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Le colonne e le citta. Le cellule brigatiste e il loro rapporto con il territorio, 1969-1982. I casi di Genova, di Napoli e del Veneto.

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Scuola di Dottorato in Storia, Orientalistica e Storia delle Arti

Corso di dottorato in Storia

XXVIII ciclo

Anno accademico 2016-17

Le colonne e le città.

Le cellule brigatiste e il loro rapporto con il territorio,

1969-1982.

I casi di Genova, di Napoli e del Veneto.

Tutor:

Luca Baldissara

Dottoranda:

Chiara Dogliotti

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Abbreviazioni

ACS: Archivio Centrale dello Stato

ACSEL: Archivio del Centro Studi Ettore Luccini AFF: Archivio Fondazione Feltrinelli

AICSR, Archivio dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza AIP: Archivio dell’Istituto Parri

AMGe: Archivio dei Movimenti di Genova BCB: Biblioteca civica Berio di Genova BCP: Biblioteca civica di Padova BNF: Biblioteca Nazionale di Firenze BNN: Biblioteca Nazionale di Napoli BQS: Biblioteca Querini Stampalia CdL Genova: Camera del lavoro di Genova

CDSLM: Centro di Documentazione di Storia Locale di Marghera FLP: Federazione Ligure del Pci

TPGe: Tribunale penale di Genova TPNa: Tribunale penale di Napoli TPPd: Tribunale penale di Padova TPRm: Tribunale penale di Roma TPVe: Tribunale penale di Venezia TPVr: Tribunale penale di Verona

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Introduzione.

Questa ricerca propone uno studio del fenomeno delle Brigate Rosse attraverso le articolazioni periferiche, che ne restituiscono la dimensione fattuale e concreta in modo da fornire un importante tassello alla più generale ricostruzione del fenomeno della violenza armata nei Settanta. Senza voler negare il carattere centralizzato e monolitico dell’organizzazione brigatista, si ritiene infatti che la ricostruzione delle fisionomie delle diverse colonne, con particolare attenzione agli elementi specifici che le differenziano una dall’altra, permetta di approfondire la conoscenza nella sua realtà fattuale di un fenomeno di cui, viceversa, si sono spesso enfatizzate le caratteristiche di estraneità rispetto al mondo circostante e di astrazione ideologica: un approccio che, se pure individua un tratto caratteristico delle Br, può portare ad atteggiamenti rinunciatari rispetto alla sua comprensione.

1. Stato dell’arte

Fino a una quindicina di anni fa la storiografia presentava un panorama molto scarno relativamente alla lotta armata e alla violenza politica degli anni Settanta con alcune importanti eccezioni: l’approfondita ricerca portata avanti dall’Istituto Cattaneo di Bologna nei primi anni Ottanta, proprio a ridosso degli eventi1 e il lavoro di Nicola Tranfaglia, anche questo svolto a breve distanza dai fatti, che utilizza le fonti orali per indagare i percorsi di vita, le culture politiche e le ragioni della scelta armata di alcuni militanti2. A fronte della carenza di lavori storiografici, vi è stato un proliferare, soprattutto a partire dagli anni Novanta, della memorialistica3, in particolare di quella degli autori della violenza politica a cui si è contrapposto il silenzio delle vittime4 e delle ricostruzioni

1 R. Catanzaro (a cura di), Ideologie movimenti terrorismo, Il Mulino, Bologna, 1980; D. Della Porta, M. Rossi, Cifre

crudeli. Bilancio dei terrorismi italiani, Il Mulino, Bologna, 1984; D. Della Porta (a cura di), Terrorismi in Italia, Il

Mulino, Bologna, 1984; D. Della Porta., Il terrorismo di sinistra, Il Mulino, Bologna, 1990.

2 D. Novelli, N. Tranfaglia, Vite sospese, Garzanti, Milano, 1988.

3Tra le molte biografie e autobiografie ricordiamo: B. Balzerani, Compagna luna, Feltrinelli, Milano, 1998; G. Bianconi,

Mi dichiaro prigioniero politico. Storie delle Brigate rosse, Einaudi, Torino, 2003; G. Bocca, Noi terroristi, Garzanti,

Milano, 1985: L. Braghetti, P. Tavella, Il prigioniero, Feltrinelli, Milano, 2003; R. Curcio, A viso aperto. Vita e memorie

del fondatore delle BR, Mondadori, Milano, 1993; A. Franceschini, P. V. Buffa, F. Giustolisi, Mara, Renato e io ,

Mondadori, Milano, 1998; P. Gallinari, Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse, Bompiani, Milano, 2006; V. Guagliardo, Di sconfitta in sconfitta, Colibrì edizioni, Paderno Dugnano, 2002; M. Moretti,

Brigate Rosse. Una storia italiana. Intervista di C. Mosca e R. Rossanda, Baldini & Castoldi, Milano, 1998; S. Mazzocchi, Nell’anno della tigre. Storia di Adriana Faranda, Baldini&Castoldi, Milano, 1994; P. Moroni, IG Rote Fabrik (a cura

di), Le parole e la lotta armata. Storia vissuta e sinistra militante in Italia, Germania, Svizzera, Shake, Milano, 1999; V. Morucci., Ritratto di un terrorista da giovane, Piemme, Casale Monferrato, 2005; G. Pansa, Storie italiane di violenza e

terrorismo, Laterza, Roma-Bari, 1980; S. Podda, Nome di battaglia Mara, Sperling&Kupfer, Milano, 2007. Citiamo

infine il Progetto memoria che è qualcosa di più complesso e ambisce a restituire un ampio quadro del fenomeno attraverso la ricostruzione delle biografie, ma anche dei documenti e delle formazioni: Progetto Memoria, La mappa perduta, Sensibili alle foglie, Roma, 1994; Progetto memoria, Le parole scritte, Sensibili alle foglie, Roma, 1995; Progetto memoria, Sguardi ritrovati, Sensibili alle foglie, Roma, 1996.

4 Oggi da questo punto di vista la situazione è sostanzialmente invertita e al centro della narrazione sono poste ora, come

in altri ambiti della ricerca storica avviene ormai da anni, le vittime: si vedano G. Fasanella, A. Grippo, I silenzi degli

innocenti, Rizzoli, Milano, 2006; A. Conci e al. (a cura di), Sedie vuote. Gli anni di piombo: dalla parte delle vittime,

Brescia, Il margine, 2009; G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Milano, Feltrinelli, 2011, pp. 16, 82; R. Glynn, The “turn of the victim” in Italian culture: victim-centred narratives of Anni di piombo, in Modern Italy, n. 4, 2013, p. 373; E. Betta, Memorie in conflitto. Autobiografie della lotta armata, «Contemporanea», 2009, n. 4, pp. 673-701. Per questa memorialistica citiamo M. Calabresi, Spingendo la notte più in là. Storia della mia

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giornalistiche5; questo proliferare del discorso pubblico ricco di immagini e concetti imprecisi ma pervasivi, difficili da decostruire, può essere considerato uno degli ostacoli che si sono frapposti tra la riflessione storica e questo oggetto di studio6.

Un altro motivo di questo mancato confronto potrebbe risiedere nella scarsa disponibilità di fonti, dal momento che i documenti prodotti dalle istituzioni dello Stato sono stati a lungo di difficile se non impossibile consultazione, a causa della natura criminale del fenomeno e delle sue ripercussioni sulla sicurezza dello stato. Tuttavia la ragione fondamentale di questo ritardo negli studi risiede probabilmente nella natura dell’oggetto con le sue implicazioni politiche, ideologiche, morali, luttuose, criminali: tutti ambiti “ad alta tensione emotiva” che scatenano passioni e rivendicazioni, provocano irrigidimenti, reticenze, strabismi e silenzi, turbano gli animi e le coscienze; tutti elementi che ostacolano una equanime e ponderata riflessione storica, soprattutto da parte di persone vicine, per ragioni anagrafiche, agli avvenimenti.

Negli ultimi quindici anni la situazione è cambiata e il panorama storiografico si è notevolmente arricchito sia grazie a lavori che restituiscono un quadro globale del fenomeno7, sia grazie a ricostruzioni di aspetti specifici e particolarmente significativi; tra questi sta conoscendo un considerevole sviluppo, non solo in Italia, lo studio dei temi legati alla reazione al terrorismo: le misure repressive e investigative adottate, il tema dell’equilibrio tra difesa dello stato e tenuta delle garanzie democratiche, anche in conseguenza delle nuove drammatiche sfide poste dal terrorismo islamico internazionale8; sono stati inoltre affrontati, in importanti e recenti studi, il tema del rapporto

famiglia e di altre vittime del terrorismo, Mondadori, Milano, 2007; G. Fasanella, S. Rossa, Guido Rossa, mio padre,

Bur, Milano, 2006; B. Tobagi, Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre, Einaudi, Torino, 2009.

