• Non ci sono risultati.

2. Primi esperimenti di lotta armata: la XXII ottobre 1.Animali di periferia.

2.4. Caratteristiche del XXII ottobre

La vicenda processuale del XXII ottobre rappresenta una sorta di spartiacque l’ultra sinistra genovese e non solo genovese e costituisce un momento di grave crisi e spaccatura politica. Per la prima volta, infatti, il dibattito intorno all’opportunità o meno dell’uso politico della violenza e della pratica della lotta armata, trova un terreno di confronto concreto, suscitando entusiasmi e appassionate apologie, ma anche perplessità e cautele nell’ambito dell’estrema sinistra. È questo il momento cruciale in cui alcuni militanti di formazioni legali, delusi dalla cautela dimostrata da queste nel difendere l’esperienza del XXII ottobre e dal sostanziale distacco operato nei suoi confronti, scelgono la strada della lotta armata. Il fenomeno riguarda principalmente Lotta Continua. Andrea Marcenaro, ricordando la figura di Riccardo Dura dopo la sua uccisione nel 1980, descrive un percorso per molti aspetti emblematico:

“Io posso testimoniare che Riccardo è stato duramente provato e indirizzato nelle sue scelte future nei mesi a cavallo tra il 1972 e il 1973. Si stava svolgendo allora il processo contro il XXII ottobre. Riccardo era entrato da poco in Lotta Continua e aveva scoperto da poco la politica e quella forma particolare di solidarietà che esisteva tra chi faceva politica allora. Si sentiva rivoluzionario perché voleva rivoluzionare la sua vita prima di tutto, vedeva in Rossi e Battaglia dei compagni e delle persone, che avevano sbagliato forse, ma che persone e compagni restavano. Dura si trovò di fronte a un vero processo politico contro “gente come lui”, visse intensamente quel processo e visse Genova, la sua città, come una città che chiedeva giustizia sommaria per “le belve” del XXII ottobre. Di più, visse Lotta Continua come parte organica di una città nemica, Lotta Continua che non si interessò del processo non giudicando un coinvolgimento politicamente vantaggioso. […] Si trattava del primo processo per lotta armata in una città dove la lotta armata della resistenza aveva scavato una cultura profonda e capillare.”130

Alla questione della legittimità della violenza politica si intreccia un’altra questione, ovvero se il XXII ottobre possa essere definito un gruppo rivoluzionario o se invece sia ascrivibile alla criminalità comune: la presenza di pregiudicati e di una figura politicamente ambigua come Vandelli, il carattere poco politico di azioni di autofinanziamento hanno fatto propendere molti verso la seconda ipotesi. In favore di questa interpretazione gioca anche l’insistenza del Pci nel voler negare una qualsiasi parentela tra questa banda e in generale tra la violenza e la militanza comunista. Si tratta di una presa di posizione tipica della sinistra istituzionale che si ripeterà a lungo durante gli anni Settanta, una

65

posizione difensiva, tesa a proteggersi da sgradite contaminazioni e parentele attraverso la negazione più ferma e ostinata; nel caso del XII ottobre, basti pensare che un documento prodotto dalla Federazione ligure del Pci sul fenomeno terrorista in Liguria dedica diverse pagine al tentativo di negare il legame tra i membri del XXII ottobre e la militanza comunista, sostenendo che “sociologicamente essi appartengono a settori del terziario e del sottoproletariato, appaiono estranei alle battaglie sindacali e proletarie del movimento operaio ligure e hanno sempre operato ai margini della realtà e della classe operaia”131. Anche l’Anpi, per bocca del suo presidente nazionale, l’ex partigiano genovese Raimondo Ricci, esprime l’opinione che si tratti di criminali comuni e lo stesso Ricci, avvocato, rifiuta di difendere Rossi in tribunale per marcare la distanza tra comunisti e partigiani da un lato e lotta armata dall’altro132.

Contro la banda di Rossi vi è, inoltre, il pregiudizio proprio sia della borghesia sia del movimento operaio che stenta a immaginare che un gruppo di sottoproletari, per lo più contigui alla , possa aver dato vita a qualcosa di diverso da una mera associazione per delinquere; in questo modo si possono spiegare il riferimento di Dura alla “gente come lui” e la sua amarezza di cui ci parla Marcenaro nella citazione riportata poco sopra; l’incredulità del magistrato rispetto alla

responsabilità del XXII ottobre negli attentati dinamitardi contro il consolato statunitense, considerata un’azione “troppo politica” perché potesse essere attribuibile al gruppo. Il rapporto stilato dai Carabinieri di Genova in merito all’attività della 22 ottobre costituisce da questo punto di vista un documento molto interessante; infatti contiene una breve scheda biografica dei componenti in cui il linguaggio e le categorie impiegate dicono molto della mentalità e della cultura politica dell’estensore che utilizza sovente la locuzione “poco amante del lavoro” e altre quali “In pubblico gode di scarsa stima e reputazione:” , “Ha vissuto in ambiente moralmente malsano”, “era solito frequentare ambienti e persone moralmente e politicamente controindicate” e inserisce informazioni relativi alla moralità di persone e ambienti frequentati, il che tradisce un giudizio moralistico sulle persone indagate che prescinde da contestazione di reati o dall’indagine relativa alle militanze politiche133.

