegal, per una stazza totale utilizzabile di 8.490 tonnellate. (143)

L’acquacoltura

L’acquacoltura in Italia contribuisce al 45% della produzione ittica nazionale e al 27% dei ricavi complessivi, con poco meno di 234 mila tonnellate per un valore di 562 milioni di euro. Il nostro paese si conferma tra i

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principali produttori comunitari, dopo Spagna e Francia, con un’incidenza del 15% circa sulla produzione dell’UE a 15. (132)

Dopo i notevoli progressi degli anni ’80 e della prima metà degli anni ’90, l’acquacoltura è cresciuta a ritmi meno sostenuti. Stabile nel 2002, la produzione ha mostrato una flessione nel 2003 a causa della crisi del comparto molluschicolo per poi tornare a crescere nel 2004, senza raggiungere comunque i livelli del 2002.

Con una produzione di 39 mila tonnellate nel 2004 e di 40 mila tonnellate nel 2006, l’allevamento di trote continua ad avere il primato produttivo nella piscicoltura italiana. (132,143) Tale forma di allevamento intensivo è localizzata prevalentemente al Nord (Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli), anche se un importante polo produttivo è localizzato nelle Regioni centrali, mentre nelle regioni meridionali gli impianti sono pochi. Nell’UE a 25, l’Italia si conferma ai primi posti nella graduatoria dei principali paesi produttori, nonostante la evidente flessione (dalle 51 mila tonnellate del 1997 si è scesi progressivamente fino alle 40 mila tonnellate nel 2006).La debolezza della domanda interna ed estera, la crescente concorrenza internazionale (le trote sono allevate in tutta la Comunità Europea) e, più recentemente, la competizione esercitata da altri prodotti di allevamento, hanno portato la progressiva flessione dei livelli produttivi.

Per quanto riguarda le anguille, la lieve crescita produttiva del 2004 porta i volumi allevati a quota 1.600 tonnellate (produzione che si riscontra anche nel 2006), molto lontani comunque dalle 2.700 tonnellate del 2000 e dalle 3.100 tonnellate del 1997. Il comparto soffre da tempo di una domanda debole e di un mercato interno ormai saturo. Al tempo stesso, la difficoltà di reperire il materiale da semina (ceche e ragani) in quantità abbondante e di buona qualità ha ulteriormente penalizzato questo comparto storico dell’acquacoltura italiana. Leader del mercato europeo è oggi l’Olanda, seguita dalla Danimarca, e dall’Italia, in ambito comunitario. Veneto, Sardegna e Lombardia sono le

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Regioni in cui è localizzato il numero più elevato di impianti, seguite da Puglia e Calabria. (54,143)

Impianti di allevamento di acquacoltura in Italia (API) 2005. API: Associazione Italiana Piscicoltori,

organismo senza fini di lucro che ha come scopo la tutela, lo sviluppo e il consolidamento di tutte le attività di allevamento ittico sia in acque interne,

marine e salmastre. (142) La produzione italiana di spigole e

orate ha ripreso a crescere nel 2004 (tendenza rilevata anche nel 2006), anche se con tassi non paragonabili a quelli degli anni ‘90: l’output produttivo ha raggiunto le 9.700 tonnellate per le spigole e le 9.050 tonnellate per le orate. Permane nel mercato italiano la forte concorrenza esercitata dal prodotto greco e turco, offerto a prezzi competitivi. Sono risultati determinanti per lo sviluppo produttivo delle spigole e delle orate, la crescente diffusione di avannotterie (17 nel 2003) e la notevole espansione

dell’allevamento in gabbie, tecnica produttiva che si affianca all’allevamento intensivo praticato a terra e all’allevamento estensivo in ambienti naturali e/o di tipo naturale (valli, stagni e lagune). L’allevamento di spigole e orate è diffuso un po’ lungo tutte le coste italiane, con maggiore diffusione nelle Regioni Sardegna, Sicilia, Toscana, Lazio e Puglia. Le politiche per la qualità e la diversificazione della taglie offerte sul mercato sono state un fattore competitivo rilevante per l’acquacoltura marina italiana.

Nell’ambito della piscicoltura, tra le nuove specie allevate di pregio, vanno indicati il sarago maggiore, il sarago pizzuto e l’ombrina bocca d’oro.