5 Tra questa vasta produzione vale la pena citare almeno due testi: la ricostruzione di ampio respiro condotta da Zavoli

in S. Zavoli, La notte della Repubblica, Mondadori, Milano, 1985 e il libro di Giorgio Bocca che fornisce interessanti spunti interpretativi in un anno cruciale: G. Bocca, Il terrorismo italiano, 1970-1978, Rizzoli, Milano, 1978.

6 M. Scavino, Una ricerca difficile in «Contemporane», 4/2013, pp. 623-627, p.624

7Cfr. M. Calvi, A. Ceci, A. Sessa, G. Vasaturo, Le date del terrore. La genesi del terrorismo italiano e il microclima

dell'eversione, Luca Sossella editore, Roma, 2003; M. Clementi, Storia delle Brigate Rosse, Odradek, Roma, 2007; M.

Clementi, P. Persichetti, E. Santaelena, Brigate rosse. Dalle fabbriche alla campagna di primavera, DeriveApprodi, Roma, 2017; M. Lazar, M.A. Matard-Bonucci (a cura di), Il libro degli anni di piombo. Storia e memoria del terrorismo

italiano, Rizzoli, Milano, 2008; L. Manconi, Terrorismo italiano. Le Brigate Rosse e la guerra totale. 1970-2008, Rizzoli,

Milano, 2008; G. Panvini, Ordine nero e guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta

(1966-1975), Einaudi, Torino, 2009; S. Neri Serneri (a cura di), Verso la lotta armata. La politica della violenza nella sinistra radicale degli anni Settanta, Il Mulino, Bologna, 2012; A. Ventrone (a cura di), I dannati della rivoluzione. Violenza politica e storia d’Italia negli anni Sessanta e Settanta, Edizioni Universitarie di Macerata, Macerata, 2010; A.

Ventura, Per una storia del terrorismo italiano, Donzelli, Roma, 2010.

8 Si vedano S. Reichardt, Nuove prospettive sul terrorismo europeo degli anni Settanta e Ottanta, «Ricerche di storia

politica» 2010, n. 3, pp. 343-366; S. Lupo, Terrorismo e mafie: sfida e risposta al convegno Sissco L’Italia nell’era della

globalizzazione, Aosta 13-15 settembre 2012; B. de Graaf, Evaluating Couterterrorism Performance. A Comparative Study, Routledge, London-New York, 2011; R. J. Art, Louise Richardson (a cura di), Democracy and Counterterrorism. Lessons from the Past, United States Institute of Peace Press, Washington, DC, 2007; L. Bosi, C. Demetriou, S. Malthaner

(a cura di), Dynamics of Political Violence. A Process-Oriented Perspective on Radicalisation and the Escalation of

Political Conflict, Ashgate, Farnham (Surrey), 2014; M. Fioravanzo, Stato e terrorismo. Dalla politica dei piccoli passi alla legislazione antiterroristica, “Italia Contemporanea”, 265, 2011; T. Hof, Staat und Terrorismus in Italien 1969-1982,

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tra mondo cattolico e violenza politica, quello dell’incubazione della stagione delle armi e quello del del confronto delle vittime, dei militanti, della politica e della magistratura con la fine della stagione della lotta armata9; in particolare è interessante notare come lo studio di Cento Bull e Cooke rivolga una particolare attenzione al ruolo e al punto di vista delle vittime, non escludendo dal quadro i terroristi, ma facendo delle prime il fulcro dello studio.

La storiografia ha prodotto anche studi comparativi tra diversi casi nazionali10, una pista di ricerca abbastanza recente11 importante che consente di ricollocare le espressioni di violenza politica nel più ampio contesto del decennio dei Settanta in Occidente e di cogliere con maggiore precisione le peculiarità delle diverse situazioni e al contempo gli elementi di affinità, contribuendo a fornire elementi per un’interpretazione più sottile e complessa del fenomeno.

Inoltre, la ricerca storica tende oggi inoltre a confrontarsi con i Settanta nei suoi diversi aspetti economici, politici e sociali senza appiattire l’intero decennio sulla sola dimensione della violenza, ma cercando di restituire una chiave di lettura interpretativa di un’epoca per molti versi considerata periodizzante e riflettendo sull’ambivalenza di questi anni insieme di approfondimento e di crisi della democrazia12.

9 Si vedano nell’ordine G. Panvini, Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano,

Marislio, Venezia, 2014; G. Donato, «La lotta è armata», DeriveApprodi, Roma, 2013; M. Galfrè, La guerra è finita.

L’Italia e l’uscita dal terrorismo 1980-1987, Laterza, Roma-Bari, 2014 e A. Cento Bull, P. Cooke, Ending Terrorism in Italy, Routledge, London-New York, 2013; grande interesse rivestono anche l’analisi dei documenti delle BR in V.

Tessandori, BR. Imputazione banda armata. Cronache e documenti delle Brigate Rosse, Baldini&Castoldi, Milano, 2000 e quella della memorialistica in G. Tabacco, Libri di piombo. Memorialistica e narrativa nella lotta armata in

Italia, Bietti, Milano, 2008 e l’approfondito scavo di Gotor sulle parole scritte da Moro in M. Gotor, Il memoriale della Repubblica. Gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l’anatomia del potere italiano, Einaudi, Torino, 2011.

10 Si veda J. Varon, Bringing the War Home. The Weather Underground, the Red Army Faction, and Revolutionary

Violence in the Sixties and Seventies, University of California, Berkeley, 2004; C. Corneliβen, B. Mantelli, P. Terhoeven

(a cura di), Il decennio rosso. Contestazione sociale e conflitto politico in Germania e in Italia negli anni Sessanta e

Settanta, Il Mulino, Bologna, 2012; M. Tolomelli, Terrorismo e società. Il pubblico dibattito in Italia e in Germania negli anni Settanta, Il Mulino, Bologna, 2006; J. Hürter, G.E. Rusconi (a cura di), Die bleiernen Jahre. Staat und Terrorismus in der Bundesrepublik Deutschland und Italien 1969- 1982, Oldenbourg, München, 2010; Social Movements, Political Violence and the State. A Comparative Analysis of Italia and Germany, Cambridge University Press, Cambridge, 1995;

I. Sommier, La violence politique et son deuil. L’après 68 en France et en Italie, Presses Universitaires de Rennes, Rennes, 1998 ; I. Sommier, La violenza rivoluzionaria. Le esperienze di lotta armata in Francia, Germania, Giappone,

Italia e Stati Uniti, DeriveApprodi, Roma, 2009; M. Grispigni, Quella sera a Milano era caldo, Manifestolibri, Roma,

2016.

11 Sebbene questo genere di comparazioni fossero poco frequentate fino a una quindicina di anni fa, non va dimenticato

questo studio dell’Istituto Cattaneo risalente ai primi anni Ottanta: D. Della Porta, G. Pasquino (a cura di), Terrorismo e

violenza politico. Tre casi a confronto: Stati Uniti, Germania e Giappone, Il Mulino, Bologna, 1983.

12 Cfr. G. Amato, A. Graziosi, Grandi illusioni. Ragionando sull’Italia, Il Mulino, Bologna, 2013; L. Baldissara (a cura

di), Democrazia e conflitto. Il sindacato e il consolidamento della democrazia negli anni Cinquanta, Franco Angeli, Milano, 2006; L. Baldissara., Le radici della crisi. L’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, Carocci, Roma, 2001; M. E.D. Berkowitz, Something happened. A Political and Cultural Overwiew of the Seventies, Columbia University Press, New York, 2006; A. De Bernardi, V. Romitelli, C. C. Cretella, Gli anni Settanta. Tra crisi mondiale e movimenti collettivi, Archetipolibri, Bologna, 2009; A. Giovagnoli, S. Pons (a cura di), L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, Rubettino, Soveria Mannelli, 2003; F. Lussana, G. Marramao, F. Malgeri, L. Paggi, G. De Rosa, G. Monina, L’Italia

repubblicana nella crisi degli anni Settanta, Rubettino, Soveria Mannelli, 2003; L. Baldissara, I lunghi anni Settanta. Geneaologie dell’Italia attuale, in G. Battelli, A. M. Vinci (a cura di), Parole e violenza politica. Gli anni Settanta nel Novecento italiano, Carocci, Roma, 2013, pp. 31-47.

