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1. Il polo debole del triangolo industriale Una città che invecchia.

1.2. La crisi economica

L’invecchiamento si riverbera immediatamente sul mondo economico, determinando una flessione degli occupati in attività produttive in una città in cui, già dal secondo dopoguerra si registra, nel rapporto tra popolazione attiva e popolazione totale, i valori più bassi tra le città del triangolo industriale.

Per quanto riguarda la ripartizione degli occupati, la città anticipa di circa trent’anni una tendenza che si affermerà, a livello nazionale, solo negli anni Ottanta, ovvero l’importanza del terziario. Infatti, già negli anni Cinquanta, il numero degli occupati in questo settore è al pari di quello degli impiegati nell’industria ed è in progresso, mentre nelle altre regioni settentrionali i lavoratori industriali sopravanzano quelli del terziario ancora all’inizio degli Ottanta. Questa tendenza è guidata dalla

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direzione politica cittadina democristiana che punta alla trasformazione del capoluogo da città industriale e di conseguenza bacino di voti comunisti, in città di servizi: un modello solo apparentemente all’avanguardia, perché questo progetto prescinde dall’innovazione tecnologica che non viene individuata come la chiave di volta per una reale evoluzione del terziario. Sono soprattutto le donne a essere occupate in questo settore; basti pensare che nel 1981 solo il 15% della popolazione femminile risulterà impiegata nell’industria, contro il 37% nell’Italia nord occidentale. L’occupazione maschile risulta maggiormente in linea con il dato degli altri poli industriali fino al 1971, ma nei Settanta si fa più netta la flessione della componente industriale, mentre si accentua l’incremento del terziario93.

La realtà economica della regione è dominata dai settori marittimo- portuale e industriale nel cui ambito si registra la massiccia presenza di imprese a prevalente capitale pubblico, produttrici di beni strumentali e ad alto contenuto tecnologico. Tra il 1961 e il 1971 si manifestano i prodromi della crisi economica con una contrazione consistente dell’industria, accompagnata da un incremento del terziario troppo modesto per poterla compensare; in particolare, dal 1963 - 64 si assiste a una progressiva perdita di competitività di porto e industria che diventa manifesta in termini economici negli anni Settanta e in termini occupazionali nel decennio successivo94.

La crisi ventennale coinvolge l’industria estrattiva e chimica, alcuni settori di quella manufattiera (tessili e abbigliamento, mobilio, alimentari) e l’edilizia, mentre proprio negli anni Settanta si assiste alla flessione dell’industria energetica, in larga parte attribuibile agli effetti dello shock petrolifero95. Nello stesso periodo, inoltre, si assiste al crollo del settore siderurgico e al progressivo declino della cantieristica navale. Le acciaierie di Cornigliano erano entrate in piena produzione nel 1953 e per circa due decenni conoscono grande prosperità agli inizi degli anni Sessanta viene creato l’Italsider, industria a partecipazione statale come quasi tutte le grandi imprese genovesi, che arriva a dare lavoro a 20.000 persone, senza contare l’indotto; ma con la crisi seguita allo shock petrolifero del 1973 comincia il declino del settore Nel Cantiere di Sestri Ponente, l’occupazione si riduce in sei anni (1976 - 1981) del 40%; il settore delle riparazioni navali vede dimezzarsi il proprio lavoro in dieci anni (1970 - 1980); la siderurgia registra un calo occupazionale del 6,1% rispetto all’anno precedente. Per riassumere in un solo dato la portata della marginalizzazione economica della città si può citare

93 P. Arvati, Oltre la città divisa, op. cit., pag. 23. Cfr. anche P. Rugafiori, Ascesa e declino ni un sistema

imprenditoriale, in Storia di Italia. Le regioni XI: la Liguria, Einaudi, Torino, 1994, p. 323.