La molluschicoltura è la principale voce produttiva dell’acquacoltura nazionale, basata quasi esclusivamente sull’allevamento dei mitili (Mytilus galloprovincialis) e della vongola verace filippina (Tapes philippinarum). La

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produzione, stabilizzatasi negli ultimi anni, ha mostrato una flessione nel 2003, quando il caldo eccezionale e le mancate piogge estive hanno provocato crisi ambientali il cui effetto negativo sulle produzioni è stato evidente. Nel 2004, si è assistito ad una ripresa della produzione di mitili e di vongole, comunque senza raggiungere i livelli del 2002. (54,143) Nel 2005 il volume produttivo dell’intera acquacoltura è risultato composto per il 70% da prodotti provenienti dagli impianti di molluschicoltura. (54)

Tab. - La produzione italiana di acquacoltura (2000-2006) (Ton)

Specie / anni 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 tonnellate Spigole 8.100 9.500 9.600 9.600 9.700 9.100 9300 Orate 6.000 7.800 9.000 9.000 9.050 9.500 9500 Cefali 3.000 3.000 3.000 3.000 3.000 3.000 2500 Anguille 2.700 2.500 1.900 1.550 1.600 1.650 1650 Trote 44.500 44.000 41.500 38.000 39.000 39.500 40100 Pesce gatto 550 650 600 700 700 700 600 Carpe 700 700 650 650 650 650 700 Storioni 550 700 750 1.000 1.000 1.200 1200 Altri pesci* 2.500 2.600 2.600 3.150 3.100 3.800 3400 Totale pesci 68.600 71.450 69.600 66.650 67.800 69.100 68950 Mitili 136.000 135.000 135.000 100.000 125.000 125.000 125000 Mitili (allevamento) 106.000 105.000 105.000 75.000 - - - Mitili (da banchi naturali) 30.000 30.000 30.000 25.000 - - - Vongole veraci 53.000 55.000 55.000 25.000 40.000 40.000 40000 Totale molluschi 189.000 190.000 190.000 125.000 165.000 165.000 165000 TOTALE 257.600 261.450 259.600 191.650 232.800 234.100 233950

Nota: per il 2004 2005 e 2006 il dato relativo ai mitili include i mitili da allevamento e i mitili da banchi naturali.

* Ombrina, sarago, dentice, persico spigola, luccio, ecc. Fonte: Api/Icram (142)

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La produzione di molluschi bivalvi – mitili e vongole, a cui si aggiungono le ostriche – domina il comparto dell’acquacoltura anche a livello comunitario. Va considerato che queste produzioni sono caratterizzate da oscillazioni produttive dovute all’inquinamento, alla presenza di tossine algali ed alla diffusione di patologie. In Italia, su 808 impianti censiti nel 2003, ben 359 riguardano la molluschicoltura. Oltre il 40% è localizzato in Veneto (per l’allevamento delle vongole negli ambienti lagunari ed estuarini, seguono la Liguria (che vanta il maggior numero di impianti di mitilicoltura), l’Emilia Romagna, la Puglia, la Campania, la Sardegna ed il Friuli Venezia Giulia. Le vongole sono prodotte in Veneto e in Emilia Romagna, mentre la produzione di mitili caratterizza più Regioni adriatiche e Tirreniche. (143)

Negli ultimi anni si sta assistendo alla scomparsa di piccoli impianti a conduzione familiare, che avevano un mercato di riferimento piuttosto ristretto, poiché sostituiti da impianti sempre più moderni dal punto di vista tecnologico e in grado di offrire sul mercato nuove tipologie di prodotto, in grado così di contrastare la concorrenza estera. In tale contesto si inserisce un maggiore utilizzo degli accordi di filiera tra produttori e distributori, per portare sulla tavola degli italiani un prodotto di qualità, certificato “made in Italy”. (54)

Attività di import ed export della nostra nazione

Per quanto riguarda il nostro Paese nel quadriennio (2000-2003) la produzione ittica, anche se è cresciuta di ben oltre il 7% nel 2003 rispetto all’anno precedente, nel 2000 e nel 2001, aveva registrato cifre migliori, così continua a crescere il saldo negativo negli scambi, in particolare nei confronti degli altri Paesi comunitari prima che con quelli Terzi.

