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3. Le Br a Genova Dal sequestro Sossi all’omicidio Coco

3.1. L’attacco al cuore dello Stato

Nell’aprile del 1974, le Brigate Rosse redigono un opuscolo intitolato: Contro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello Stato, che contiene l’analisi teorica della realtà italiana dell’epoca, su cui esse basano il programma politico-militare dell’immediato futuro.

Nel documento si osserva per prima cosa che è in atto una grave crisi economica, politica e sociale che il potere non sa come gestire e che in questa situazione s’inseriscono le lotte dell’unico soggetto sociale rivoluzionario: il proletariato e, in particolare, le avanguardie del movimento operaio, che, se sono forti e agguerrite all’interno delle fabbriche, dove hanno conquistato anche un certo potere, fuori sono ancora deboli e marginali, “incapaci di sostenere la battaglia contro le forze reazionarie che stanno organizzando la controrivoluzione per sedare lo scontro in atto”136.

Secondo il documento questo progetto si può realizzare attraverso un golpe autoritario di stampo fascista o attraverso la “riforma costituzionale di stampo neogollista”, ma comunque esso prevede una svolta a destra che dia “garanzie di stabilità, organicità, credibilità”che affronti “tutti i problemi politici, economici, di sicurezza e di ordine pubblico alla radice, con trasformazioni costituzionali precise che diano una nuova base a tutto il sistema istituzionale del nostro paese ”: si tratta del progetto di repubblica presidenziale con un esecutivo rafforzato, con maggiori poteri al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio e con il ricorso alla consultazione popolare plebiscitaria. Questo disegno si salderebbe con l’esigenza di sedare gli scontri politici e sociali in atto, quindi con una crescente militarizzazione del Paese e col rafforzamento dei controlli sui centri nodali dello Stato.

“Illuminante a questo proposito è il processo di ristrutturazione in atto nella magistratura. Il neogollismo sta tentando di realizzare ciò che nemmeno il fascismo era riuscito a fare: costruire una precisa identità tra i propri interessi di potere e la legge.” L’opuscolo conclude spiegando che i tempi sono maturi per passare dall’antifascismo all’attacco al potere controrivoluzionario: le Brigate Rosse

136 Br, Contro il neogollismo portare l’attacco al cuore dello Stato, cit. in Soccorso Rosso, Brigate rosse, op. cit., pp.

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si pongono quindi l’obiettivo di uscire dalle fabbriche, di colpire il cuore dello Stato per approfondirne le contraddizioni e far emergere il progetto neogollista137.

È in questa sede che viene enunciata quella parola d’ordine che dominerà la parabola dell’organizzazione brigatista fino alla fine del decennio e a cui si richiamano le molte azioni di sangue che si succedono negli anni a venire e che trovano il loro culmine nel rapimento e nell’uccisione di Aldo Moro, statista di primissimo piano nella vita del paese e Presidente della Democrazia cristiana.

Colpire il cuore dello stato, nella strategia brigatista significa colpire i sui uomini, soprattutto quelli che rivestono un pregnante significato simbolico, per il proprio ruolo o per l’appartenenza ad una categoria considerata di per sé nemica della classe operaia, come le forze dell’ordine, la stampa o la magistratura. Mario Sossi incarna entrambi gli aspetti: è un magistrato, un uomo al servizio dello Stato, e inoltre è noto per le sue posizioni politiche (all’Università apparteneva al FUAN e ora è iscritto all’Unione Magistrati Italiani) e per la sua intransigenza nello svolgimento di indagini e processi relativi alle cosiddette piste rosse. Il suo rigore, la sua severità e la sua coloritura politica ne fanno un personaggio estremamente impopolare: i muri della città sono pieni di insulti e minacce contro il magistrato che negli ambienti di estrema sinistra è stato soprannominato “dottor manette”. Quello dell’impopolarità non costituisce un criterio di scelta utilizzato generalmente dalle Br che non sembrano molto interessate all’impatto sulle masse delle proprie azioni, soprattutto dopo aver intrapreso la solipsistica via dell’attacco allo stato, ma in alcuni particolari momenti la cura dell’aspetto propagandistico della propria azione diventa una questione di primo piano e ciò avviene in concomitanza con scelte di radicale cambiamento della propria strategia: accade ad esempio con questa operazione che appare tutta orientata, dalla scelta della vittima all’esito incruento, a creare consenso intorno alla nuova strada dello scontro con lo stato e ciò avverrà anche, come vedremo, con il sequestro Cirillo che, pur insieme a importanti differenze, mostra alcune analogie con questo caso, e che nuovamente vede identificato come obiettivo un personaggio impopolare e inviso agli ambienti di quella sinistra con cui le Br cercano di instaurare un dialogo e di propagandare l’ultima svolta neo- movimentista. Ma soprattutto, Sossi è il Pubblico Ministero nel processo al XXII ottobre, colui che ha chiesto e ottenuto condanne severe e che è stato raffigurato da gran parte della sinistra radicale come un nemico di classe e un persecutore di rivoluzionari. Nel comunicato n.° 1, le Brigate Rosse lo definiranno infatti così: “pedina fondamentale dello scacchiere della controrivoluzione, un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare.”138

