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2. La struttura piramidale.

2.4. La base della piramide.

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Alla base della struttura dell’organizzazione troviamo tre livelli: le colonne, di cui si dirà diffusamente più avanti, le brigate e il coordinamento.

Rispetto alla colonna- secondo Peci- la brigata rappresenta il livello inferiore, dove si esercita una specie di apprendistato nelle brigate e, solo se ci si dimostra dotati di capacità politica, si può accedere al livello superiore. I militanti regolari della colonna percepiscono uno stipendio fisso di duecentocinquantamila lire al mese, più tutti i rimborsi spese, e lavorano per l’organizzazione a tempo pieno; può succedere che qualche elemento delle colonne retroceda nelle brigate, non per demerito, ma solo per opportunità.

Dalle colonne dipendono le brigate, formate da varie cellule di irregolari (dalle 3 alle 5 unità combattenti per ogni cellula) e dotate di "autonomia tattica" in base alla quale devono operare dentro la linea strategica dell'organizzazione, ma assumersi la responsabilità delle decisioni di intervento relative alla propria situazione. Per questo motivo dispongono di una propria struttura militare e logistica; loro compito è essenzialmente il compimento di attività minori o preparatorie, previa direttiva o necessaria informativa al vertice.

Nella Risoluzione strategica n. 2 si parla delle brigate, descrivendone il funzionamento e la finalità. Secondo questo documento dalle colonne dipendono le brigate, formate da varie cellule di irregolari, dalle tre alle cinque unità combattenti per ogni cellula, e dotate di autonomia tattica. Vale a dire che devono operare all’interno della linea strategica dell’organizzazione, ma si assumono la responsabilità delle decisioni di intervento relative alla propria situazione. Per questo “dispongono di una propria struttura militare e logistica; loro compito è essenzialmente il compimento di attività minori o preparatorie, previa direttiva o necessaria informativa al vertice"77.

Racconta Patrizio Peci: “Dalla colonna dipendono varie brigate, tutte formate da militanti in prevalenza irregolari, ma con possibile presenza di regolari, sia per mantenere i necessari collegamenti con la colonna, sia perché talvolta ci sono casi particolari, faccio l’esempio di Mattioli che eravamo costretti a fare clandestino perché i carabinieri l’avevano identificato […] e così anche clandestino è rimasto nella brigata. Infatti, non solo per il fatto di essere clandestino si può far parte della colonna, occorrendo a questo fine esperienza e capacità di direzione politica. Tornando alle brigate, va detto che vi è innanzi tutto una brigata logistica che si occupa di falsificazione di documenti, armamento, codici, assistenza sanitaria, predisposizione di targhe false, indicazioni circa le cose da fare in materia di reperimento alloggi e modalità di affitto o di acquisto dei medesimi, eccetera. Vi sono poi le brigate di massa che comprendono tre categorie: le brigate di fabbrica, le brigate cosiddette della triplice e le brigate che si occupano della Democrazia Cristiana o, meglio, delle forze politiche in generale […] Al massimo la brigata può comprendere cinque militanti, peraltro

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può comprendere anche una persona soltanto. In definitiva l’entità numerica della brigata dipende sia dalle esigenze di impiego che dalla disponibilità di personale. La brigata cosiddetta della triplice si occupa di carabinieri, polizia, magistrati e carceri78. Preciso che polizia e carabinieri nel linguaggio dell’organizzazione vengono indicati con la formula “forze repressive”, che comprende anche la Guardia di Finanza e i vigili urbani (questi ultimi due corpi, fino ad oggi, più in termini di interesse politico che altro, mentre in futuro diventeranno di certo obbiettivi da colpire). La brigata delle forze repressive esiste normalmente, ma è chiaro che viene potenziata quando la vita del Paese ne determina l’esigenza, per esempio in occasione di elezioni. […] La centralizzazione della brigata avviene per mezzo dei regolari […]”79.

Questa specificità dei compiti e delle aree di interesse delle brigate non era così rigida come viene delineata, ma spesso, all’interno di una colonna, erano presenti solo alcuni tra questi tipi di brigata che coprivano tutte le aree di intervento80.