I salmoni ed i merluzzi vengono importati principalmente dalla Norvegia, Islanda, Scozia e Danimarca; i crostacei, i molluschi cefalopodi, le conserve di tonno e ancora i merluzzi dalle altre più disparate aree, mentre, per esempio, i

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filetti di pesce di acqua dolce (pesce persico) sono importati dall’Africa, se pure nella gran parte non direttamente.

Qui può aggiungersi brevemente che i tentativi italiani di importare senza riesportazione, per esempio, dall’Olanda, i filetti in argomento dall’area del lago Vittoria appaiono spesso frustati sia dalle scarse disponibilità di adeguati spazi aerei, sia dalla concorrenza di importazione di altri prodotti (in particolare di fiori) che, nell’insieme, in mancanza di specializzazione, fanno aumentare i costi del trasporto e, quindi, pregiudicano la migliore convenienza. Intanto, con riferimento sempre alle importazioni di pesce persico africano in Italia, nel 1997 erano state introdotte appena 379 tonnellate fra filetti freschi e congelati. Nel 2002, invece, sono state raggiunte ben 1.227 tonnellate, mentre nel più recente 2003 questi stessi prodotti del lago Vittoria (esenti da dazi da parte dell’Unione Europea) si sono attestati intorno alle 740 tonnellate circa. Nel 2004, per esempio, le importazioni di provenienza tanzanese hanno sovrastato quelle di origine ugandese e keniota con una percentuale molto alta, pari a circa il 60% contro, rispettivamente, il 33 ed il 7% importati dagli altri due Paesi che si affacciano sullo stesso lago.

Le importazioni dirette in questo periodo si sono distinte, come già per il passato, tra filetti freschi e congelati, ma con proporzioni nettamente differenti: appena 387 tonnellate nel secondo caso ed oltre 1.400 per i freschi.

In particolare, nel nostro Paese le importazioni dai Paesi Bassi di filetti freschi e congelati di persico africano hanno raggiunto nell’ultimo quadriennio 2000-2003 quantitativi superiori a quelli di qualsiasi altro Paese comunitario.

Nel 2000 le tonnellate importate sono state 2.753 contro per esempio, le 2.541 della Spagna.

Nel 2001 ben 5.530 tonnellate contro, per esempio, le 3.094 della Francia. Nel 2002 circa 6.245 tonnellate contro le 2207, per esempio, della Germania e, infine, nel 2003 la cifra massima di 6.641 tonnellate contro, per esempio, le 974 del Belgio che, tra l’altro (con i suoi quattro aeroporti nazionali che

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eseguono voli diretti in Africa), rappresenta la più importante via di entrata di questo prodotto.

Da qualche anno anche l’Austria importa direttamente questo pesce dalle capitali dell’Uganda e del Kenia ed è favorita nelle spedizioni in Italia, ove esiste un grande distributore attivo nella vicina Venezia.

Più recentemente vengono importati filetti anche dal Vietnam; in quest’ultimo caso si tratta del pesce d’acqua dolce pangasio che fa parte di una delle tante famiglie del pesce-gatto. Questo prodotto è già molto apprezzato da noi, non solo per il colorito particolarmente bianco delle carni, ma anche per le utili porzioni che forniscono, le quali oscillano tra i 150 e i 200 grammi.(cit Il Pesce n 4 2006 Schiavo)

Nel 2001 la crescita dei prezzi dei prodotti in esportazione dall’Italia ha consentito alla nostra bilancia commerciale di ridurre di circa il 6 - 7% il proprio deficit.

In volume, nell’anno sopraccitato, sono state esportate circa 132.000 t di prodotto con una variazione percentuale negativa, rispetto al 2000, pari a circa 5 punti. Sempre nel 2000 le tonnellate esportate si erano aggirate intorno alle 139.136.

In particolare il totale delle 132.348 tonnellate esportate nel 2001 sono risultate suddivise nelle cinque classiche tipologie merceologiche, tra cui è prevalsa la voce pesce fresco per 44.950 tonnellate.

La seconda voce, quanto a volume, è stata quella relativa al pesce conservato (27.368 ton), mentre la terza è stata quella riferibile al pesce congelato (16.538 ton) per un totale di 88.856 tonnellate. La stessa cifra totale di 132.348 tonnellate di export ha compreso, infine, le 42.065 tonnellate tra molluschi e crostacei e le 1.427 tonnellate di prodotti classificati come ittici vari.