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Vanno ricordati alcuni studi che allargano la prospettiva, affrontando la questione generale della violenza come oggetto storiografico e dei concetti di violenza politica, di terrorismo e delle loro diverse accezioni nelle differenti epoche storiche.13

Da ultimo, è interessante esaminare la bibliografia relativa ai tre territori in esame nel presente lavoro, operazione che consente di gettare una prima luce sulle peculiarità e le somiglianze dei diversi contesti anche dal punto di vista di cosa è rimasto al centro della memoria e dell’interesse degli studiosi in ognuna di queste realtà. Salvo poche eccezioni, non si tratta di lavori di taglio storiografico, ma di ricostruzioni giornalistiche e giudiziarie o di memorialistica; gran parte della bibliografia, per quanto riguarda i territori settentrionali, è molto recente, mentre i pochi studi su Napoli sono più datati e mancano lavori centrati sul fenomeno brigatista. Per quanto riguarda il capoluogo campano abbiamo infatti a disposizione volumi sul contesto o su aspetti di esso, in particolare sul movimento e la sinistra radicale14, sulla guerra di camorra15, sul terremoto e la ricostruzione16 e sui Nap17, ma non sulla colonna brigatista e le sue vicende18, con l’eccezione del caso Cirillo, soprattutto a causa delle sue

13 L. Baldissara, Culture della violenza e invenzione del nemico in «Contemporanea» n.3, 2006, p. 514; L. Bosi, M.S.

Piretti, Violenza politica e terrorismo: diversi approcci di analisi e nuove prospettive di ricerca in «Ricerche di storia politica», 3, 2008; F. Fasce, A, Giannuli, La categoria del terrorismo: la sua pertinenza storica e l’uso adottato dai mezzi

di informazione, in M. Dondi (a cura di), I rossi e i neri, Controluce, Nardò, 2008, pp. 31-98; A. Blin, G. Chaliand (a cura

di), Storia del terrorismo, Utet, Torino, 2007; L. Bonante, Terrorismo, politica e virtù in «Passato e presente» n. 60, 2006, p. 29; A. Lenzi, M. Malizia, Ripensando la violenza politica. Appunti sui confini di una categoria in «Zapruder» n.32, 2013; D. Rapoport, Modern Terror: The Four Waves, in A. Cronin, J.M. Ludes (eds.), Attacking Terrorism: Elements of

a Grand Strategy, Georgetown University Press, Washington D.C., 2004, p. 46; E. Traverso, Studiare la violenza in

«Contemporanea» n.3, 2006, p. 494.

14 F. Barbagallo., Il Sessantotto a Napoli. Lotte universitarie e potere accademico, in “Italia Contemporanea” , n. 175,

1989, p. 83; S. Casaburi – G. Chianese, Per una storia sociale del ’68 a Napoli, in Giulio De Martino (a cura di), Il 1968.

Un’idea nuova di libertà?, numero monografico di “Nord e Sud”, anno XLV, n. 6-7, giugno-luglio 1998, p. 138; G.

Chianese, Crisi sociale e cultura operaia nel Mezzogiorno. Dall’autunno caldo agli anni Settanta, in “Italia Contemporanea”, 2003, n. 232, p. 467; Napoli Frontale. Documenti immagini e Suoni sul Sessantotto a Napoli. Politica,

soggetti sociali e altre storie, Biblioteca nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III, 9-25 giugno 1998, Catalogo della mostra, s.e., s.l., 1998; Rossi rossi rossi …briganti rossi. Controinchiesta sulla repressione del sud e sul sequestro dei compagni Fiora Pirri, Lanfranco Caminiti, Ugo Melchionda e Davide Sacco, Stampa alternativa, Roma, 1978.

15 P. Arlacchi, Camorra, contrabbando e mercato della droga in Campania, in Id., Droga e grande criminalità in Italia

e nel mondo, Sciascia, Caltanissetta-Roma, 1988; G. Gribaudi (a cura di), Traffici criminali. Camorra, mafie e reti internazionali dell’illegalità, Bollati Boringhieri, Torino, 2009; C. Castellano, Origini, genealogie, confini: fare storia della camorra, in «Passato e presente», n.91, 2014, p. 15.; I. Sales, Le strade della violenza, L’ancora del mediterraneo,

Napoli, 2006; T. Behan, See Napoli and die. The Camorra and Organised Crime, I.B. Tauris Publishers, New York-London, 2002.

16 F. Barbagallo., Napoli fine Novecento. Politici camorristi imprenditori, Einaudi, Torino, 1997; F. Barbagallo, I.

Sales, A. Becchi Collidà (a cura di), L’affaire terremoto. Libro bianco sulla ricostruzione, Sciba, Angri, 1989.

17 V. Lucarelli, Vorrei che il futuro fosse oggi. Nap: ribellione, rivolta, lotta armata, L’ancora del Mediterraneo, Napoli,

2010; R. Ferrigno, Nuclei Armati Proletari. Carceri, protesta, lotta armata, La Città del Sole, Napoli,2000; Soccorso Rosso (a cura di), I NAP, Collettivo librirossi, Milano, 1976. Contributi alla ricostruzione della storia dei Nap sono presenti anche in C. De Vito, Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia. 1943-2007, Laterza, Roma-Bari, 2009 e in M. Clementi, P. Persichetti, E. Santaelena, Brigate rosse. Dalle fabbriche alla campagna di primavera, op. cit..

18 Esiste in realtà un libro che ricostruisce le vicende della colonna napoletana, ma si tratta della pubblicazione della

sentenza in cui vennero imputati i terroristi napoletani a cura di due avvocati: F.M. Tucillo, L. Tucillo, Il sangue sulle

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ripercussioni sulla vita politica nazionale, su cui sono stati pubblicati alcun volumi, ma nessuno di taglio storiografico19.

La bibliografia disponibile per Veneto e Genova è decisamente più corposa; per entrambi questi contesti mantiene un posto centrale l’antico dibattito che opponeva il Pci alla sinistra radicale con le posizioni dell’epoca che paiono essersi cristallizzate nel tempo e senza che si intraveda la possibilità di una mediazione tra quanti ritengono che il Pci svolse un’operazione di pulizia alla propria sinistra attraverso la criminalizzazione di un dissenso anche radicale, ma legittimo e quanti rappresentano il partito come un baluardo della democrazia contro i movimenti eversivi e violenti che stavano minando le fondamenta della repubblica. Non stupisce che nella Genova di Guido Rossa, il ruolo e l’operato delle organizzazioni istituzionali del movimento operaio siano oggetto di viva attenzione e spiccata sensibilità: così l’uscita di un libro fortemente critico verso il Pci in quel frangente storico ha provocato un acceso dibattito che ha dimostrato ampiamente come quel passato sia ancora per molti assai vivo e bruciante20. Se la figura e la vicenda di Guido Rossa costituiscono il tema forse più coinvolgente sul piano emotivo e politico, al centro di diverse narrazioni21, anche la storia del gruppo armato 22 ottobre viene raccontata diverse volte nel corso dei decenni: l’eccezionalità di questa esperienza, prima in Italia, a cavallo tra banditismo e lotta politica, piuttosto sgangherata nella sua realtà, ma che ebbe importanti ripercussioni nella galassia della sinistra radicale, ha continuato a suscitare interesse nel tempo22. Solo in tempi recentissimi è comparsa una esaustiva ricostruzione della storia della lotta armata nel capoluogo ligure, in cui un taglio scientifico e una rara e apprezzabile equanimità di giudizio si accompagnano a una suggestiva capacità di rievocazione ambientale23

19 C. Alemi, L’affare Cirillo. L’atto di accusa del giudice Alemi, Editori Riuniti, Roma,1989, pubblicazione della sentenza

del giudice Alemi; G. Granata, Io, Cirillo e Cutolo. Dal sequestro alla liberazione, Cento Autori, Villaricca, 2009, tardive memorie del segretario particolare di Cirillo coinvolto nella trattativa; V. Faenza, Il terrorista e il professore, Edizioni Spartaco, Roma, 2014, romanzo thriller ispirato alla vicenda.

20 A. Casazza, Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate Rosse, Derive e Approdi, Roma, 2013. Il

libro, scritto da un giornalista de «Il Secolo XIX», a dispetto del titolo, si concentra soprattutto sulle vicende giudiziarie di un gruppo di militanti dell’estrema sinistra genovese, accusati di appartenere alle Br e poi, nella quasi totalità dei casi, assolti da ogni imputazione dopo una lunga e tormentata teoria di processi, arresti e detenzioni. Una sorta di risposta a questo libro è stata la pubblicazione di un volume uscito poco dopo, che ha raccolto i contributi di diversi esponenti del Pci genovese di allora, R. Speciale (a cura di), Gli anni di piombo. Il terrorismo tra Genova, Milano e

Torino. 1970-1980, De Ferrari, Genova, 2014. Una sintesi delle posizioni del dibattito è ricavabile dal blog Centro In Europa:

https://centroineuropa.wordpress.com/2014/01/07/appunti-sul-terrorismo-di-ieri-in-margine-ad-un-libro-di-oggi/

21 Si pensi al film di Giuseppe Ferrara Guido che sfidò le Brigate Rosse, alla graphic novel N. Giusti, Guido Rossa, un

operaio contro le Br, Round Robin Editore, Roma, 2009; al libro di memorie scritto dalla figlia della vittima con il

giornalista Fasanella: S. Rossa e G. Fasanella, Guido Rossa, mio padre, Bur, Milano, 2006. Ma la vicenda occupa un posto centrale anche nel libro autobiografico di Fenzi: E. Fenzi, Armi e bagagli. Un diario dalle Brigate Rosse, Costa&Nolan, Genova, 2006.