94 Sulla crisi dell’industria genovese nei Settanta cfr. P. Arati, Oltre la città divisa, op. cit.; M. Carlucci, Il Sistema

industriale della Liguria, Il Mulino, Bologna, 1987; M. Palumbo, Il mutamento sociale, in Storia di Italia, op. cit.; L.

Caselli, Industria e servizi in un’economia matura. Il caso della Liguria, Franco Angeli, Milano, 1983; L. Borzani, G. Pistarino, F. Ragazzi, Storia illustrata di Genova, op. cit..; P. Rugafiori, Ascesa e declino di un sistema imprenditoriale, op. cit.; P. Rugafiori, F. Fasce, Da petrolio all’energia Erg. 1938-2008. Storia e cultura d’impresa, Laterza, Roma-Bari, 2008.

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il reddito prodotto dalla provincia di Genova, che nel 1951 costituisce il 9,5% di quello prodotto nell’Italia nord occidentale, mentre nel 1979 questo valore scende al 7,1%.

Un documento prodotto dai sindacati confederati nel 1975 traccia un quadro allarmante: 5000 lavoratori licenziati negli ultimi due anni, di 8000 messi in cassa integrazione dall'ottobre del 1974, tante aziende piccole e medie che hanno chiuso, mancata sostituzione di chi va in pensione,

aumento della disoccupazione giovanile96. Anche la piccola e media impresa attraversa una fase di recessione, non riuscendo a tenere il passo con i processi in atto nei settori avanzati.

Il decennio 1970 - 1980 è così il decennio della crisi dell’attività mercantile, determinata dalla precaria situazione finanziaria delle grandi famiglie e delle imprese, dal declino delle partecipazioni statali e da due fattori specificatamente genovesi: la rivoluzione nei trasporti che non coinvolge il porto determinandone la marginalizzazione e la perdita di fondamentali centri decisionali.

Il primo aspetto si manifesta solo alla fine del decennio con effetti molto pesanti per la città, in quanto i traffici si dirigono ora oltralpe, poiché le merci italiane scelgono i porti del Mar del Nord più efficienti ed economici; il secondo determina il graduale dissolvimento del baricentro del potere economico genovese: lo spostamento del potere decisionale a Milano o all’estero fa sì che gli imprenditori più attivi e dinamici siano spinti altrove per trovare sostegno alla propria attività. Bassa produttività, infrastrutture carenti e spazi inadeguati, largo impiego di manodopera non specializzata, mancanza di un programma portuale nazionale organico sono tra i fattori che determinano il declino del porto di Genova che non riesce a reggere il confronto con l’efficienza dei porti e delle vie di comunicazione nordeuropee per cui il Mar del Nord diventa la rotta privilegiata anche dalle merci italiane. Se a ciò si aggiunge la scarsa propensione all’innovazione dei dirigenti e in generale della classe politica locale che si combina all’alta conflittualità operaia, non stupisce la perdita di competitività della struttura portuale genovese97. Le organizzazioni provinciali dei sindacati confederati in una riunione risalente alla metà del decennio hanno esaminato i problemi esistenti nel settore marittimo-portuale che investono direttamente le attività industriali e commerciali del porto di Genova e la stessa attività di costruzione navale, rilevando il carattere strutturale della crisi e denunciando l’inefficienza dell’intervento pubblico. Secondo i sindacati è mancata un’organica politica del territorio e nel settore delle costruzioni navali, che si evince dall’inadeguatezza delle opere realizzate e delle attrezzature predisposte. Questa situazione avrebbe ricadute immediate sulla condizione dei lavoratori e sullo sviluppo economico industriale della città: la mancata attuazione di alcune norme importanti dei contratti di lavoro e l'abbassamento dei livelli di occupazione soprattutto

96 Archivio Centro Ligure di Storia Sociale di Genova, Fondo Sindacale, 1976-1979, b.1, Comunicati CGIL, CISL,

UIL, Comunicato Cgil, Cisl, Uil, 1976.