Qui è il caso di segnalare, comunque, che le sopra specificate esportazioni di pesce e di molluschi sono riuscite a sottrarre appena il 17% circa al volume del flusso importativo nell’anno considerato. (108,109)

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Il settore della trasformazione dei prodotti ittici

L’industria di trasformazione dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura occupa una posizione secondaria nel panorama dell’industria alimentare italiana. Infatti, solo alcune specie, acciughe, sardine, gamberi in particolare, presentano una qualche forma di integrazione con l’industria di trasformazione il cui approvvigionamento è fortemente dipendente dalle importazioni dall’estero. L’ultimo censimento dell’industria e dei servizi (2001) ha rilevato 415 imprese attive nel settore del pesce e dei prodotti a base di pesce, pari solamente allo 0,6% del totale delle imprese alimentari italiane, per un totale di 6.640 addetti, ovvero l’1,5% dell’occupazione sempre del settore alimentare. (143) Nel contesto produttivo italiano, la trasformazione del pesce, in confronto con gli altri comparti dell’industria alimentare, si caratterizza da sempre per una connotazione

più marcatamente industriale; il numero medio di addetti per impresa, pari a 16, si mostra comunque di molto inferiore alla media dell’UE a 15 (circa 32 unità per impresa nel 2002): si va dai 32-33 addetti in Francia e Spagna ai 51 addetti in Danimarca e Regno Unito, fino ai 60 addetti in Germania.

Filetti di tonno sott’olio Le industrie di trasformazione di prodotti ittici

sono concentrate nelle Regioni meridionali,

con il 59% delle imprese ed il 58% delle unità locali: tali industrie offrono occupazione al 52% circa degli addetti. La Sicilia è la regione nella quale è localizzato il maggior numero di attività produttive (25,3%), seguita, al Sud, dalla Campania, dalla Calabria e dalla Puglia; altrettanto rilevanti Regioni come la Toscana, le Marche e il Veneto. Le Regioni al Sud appena elencate hanno una notevole incidenza soprattutto nel settore della conservazione del

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pesce. Molte aziende siciliane, dislocate proprio lungo la costa, si dedicano alla lavorazione del pesce azzurro, ovvero alla salagione e alla filettatura e molte di queste aziende sono a carattere artigianale e familiare. Sul fronte produttivo, dopo alcuni anni di sviluppo, trainato da una domanda in crescita, l’industria del pesce e dei prodotti a base di pesce ha accusato nel 2004 una flessione produttiva. Sono state le conserve di tonno a registrare un calo nei volumi prodotti, sia per le minori richieste interne dopo i consumi eccezionali del 2003, sia per la crescente tendenza delle imprese a delocalizzare e/o ad importare prodotto finito da commercializzare sul territorio nazionale, a causa dell’agguerrita concorrenza del prodotto estero. (54,143)

L’industria italiana della lavorazione del tonno è tra le più grandi a livello mondiale, ma al contrario delle aziende spagnoli e francesi, importa quasi tutta la materia prima. Negli ultimi anni l’industria italiana è stata penalizzata dall’aumento dei costi delle materie prime sui principali mercati internazionali, in seguito ad una flessione delle catture mondiali di tonno, ed è per questo che si è registrata una flessione nella produzione italiana di tonno in scatola. Oltre alla delocalizzazione della produzione da parte delle imprese all’estero, da alcuni anni sta emergendo la tendenza che vede l’Italia sempre più come paese importatore di tonno trasformato dai Paesi terzi, in particolare quelli a basso reddito salariale, tendenza che combinata alla riduzione della domanda interna, ha comportato una flessione produttiva interna. Nel 2005, in seguito ad un calo a livello mondiale delle catture delle principali specie di tonno usate dall’industria, i volumi importati dall’estero di tonno in scatola sono diminuiti (-3,3% rispetto al 2004) frenando tale dinamica. Sono invece tornate a crescere le importazioni di loins di tonno (forniti soprattutto da Colombia, Ecuador, Kenia e Thailandia) (+12,5% rispetto al 2004) che, a fronte della flessione del tonno fresco e congelato (i volumi importati di quest’ultimo si sono ridotti per i minori acquisti da Spagna e Francia, tradizionali fornitori), hanno rappresentato il 59,1% dell’approvvigionamento delle industrie conserviere

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italiane. La sostituzione del tonno congelato con i loins di tonno, non sembra comunque essere gradita dal consumatore più esigente, che giudica il prodotto finito di minor qualità. (54)