22 P. Piano, La “banda 22 ottobre”. Agli albori della lotta armata in Italia, DeriveApprodi, Roma, 2008; D. Alfonso,

Animali di periferia, Castelvecchi, Roma, 2012.

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Per quanto riguarda il caso veneto, pochi anni orsono è stato pubblicato un lavoro dello storico Carlo Fumian, scritto in collaborazione con il magistrato Pietro Calogero e il giornalista Michele Sartori, che ricostruisce accuratamente la storia della lotta armata nella regione, attraverso l’esame delle fonti giudiziarie e ponendo particolare attenzione ai legami tra i diversi soggetti protagonisti24. Poco dopo la pubblicazione di questo libro, che – come è ovvio dal momento che il magistrato è uno degli autori – assume le conclusioni di Pietro Calogero rispetto alla natura e alle complicità dell’Autonomia operaia organizzata, è stata editata dalle edizioni Il Poligrafo di Padova una ricostruzione del processo del 7 aprile ad opera dell’allora giudice istruttore di Padova, Giovanni Palombarini, che propone il proprio punto di vista sulla vicenda processuale, un punto di vista che, già all’epoca dei fatti, lo contrappose al Calogero25. Queste due pubblicazioni riassumono la frattura che divide la memoria padovana rispetto alla stagione della violenza politica, una memoria non solo divisa, ma decisamente contrapposta e che non pare trovare possibilità di mediazione. Altra recente pubblicazione di taglio scientifico è il libro di Baravelli che indaga il ruolo delle istituzioni dello Stato di fronte al terrorismo, tema assai frequentato dalla più recente storiografia26. Vi sono, infine, altri contributi, di giornalisti, testimoni, avvocati che concorrono a ricostruire il quadro, mostrando sempre un’attenzione particolare per l’Autonomia operaia e per le vicende processuali che coinvolsero i suoi affiliati, a quanto pare il tema più vivo nella memoria padovana, e lasciando, viceversa, maggiormente in ombra la storia della colonna veneta27.

In conclusione, siamo ormai di fronte a un panorama ricco e articolato e, volendo azzardare un bilancio storiografico, si è tentati di affermare che almeno sul versante della storia politica si è raggiunto un livello di conoscenza del fenomeno piuttosto approfondito, sebbene sia condivisibile il giudizio secondo cui è ancora poco sviluppata una ricerca sul tema che si soffermi sugli aspetti concreti dell’esperienza e i suoi legami con il contesto storico in cui matura, giudizio ben espresso da Betta in queste righe: “la ricerca storica abbia indagato la violenza politica privilegiando la sua dimensione culturale e politica, guardando alle sue genealogie e rappresentazioni ideologiche, interrogandola quasi di più dal punto di vista teorico-politico e di produzione discorsiva, mentre il

24 P. Calogero, C. Fumian, M. Sartori, Terrore rosso. Dall’autonomia al partito armato, Laterza, Roma-Bari, 2010. 25 G. Palombarini, Il processo 7 aprile nei ricordi del giudice istruttore, Il Poligrafo, Padova, 2014.

26 A. Baravelli, Istituzioni e terrorismo negli anni Settanta, Viella, Roma, 2016.

27 Particolarmente interessante sul versante della memorialistica è la raccolta di testimonianze curate da Silvia Giralucci,

figlia di una delle vittime delle Br venete: S. Giralucci, L’inferno sono gli altri. Cercando mio padre, vittima delle Br,

nella memoria divisa degli anni Settanta, Mondadori, Milano, 2011. Per quanto riguarda le opere di esponenti della

magistratura e del mondo politico ricordiamo i contributi di Alessandro Naccarato, avvocato e deputato del Partito democratico: A. Naccarato, Violenze, eversione e terrorismo del partito armato a Padova. Le sentenze contro Potere

Operaio, Cleup, Padova, 2008 e A. Naccarato, Difendere la democrazia. Il Pci contro la lotta armata, Carocci, Roma,

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versante materiale e concreto dei diversi contesti territoriali, delle reti di relazione, dell’appartenenza sociale degli attori che hanno agito e subito questa esperienza è stato posto su un piano secondario”28. Sebbene, quindi, ci troviamo di fronte ad una nuova stagione di studi che, in virtù del cambio generazionale, delle nuove fonti a disposizione, della caduta delle vecchie gabbie ideologiche e di una maggiore attenzione al contesto internazionale, sembra essersi affrancata da paradigmi interpretativi datati e fortemente influenzati dai punti di vista soggettivi degli attori coinvolti, tuttavia persiste la difficoltà a storicizzare il fenomeno della violenza politica. Luca Baldissara indica una strada che appare feconda nell’approcciare questo oggetto di studio, suggerendo che la violenza non sia di per sé un problema storiografico ma che rimandi tuttavia a questioni storiografiche importanti e di lungo periodo: la fragilità della democrazia italiana, il rapporto tra società civile e istituzioni statali, i limiti di egemonia della classe dirigente e la storica difficoltà per la classe operaia di vedersi riconosciuta un pieno diritto di cittadinanza che determina due correlate caratteristiche del nostro paese: la cultura del conflitto e la marginalità del riformismo29.

2. Obiettivo del lavoro e metodologia

In questa sede ci si prefigge di fornire un contributo alla maggiore conoscenza di una delle manifestazioni della violenza politica e di tentare una lettura del fenomeno nel quadro del più generale contesto storico e in una prospettiva di lungo periodo. Porre al centro la dimensione territoriale appare un approccio proficuo perché consente di ripartire dalla dimensione fattuale, dai concreti contesti in cui il fenomeno si manifesta e dalle biografie politiche dei militanti; questa prospettiva territoriale deve essere integrata da uno sguardo alle diverse tematiche su cui le Brigate Rosse concentravano la propria attività politica e militare; l’esame di queste tematiche, infatti, porta a definire le diverse correnti ideologiche che attraversavano l’organizzazione. L’incrocio tra queste due diverse prospettive da cui guardare la storia e la struttura dell’organizzazione, insieme

naturalmente alla considerazione della periodizzazione interna del fenomeno, consente di

identificare caratteristiche e momenti di snodo, evitando il rischio di spiegazioni monocausali che non rispettano le sfumature e la complessità del reale.

La metodologia adottata è quella comparativa. Come abbiamo visto, negli ultimi anni si stanno diffondendo studi comparati che pongono a confronto le esperienze di lotta armata in diversi contesti nazionali. In questo caso invece l’ottica comparativa è applicata ad un confronto intra nazionale. A questo proposito, Monica Galfrè che, criticando l’abuso di approcci comparativi riguardo al tema del

28 E. Betta, Violenza politica e anni Settanta in «Contemporanea» 4/2013, pp.613-622, p. 615.

29 Cfr. L. Baldissara, I lunghi anni Settanta. Genealogia dell’Italia attuale in G. Battelli, A. M. Vinci (a cura di), Parole

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terrorismo, ha scritto che “vista la particolarità del paese e della sua storia, l’ottica comparativa sarebbe in primo luogo necessaria per definire lo stesso caso italiano, ricco di varianti locali.”30 L’approccio comparativo viene quindi impiegato per confrontare tre diverse organizzazioni armate rispondenti alle tre colonne prese in esame; lasciando sullo sfondo gli elementi di omogeneità che consentono di procedere ad una comparazione e che in questo caso sono costituiti dalla comune appartenenza all’organizzazione delle Brigate Rosse e la struttura e le funzioni molto simili che ogni colonna aveva nell’economia del gruppo, ci si concentra sulle differenze e i contrasti tra le diverse unità di comparazione per comprendere le ragioni di tali differenze. L’obiettivo è infatti quello di identificare le peculiarità di ogni case study considerato e verificare se queste specificità possono essere correlate ai diversi contesti.

3. Le fonti

Oggi il problema del reperimento di delle fonti per la ricostruzione di questa pagina di storia è in gran parte superato sia per la disponibilità di nuovi documenti in conseguenza della chiusura di procedimenti penali e di misure come quelle adottate in anni recenti per declassificare le carte relative al caso Moro31, sia per la maggiore facilità di reperimento delle carte grazie a lavori come la riproduzione digitale dei fascicoli processuali effettuata a Milano, Brescia, Bologna, Padova e Roma o la mappa degli istituti di conservazione e dei documenti inerenti al tema che fornisce la rete degli archivi per non dimenticare32

Le principali fonti utilizzate per questo lavoro possono essere suddivise in quattro tipologie: fonti giudiziarie, carte prodotte da istituzioni dello stato, documenti prodotti dalle Br, materiale a stampa e documenti prodotti da soggetti politici e culturali attivi nei territori in esame. Per quanto riguarda il primo gruppo si tratta di una grande mole di materiale costituito non solo da fonti formali come le sentenze, ma anche da quelle sostanziali contenenti il materiale probatorio (fascicoli degli imputati, memorie difensive, verbali di interrogatorio, sentenze dei vari gradi di giudizio relative a processi a carico dei brigatisti, chiamate in correità, mandati di cattura e perquisizione e relativi verbali) e conservato presso i tribunali di Padova, Verona, Venezia, Genova e Napoli che è stato possibile consultare e riprodurre.