137 Idem.

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Infine, come ebbe a dichiarare Franceschini dopo la dissociazione, è anche un bersaglio facile, più facile di altri magari più vicini al cuore dello Stato, “la piccola rotella che poteva però fare inceppare il meccanismo”139.

Le Brigate Rosse iniziano a preparare il rapimento nella primavera del 1973; sono i dirigenti dell’organizzazione a decidere l’azione e a proporla alla base degli irregolari che la approva.

Non esistendo ancora una colonna dell’organizzazione a Genova, dove le Br disponevano solo di una base e di alcuni simpatizzanti, vi si trasferisce per organizzare l’operazione il gruppo dirigente quasi al completo, guidato da Alberto Franceschini: Margherita Cagol, Renato Curcio, Maurizio Ferrari, Alfredo Bonavita, Piero Bertolazzi, Roberto Ognibene e Fabrizio Pelli. È stato osservato che proprio il ruolo dirigente ricoperto da Franceschini in questo frangente abbia “contribuito ad attribuire ai reggiani tout court un ruolo maggiore di quello che, in effetti, ebbero rispetto alle avanguardie di fabbrica”140. Per mesi questi militanti, affiancati da irregolari e simpatizzanti, svolgono l’inchiesta, pedinando il giudice dal Palazzo di Giustizia alla sua abitazione in Albaro e viceversa, studiando orari, abitudini e itinerari, raccogliendo ogni notizia che lo riguardi.

Il sequestro avviene in una data, il 18 aprile, simbolica per due ragioni. È il giorno in cui alla presidenza di Confindustria subentra Gianni Agnelli, considerato dalle Br una figura di spicco della controrivoluzione, per cui questa giornata segna, secondo la loro ottica, una tappa fondamentale del progetto neogollista; ma questo simbolismo non viene colto né dalla sinistra, né dal Movimento operaio. Molto più comprensibile e significativa è la seconda regione simbolica, almeno per la sinistra radicale genovese: è il primo anniversario della sentenza di condanna contro i membri della XXII ottobre.

Per quella che viene chiamata in codice “operazione Girasole” sono coinvolti venti brigatisti, divisi in tre squadre: Sossi viene prelevato intorno alle otto di sera davanti a casa, caricato su un furgone e colpito con un violento calcio al torace; da qui, percorso un breve tratto di strada, viene trasferito, nascosto in un sacco, su una A 112 dove si trovano Franceschini e Bertolazzi. L’auto, preceduta da una 128, guidata dalla Cagol, prende la via dell’Appennino percorrendo una strada in costruzione che dopo alcuni chilometri si ricongiunge alla statale. Da qui, dopo un breve tratto di strada prendono strade meno frequentate per raggiungere Tortona, dove in una stanza al piano superiore di una villetta uni famigliare hanno istallato un grosso cubo di legno insonorizzato col polistirolo che servirà da cella per l’ostaggio, sorvegliato e interrogato da Franceschini e Bertolazzi. Al muro è appeso un drappo rosso con sopra il disegno giallo della stella a cinque punte e la scritta “Portare l’attacco al cuore dello Stato”. Dopo qualche giorno Sossi, riferendosi a questo slogan parla coi suoi carcerieri

139 A. Franceschini, P.V. Buffa, F. Giustolisi, Mara, Renato e io, Mondadori, Milano, 1998, p. 86 140 M. Clementi, P. Persichetti, E. Santalena, Brigate Rosse, op. cit., p. 48