97 Sulla crisi del porto cfr. L. Borzani, G. Pistarino, F. Ragazzi, Storia illustrata di Genova, op. cit.; U. Marchese,

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nel settore delle riparazioni98. Se la crisi del porto comincia a manifestarsi nel 1973 è con la fine del decennio che essa si aggrava con l’ulteriore marginalizzazione dello scalo genovese a favore di Marsiglia e la diminuzione notevole del movimento delle merci.

Gli anni Settanta segnano inoltre la fine del sistema oligarchico delle antiche famiglie genovesi: le poche, ricchissime famiglie che hanno tradizionalmente monopolizzato l’economia stentano a sopravvivere in un mercato sempre più complesso e dinamico e a un momento economico difficile incalzato da inflazione, conflittualità operaia e aumento vertiginoso del costo del denaro. E ciononostante prevale una logica che esclude il coinvolgimento di persone estranee alla famiglia nella gestione delle aziende: “sembra pesare un’identificazione tra impresa e famiglia, o meglio, tra impresa e componenti maschi di un particolare tipo di famiglia patriarcale, talmente rigida e totalizzante da rendere preferibile la cessione piuttosto di dar vita ad alleanze esterne e delegare al management funzioni dirigenti elevate”99. Rimane attivo chi abbandona questa logica, affidando le aziende a manager e ad avanzate tecniche di gestione aziendale: come i Garrone dell’Erg e i Piaggio dell’aeronautica. Nel complesso al ricambio generazionale non corrisponde un vero rinnovamento e il vuoto lasciato dagli imperi famigliari non è sostituito da una nuova imprenditorialità locale dinamica, diffusa e capace di rinnovare il sistema manageriale100.

In conclusione, con la recessione economica e la crisi energetica del 1973, appaiono in tuta evidenza i limiti e le debolezze di quel modello di sviluppo, iniziato negli anni Cinquanta, che aveva nelle partecipazioni statali il propulsore del decollo e dello sviluppo dell’industria privata e che costituiva una parte consistente della struttura produttiva genovese. Si fa strada allora un progetto di ristrutturazione dell’economia e del sistema produttivo, che privilegerebbe settori prima trascurati, come i beni strumentali per la produzione di energia, l’impiantistica, la progettazione, la meccanica strumentale e la ricerca. Gli sforzi in questo senso sono ostacolati dalla mancanza di una politica industriale nazionale adeguata che spinga le imprese, nella seconda metà del decennio, a cercare sulla scena internazionale gli spazi negati in patria.

I risultati economici e occupazionali di questo tentativo di ristrutturazione sono di corto respiro e all’alba degli Ottanta si assiste all’aggravamento della crisi dei settori tradizionali e al permanere dell’incertezza in quelli avanzati e emergenza occupazionale. A Genova la situazione appare più preoccupante rispetto alle altre zone fortemente industrializzate italiane; nel 1981 il tasso di disoccupazione è dell’11,1%, ampiamente superiore, dunque, all’8,3% dell’area nord occidentale del

98 Archivio Centro Ligure di Storia Sociale di Genova, Fondo Sindacale, 1976-1979, b.1, Comunicati CGIL, CISL,

UIL, Verbale riunione provinciale di Cgil, Cisl, Uil, 1976.

99 P. Rugafiori, Ascesa e declino di un sistema imprenditoriale, op. cit., p. 326.

100 L. Borzani, G. Pistarino, F. Ragazzi, Storia illustrata di Genova, op. cit., p. 90 e P. Rugafiori, Ascesa e declino di un

sistema imprenditoriale, op. cit.; P. Bairati, Le dinastie imprenditoriali, in La famiglia italiana dall’Ottocento a oggi,

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Paese. Quello che è mancato è stata la soluzione dei problemi alla base dei settori più importanti dell’industria genovese: lo scarso sviluppo della ricerca tecnologica e dei settori emergenti, l’arretratezza del modello organizzativo e imprenditoriale delle aziende, i bassi investimenti in beni strumentali e la mancata diversificazione delle strutture produttive.