30 M. Galfrè, Anni Settanta e lotta armata. Una storia da dimenticare? In «Italia contemporanea» 279/2015, pp.

556-580, p. 564

31 Le declassificazioni e i versamenti in ACS da parte degli enti produttori sono avvenuti tra il 2008 e il 2014 su

iniziativa dell’on. Prodi e del Presidente del Consiglio Renzi.

32 M. Di Sivo, Il secondo Novecento e le fonti giudiziarie. Un problema di politica culturale in «Italia Contemporanea»,

275/2014, pp. 372-379; I. Moroni (a cura di), Rete degli archivi per non dimenticare. Guida alle fonti per una storia

ancora da scrivere, Icpal, Roma, 2010 Carlo Schaerf e al. (a cura di), Venti anni di violenza politica in Italia: 1969-1988, Università degli studi di Roma, [Roma, 1992] Cinzia Venturoli, Come studiare il terrorismo e le stragi, Marsilio,

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Da questo vastissimo insieme di carte sono ricavabili un grande numero di informazioni relative all’organizzazione e alla storia delle Brigate Rosse e delle colonne in esame, ai brigatisti e ai loro percorsi biografici e politici, ai rapporti tra le diverse anime della sinistra armata e radicale, alle culture dei giudici, alla successione e alle dinamiche dei fatti criminali, ai documenti, alle strategie e alle ideologie prodotte dalle Br.

D’altro lato, non è difficile ravvisare i limiti posti da questa fonte: i documenti sono il prodotto di un’attività tesa alla ricostruzione di una verità giudiziaria che non è perfettamente sovrapponibile a quella storica e necessitano di un vaglio critico in considerazione di questa differenza, dello scarto tra l’ottica giudiziaria che rileva fatti penalmente rivelanti e responsabili certi di questi fatti33 e il lavoro di ricostruzione, contestualizzazione e interpretazione propria della ricerca storica. Particolare cautela necessita il confronto con le testimonianze: dalla persino ovvia parzialità delle memorie difensive alle dichiarazioni rese in una situazione di soggezione e sotto pressioni più o meno marcate in cui entrano in gioco interessi e passioni che necessariamente inquinano l’obiettività del resoconto (pensiamo solo al rischio e nel contempo alla possibilità di ottenere vantaggi per sé stessi e per i propri sodali o viceversa per sé a scapito o in favore di altri insito nel fornire agli inquirenti una ricostruzione del meccanismo organizzativo del gruppo).

Alessandro Portelli ha ben espresso non solo il condizionamento del testimone sottoposto al carcere o alla sua minaccia, ma anche quali distorsioni può comportare lo stesso meccanismo della legge premiale sulle dichiarazioni dei cosiddetti pentiti:

There is no reason to doubt the actual sincerity of the repentance and horror which many former terrorist felt for their crimes. […] The law, however, makes it impossible to evaluate actual sincerity, since it recognizes as pentiti only those who turn evidence asainst others, and rewards them with very tangible benefits, thus casting doubts on the lack of self-interest of even the most authentic conversion. […] Many prosecution witnesses were either in jail orthreatened by the possibility of arrest when interrogated, and chances of clearance or liberation depended on the usufulness of their testimony. This created a state of dependancy34

Con la consapevolezza di questi limiti, va però anche riconosciuta la grande importanza di questa fonte che con la sua ricchezza di informazioni, varietà di punti di vista, analicità delle ricostruzioni costituisce una risorsa imprescindibile per lo studio di questo fenomeno.

33 Va tuttavia notato che nel caso di lunghe sentenze relative a procedimenti penali che riguardano il complesso di

attività di una banda armata, molte pagine vengono generalmente dedicate alla ricostruzione del quadro generale, delle ideologie, dell'ambiente, del contesto. Cfr ad esempio le sentenze dei giudici Alemi e Monteverde: Sentenza Ordinanza del 31.01.1985 (Alemi), Sentenza della Corte d’Assise di Genova del 26.02.83 contro Azzolini e altri e Sentenza della Corte d’Assise di Genova del 24.02.84 contro Adamoli e altri (Monteverde)

34 A. Portelli, The Death of Luigi Trastulli and Other Stories: Form and Meaning in Oral History, Suny Press, New

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Nella seconda tipologia rientrano le carte prodotte da Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Sisde, Prefetture conservate in ACS. Questo materiale offre il punto di vista della politica e delle istituzioni non solo sul fenomeno della lotta armata ma anche su quello della radicalizzazione della conflittualità e in generale sui fermenti politici e sociali in atto. Si tratta di un materiale quantitativamente ricchissimo e qualitativamente estremamente disomogeneo e frammentario che richiede un paziente lavoro di discernimento.

I documenti prodotti dalle Brigate Rosse sono rintracciabili sia riprodotti in alcune pubblicazioni35, sia allegati a fascicoli processuali, sia, in misura minore e limitatamente ai documenti di studio e pensati per una divulgazione all’esterno, in alcuni istituti di conservazione di documentazione relativa alla sinistra radicale e antagonista. Il punto di vista delle Brigate Rosse è fondamentale per risalire alle strategie, alle tattiche e al sostrato ideologico che stanno alla base delle loro azioni, oltre che per raffrontarle con quelli di altri gruppi armati e/o eversivi coevi. Inoltre l’incrocio documenti teorici relativi all’organizzazione e ai programmi delle BR con le versioni dei fatti emerse durante i processi permette di ricostruire con maggiore veridicità la storia e la fisionomia dell’organizzazione.

Infine, per definire il quadro economico, politico e sociale in cui le Brigate Rosse genovesi, napoletane e venete si muovevano sono state utilizzate fonti eterogenee (documenti, pubblicazioni, verbali, promemoria, riviste, opuscoli, articoli, volantini, fotografie, atti di convegni, libelli e pamphlet, comunicazioni, corrispondenza e così via) prodotti da organizzazioni politiche di sinistra e di destra, da partiti politici, associazioni sociali e culturali, movimenti e organizzazioni cattoliche, sindacati, attori del mondo del lavoro reperiti prevalentemente in archivi che conservano documenti dei movimenti e delle organizzazioni politiche extraparlamentari, in emeroteche e in centri di documentazione36. Si tratta di un materiale ricchissimo e interessante, ma anche estremamente frammentario sul quale è necessario operare un lavoro di ricomposizione e selezione per sfuggire il rischio di ricavarne idee impressionistiche.

Infine sono state raccolte alcune voci di testimoni rappresentanti i principali ruoli coinvolti nella vicenda37; queste poche fonti orali rivestono un ruolo piuttosto marginale nell’economia del progetto; si è scelto infatti di privilegiare le carte e in particolare le fonti giudiziarie rispetto alle interviste ai testimoni per due ragioni: prima di tutto per valorizzare un patrimonio documentario in gran parte

35 Cfr. per esempio Soccorso rosso (a cura di), Le Brigate Rosse, Feltrinelli, Milano, 1977 e V. Tessandori, BR.

Imputazione banda armata, op. cit.

36 Centro di documentazione Marghera, Archivio Luccini, Biblioteca civica di Padova, Biblioteca nazionale di Napoli,

Archivio IVSREC, Biblioteca Berio: emeroteca e archivio movimenti, Archivio Ligure di Storia Sociale, Archivio ICSREC, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Istituto Parri, Biblioteca nazionale di Firenze, archivio online www.nelvento.org.

37 I testimoni sono: il giudice Carlo Alemi, ex presidente del Tribunale di Napoli e giudice istruttore nel procedimento a

carico della colonna napoletana e in quelli relativi al caso Cirillo, i brigatisti Sandro Rosignoli e Marina Nobile, Giorgio Moroni, militante di Autonomia Operaia, l’avvocato Cesare Manzitti, esponente di Magistratura Democratica e

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inesplorato e di straordinario interesse e in secondo luogo perché si ritiene che il confronto con questo materiale, pur con tutti le criticità esplicitate, consenta un immersione nella dimensione fattuale che aiuti a superare quell’insieme di rimozioni, emozioni, schemi cristallizzati, culture politiche e ideologiche che la memoria di una storia così dolorosa porta inevitabilmente con sé.