I consumi di prodotti ittici

Dopo i forti tassi di crescita registrati negli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90, la domanda interna di prodotti ittici ha registrato una lunga fase di sostanziale stazionarietà, alternando lievi variazioni in aumento ad altrettante lievi variazioni in diminuzione. Dal 2000 al 2004, il consumo interno è oscillato tra i 21,3 e i 22 kg pro capite; in flessione dal 2001 ha mostrato una lieve ripresa nel 2004. (143)

Con i cambiamenti socio-economici nella seconda metà degli anni ’90, come il mutamento della struttura dei nuclei familiari, l’occupazione femminile, il consumatore, con sempre minor tempo a disposizione per cucinare, anche nel settore dei prodotti ittici, ha rivolto la sua attenzione nei confronti dei surgelati confezionati, dei conservati e delle semiconserve, a scapito dei prodotti tradizionali come il congelato sfuso e il secco, salato e affumicato. In tale periodo i consumi dei prodotti ittici sono cresciuti, anche se a tassi via via decrescenti.

Il comportamento dl consumatore è stato influenzato dal tema della sicurezza alimentare negli ultimi due mesi del 2000 e per tutto il 2001. Con il secondo shock BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy) i consumi domestici di prodotti ittici sono aumentati, anche se tale effetto ha avuto una durata limitata al periodo novembre 2000-marzo 2001. La paura di contrarre la variante umana della BSE ha provocato, già a partire dal novembre 2000 (in concomitanza dei primi casi di BSE in Francia), un allontanamento dei consumatori dall’acquisto di carne bovina e uno spostamento delle preferenze verso altre carni (di tacchino, di coniglio, suina, avicola) e verso i prodotti ittici, con la conseguente impennata dei prezzi al consumo. Tra gennaio e febbraio 2001, a seguito del

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primo caso italiano di animale colpito da BSE, gli acquisti di pesce sono saliti dell’8%, con un balzo dei prezzi del 5-6%. Sull’andamento dei consumi domestici ha influito la crescente sensibilità del consumatore al tema della sicurezza alimentare, nata non solo in seguito alla “mucca pazza”, ma anche per altre emergenze, come l’afta epizootica e il “pesce alla diossina” (allarme lanciato a metà marzo 2001), che ha portato come conseguenza una flessione dei consumi generalizzata. La percezione soggettiva del rischio, non necessariamente uguale a quella oggettiva, ha provocato nei consumatori un senso di sfiducia, riguardo la sicurezza igienico-sanitaria e la salubrità degli alimenti. Naturalmente i timori dei consumatori si sono fatti sentire anche per i consumi di prodotti ittici che nel corso del 2001 hanno subito una diminuzione ( non solo prodotti freschi allevati, come trote, orate e spigole ma anche prodotti congelati e surgelati). (52)

Sul fronte dei consumi domestici, che rappresentano circa un terzo dei consumi totali interni, dopo la flessione nel 2001 (-2,8% in volume rispetto al 2000), ed un ulteriore netta caduta nel 2002 (-9,1% rispetto al 2001), si è assistito ad una progressiva, seppur debole ripresa nei due anni successivi (rispettivamente +0,9% e +1,8%). I livelli di consumo familiari registrati nel 2004 sono, comunque, ancora molto lontani: il 2004, se confrontato con il 2000 mostra una diminuzione delle quantità acquistate di prodotti ittici da parte delle famiglie italiane del 9,2%, scese da 459 mila a 416 mila tonnellate circa, a fronte di una crescita della spesa del 3%, spinta in alto dalla dinamica crescente dei prezzi al consumo, dinamica che ha caratterizzato soprattutto il triennio 2001-2003. Tutte le tipologie di prodotti ittici, fuorché quella delle conserve e semiconserve (i consumi sono risultati sostanzialmente stabili nel confronto 2004/2000), hanno fatto segnare, rispetto al 2000, una flessione delle quantità consumate in casa dalle famiglie, anche se il raggruppamento che più degli altri ha risentito della diminuzione della domanda è stato il fresco e decongelato

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(-13,6%), ossia proprio quello che da solo incide per oltre la metà sui consumi domestici di prodotti ittici in Italia.