1.3. Fermenti.

All’inizio del decennio, la Democrazia cristiana, in particolare la componente legata a Paolo Emilio Taviani, amministra sia il comune di Genova con il sindaco Giancarlo Piombino, sia la provincia, sia il nuovo ente regionale, di cui è presidente Gianni Dagnino, ex segretario del partito cattolico. Tuttavia, in linea con quanto accade a livello nazionale, anche questa regione si sta spostando verso sinistra e alla metà degli anni Settanta la Dc avrà perso la guida di tutti gli enti locali. Per quanto riguarda Genova, nel 1976 viene eletta una giunta rossa, capeggiata dal sindaco socialista, Fulvio Cerofolini, già vicesindaco e segretario della Camera del Lavoro, che resterà alla guida della città per dieci anni, dal 1976 al 1986. Sono anni difficili quelli in cui Genova è governata da Cerofolini, per via della grave crisi economica, della conflittualità sociale e politica, della violenza del terrorismo e della progressiva marginalizzazione della città dal punto di vista politico ed economico. Il governo cittadino affronta questo frangente problematico scontrandosi con quello nazionale e oscillando tra esperimenti di accentuata modernizzazione e riconferme di modelli politici ed economici consolidati e delle tradizionali vocazioni produttive della città101.

Negli stessi anni nuovi soggetti politici e sociali si muovono in una città che, sebbene non sia teatro dell’intensa sperimentazioni di altre realtà come Milano, Torino, Bologna, Padova, tuttavia conosce anch’essa la stagione della mobilitazione collettiva.

La Sinistra radicale tra antifascismo e operaismo

All’inizio del decennio è presente in città un movimento ancora attivo, articolato in una moltitudine variegata di gruppi più o meno effimeri, molto diversi tra loro, ma ancora capaci di confrontarsi. Il Movimento studentesco ha il suo cuore nella Facoltà di Lettere di via Balbi, già centro della contestazione studentesca del Sessantotto, ed ora laboratorio politico in cui prendono vita diverse e brevi esperienze politiche.

Uno dei primi gruppi della sinistra radicale è la Lega degli operai e degli studenti, creata da Gianfranco Faina nel 1968, con lo scopo di unificare le lotte di studenti e lavoratori, uniti dalla dimensione della gioventù, le cui prospettive sono viste come felicemente complementari: “se gli operai possono portare oggi agli studenti una visione demistificata della scienza e della tecnica, della divisione sociale del lavoro nella produzione capitalista e dare un contenuto classista alla lotta antiburocratica nella scuola; gli studenti, da parte loro, possono aiutare gli operai a generalizzare le