4. Terminologia.

La scelta tra i termini “terrorismo” e “lotta armata” non è una questione di secondaria importanza e neppure neutra dal punto di vista concettuale38. Spesso anzi la preferenza accordata a uno dei due termini viene letta come una dichiarazione di intenti ideologici, dove “lotta armata” suggerisce la volontà di non assumere un punto di vista giudicante, mentre “terrorismo” rimanda ad una decisa stigmatizzazione, in quanto il primo termine fa propria l’autorappresentazione dei gruppi armati, mentre il secondo riflette la percezione che di loro aveva la società. In questo lavoro, proprio per dichiarare da subito il tentativo di mantenersi il più possibile lontano da logiche di schieramento che si non si ritengono adeguate a una ricerca di questo tipo, si è scelto di usare entrambi i lemmi, preferendo generalmente la locuzione “lotta armata” in virtù della sua maggiore precisione semantica, in quanto essa richiama quasi univocamente il fenomeno in questione, laddove il termine “terrorismo” può fare riferimento a una pluralità di questioni diverse. I vocaboli “terrorismo” e “terrorista” verranno comunque impiegati, anche perché non si ritengono inappropriati per descrivere il fenomeno delle Brigate rosse e in generale della scelta delle armi: infatti se è vero che non esiste un’unica definizione universalmente accentata di questo termine, è altrettanto vero che non pare dirimente, per il giudizio sull’opportunità dell’uso di queste parole, il fatto che questi gruppi scegliessero precisi obiettivi, anziché perpetrare stragi indiscriminate.

Nella Storia del terrorismo a cura di Gérard Chaliand e Arnaud Blin si racconta di un interessante esperimento condotto da due ricercatori dell’Università di Leyda: “Alex Schmid e Albert Jorgman […] hanno raccolto 109 definizioni del termine da funzionari universitari e li hanno analizzati per rilevarne le principali componenti. Hanno trovato che la violenza figurava nell’83,5% delle definizioni, gli obiettivi politici nel 65%; il 51% di queste definizioni avevano come elemento centrale la paura e il terrore. Il 21% citavano solo la scelta arbitraria e casuale dei bersagli; solo il 17% includevano la presa di mira dei civili, dei non combattenti, di persone neutrali, di elementi esterni”39. Le componenti che emergono in questa ricerca ricorrono, variamente combinate, nei molti tentativi di definire il terrorismo, di cui solo alcuni contemplano il dato della scelta casuale delle vittime.

38 Su questa questione cfr. G. Battelli, A. M. Vinci (a cura di), Parole e violenza politica. Gli anni Settanta nel

Novecento italiano, op. cit.; S. Neri Serneri (a cura di), Verso la lotta armata, op.cit.

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Tuttavia la questione non è liquidabile come una mera questione di scelta di campo ideologica: attraverso i significati delle parole che definiscono i fenomeni se ne scorgono anzi le radici profonde e gli aspetti più problematici.

La locuzione “lotta armata” non appare problematica nella sua esattezza descrittiva, il suo utilizzo risulta quindi adeguato e non si presa a particolari fraintendimenti, salvo forse il fatto che l’orgogliosa predilezione degli stessi brigatisti e terroristi per questa espressione può diminuire la percezione della sua neutralità: il porre al centro della definizione l’idea della “lotta” appare sicuramente maggiormente legittimante e giustificativo, apparendo – dal punto di vista dei brigatisti – persino un riconoscimento della propria intenzionalità e finalità che hanno sempre stentato ad avere. E tuttavia, se non si assume il punto di vista dei terroristi, ma ci si attiene al significato letterale, difficilmente si riuscirà a trovare una definizione più corretta; appaiono invece inutilizzabili altre espressioni quali “guerra civile” o “guerra civile strisciante” che oggettivizzano quella che non può che essere considerata, a distanza di decenni, come una percezione distorta di una parte della società. Come ha osservato Grispigni, da queste aree politiche è stata proposta per gli anni Settanta una definizione “forte e precisa, quella di “guerra civile” coniugata, con un residuo di pudore, con una serie di parafrasi qualitative e quantitative come “strisciante”, “fredda” o “a bassa intensità””40.

Più complessa è la questione del temine “terrorismo”. Il problema del suo uso estensivo di cui si è detto si correla, secondo chi scrive, ad un equivoco di fondo che legge il terrorismo come un fine anziché come un mezzo, aumentando l’alone di mistero e di confusione che circonda questo concetto con l’esito di accomunare esperienze enormemente diverse tra loro: un accostamento assolutamente legittimo se si ha ben chiaro che sono la strategia e la tattica ad accomunarle e non le finalità o le motivazioni. Comunemente, infatti, si utilizza (o si sceglie di non utilizzare) il termine “terrorismo” per definire un progetto globale, una finalità e non uno strumento per raggiungere scopi che possono essere molto diversi tra loro, per questa ragione il termine rischia di confondere più che spiegare. Rispetto a questo termine va infine affrontata la questione dell’accezione

estremamente negativa in cui è normalmente intesa, tanto che il suo utilizzo è generalmente recepito come comportante un’accusa e un giudizio morale di condanna. Se questo è particolarmente vero oggi che il termine evoca immediatamente le pratiche stragiste contro la folla inerme, non è sempre stato così. Si pensi, per esempio, alla dichiarazione di Luigi Longo quando, di fronte alla piena affermazione del fascismo, nel 1928, prospetta la possibilità di “forme di lotta terroristica”41, o al caso dei Gap che si autodefinivano terroristi42, usando una definizione corretta, in quanto faceva

40 M. Grispigni, 1977, Manifestolibri, Roma, 2006, p. 100. 41 P. Spriano, Storia del Pci. Vol. 2, Einaudi, Torino, 1969, p. 149.

42 S. Peli, Storie di Gap. Terrorismo urbano e resistenza, Laterza, Roma-Bari, 2014. Cfr. anche l’inizio del paragrafo

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riferimento alla tattica da essi utilizzata che risponde perfettamente alla celebre definizione di “terrorismo” data da Raymond Aron secondo cui “un’azione violenta è detta terroristica quando i suoi effetti psicologici sono sproporzionati rispetto ai suoi risultati puramente fisici”; una

definizione simile a quella data da Franco Ferrarotti: “Dicesi terrorismo l’uso indiscriminato nella lotta politica di un tipo particolare di violenza, la quale comporta un danno all’integrità fisica della persona in concomitanza con un danno psichico (paura, terrore, appunto)”43.

Il peso delle parole, per dirla con Carlo Levi, è rivelato con grande evidenza da questa

considerazione che il brigatista Vincenzo Guagliardo esprime proprio riguardo il rifiuto da parte delle stesse Brigate rosse del termine “terrorismo”:

“ci ponemmo sulla difensiva, dicendo sempre che non eravamo terroristi, poiché solo a destra e nel terrorismo di Stato si colpiva in modo indiscriminato, volutamente, l’innocente invece che

l’avversario […] Partigianesimo, maquis, guerriglia urbana o rurale, resistenza…: ecco tanti termini che un tempo lo stesso vecchio Movimento operaio avrebbe definito senza scandalo forme di terrorismo che nulla avevano in comune, nelle motivazioni e negli obiettivi, con il terrorismo di Stato o di destra. Il metterci sulla difensiva implicò scarsa riflessione proprio sugli aspetti più importanti della nostra vicenda, alienò la nostra coscienza critica”44.

Infine, occorre una precisazione anche riguardo alla terminologia utilizzata per definire l’insieme di movimenti e gruppi che si ponevano al di fuori della sinistra istituzionale, per cui si è scelto di preferire le espressioni sinistra rivoluzionaria45 o sinistra radicale, anziché nuova sinistra. Si accolgono, infatti, in proposito le considerazioni espresse da Marica Tolomelli, secondo cui la traduzione del termine New left e la sua applicazione al contesto italiano è possibile per quanto riguarda i soggetti che danno vita al movimento contestatario del Sessantotto, mentre risulta fuorviante per quanto riguarda i gruppi extraparlamentari46.

5. Articolazione del lavoro

La periodizzazione scelta, 1969-1982, non coincide con il periodo di attività delle colonne in esame che nascono in due casi intorno alla metà del decennio e nel caso di Napoli solo nel 1980; tuttavia si è optato per il 1969 come termine a quo perché è in quell’anno che compare la prima formazione armata di sinistra in Italia, la XX ottobre che costituisce anche la prima manifestazione di lotta politica

Bollati Boringhieri, Torino, 1991. Si veda infine E. Lanfranchi, Le parole e le cose. Sul nesso sinistra rivoluzionaria,

violenza politica e sociale, lotta armata, in G. Battelli, A. M. Vinci (a cura di), Parole e violenza politica. Gli anni Settanta nel Novecento italiano, op. cit., pp. 63-75, p. 74.

43 F. Ferrarotti, Riflessioni su dodici anni di terrorismo in Italia, in M. Galleni (a cura di), Rapporto sul terrorismo,

Rizzoli, Milano, 1981, p. 376.

