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3. Le Brigate rosse in Veneto.

3.4. La colonna veneta.

388 TPVe, b. 3/84, fascicolo Buonavita Alberto, 19.04.1980, Interrogatorio del 02.03.1982. Torna qui l’incongruenza su

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Tra il 1975 e il 1979 di fatto le Brigate rosse non mettono a segno nessuna azione rilevante nella regione: la modesta attività svolta comprende l’assalto alla sede della Dc di Mestre, avvenuto il 15 maggio del 1975, diversi attentati incendiari e due rapine, una ai danni della Cassa di risparmio di Oderzo nel marzo del 1975, l’altra della banca di Lonigo il 14 luglio dello stesso anno, durante la quale Micaletto tiene una sorta di comizio rivoluzionario; quest’ultima infatti non si connota come una mera operazione di autofinanziamento, ma ha una valenza politica e propagandistica come si evince anche dalla lettura del volantino di rivendicazione diffuso a Genova due giorni dopo in cui si parla di attacchi ai “perni” della borghesia, colpevole di “manovre e intrallazzi antiproletari”389. L’assalto alla sede della Dc costituisce l’azione politicamente e militarmente più rilevante e viene accompagnata da attentati incendiari. Nell’ultima parte dell’anno si moltiplicano le operazioni di polizia contro militanti delle Br con esiti talvolta opposti: mentre il 4 settembre, l’arresto di Carlo Picchiura si risolve in un grave fatto di sangue con l’uccisione dell’agente della Polizia stradale, Antonio Niedda, per mano del brigatista, nel tentativo di fuggire; a novembre, Massimo Pavan e Armando Trevisol vengono arrestati proprio mentre si accingono a commettere quello che sarebbe stato l’unico ferimento in Veneto; la vittima era stata individuata in un medico in servizio presso il Petrolchimico, prescelto come simbolo della mancata prevenzione della nocività, un tema non particolarmente frequentato dalle Br in generale, ma molto sentito a Porto Marghera. Si tratta tuttavia di un’azione decisa a livello di Esecutivo, mentre la vittima era probabilmente stata

individuata nel Dottor Giudice, responsabile del servizio sanitario del Petrolchimico, considerato il maggior colpevole della nocività.

Da questo semplice elenco di azioni, l’attività delle Br in Veneto, appare sostanzialmente

indistinguibile da quella dei gruppi afferenti all’aera di Autonomia: la scelta degli obiettivi e il tipo di azione sono coincidenti tra i due gruppi.

Verso la fine dell’anno, gli arresti, gli errori, l’abbandono di molti militanti determinano la

retrocessione della struttura veneta da colonna a comitato regionale, ovvero il tipo di organizzazione che le Br impiantavano laddove non esistevano le condizioni adatte a sviluppare una vera e propria colonna. In questa fase di sospensione, l’attività delle Br in Veneto è decisamente modesta: il 17 maggio 1976, in concomitanza con l’apertura del processo torinese alle Brigate rosse, ha luogo l’unico attentato brigatista del periodo, il lancio di una molotov contro la sede dell’Associazione industriali a Verona; per il resto la vita della colonna si riduce alle esercitazioni a fuoco, le

distribuzioni di armi e i progetti di rapina, oltre al lavoro di infiltrazione e reclutamento. In questa fase di remissione è attivo un gruppo autonomo chiamato “Iniziativa armata per il comunismo” il cui principale animatore è Claudio Simeoni e che conta tra i suoi membri diversi altri futuri

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brigatisti; l’attività di IAPC è costituita principalmente dalla realizzazione di attentati incendiari che hanno come obiettivo l’ambito sociale e la sua vita è assai breve, un pugno di mesi, ma è

interessante notare come, in modo accostabile, seppure con differenze, all’esperienza della Brigata Ferretto, la nascita della seconda colonna veneta è nuovamente preceduta da quella di un gruppo in qualche modo al confine tra il mondo brigatista e quello autonomo: una volta di più è evidente l’influenza di Autonomia operaia sulle Br venete. Fabiana Chiarin racconta che nel Cep di Mestre operava un gruppo di quartiere che si riuniva esponenti di Lotta continua, Avanguardia operaia e altri piccoli gruppi che si occupava di temi legati ai problemi della vita quotidiana in un rione proletario; verso il 1977 questo piccolo gruppo viene infiltrato da elementi di Autonomia operaia e Chiarin è propensa a ritenere che da questo incontro sia scaturito il gruppo di IAPC390. Questa ricostruzione, da assumere come ipotesi, poiché la stessa testimone non è sicura della sua esattezza, descrive un iter molto significativo in cui il progressivo radicalizzarsi e militarizzarsi

dell’antagonismo politico miete come prima vittima l’iniziativa politica e civile spontanea nata dal e sul territorio.