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per la prima volta. “Non ne sono certo io il cuore” dirà; da questo momento iniziano gli interrogatori che, stando a quanto da lui stesso riferito, verteranno soprattutto sul processo al XXII ottobre. Sempre secondo i ricordi dell’ostaggio, gli sarebbero state mosse accuse di carattere morale, chiedendogli ragione del suo accanimento, della sua intransigenza persecutoria, della sua mancanza di pietà per gli imputati. Ma, dalla lettura dei resoconti degli interrogatori che le Brigate Rosse hanno divulgato, si trovano anche questioni più politiche: il giudice e i suoi colleghi vengono accusati di montare le istruttorie contro gli esponenti dell’estrema sinistra, in particolare di aver proceduto scorrettamente, in modo sommario e persino ricorrendo a falsificazioni, contro il XXII ottobre. Inoltre vi è un lungo interrogatorio che riguarda un traffico di armi che la Questura di Genova avrebbe organizzato e un altro che verte su presunti accordi tra la magistratura, la polizia e i Gadolla ai tempi del sequestro del secondogenito, affinché il vero ruolo della famiglia nella vicenda non venisse fuori. Il 19 aprile, viene diramato il primo comunicato, in cui si annuncia che il giudice è detenuto in una prigione del popolo e che sarà processato da un tribunale rivoluzionario; viene tracciata anche una particolareggiata biografia del magistrato, con l’attenzione principalmente rivolta alla sua attività di “persecutore” dell’estrema sinistra.

Il Paese è sotto shock; il governo presieduto da Rumor e con Taviani al Ministero dell’Interno, è preso completamente alla sprovvista, poiché nessuno si aspettava un gesto tanto grave e ardito da parte delle Br; sarà proprio questa azione a provocare la prima riorganizzazione delle forze dell’ordine contro il terrorismo con la costituzione del Nucleo speciale antiterrorismo presso la Legione dei Carabinieri di Torino al comando del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che da lì a poco conseguirà importanti successi contro la formazione brigatista.

Per quanto riguarda partiti e i movimenti della sinistra, almeno a livello di dichiarazioni formali, mostrano generalmente una completa incomprensione del fenomeno delle Brigate Rosse, ricorrendo prevalentemente alla teoria della provocazione da parte dell’estrema destra o a quella della strategia della tensione, volta a creare una situazione destabilizzata in prossimità del referendum.

Le indagini delle forze dell’ordine hanno portato all’individuazione della via di fuga del commando; le ricerche si avvicinano a Tortona, un elicottero sorvola addirittura la villetta, mettendo in allarme ostaggio e rapitori, ma il 23 aprile, insieme al secondo comunicato, viene diffusa una foto di Sossi, ritratto seduto, con un occhio tumefatto, sotto il drappo con la stella a cinque punte e un suo messaggio in cui chiede la sospensione delle ricerche: “Al Sostituto Procuratore della Repubblica di turno - Genova - pregoti in assoluta autonomia ordinare immediata sospensione ricerche inutili et dannose - stop Mario Sossi.”141

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Il procuratore capo Lucio Grisolia ordina di interrompere le indagini, il questore Sciaraffa e la polizia obbediscono malvolentieri, si manifestano tensioni tra la magistratura genovese e le forze dell’ordine. Inoltre parte dei magistrati, tra cui Francesco Coco, e alcune alte cariche dello Stato, come il Presidente della Repubblica Leone e il Presidente del Consiglio Taviani, sono contrari alla sospensione delle ricerche; ma il procuratore Grisaglia mantiene la sua posizione.

L’opportunità di diffondere il messaggio di Sossi ha intanto provocato un’aspra discussione nelle Brigate rosse: la maggioranza degli irregolari è del parere che bisogna attenersi al piano studiato in precedenza e non permettere all’ostaggio di comunicare con l’esterno; anche Curcio e Moretti sono contrari alla diffusione del messaggio, perché avrebbe, secondo loro, il sapore di una debolezza, darebbero l’idea di persone impaurite che chiedono la sospensione delle ricerche, attribuendo la richiesta all’ostaggio. Ma i brigatisti che stanno tenendo l’ostaggio sono di opinione contraria e, dopo una riunione tra capi in cui nessuno si sposta dalla propria posizione, Franceschini decide di prendere in mano la situazione, imponendo la sua volontà, contro il parere di Curcio e Moretti. Nessuno può impedirgli, concretamente, di agire in questo modo, poiché, per il principio della compartimentazione, solo chi si sta occupando dell’operazione possiede le informazioni riguardanti l’operazione stessa; i brigatisti non coinvolti direttamente non sanno neppure dov’ è custodito l’ostaggio.