44 V. Guagliardo, Di sconfitta in sconfitta, op. cit., pp. 33-34.

45 Questa espressione intende fare riferimento alla autorappresentazione e all’autopercezione di questi gruppi, non al

loro essere effettivamente rivoluzionari.

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armata a Genova. Si tratta inoltre di un anno cruciale per la storia della violenza politica in Italia con la nascita del Cpm da una costola del quale si origineranno le Br, la radicalizzazione della conflittualità operaia, la bomba di piazza Fontana a Milano. Il termine ad quem non poteva che essere il 1982, anno in cui si esaurisce l’esperienza delle Brigate Rosse storiche e in cui si dissolvono le tre colonne prese in esame.

Il primo capitolo è dedicato alla descrizione della struttura e delle regole dell’organizzazione brigatista come emergono dall’incrocio tra documenti dell’organizzazione e ricostruzioni processuali, con particolare attenzione al funzionamento e alle caratteristiche delle colonne, che si ritengono dotate di fisionomie autonome piuttosto evidenti.

I tre capitoli centrali sono dedicati agli altrettanti casi di studio presi in esame.

Napoli, Genova e il Veneto rappresentano tre contesti economici, politici e sociali assai differenti tra loro e sul loro territorio nascono e operano tre organizzazioni brigatiste che, sebbene siano strettamente legate ai vertici nazionali che ne stabiliscono la strategia politica e militare e che controllano piuttosto strettamente l’esistenza, presentano tuttavia tre fisionomie peculiari riconducibili alle rispettive realtà territoriali.

La colonna genovese corrisponde al modello brigatista “ortodosso”, avara di documenti di elaborazione ideologica, ma molto attiva sul piano militare, interessata soprattutto dalla prospettiva di entrare nelle fabbriche e conquistare gli operai alla causa rivoluzionaria, scontrandosi così con l’opposizione di una classe operaia in gran parte legata al Pci e al sindacato e quindi refrattaria al messaggio delle Br. Assai diverso il contesto del Veneto che è una realtà complessa e ricca di contraddizioni: vaste zone agricole convivono con una massiccia industrializzazione; in seno ad una tradizione di voto democristiano e diffuso cattolicesimo compaiono organizzazioni eversive dell’autonomia operaia e della destra radicale; qui le Br saranno sempre deboli e contaminate da soggetti legati all’Autonomia operaia fino a quando, a partire dagli arresti del 7 aprile 1979, questa viene sgominata dalle forze dell’ordine e la colonna veneta riesce a trovare gli spazi per una breve ma intensa fase di attività. Infine, a Napoli, esauritasi la breve esperienza dei Nap, prende vita una colonna tardiva dominata dalla figura di Giovanni Senzani, uno dei sostenitori della teoria secondo cui sarebbero i marginali e i malavitosi i cosiddetti nuovi soggetti rivoluzionari; di qui la centralità assegnata all’universo carcerario e le inevitabili relazioni pericolose con la camorra che caratterizzano questa colonna determinandone una fisionomia inequivocabilmente legata al contesto.

Nell’ultimo capitolo si procede alla comparazione tra i tre casi, cercando di stabilire in quale misura e con quali risultati la disomogeneità territoriale reagisce con altre differenziazioni interne legate alle impostazioni strategiche e ai diversi periodi e con lo sfondo omogeneo costituito dall’identità di funzione e dalla rigida subordinazione agli organi centrali del gruppo; si avanza l’ipotesi che la

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percezione del fenomeno brigatista sia largamente condizionata dai miti fioriti in ambienti diversi e con accezioni diversi intorno a esse e si propone l’indagine fattuale come mezzo di superamento di questa dimensione mitica; quindi viene tracciata una geografia della violenza politica in Italia che conduce alla proposta di un’interpretazione che poggia proprio su quell’analisi di tempi e spazi qui posta al centro del quadro: costruendo cronografie degli eventi e mappe territoriali e incrociando questi due strumenti pare emergere, al netto di contaminazioni e di scambi più o meno intensi a seconda dei diversi luoghi, una distinzione, visibile sul piano geografico oltre che di quello strategico e ideologico, tra le Brigate rosse, militariste e leniniste, radicate nelle realtà operaie del paese e le organizzazioni di massa, originate o legate al movimento antimperialista, antiautoritario, terzomondista e antisovietico le cui radici possono essere fatte risalire all’ondata contestataria del Sessantotto, che sembrano avere maggiore seguito nei centri universitari47.

In conclusione si tenta di riannodare i fili che si sono dipanati a partire dalle diverse situazioni descritte, dalle loro particolarità, dai loro scarti, al fine di elaborare alcune considerazioni sul più ampio problema della violenza politica e della sua estesa presenza nel contesto italiano degli anni Settanta e che è stato giudicato da Tolomelli come il tratto più interessante del periodo, ovvero essere al contempo un momento di approfondimento e di crisi della democrazia48.

47Da un rapporto dei comandi provinciali dei carabinieri al Comando Generale sulla situazione dei gruppi eversivi del

1978 risulta che le regioni in cui erano maggiormente vitali gruppi afferenti alla sinistra rivoluzionaria fossero: Emilia Romagna, Toscana e Marche, regioni in cui non si strutturano cellule stabili e attive delle Brigate rosse, ma in cui proliferano piccoli gruppi presenti soprattutto nelle città universitarie. Cfr. ACS, Carte Moro, CC, b.46, Movimenti e

gruppi eversivi e loro consistenza

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Capitolo 1. Le colonne nell’organizzazione brigatista.

Il tratto più caratteristico e peculiare delle Brigate Rosse è la loro organizzazione minuziosa, gerarchica e strutturata rigidamente in tutti i suoi aspetti; peculiarità che distingue immediatamente le Br dalle altre formazioni eversive, assai più approssimative nel dotarsi di regole e struttura o, addirittura, decisamente spontaneiste. Questo impianto risponde principalmente a necessità di sicurezza ed è alla base del grande successo militare e del mito di invincibilità che ha circondato a lungo l’organizzazione.

Le Brigate Rosse hanno descritto in diversi documenti la struttura della loro organizzazione, soffermandosi sui vari apparati per spiegarne il funzionamento e il ruolo, esponendo le regole di comportamento dei militanti e analizzando il rapporto tra le varie articolazioni del gruppo e la loro evoluzione nel tempo49. L’argomento, quindi, non presenta lati oscuri per quanto riguarda il lato progettuale; ma naturalmente la struttura reale il suo funzionamento pratico presentano alcune differenze rispetto al modello teorico50.

1. Le regole dell’organizzazione.

Una peculiare caratteristica dell’organizzazione è quella di avere un sistema di regole assai ferree e minuziose che regolano la vita dei militanti e dell’organizzazione fin nei più piccoli particolari. Particolarmente dettagliato a questo proposito è un opuscolo intitolato “Norme di sicurezza e stile di lavoro”, distribuito dopo il primo arresto di Curcio, avvenuto il 9 settembre 1974, che fornisce ai militanti un elenco di norme di comportamento e di sicurezza molto dettagliato e preciso, una sorta di manuale per la vita quotidiana51. La compartimentazione e la clandestinità sono le due norme più importanti nella vita delle Brigate Rosse; sono, infatti, quelle che maggiormente caratterizzano l’organizzazione rispetto ad altri gruppi e costituiscono uno dei fattori che ne hanno consentito i successi e la sopravvivenza.

Le regole e la loro pratica attuazione non furono oggetto di dibattimento processuale, per cui assai raramente gli ex brigatisti accennano durante i processi a questi argomenti e quando ciò avviene le

49 Per quanto riguarda le regole dell’organizzazione sono precisate in Br, Norme di sicurezza e stile di lavoro, mentre la

struttura è descritta esaustivamente in Br, Alcune questioni per l’organizzazione, 1974, Br, Risoluzione strategica n.2, 1975, Br, Direzione strategica, n. 3, 1978

50 Informazioni sul funzionamento pratico degli organismi interni dell’organizzazione in: TPGe, Sentenze della Corte

d’Assise e della Corte d’Assise d’Appello dal 1980 al 1985; TPNa, Le Brigate Rosse in Campania. 1979-1983, Sentenza ordinanza di Carlo Alemi del 31.01.1985; TPR, Sentenza Ordinanza del GI di Roma contro Acanfora e altri, 21.07.1983; Verbali delle deposizioni rese da Patrizio Peci ai Giudici istruttori del Tribunale di Torino, Giancarlo Caselli e Mario Griffey, in http://dellarepubblica.it.s3.amazonaws.com/Legislature/VIII%20-%20CRONOLOGIA/II-Cossiga-Aggiornamenti/Lotta%20Continua%20II%20Cossiga-aggiornamenti/LC-05-07-1980-VerbaliPECI.pdf; TPGe,Verbali di udienze di Enrico Fenzi contenuti in Sentenza Ordinanza del Giudice Istruttore del Tribunale di Genova, PP 759/81, 1981; TPVe, Verbali di Interrogatorio di Antonio Savasta presso Comando Celere del gruppo di PS in Padova, 01.02.1982 in TPVR, Busta M, fascicolo Savasta, Interrogatori rilasciati ad altri PM;TPVe, Sentenza Corte d’Assise del 20 luglio 1985 (3/84-11/84).