Nel 1978 cominciano i preparativi per la riattivazione della colonna, attraverso il coinvolgimento dei militanti friulani e secondo le linee di guida di Moretti che predispone la rifondazione di una colonna con la specifica connotazione logistica, in particolare dedicata ad organizzare il ricovero e la copertura di brigatisti latitanti o in fuga, una funzione che nella fase di ripiegamento in cui si trovava l’organizzazione si richiedeva urgentemente. Di lì a poco vengono portati a termine attentati di lieve entità, tutti rivolti contro cose: autovetture di ufficiali statunitensi e di quadri della

Montedison, irruzione nella sede mestrina della Dc, atti vandalici contro una concessionaria della Bmw; si tratta di azioni firmate dalla sigla “Lotta armata per il comunismo”, in quanto la struttura brigatista non era ancora definita compiutamente; ancora nel 1979 vi erano discussioni all’interno delle Br per cercare di stabilire quale tipo di azione e di linea politica poteva essere praticata efficacemente in Veneto:

“Dall’analisi risultò che Marghera come realtà doveva ancora maturare anche se l’attacco

capitalistico era massiccio e si manifestava con la messa in cassa integrazione di moltissimi operai, i continui infortuni sul lavoro e i continui rifiuti di aumento salariale. Le parziali lotte contro la cassa integrazione avevano visto la massiccia partecipazione degli operai; da ciò era nata la tendenza a resistere anche soggettivamente e non farsi rimandare via o semplicemente confluire nel sindacato trattare direttamente con la controparte: la Montedison. Da questa situazione avevamo dedotto che lo scontro doveva essere adeguato alla realtà, doveva puntare prevalentemente alla presa di

390 TPVe, Busta C, fascicolo Chiarin, Dichiarazioni rilasciate da Fabiana Chiarin a ai PM negli uffici del 2° Distretto di

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coscienza politica superiore degli operai, perché il proletariato in un territorio come il veneto (dove esiste il doppio lavoro, il lavoro nero, ecc) non avrebbe accettato un progetto duro, mentre avrebbe accettato a parere nostro altre forme di combattimento: propaganda, azioni dimostrative, ecc”391. Sarà, quindi, solo tra il 1980 al 1982 che la colonna veneta comincerà realmente a operare sul territorio, realizzando una serie di operazioni tipicamente brigatiste, sia per la modalità operativa, sia perché inserite in logiche di respiro nazionale, sebbene declinate secondo lo specifico della situazione locale.

Per la verità, già nel settembre del 1979 parte dal Veneto un’operazione di grande importanza a livello nazionale che procaccia all’organizzazione un ingente rifornimento di armi: la cosiddetta operazione Francis. Sandro Galletta al timone della “Papago”, una grande vela di proprietà di Massimo Gidoni, un professionista marchigiano simpatizzante delle, conduce un gruppo composto dallo stesso Gidoni, Mario Moretti, Riccardo Dura e Andrea Varisco, brigatista cugino di Galletta, in prossimità delle coste libanesi per ricevere un carico di armi fornite alle Br dall’Olp. Il viaggio della Papago è un’operazione gestita a livello nazionale, che tuttavia non si attua in Veneto per caso, ma in ragione della specifica competenza delle Brigate rosse venete, ovvero quella

dell’organizzazione logistica tuttavia. Non si tratta ancora, come abbiamo detto, della vera rinascita della colonna veneta ,sebbene l’arsenale di cui da quel momento in poi disporrà la struttura veneta, sarà prerequisito per gli sviluppi successivi Infatti il carico comprende armi lunghe e corte,

esplosivi, munizioni e razzi; in parte viene smistato tra le altre colonne e altre organizzazioni (Action Directe,) e in parte viene trattenuto in Veneto, inizialmente presso l’abitazione dei coniugi Paolo Busacca e Fabiana Chiarin che nella loro casa del Terraglio custodiscono un arsenale e ospitano clandestini di primo piano e riunioni di vertice, poi in quella di Pierina Scaramuzza e Vittorio Oliviero e infine sepolta sul Montello. Nella primavera dello stesso anno, Nadia Ponti e Vicnenzo Guagliardo vengono inviati in Veneto per organizzare la colonna; in particolare

predisponendo alcune “brigate ospedaliere” per operare nel settore della sanità attraverso un nutrito gruppo di simpatizzanti impiegati come personale infermieristico. In questo stesso anno viene svolta un’intensa attività di reclutamento nell’area padovana.