Intanto, gli interrogatori al magistrato continuano e i suoi carcerieri mostrano di credere al “ravvedimento” che egli professa, come dimostra questo passo di una circolare interna: “[...] Durante il processo egli ha maturato [...] una seria autocritica e, soprattutto, ha collaborato alla ricostruzione dei fatti, vicende e ruoli svolti da personaggi per noi interessanti in modo sincero e senza reticenza. [...] Nel corso del processo inoltre abbiamo avuto modo di verificare il ruolo strumentale da lui svolto nella vicenda del XXII ottobre, di identificare chi, nell'ombra del potere ha tirato le fila: Castellano, Coco, Catalano, Taviani.”142

Il 28 aprile, ricominciano le indagini tra tensioni, incomprensioni e false piste; tra l'altro i carabinieri al comando di Dalla Chiesa effettuano una maxi operazione a Genova senza avvertire le forze dell'ordine della città. Anche a Palazzo di giustizia il clima è teso e il nuovo messaggio di Sossi che invita ognuno ad “assumersi le proprie responsabilità” esaspera ancor più gli animi. Le rivelazioni fatte da Sossi ai brigatisti, da loro diffuse e riportate ampiamente dai giornali, hanno creato una situazione di nervosismo, aggravato dalle accuse che il giudice e sua moglie rivolgono s istituzioni e a uomini politici, in particolare i democristiani Leone e Taviani.

Nel frattempo viene diffuso un volantino firmato GAP che invita le Brigate Rosse a proporre allo Stato di liberare i detenuti membri della XXII ottobre, in cambio della vita di Sossi; la proposta viene

142 Br, Bilancio dell’azione Sossi, maggio 1974, documento interno all’organizzazione citato in Vincenzo Tessandori,

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accolta dall’organizzazione, così il 5 maggio arriva il quinto comunicato che propone espressamente lo scambio di prigionieri: si chiede la libertà di Rossi, Battaglia, De Sciosciolo, Maino, Viel, Fiorani, Malagoli e Piccardo in cambio della vita di Sossi e si indicano Cuba, l'Algeria e la Corea del Nord come possibili destinazioni dei prigionieri.

Il Paese si divide su due fronti, quello della fermezza e quello della trattativa, così come avverrà in maniera ancora più lacerante durante i 55 giorni del sequestro Moro; in questo clima di estrema tensione, la risposta di Paolo VI alla supplica rivoltagli dalla moglie di Sossi, si pone come una apertura alla mediazione, in contrasto con la posizione intransigente assunta dalla dirigenza del partito cattolico: “ci dichiariamo disposti da parte nostra a farci intercessori di clemenza, qualora il ministero della Chiesa sia richiesto, sotto l’osservanza di rigoroso riserbo, per la restituzione del magistrato ad incondizionata padronanza di sé.”143 La famiglia del magistrato scrive al Papa e al Presidente della Repubblica, lancia appelli dalla televisione svizzera, ma il partito dell'intransigenza sembra irremovibile e ciò esacerba il rapito che rimprovera lo Stato di averlo lasciato senza protezione e, ora, di abbandonarlo al suo destino; la polemica più aspra è sempre con il collega Coco.

Il quinto comunicato, diramato il 9 maggio, si rivolge quasi direttamente a Taviani, accusato dalle Br di aver coperto il traffico d'armi della questura genovese; la vicenda è raccontata con dovizia di particolari, la magistratura è invitata a concedere la libertà ai prigionieri.

Il 10 maggio si verificano due episodi importanti. Il primo ha luogo ad Alessandria, dove una rivolta in carcere è soffocata nel sangue dai carabinieri del generale Dalla Chiesa, il bilancio è di sei morti tra ostaggi e detenuti; Sossi e i suoi carcerieri si spaventano, temono che un’operazione analoga chiuda la loro storia. Il secondo avviene a Genova, dove i sindacati organizzano uno sciopero generale per chiedere la liberazione di Sossi e condannare l'azione delle Brigate Rosse: la manifestazione riesce, dimostrando la forte presa che i sindacati hanno ancora sui lavoratori e il senso civile della popolazione. Solo i collettivi autonomi non partecipano; quello dell’Ansaldo spiegherà le motivazioni con un volantino intitolato “Nessuna solidarietà”, in cui si afferma che gli operai autonomi non intendono manifestare a favore di un Stato percepito come sfruttatore, oppressore e autore della strategia della tensione.