Con la nascita delle brigate e l'aumento del numero di militanti, viene creato un nuovo punto di sintesi politica del fronte e, cioè, il coordinamento formato da uno o più clandestini preposti a un fronte e dagli irregolari capo brigata; i dirigenti del fronte e coordinatori dovevano poi riferire alla direzione di colonna. Il coordinamento (se ne contano diversi, come quello controrivoluzione, quello enti locali, quello fabbriche) è, infatti, formato, oltre che dal clandestino o dai clandestini collocati alla guida del fronte relativo, anche degli irregolari responsabili delle brigate o, comunque, dei vari settori o situazioni di intervento; quest’organismo ha compiti non solo di elaborazione politica, ma anche di studio, a esso vengono trasmessi e da esso vengono coordinati e centralizzati i progetti di azioni e le inchieste da utilizzare concretamente. La struttura dell’organizzazione locale è ispirata dagli stessi principi con cui si è costituita la struttura nazionale: rigidità, gerarchia, compartimentazione: in questo modo viene garantita l’efficienza e la sicurezza nelle Brigate Rosse a tutti i livelli. Ne consegue che anche la vita dell’organizzazione si svolge secondo gli stessi principi, per cui ogni compito viene assegnato con precisione e ogni militante sa esattamente quale è il suo dovere ed ha precise nozioni esclusivamente riguardo alle questioni di sua competenza, rimanendo però allo scuro di tutto ciò che non attiene alla sua funzione.

Le azioni compiute dalle articolazioni locali delle Brigate rosse seguono uno schema unitario, segno del verticismo e della compattezza dell’organizzazione che tende a uniformare dal centro attività e azioni dei militanti. Esemplare è, a questo proposito, la ricostruzione dell’iter delle azioni da parte del pentito genovese Carlo Bozzo. Bozzo riferisce come nell’ambito di una campagna ci fosse un

78 Le brigate interne alle carceri composte da brigatisti detenute sono chiamate “brigate di campo”.

79 Verbali delle deposizioni rese da Patrizio Peci ai Giudici istruttori del Tribunale di Torino, Giancarlo Caselli e Mario

Griffey, cit.

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lavoro permanente di schedatura, di raccolta dati e di inchieste, organizzato dal clandestino responsabile del settore interessato a quella campagna, finché il clandestino, consultandosi con altri compagni della Direzione di colonna, selezionando il materiale, proponeva un obiettivo da colpire; successivamente il capo colonna, nella riunione del Comitato Esecutivo, proponeva l’obiettivo predetto all’esame e all’approvazione del Comitato Esecutivo medesimo. Dopo l’approvazione dei vertici si passava alla realizzazione dell’azione nell’ambito della colonna; infine, come confermano tutti gli altri pentiti, era la Direzione di colonna a redigere il volantino di rivendicazione delle varie operazioni. Un altro esempio è dato dalla sempre uguale dinamica delle azioni di ferimento che segue uno schema preciso che si ripete con poche variazioni e con rarissime, ma interessanti eccezioni. Generalmente il commando colpisce la vittima mentre questa si sposta dalla propria abitazione verso il posto di lavoro o viceversa, attendendola sotto casa o, più raramente, lungo il tragitto; un membro del commando, seguito solitamente da un guardaspalle, si avvicina alla vittima e le scarica contro l’intero caricatore, mirando alle gambe. I feriti presentano sempre lesioni alle gambe e alle braccia, procurate nel compiere l’istintivo gesto difensivo di coprirsi con le mani, le conseguenze fisiche sono diverse da caso a caso, ma purtroppo raramente sono lievi. Una regola ferrea dell’organizzazione è quella per cui, durante le azioni, non si deve stabilire nessun contatto con la vittima, evitando di rivolgerle anche una sola parola; questa norma rientra in una delle strategie base delle Brigate Rosse che consiste nella spersonalizzazione del nemico. L’obiettivo da colpire diventa così un simbolo, un bersaglio che non deve essere fatto segno né di pietà, né di odio, né di nessun altro sentimento. Anche il confronto, lo scambio verbale è proibito: dialettizzare con la vittima vale a riconoscerle uno status di parità che inficia il progetto di reificazione della stessa, indispensabile per la riuscita dell’azione. Dopo l’azione, gli esecutori si danno rapidamente alla fuga.

Come vedremo, sono gli scarti, le eccezioni, le difformità rispetto a queste regole generali a parlarci delle specificità delle diverse colonne.

3. Le colonne

All’interno di questa struttura gerarchica, minuziosamente regolata, un’importanza fondamentale riveste la colonna, che le Br definiscono come “un’unità politico-militare globale capace di operare autonomamente su tutti i fronti della zona geografica di appartenenza, detta polo81”. Altrove le Brigate Rosse espongono la propria concezione di articolazione locale con una breve frase che riassume in poche parole una delle questioni centrali relative alla vita e alla natura delle

articolazioni periferiche, ovvero il fatto di essere diramazioni di un’organizzazione più complessa, centralizzata, di cui sono fedeli subordinate e, nello stesso tempo, un’espressione dei luoghi in cui si

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radicano da cui assorbono idee, problematiche, visioni, militanti e con cui in qualche misura interagiscono:

“[la colonna è] l’unità organizzativa minima che riflette, sintetizza e media nel suo interno tanto la complessità del polo e delle sue tensioni che la complessità dell’organizzazione, la sua impostazione strategica e la linea politica”. Questa unità “da un punto di vista politico, […] si centralizza attraverso la Direzione strategica e i fronti; da un punto di vista militare è autosufficiente e perciò si dà come obbiettivi massimi di scontro quelli che è in grado di realizzare autonomamente. Da un punto di vista organizzativo, essa è indipendente e compartimentata rispetto alle altre, potendo contare su un proprio apparato logistico in grado di risolvere tutti i problemi”82.