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loro esperienze e portare proprie esperienze di democrazia diretta e di autorganizzazione.”102 La Lega si pone in ideale continuità con le lotte del maggio francese, fa proprie le battaglie operaie in corso nelle fabbriche cittadine (alla Cressi Sub, alla Piaggio, all’Oscar Sinigallia, alla Chicago Bridge), si esprime contro la repressione del movimento studentesco e assume rispetto ai fatti di Praga una posizione piuttosto ambigua, concentrandosi sull’accusa ai partiti socialdemocratici di strumentalizzare la questione103. Faina è una figura molto nota nell’ambiente della sinistra radicale genovese: docente universitario, vivace animatore della scena politica e intellettuale cittadina, è a lui che si deve l’unica fugace apparizione dell’operaismo a Genova negli anni Sessanta. Dopo una militanza di meno di un decennio nel Pci e nella Fgci, che dopo i fatti di Ungheria è vissuta sempre in posizione critica e dissidente, nei primi anni Sessanta Faina si avvicina all’operaismo di Panzieri fondando nel 1961 a «Democrazia diretta», un notiziario delle lotte operaie a Genova, nel 1963 svolge con alcuni collaboratori un’inchiesta all’Italsider di Cornigliano, sul modello di quelle dei «Quaderni rossi» e fonda la rivista «Classe operaia», omonima di quella di Asor Rosa, Cacciari e Tronti a cui collaborerà brevemente nel 1965. Chiusa la fase operaista, nel 1966 fonda un gruppo intitolato a Rosa Luxemburg, che univa l’elaborazione teorica all’intervento diretto nelle questioni concrete del movimento operaio a Genova. Dopo lo scioglimento della Lega, nel 1969 esce dalla dimensione esclusivamente cittadina per dare vita ad un gruppo luddista che ha aspirazioni nazionali e redige un omonimo bollettino di coordinamento tra le sedi di Genova, Torino, Roma e Milano; l’aspetto più interessante di questa nuova formazione è l’attenzione alla dimensione della rivolta esistenziale e il linguaggio ironico e situazionista di cui si servono per ridicolizzare i propri obiettivi polemici, due caratteristiche che costituiscono sicuramente l’eredità del Movimento studentesco, ma già trasformata in qualcosa che sarà tipico del movimento del 77. L’effimera esperienza di Ludd è quindi anticipatrice e totalmente estranea allo spirito e al clima genovese; così come lo è l’interesse di Faina per i marginali, la devianza criminale, il sottoproletariato e le potenzialità rivoluzionarie di queste aree che lo porteranno a seguire con grande interesse la vicenda giudiziaria della 22 ottobre. Infine, dopo aver nuovamente animato il movimento studentesco genovese nel biennio 72-73, si avvicina alla lotta armata, prima con la brevissima militanza nelle Br e in seguito con la fondazione di un suo effimero gruppo chiamato Azione rivoluzionaria, nato nel 1976 e che costituisce l’ultimo atto della vita del professore prima dell’arresto e della morte pochi anni dopo.

Tornando al panorama della sinistra genovese all’inizio del decennio, nell’anno accademico 1972 - 73 l’università è investita da un’ondata di agitazioni che dura, con interruzioni e in forme più o meno

102 Documento costitutivo della Lega degli operai e degli studenti citato in R. Manstretta, P.P. Poggio, Gianfranco

Faina (1935-1981). Elementi di una biografia politico-intellettuale, in «Primo maggio», p. 68.

103 Cfr. volantini e opuscoli prodotti dalla Lega e conservati in Archivio Fondazione Feltrinelli, Fondo Nuova Sinistra,

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accentuate, fino al 1975; rispetto al Sessantotto la lotta il movimento si trova in condizioni di maggiore isolamento e si assesta su posizioni più radicali, anche a causa del fatto che alcuni fenomeni come l’estraniazione dei giovani dalla vita universitaria e la disoccupazione intellettuale, se non nuovi, avevano però assunto negli anni Settanta un’evidenza macroscopica.

La protesta degli studenti è scatenata dalla minaccia di abolire la liberalizzazione dei piani di studio e porta al blocco totale per cinquanta giorni (dicembre 1972 - gennaio 1971) della Facoltà Lettere, dove avvengono gli scontri più duri, e a occupazioni e agitazioni anche nelle facoltà di Scienze, Ingegneria, Architettura e Medicina, dove esiste un agguerrito Comitato di base; l’occupazione di Lettere ha fine con l’irruzione della polizia a seguito dell’incendio doloso all’Istituto di Storia dell’Arte. Nell’autunno del 1973 vengono organizzati i primi abbozzi di centri di interesse, ideati tra gli altri da Gianfranco Faina; si tratta di assemblee permanenti in cui discutere i problemi della disoccupazione intellettuale, delle condizioni degli studenti e in cui elaborare piani di studio teorici, pratici e politici. Questi centri sono duramente contrastati dal Consiglio di Facoltà, ma riusciranno ad essere un punto di incontro per gli studenti che danno vita a un nuovo ciclo di agitazioni nell’inverno 1973 – 74, che si conclude anche in questo caso con l’intervento delle forze dell’ordine e con un procedimento giudiziario a carico dei manifestanti.