Ma è con il 1980 che si mette realmente in moto la seconda colonna veneta, in particolare quando, dopo la partenza di Nadia Ponti e Vincenzo Guagliardo per Torino, i vertici nazionali mandano in Veneto Antonio Savasta per rilanciare il progetto nella regione assumendo il comando della struttura, coadiuvato dai due militanti veneti Galati e Fasoli.

Il primo anno del nuovo decennio vede infatti un improvviso aumento della capacità offensiva e dell’aggressività di questa struttura che compie due omicidi; azioni che come vedremo, per la scelta

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degli obiettivi fanno pensare a un tentativo delle Br venete di connettersi al movimento autonomo, ma le cui modalità cruente segnalano, al contrario, il perseverare del gruppo nel proprio cammino solitario e sempre più autoreferenziale.

All’inizio del 1981, l’Esecutivo composto da Moretti, Balzerani, Novelli e Savasta promuove la costituzione del Fronte delle Fabbriche e decreta aperta una campagna in questo settore; le riunioni di questo fronte avvengono a Treviso e produrranno la stesura dell’opuscolo 13, che verrà

distribuito durante i giorni del rapimento di Giuseppe Taliercio; la ricerca di contatti con il mondo di fabbrica è, in questa fase uno dei principali impegni dei brigatisti veneti che avvicineranno lavoratori simpatizzanti nelle varie realtà produttive venete e friulane, in particolare, esponenti del comitato operaio della Zanussi, dell’Assemblea autonoma di Marghera, un gruppo di operai della Breda. Nello stesso periodo, l’adesione del Fronte carceri al Partito della Guerriglia lascia

l’organizzazione priva di una struttura di collegamento tra i militanti detenuti e quelli esterni; questa funzione viene quindi assunta in larga misura dai veneti attraverso, come già avveniva a Napoli, i parenti di brigatisti incarcerati; la centralità assunta dal Veneto in questo settore è testimoniata da episodi come la diffusione fuori dal carcere di uno degli ultimi documenti teorici prodotti a Palmi, intitolato L’albero del peccato, viene ciclostilato e diffuso all’esterno da Emanuela Frascella della colonna veneta. Al di là delle azioni militari, di cui ci occuperemo nel prossimo paragrafo, in questa seconda fase la colonna dimostra una notevole vitalità sui fronti logistico e teorico: oltre all’apporto di Guagliardo e dei gruppi di controinformazione, studio e inchiesta nelle fabbriche, va menzionato anche il lavoro di una militante irregolare come Annamaria Sudati che redige almeno un documento teorico in merito alla riforma sanitaria e svolge un’intensa opera di schedatura e inchiesta su

possibili futuri obiettivi. La diffusione dell’attività logistica, in particolare, si correla con un’altra caratteristica veneta di cui si dirà, ovvero l’alto numero di irregolari e “contatti” che si prestano, magari per un breve periodo o in un limitato numero di occasioni, a fornire per esempio

informazioni sulle politiche sindacali nel proprio posto di lavoro o a ospitare per breve tempo una persona o altre azioni di questo tipo, evidentemente assai meno impegnative da tutti i punti di vista, rispetto alla partecipazione ad un attentato in armi. Così la colonna veneta supplisce alla sua scarsa efficienza militare con un intenso e assai efficiente lavoro organizzativo per il quale dispongono di personale qualificato dal punto di vista tecnico: riparazioni e custodia di armi, falsificazione di documenti, gestione di alloggi, predisposizione e utilizzo di tecnologia (radio ricetrasmittenti, attrezzature e laboratori fotografici, apparecchi per la microfilmatura).

Le azioni

Nel primo mese del primo anno del nuovo decennio, un omicidio perpetrato in Veneto segna l’inizio dell’ultima offensiva brigatista nella regione; in questo estremo tentativo, le Brigate rosse si