Dalla descrizione del funzionamento, della struttura e dei compiti della colonna si evince che si tratta di un’articolazione dotata di ampi margini di autonomia e di potere, nonostante sia inserita alla base di una ferrea struttura gerarchica. Spetta, infatti, alle singole colonne il compito di articolare azioni, con riferimento a specifici obiettivi: le singole azioni vengono deliberate dalle singole colonne nell’ambito della campagna lanciata dai fronti, approvata dall’Esecutivo, definita quindi nei particolari dalla colonna che sceglie i componenti del nucleo operativo, dandosi carico anche di reperire i mezzi necessari. Quest’ultimo compito viene espletato dal fronte logistico locale; infatti, anche a livello di colonna, l’organizzazione si articola in fronti che riproducono quelli nazionali: il fronte logistico, il fronte della controrivoluzione e il fronte delle fabbriche.

Un documento del 1974, “Bozza di discussione per il fronte logistico”, che tratta diffusamente di problemi organizzativi, accordando una speciale attenzione all’organizzazione di un efficiente fronte logistico riconosce alle colonne “una capacità operativa autonoma”83, sia per motivi di sicurezza sia perché la delicatezza degli incarichi comporta una “compartimentazione spinta all’estremo storicamente possibile”

La colonna è formata da militanti irregolari o regolari fino a quando non vengono istituite le brigate; a questo punto la massa degli irregolari, quasi sempre legali, viene organizzata in questi nuovi organismi; ogni colonna conta all’incirca dieci clandestini cui sono subordinati i militanti delle brigate. Ai vertici nazionali è rappresentata da un solo membro, il capo colonna, ma è diretta da un gruppo di clandestini, chiamato Direzione di colonna, che organizzano, coordinano e dirigono l’intera vita delle Brigate Rosse nel polo, non tollerando nessuna forma di spontaneismo, soprattutto in momenti particolarmente difficili della vita dell’organizzazione. È, infatti, caratteristica delle colonne di attribuire collegialmente al complesso delle forze regolari di provata capacità ed esperienza

82 Br, Alcune questioni per l’organizzazione, cit.

83 ACS, Carabinieri, Carte Moro, b.5, documento redatto dalle Brigate Rosse intitolato, “Bozza di discussione per il

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disponibile nel polo il compito di amministrare e regolare le attività dei membri della banda senza escludere con ciò, all’occasione e tanto più per i fatti più gravi, la partecipazione diretta alle azioni dei dirigenti. È quindi dalla direzione di colonna che discende, secondo la disciplina interna delle Br, non solo la distribuzione dei compiti tra i vari aderenti, la loro istituzione politica e il reperimento e amministrazione di tutto il materiale e le armi necessarie, ma anche, a seguito delle cosiddette campagne decise a livello nazionale, l’individuazione concreta degli obiettivi da colpire, la predisposizione dei programmi operativi e il reperimento dei mezzi adatti nonché la stessa scelta dei soggetti che dovranno realizzare le varie azioni, i quali ignorano di solito fino all’ultimo di dover intervenire e cosa fare o chi colpire. L’autonomia decisionale e operativa delle colonne varia anche a seconda del tipo di azione, in ragione del maggiore o minore livello di offesa praticato e della maggiore o minore entità dell’operazione; in particolare i ferimenti sono gestiti con un più elevato grado di autonomia delle colonne rispetto agli omicidi. A livello nazionale si decide di lanciare una campagna contro una particolare “articolazione dello Stato”, ad esempio contro i giornalisti o contro la Democrazia Cristiana o contro le fabbriche; le colonne mettono in pratica l’indicazione data dai vertici, svolgendo inchieste nell’ambito prescelto e scegliendo gli obiettivi: il clandestino responsabile del settore interessato a quella campagna organizza un lavoro permanente di schedatura e raccolta dati; dopodiché, il responsabile, consultandosi con gli altri compagni della direzione di colonna, seleziona il materiale e propone un obiettivo. Se si tratta di un omicidio, il capo colonna sottopone, nel corso di una riunione, il progetto all’esame del Comitato Esecutivo; per i ferimenti e altre azioni di minore portata offensiva, generalmente, è sufficiente dare una comunicazione preventiva all’autorità nazionale che può eventualmente esercitare il diritto di veto. L’azione così progettata viene attuata dai membri della colonna. Gli obiettivi vengono scelti dalla Direzione di colonna che progetta anche l’azione, mentre il commando operativo può essere costituito da militanti di ogni grado, anche se quasi sempre si tratta di regolari; ricevuta l’autorizzazione dei vertici, la colonna procede all’esecuzione, attuata in completa autonomia. La Direzione di colonna organizza le azioni fin nei minimi particolari: l’intera operazione avviene sotto la sua regia, gli irregolari coinvolti ricevono le armi poco prima di agire e subito dopo le restituiscono, i volantini di rivendicazione vengono stilati da questo organismo direttivo. Il nucleo operativo è generalmente composto di quattro persone: lo sparatore, due militanti con funzione di copertura, uno vicino alle due persone coinvolte e l’altro più lontano che previene eventuali intrusioni e, infine, l’autista che aspetta in macchina. Subordinati alla direzione di colonna, che è il centro motore dell’organizzazione a livello locale, c’erano i fronti in cui, come a livello nazionale, i militanti erano divisi in base ai tipi di problemi da affrontare: ad ogni fronte erano preposti uno o due clandestini che mantenevano i contatti, con la