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loro testimonianze confermano il sistema teorico. Tuttavia, seppure la rigida e minuziosa organizzazione costituisca una indubbia caratteristica unificante dell’organizzazione, vi sono alcune differenze tra i diversi contesti e i diversi periodi. Per quanto riguarda il primo aspetto, le diverse colonne osservavano un rispetto più o meno stretto delle regole brigatiste a seconda della disciplina dei propri membri, ma soprattutto a seconda dei rapporto che essi avevano con l’esterno; i due casi più estremi sono forse, in questo senso, quello delle colonne genovese e veneta: disciplinata e rigidamente compartimentata la prima che è particolarmente isolata dal contesto in cui opera e assai più disorganizzata e permeabile la seconda che vive in prossimità con alcune frange dell’area di Autonomia operaia. Per quanto riguarda il secondo aspetto è indubbio che nel corso del tempo, con l’ingrossarsi del numero dei militanti, in particolare dopo il 1978, le regole che presiedono il reclutamento tendono a farsi più lasche e di conseguenza anche la disciplina interna ne risente.

1.1.La clandestinità.

Regola base dell’organizzazione è la clandestinità vissuta dai militanti in due forme che fondano la differenza tra forze regolari e irregolari. Le forze regolari sono completamente clandestine e costituiscono i quadri dirigenti dell’organizzazione, i militanti regolari hanno tagliato ogni legame con la loro vita precedente e sono impegnate a tempo pieno nella lotta armata; le forze irregolari, invece, sono costituite da militanti che vivono una clandestinità di organizzazione, ma non personale, mantengono cioè identità, lavoro e rapporti sociali; pur potendo concorrere a elaborare la linea politica delle Br, non possono avere ruoli dirigenziali, i loro incarichi consistono nel creare consenso e simpatia tra la gente, reclutare nuovi adepti, costituire una rete di appoggio all’organizzazione. Nella risoluzione strategica N 2 la clandestinità volontaria è definita offensiva, la latitanza difensiva. “La clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un’organizzazione politico-militare offensiva che operi all'interno delle metropoli imperialiste. […] Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperienza, una seconda condizione in cui il militante pur appartenendo all'organizzazione opera "nel movimento" ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità. Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario; da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo delle milizie operaie e popolari. Operare a partire dalla clandestinità consente un vantaggio tattico decisivo sul nemico di classe che vive invece esposto nei suoi uomini e nelle installazioni. Questo vantaggio viene completamente annullato quando la clandestinità è intesa in senso puramente difensivo. La concezione difensiva della clandestinità sottende o nasconde l'illusione che lo scontro

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tra borghesia e proletariato in ultima analisi si giochi sul terreno politico anziché su quello della guerra e cioè che gli aspetti militari siano in fondo solo aspetti tattici di supporto”52.

Secondo il documento Alcune questioni per l’organizzazione quella della clandestinità fu una scelta sofferta per il timore che allontanasse le Br dalla massa, ma a partire dal 1972 la repressione la rese una scelta obbligata. “Oltre alla condizione di clandestinità assoluta si presenta nella nostra

esperienza, una seconda considerazione in cui il militante pur appartenente all’organizzazione opera nel movimento ed è quindi costretto ad apparire e muoversi nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità. Questo secondo tipo di militanza clandestina da un punto di vista politico è alla base della costruzione delle articolazioni del potere rivoluzionario. Da un punto di vista militare è a fondamento dello sviluppo della milizia operaia e popolare”53.

1.2.La compartimentazione

Un altro principio fondamentale è la compartimentazione, ossia l’ignoranza di tutto ciò che non attiene al proprio limitato settore. Così, oltre alla segretezza verso terzi non appartenenti alle Brigate Rosse, si realizza una progressiva preclusione della conoscenza dei fatti da parte degli aderenti che risultano progressivamente esclusi dalle informazioni sulla banda man mano che il loro ruolo si fa più marginale, fino a ignorare tutto ciò che eccede il loro settore. Di qui l'obbligo dei nomi di battaglia, di incontrarsi in luoghi anonimi per evitare che i militanti conoscano la collocazione delle basi, di comunicare solo in modi codificati e con pochissime persone. A questa parcellizzazione delle informazioni possedute dai militanti riguardo sia l’attività, sia la struttura dell’organizzazione, fa da contraltare l’onniscienza degli organi dirigenti alla cui supervisione è sottoposto qualunque evento o qualunque decisione.

Scrivono le Brigate rosse nel 1974: “La compartimentazione è una legge generale della guerra rivoluzionaria nelle metropoli. E uno dei principi fondamentali della nostra organizzazione. La nostra esperienza ha dimostrato che chi trascura questa legge e non la applica con assoluto rigore è destinato inevitabilmente alla distruzione. Nella nostra organizzazione è necessario realizzare una compartimentazione verticale (tra le varie istanze a tutti i livelli) e orizzontale (tra le colonne, tra i fronti, tra le brigate, tra i compagni di uno stesso organismo) più perfezionata. Tutte le strutture non compartimentate vanno rinnovate”54.

1.3.Le regole minute

52 Br, Risoluzione strategica n. 2, 1975 in http://www.bibliotecamarxista.org/brigate%20rosse/1974/ds2.htm 53 Br, Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione, 1974 in

http://www.brigaterosse.org/brigaterosse/documenti/doc0006.htm (Url ora inesistente, consultata e stampata il 27.05.2004)

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La disciplina interna e la sicurezza è assicurata da norme di comportamento severe e pignole: per i regolari è prescritto che siano muniti di documenti falsi di ogni specie, che girino armati e che si presentino come persone irreprensibili, nessuno deve tenere con sé indirizzi o documenti che possano portare all'identificazione di altri o alla rivelazione di appuntamenti e attentati; in caso di interrogatori da parte dell'autorità non devono rispondere limitandosi a dichiarare la propria appartenenza alle Brigate rosse. Gli immobili vengono dapprima comprati con soldi in contanti sotto falso nome, in seguito affittati da prestanome; le auto sono sempre rubate e camuffate con documenti falsi.

La casa è un bene importante per l’organizzazione e deve pertanto essere controllato da norme di sicurezza rigide e dettagliate per proteggerla e conservarla sicura; ulteriori misure vanno prese perché, in caso di caduta di una base, i danni collaterali siano ridotti al minimo, eliminando tutti i contatti possibili tra la casa persa e l’organizzazione. Ogni casa, pur appartenendo all’organizzazione viene affidata ai brigatisti che la occupano e che quindi ne sono responsabili e deve essere frequentata esclusivamente dagli abitanti e conosciuta da un altro membro dell’organizzazione o della colonna precedentemente designato. Quest’ultimo dovrà recarsi in questa casa solo per motivi importanti e urgenti, discussi preventivamente all’interno della colonna o dell’organizzazione.

“Quando un compagno prende possesso di una casa dell’organizzazione il suo primo compito è quello di costruirsi, nei dettagli anche minimi, come una figura sociale ben definita. Ad esempio decide di presentarsi come operaio Fiat o come professore […], sposato o non, convivente col fratello, col collega, eccetera. Il ruolo che ogni compagno si è assunto deve poi manifestarsi coerentemente nella vita di tutti i giorni. Per principio ogni militante deve presentarsi con aria rassicurante e gentile con i vicini di casa ma è assolutamente necessaria una certa riservatezza. […] La casa deve essere proletaria: modesta, pulita, ordinata e completamente arredata del necessario. Essa deve apparire all’esterno come una casa decorosa”55.

La casa deve essere scelta con particolare cura, in una strada che deve prestarsi a un controllo da parte dei militanti, ma non controllabile nascostamente da parte di altri, quindi situata lontana da locali pubblici e in una zona non di passaggio. Il padrone di casa non deve in alcun caso abitare nello stesso stabile, il carattere di questa persona deve essere studiato con cura e si raccomanda di rinunciare alla casa al minimo segno di sfiducia o al primo screzio col locatore.

Le misure di sicurezza legate alla base sono numerose: le bollette vanno pagate negli uffici vicini e immediatamente distrutte o depositate nella cassa. In caso di abbandono della casa per motivi di sicurezza, tutti i documenti ad essa relativi vanno abbandonati lì, per evitare il collegamento tra le basi. Tutto il materiale relativo all’organizzazione va tenuto dentro a valigie, pronto per l’evacuazione, ogni mese la casa va esaminata e tutto il materiale inutile o compromettente va

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