Nel multiforme universo della sinistra extraparlamentare spicca, nella prima metà del decennio, l’esperienza di Lotta Continua, capace di coagulare intorno a sé gran parte dell’antagonismo giovanile cittadino e di realizzare importanti iniziative politiche e sociali. Secondo un documento dei servizi di sicurezza del 1978, a Genova Lc sarebbe stata radicata soprattutto nelle case dello studente di Corso Gastaldi e via Asiago e in 21 circoli operai e conterebbe in quell’anno 300-350 iscritti e circa 1200 simpatizzanti di cui 100 – 120 tra i lavoratori delle fabbriche e un numero maggiore tra gli studenti; in particolare, avrebbe un certo seguito nelle scuole secondarie, tanto da dare vita alla Lega degli studenti medi, mentre in ambito universitario avrebbe una rappresentanza forte nelle facoltà scientifiche, minore in quelle giuridiche e scarsa in ambito umanistico dove prevale Autonomia operaia104. Nel 1974 la crisi attraversata dal gruppo si riverbera anche a Genova dove i militanti vedono crollare la propria popolarità nelle fabbriche dopo che, a Torino, nel dicembre del 1964, un gruppo di loro compagni aggrediscono alcuni operai genovesi; i consigli dei maggiori stabilimenti della città stilano un documento unitario di condanna dell’avvenuto definendo come “fascisti” gli attivisti di Lc e quello delle fonderie Multedo propone addirittura la radiazione dei lottacontinuisti

104 ACS, Direttiva Prodi, AISE Moro I versamento (giugno 2011), Fasc 123, doc. U438, Appunto su Lotta Continua a

Genova, 23.11.1978. Sulla figura e l’attività di Gianfranco Faina cfr. E. Fenzi, Armi e bagagli. Un diario dale Brigate Rosse, Costa e Nolan, Genova, 2006; Biografia di Gianfranco Faina, Università degli Studi di Genova, Facoltà di

Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Lettere, Genova a.a. 2000 – 2001; R. Manstretta, P.P. Poggio, Gianfranco Faina

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dal sindacato. Meno di un mese dopo, nel gennaio del 1975, in un congresso nazionale del gruppo tenutosi proprio a Genova si comincia a profilare la svolta moderata di Lotta Continua che, in quella circostanza, apre cautamente al Pci105.

Racconta Antonio de Muro, militante di Lc, che l’organizzazione a Genova aveva allestito nei quartieri operai Lagaccio e Prà e nel centro storico, ambulatori medici in cui le visite erano gratuite, negozi “rossi” che vendevano frutta e verdura a prezzi ridottissimi e aveva guidato l’occupazione di case. Inoltre afferma ancora De Muro che “nel ’72 – ’73, che è il momento dell’apogeo di Lotta Continua, ci troviamo ad avere a Genova nove sedi e un servizio d’ordine che ha la palestra in cui allenarsi.”106 Un’altra militante che poi passerà alle Br, Marina Nobile, racconta quell’esperienza in termini molto simili: “C’erano dei circoli sociali e io facevo parte di quello del Lagaccio. Facevamo i doposcuola ai bambini, facevamo le riunioni con gli alcolizzati, facevamo qualsiasi cosa possibile, avevamo fatto le lotte perché nei panifici fosse venduto il pane a prezzo calmierato, perché fossero fatte le riduzioni degli affitti. Abbiamo fatto asciugare il lago del Lagaccio, e siamo stati noi!”107 Dei cosiddetti “mercati rossi” organizzati nei quartieri popolari in collaborazione con Avanguardia operaia con l’obiettivo di costituire in ogni quartiere di spacci comunali basati sul collegamento