Al contrario, la sinistra radicale, sebbene condanni l’operato del gruppo, non ne nega il carattere politico. Ma saranno soprattutto le Brigate Rosse, con il sequestro Sossi, le Brigate Rosse a riaffermare l’appartenenza al processo rivoluzionario degli otto militanti condannati di cui chiedono la liberazione. Si legge nel comunicato n.° 3 delle BR: “[…] Esemplare, a questo proposito, è il

131 Federazione Ligure Pci, Sezione problemi dello Stato, Terrorismo e nuovo estremismo, 1968/1978. Natura, radici

culturali, obiettivi dell’eversione nera in Liguria, Genova, 1978.

132 D. Alfonso, Animali di periferia, Lit Edizioni, Roma, 2012, p. 187 e sg.

133 ACS, Direttiva Renzi, PCM, Aise, 2 versamento, fasc. 16, 1971-1972, Centro CS Genova a Ufficio D e centri CS di

66

processo di regime contro i compagni comunisti del gruppo XXII ottobre. Tutti questi compagni sono prigionieri politici.” I fondatori delle BR, inoltre, affermano che il XXII ottobre è stato la prima organizzazione ad aver preso la via della lotta armata in Italia, almeno nelle intenzioni dei suoi membri, fondandosi sulla cultura partigiana e antifascista; tuttavia, secondo l’analisi brigatista, il gruppo era minato alla base dalla scarsa organizzazione sia riguardo al progetto politico, che riguardo la realizzazione dello stesso.134

Complesso è anche il problema del rapporto con la tradizione resistenziale. Il mito della “resistenza tradita” era particolarmente sentito in un gruppo che contava tra i suoi membri un ex partigiano e che operava in una città in cui, per citare ancora Andrea Marcenaro, “la lotta armata della resistenza aveva scavato una cultura profonda e capillare”. Il collegamento con l’organizzazione di Feltrinelli135, quei Gap che fin dalla sigla adottata si richiamano all’esperienza resistenziale, l’inserimento di alcune azioni di Radio Gap e dell’attentato agli industriali compromessi col neofascismo nell’alveo dell’antifascismo militante, testimoniano dell’importanza che la tradizione resistenziale riveste per il XXII ottobre.

Sia il mito della resistenza, sia il rapporto teso, antagonista, ma nato da una iniziale contiguità, non del gruppo criminale, ma dei suoi membri prima della scelta armata, con il Pci, evidenziano l’influenza del contesto territoriale in cui il XXII ottobre nasce e opera. Un soggetto politico e militare che si propone come rivoluzionario non può che essere condizionato da queste tradizioni, seppure in modo conflittuale e distorto, in una realtà come quella genovese; ovvero nella città medaglia d’oro al valore militare e civile per la resistenza opposta al nazifascismo, che ha visto insorgere i suoi abitanti nel giugno del 1960 contro i missini che proposero il comizio dell’ex questore fascista repubblicano Basile, in cui il Pci e le organizzazioni del movimento operaio sono forti ed egemoni rispetto alla classe operaia. Allo stesso modo da questa temperie sarà influenzata, nella sua storia e nella sua fisionomia, la colonna brigatista, organizzazione ben più longeva e strutturata che nascerà qualche anno più tardi.

In conclusione, sebbene la storia del gruppo XXII ottobre si svolga nell’arco di appena un paio d’anni e le azioni che compie abbiano uno scarso rilievo politico, tuttavia, come si è già accennato, si tratta di un’esperienza significativa, per diverse ragioni. In primo luogo va richiamato il carattere anticipatorio di tale esperienza: si tratta della prima esperienza di una pratica, quella della lotta armata, che rivestirà un ruolo non secondario nella storia del paese nei successivi dieci anni; inoltre pone la questione della possibilità di assumere il sottoproletariato marginale ed extralegale come soggetto

134 BR, Comunicato n.° 3 citato in Soccorso Rosso, Brigate Rosse, Feltrinelli, pp. 199-200.

135 Sull’incidenza del mito resistenziale sui Gap di Feltrinelli si veda P. Cooke, L’eredità della Resistenza, op. cit., p.

67

rivoluzionario: in questo senso i tumaparos della Valbisagno si pongono in notevole anticipo rispetto ad una tendenza che verrà ripresa da gruppi estremisti verso la metà del decennio e dalle stesse Br a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta con la nuova linea ideologica proposta da Giovanni Senzani. In secondo luogo va sottolineata l’importanza che questa esperienza ebbe nella successiva storia della lotta armata in Italia; basti pensare al momento del passaggio delle Br dalla lotta di fabbrica all’attacco al cuore dello Stato: le azioni con cui le Br segnano questo passaggio, il sequestro di Sossi e il primo omicidio pianificato, si imperniano sulla vicenda di Rossi e compagni, come vedremo meglio più avanti.