Due giorni dopo, il 12 maggio, il referendum sul divorzio vede la netta vittoria del fronte del “no” e delle forze laiche e democratiche del Paese, dimostrando che il blocco reazionario, paventato dalle Brigate Rosse, non si è formato; anzi, le forze più reazionarie del Paese sono uscite pesantemente sconfitte dalla consultazione popolare.

Dopo la diffusione del sesto comunicato, il 18 maggio, in cui si parla esplicitamente di condanna a morte del prigioniero se non verrà accettato lo scambio proposto, la Corte d’Assise d’Appello di

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Genova prende l’iniziativa: i giudici riuniti il 20 di maggio concedono la libertà provvisoria e il nulla osta per il rilascio del passaporto agli otto detenuti indicati dalle Br, subordinatamente al rilascio di Mario Sossi vivo e incolume. Le reazioni sono immediate e concitate; per il partito della fermezza lo Stato si è arreso, ha accettato le condizioni dettate dai suoi nemici, perdendo credibilità; il procuratore Coco impugna la sentenza, ma questo non vale a sospendere l’ordinanza di scarcerazione, così stabilisce che l’ordinanza sarà attuata dopo la liberazione dell’ostaggio. In questo modo prende tempo, aspettando che la sua impugnazione venga accolta dalla Corte di Cassazione.

A questo punto le Brigate Rosse analizzano la situazione e giungono alla conclusione che la liberazione del magistrato sia la soluzione politica migliore: ucciderlo significherebbe, in primo luogo, dare di sé un’immagine di efferatezza, che li porterebbe all’isolamento; questa ipotesi verrà tragicamente confermata con l’omicidio di Moro e le sue conseguenze; inoltre il sistema, che esce scosso e diviso da questa disavventura, si ricompatterebbe in nome della fermezza e della linea dura; infine, le rivelazioni che Sossi ha fornito verrebbero definitivamente insabbiate.

Secondo Franceschini ebbe il suo peso anche una ragione umanitaria, oltre alla convenienza politica: nessuno si sentiva di uccidere a sangue freddo un uomo con cui si era stati a contatto per più di un mese e che, proprio per questo, non appariva più ai loro occhi semplicemente come un simbolo144. Questa affermazione impressiona letta a posteriori perché evoca immediatamente la lunga strada compiuta da questo momento fino al termine della propria parabola dalle Brigate rosse in termini di involuzione sanguinaria e disumanizzante.

Il 23 maggio, Sossi, viene rilasciato su una panchina di un giardinetto pubblico a Milano, con in tasca un biglietto del treno per Genova e un volantino recante il comunicato N. 8, intitolato “Perché rilasciamo Mario Sossi.” Il documento fornisce due motivazioni. La prima è quella di invalidare la trappola costruita da Coco che, ignorando la sentenza della Corte genovese, vorrebbe trascinare le Br in un lungo scontro che farebbe dimenticare il significato politico preciso della sentenza stessa. La seconda è non fornire pretesti per una ricomposizione delle gravi contraddizioni che sono emerse durante i trentacinque giorni del sequestro.

L’operazione per le Br si rivela un grande successo politico che porta all’organizzazione numerose domande di adesione; da questo momento le Brigate rosse iniziano a lavorare sulla propria

espansione territoriale.

Il 25 di maggio, il procuratore Coco chiude definitivamente la partita, firmando l’annullamento dell’ordine di scarcerazione dei membri della 22 ottobre, con la motivazione che tale provvedimento era subordinato alla condizione dell’incolumità dell’ostaggio, condizione che non è stata rispettata, visto che il giudice Sossi appare traumatizzato gravemente. Tra i due colleghi si scatena un’aspra

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polemica, generata dalla posizione di intransigenza assunta da Coco durante i giorni del sequestro e dalle dichiarazioni rilasciate da Sossi riguardo l’operato dell’altro giudice. Queste e altre laceranti