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tecnica degli appuntamenti strategici, con gli irregolari ad esso appartenenti, riferendo a loro volta i vari sviluppi alla direzione di colonna.

Secondo Peci il collegamento tra colonne e fronti avveniva di solito attraverso due persone: ogni colonna aveva normalmente un esponente collegato col fronte logistico e uno con quello di massa. È la direzione di colonna a redigere i volantini di rivendicazione delle azioni compiute, un compito che rivela un certo grado di autonomia anche a livello di elaborazione teorica: seppure le azioni delle colonne erano inserite in campagne nazionali, tuttavia attraverso la scrittura di questi documenti, i dirigenti delle diverse articolazioni esprimevano, in una certa misura, le proprie posizioni.

Le colonne, dunque, sebbene siano strettamente legate ai vertici nazionali che ne stabiliscono la strategia politica e militare e che controllano piuttosto strettamente l’esistenza, sono, tuttavia, organismi dotati di una certa autonomia e caratterizzati da una fisionomia propria e peculiare, legata alla realtà territoriale in cui sono inserite e alla personalità dei militanti che le compongono.

L’organizzazione, infatti, è sì verticistica, leninista e gerarchica, ma non monolitica: dal punto di vista politico-organizzativo nelle intenzioni delle Br, come viene descritta nei documenti si tratta di una piramide che termina nelle colonne, organismi omologhi che traducono in atti nei diversi poli le campagne decise dal vertice, ma la storia e le caratteristiche delle colonne dimostrano quanto

differenti fossero le diverse articolazioni e come a differenziarle fossero due fattori principalmente: il contesto territoriale e le diverse fasi cronologiche che corrispondono a diverse strategie, obiettivi e progetti. L’adesione o meno a una campagna nazionale, il modo e l’intensità con cui viene portata avanti, gli errori, le disobbedienze, la scelta degli obiettivi, le deviazioni rispetto alla linea sono tutti elementi che ci parlano del rapporto della colonna con il territorio, di come le Brigate rosse

percepivano il contesto, di come ne venivano modificate e di come lo modificavano. Le Br infatti si rendono conto che la strategia può essere unitaria ma la tattica dev’essere sempre coerente con la configurazione geo-politica del polo di intervento84.

Infine, anche per quanto riguarda i militanti che compongono le colonne, si riscontra una dialettica tra centralizzazione e autonomie locali. Infatti, se vero che vi sono sempre dei dirigenti nazionali che vengono inviati a fondare le colonne e che diventano poi membri della direzione locale e che quando una colonna si allontana troppo dalle direttive centrali, come nel caso veneto, vengono inviati dirigenti a commissariare la situazione, tuttavia gli irregolari e parte dei regolari sono persone del posto, che portano con sé i loro legami con il territorio. E qui proprio la comparazione tra i tre casi prescelti ci mostra come il contesto lavora, si insinua nelle pieghe dell’organizzazione, interagisce attraverso scambi di uomini e idee, tanto che oggi, ricostruendo le parabole delle tre colonne abbiamo tre storie e tre fisionomie significativamente diverse e significativamente

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influenzata dai contesti in cui operano. Inoltre la comparazione consente di affrontare alcuni aspetti non secondari della storia della violenza politica negli anni Settanta: il rapporto tra lotta armata e territorio, l’influenza delle diverse culture politiche, la posizione di Autonomia, l’evoluzione dell’organizzazione brigatista nel tempo e il suo posizionamento rispetto alla galassia della sinistra radicale e della lotta armata.

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Capitolo 2 – Genova.

“Genova era una città molto vecchia, a me parve già morente, il primo polo industriale che cominciava a diminuire di popolazione. Era dominata da un Pci con grandissima storia e tradizione. […] In nessun’altra colonna, come a Genova, avremmo avuto un rapporto di amore e odio coi militanti di base di quel partito.”85

1. Il polo debole del triangolo industriale.