Nonostante le variazioni registrate negli ultimi anni, i prodotti freschi e decongelati continuano a rappresentare oltre la metà dei consumi domestici complessivi, sia in volume sia in valore; la restante quota è ripartita tra le conserve e semiconserve (20% in quantità e in valore), tra i prodotti congelati sfusi (8,7% in volume e 6,7% in valore), i prodotti congelati/surgelati confezionati (14,2% in volume e 15,6% in valore) e i prodotti secchi/salati e affumicati (4,4% in volume e 6,9% in valore). (143) Altro aspetto da evidenziare riguarda la particolare concentrazione dei consumi domestici di fresco su un numero relativamente ridotto di specie. Nel 2004, le prime venti specie di pesce fresco consumate in casa hanno un’incidenza del 76,6% in volume e del 72,1% in valore sugli acquisti familiari di pesce fresco; prendendo in esame solamente le prime dieci, il peso è del 52,1% in volume e del 43,2% in valore. Accanto ai mitili, che si confermano come il prodotto maggiormente gradito dalle famiglie italiane, vi sono diversi prodotti pescati, come il pesce azzurro (soprattutto alici, ma anche sardine e sgombri), i molluschi cefalopodi, come calamari, polpi e seppie, ed i merluzzi e le sogliole. Ma anche e soprattutto prodotti prevalentemente o esclusivamente allevati: orate e spigole, trote (incluse le salmonate) e salmoni, vongole e i già menzionati mitili raggiungono un peso in volume di oltre un terzo sul totale degli acquisti di prodotti freschi.

In effetti, negli ultimi anni, il mercato italiano si è progressivamente caratterizzato per la presenza di molti prodotti allevati, sia di origine nazionale che di importazione (come nel caso dei salmoni, ma anche per le spigole e le orate). Determinante il ruolo della distribuzione moderna che a partire dagli anni ’90, con l’introduzione dei banchi del pesce fresco nei propri punti di vendita, ha privilegiato soprattutto il prodotto allevato, in grado di garantire, a differenza del pescato, flussi di approvvigionamento costanti nel tempo,

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quantità elevate, pezzature e qualità standard, prezzi non soggetti a forti oscillazioni. Non solo per spigole, orate e salmoni, ma anche per molti altri prodotti (tra i principali, calamari, polpi e seppie, merluzzi, sogliole, pesce spada, gamberi, gamberetti e mazzancolle) il crescente ricorso agli acquisti oltre frontiera è riuscito a soddisfare parte della domanda, per i consumi sia domestici che extradomestici, non essendo la produzione nazionale in grado di soddisfare totalmente le richieste interne. (143)

Facendo un analisi delle categorie merceologiche più acquistate dagli italiani, dai dati più recenti sui consumi domestici forniti dall’Osservatorio Ismea-ACNielsen, riferiti all’anno 2006, emerge che è aumentata la domanda di prodotti ittici congelati/surgelati (+9,7%), di quelli freschi e decongelati sfusi (+3,5%) e di conserve e semiconserve (+3,2%), ossia delle categorie che incidono maggiormente sugli acquisti in volume dei prodotti ittici, per le quali si è registrato anche un aumento di spesa, rispettivamente del 10,1%, del 10,9% e del 10,0%. Tra i prodotti congelati/surgelati è stata evidenziato un aumento delle richieste del mollame (+9,8%), dei filetti di merluzzo al naturale (+9,1%) e dei bastoncini (+7,7%). Tra le conserve si ricorda l’aumento di consumi di tutte le categorie e in particolare del tonno sott’olio (+1,5%) e di quello al naturale (+11,1%). Nel freso e decongelato sfuso le maggiori richieste si sono avute per i pesci di mare (+6,7%), in particolare pesce spada (+17,4%), spigole (+17,2%), orate (+6,2%) e pesce azzurro (+6,1% per le sardine, +5,3% per gli sgombri e +1,1 per le alici). I consumi dei crostacei sono saliti del 2,8%, mentre quelli di pesce di acqua dolce solo dello 0,5%. Rispetto al 2005 sono scesi i consumi di seppie, mitili e vongole. Infine per quanto riguarda i prodotti secchi, salati e affumicati e quelli congelati sfusi, sono stati rilevati un lieve incremento nel primo caso (un + 0,8% dovuto all’aumento nella domanda del salmone affumicato) e la stabilità nel secondo caso. (55)

Sempre in base ad alcuni dati forniti dall’Osservatorio Ismea-ACNielsen (2000-2004) è possibile tracciare un identikit del consumatore italiano, la

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maggior parte lo mangia da una (45,7%) a tre volte alla settimana (14,6%), più al sud (39,2%) che nel centro nord (32-36%); in maggioranza lo compra in pescheria (61,9%) o sui banchi dei mercati rionali (22,2%). (68)

Alcune categorie merceologiche di prodotti ittici: Pesce fresco, congelato, mitili, affumicato, surgelato, conserve di pesce, acciughe salate, pesce secco.

(34)

P

salutistiche, confermano che un consumo regolare di pes

ua alta digeribilità, per l’elevato

pesce, nei molluschi e nei crostacei, quando viene

pesci e dei vertebrati minori differiscono da quelli degli animali

el e

la sarda sono tra le specie ittiche che contengono quantità maggiori di proteine. erché consumare pesce?

Numerose campagne

ce, almeno due o tre volte alla settimana, è consigliato, per una alimentazione sana e corretta. (31) Inoltre gli effetti benefici alla salute riconosciuti agli oli di pesce, insieme al ruolo svolto da questo alimento nella prevenzione delle malattie cardiache, principali cause di morte nel mondo sviluppato, sono sicuramente fattori che hanno contribuito ad indirizzare i consumi nei confronti dei prodotti ittici. (35)

Il pesce, infatti è un ottimo alimento per la s

contenuto proteico ad alto valore biologico, di minerali e vitamine e per la particolare composizione della frazione lipidica. (31,142) Contiene infatti proteine di elevata qualità, per la ricchezza in aminoacidi essenziali. Il contenuto proteico totale di una specie dipende da numerosi fattori biologici e ambientali (sesso, età, maturità sessuale, condizioni nutritive, ecc.) e può quindi variare nel tempo.

Il tessuto connettivo nel

riscaldato attraverso la cottura, si ammorbidisce e si dissolve molto più facilmente di quanto invece accade alla carne degli animali terrestri, tale caratteristica lo rende più prontamente digeribile da parte degli enzimi digestivi. (4)

I muscoli dei

terrestri anche perché contengono grandi quantità di proteine che legano calcio, che sono utilizzate per effettuare movimenti muscolari estremamente rapidi. Il contenuto proteico dei prodotti della pesca può variare tra l’8% e il 21% d peso fresco, ma la maggior parte delle specie ne contiene tra il 18% e il 21%. Contengono meno proteine i crostacei e meno ancora i molluschi, mentre l uova di pesce possono contenerne anche il 30%. Il contenuto non varia molto a seconda della stagione di pesca. Il tonno, la spigola d’allevamento, il pagello e

(35)

In base al contenuto di grasso (lipidi) i pesci si possono distinguere in:

• molto magri, con grasso inferiore all’1% e sono per esempio la razza, il nasello, il gambero;

• magri, (lipidi tra 1 e 3%), per esempio la sogliola, spigola, palombo, rombo, calamaro, seppia, cozze e vongole, aragosta;

e i lipidi che contiene non sono solo importanti per la nostra salute,

zona

presenti nei lipidi di deposito dei pesci e dei mammiferi • semigrassi (con lipidi tra il 3 e il 10%) come la sarda, il dentice, la triglia, il tonno, il pesce spada e il sarago;

• grassi (con lipidi superiore al 10%) come l’anguilla, l’aringa, lo sgombro, il salmone.

Il pesce ha in media un contenuto di grasso inferiore a quello della carne, circa del 20%,

bensì essenziali perché il nostro organismo non è in grado di sintetizzarli. Per quanto riguarda la quantità e il tipo di acidi grassi polinsaturi presenti nei prodotti della pesca, tra cui gli omega 3 e 6, possono dipendere da specie, geografica, temperatura delle acque, salinità dell’acqua, ciclo riproduttivo e stagione di pesca.

Le principali fonti alimentari di questi acidi sono semi dei cereali, leguminose, mentre altri sono

acquatici che si nutrono di fitoplancton. Non sono ancora definite le quantità da raccomandare in quanto non si conoscono i fabbisogni dell’organismo. Tuttavia gli studi finora condotti confermano sia l’importanza di acidi grassi polinsaturi della serie w 3 nella prevenzione delle malattie cardiocircolatorie che il ruolo della serie w 6 nel metabolismo lipidico. (4) Agli acidi grassi Omega 3 sono, inoltre, state attribuite funzioni esenziali per lo sviluppo celebrale, per la retina, nel contrasto dei radicali liberi, principale causa dell’invecchiamento cutaneo e secondo studi recenti, per la prevenzione della depressione post-parto e per ridurre il rischi di aborto, se assunto durante la gravidanza.

(36)

Per quanto riguarda il contenuto di micronutrienti (sali minerali e vitamine), il contenuto di sali minerali nella carne di pesce è di (0,8-2%), con la prevalenza

Il tenore delle proteine

Principali costituenti delle parti edibili di alcune specie ittiche (valori espressi per 100 g di parte edibile fresca)

di fosforo, calcio e iodio nel pesce marino. Le vitamine più rappresentate sono le vitamine del gruppo B contenute nel muscolo, tra queste la niacina (vitamina PP) è particolarmente abbondante nel pesce azzurro e le vitamine A e D contenute nei pesci grassi e nel fegato di quelli magri.

La carne dei molluschi e dei crostacei ha una composizione analoga a quella del pesce magro, con alcune caratteristiche peculiari.

(13-18%) è leggermente inferiore rispetto agli altri pesci, i glucidi sono piuttosto abbondanti (6-10%), il tenore dei grassi è basso (1-2%), i crostacei hanno elevato contenuto di colesterolo più elevato rispetto ai molluschi e ai pesci, infine le cozze e le ostriche contengono elevate percentuali di ferro e vitamina C. Tabella -Denominazione di specie Proteina (grammi) Grassi (grammi) Acqua (grammi) Sostanze minerali (grammi) Carpa 14,3 - 19,1 0,5 - 24,5 75,5 - 82,1 0,9 - 1,4 Pesce Gatto 15,4 - 22,8 0,3 - 11,0 68,0 - 82,6 0,9 - 1,7 Merluzzo atlantico 16,5 - 20,7 0,1 - 0,8 78,2 - 82,6 1,0 - 1,2 Anguilla 18,0 12,7 - 21,5 62,2 - 70,1 1,3 Merluzzo eglefino 15,4 - 19,6 0,1 - 1,2 79,1 - 81,7 1,0 - 1,2 Aringa 15,2 - 21,9 2,4 - 29,1 52,6 - 78,0 1,7 Sgombro 15,1 - 23,1 0,7 - 24,0 49,3 - 78,6 1,0 - 3,0 Gamberi 8,9 - 23,2 0,3 - 3,1 67,5 - 80,6 1,6 - 5,2 Salmone rosa 17,2 - 20,6 2,0 - 9,4 69,0 - 78,2 1,1 - 1,4 Sardina 19,0 3,7 77,1 2,6 Sqaloisi 14,9 - 27,1 0 - 2,9 72,0 - 76,9 1,0 - 2,0 da Wheaton e La ro u oducts. I fonte

importante di acidi grassi polinsaturi,

vitamine. Può succedere che nei prodotti da allevamento intensivo, accresciuti wson, 1985. P cessing aq atic Food Pr New York

prodotti di acquacoltura, proprio come i pesci selvaggi, sono una

(37)

con diete artificiali, la quantità di grasso sia superiore rispetto alla stessa specie non allevata, altra differenza tra pesce allevato e pescato riguarda la consistenza delle carni, che a volte può risultare minore nei prodotti di allevamento. (31,142)

Le differenza fondamentale tra carne e prodotti della pesca, riguarda il contenuto medio di proteine e lipidi, che nei prodotti ittici è più basso. Per tali motivi sono anche meno calorici e quindi adatti per diete ipocaloriche. Se si

ché di alcune vitamine guarda al tipo di lipidi, il pesce contiene per lo più acidi grassi polinsaturi a catena lunga mentre la carne soprattutto grassi saturi.

Le proteine del pesce sono più facilmente digeribili rispetto a quelle della carne perché contengono meno tessuto connettivo. I pesci sono più ricchi di alcuni sali minerali come iodio, zinco, selenio e fluoro non

come la vitamina A e la B 12 , mentre la carne solitamente contiene più ferro biodisponibile. (4)

Figura

Tab. - La pesca nel Mediterraneo in Italia, anni 2000 e 2005
Tab. - La produzione italiana di acquacoltura (2000-2006) (Ton)

Riferimenti

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