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CREAZIONE DI UN FRAMEWORK CONCETTUALE PER L'UTILIZZO DI ICT A SUPPORTO DEL PROCESSO DI OUTBOUND OPEN INNOVATION. UNA REVISIONE DELLA LETTERATURA

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Ingegneria

Laurea Magistrale in Ingegneria Gestionale

Tesi di laurea

Candidato:

Roberta Amerotti

Relatori:

Prof. Luisa Pellegrini

Prof. Davide Aloini

Ing. Pierluigi Zerbino

Creazione di un Framework Concettuale per

l’utilizzo di ICT a supporto del Processo di

Outbound Open Innovation

Una Revisione della Letteratura

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Indice

INTRODUZIONE ... 3

1. OUTBOUND OPEN INNOVATION: COMPRENSIONE DELLA STRATEGIA E DEFINIZIONE DEL PROCESSO ... 7

1.1. Apertura dei confini aziendali ed innovazione: Il paradigma dell’Open Innovation ... 9

1.2. L’ Outbound Open Innovation ... 11

1.3. I fattori influenti sulla scelta dell’Oubound Open Innovation come strategia da perseguire ... 17

1.3.1. Fattori product-oriented ... 18

1.3.2. Fattori technology-oriented ... 19

1.3.3. Fattori mixed strategy ... 20

1.4. Gli svantaggi dell’Outbound Open Innovation ... 21

1.4.1. Svantaggi monetari ... 21

1.4.2. Svantaggi strategici ... 22

1.5. Considerazioni aggiuntive ... 24

1.6. I fattori che influenzano il successo dell’Outbound Open Innovation ... 25

1.7. I mercati per le tecnologie e lo sviluppo di capacità dinamiche ... 29

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1.8.1. Esplorazione dei mercati e delle tecnologie ... 40

1.8.2. Valutazione del portafoglio tecnologico aziendale ... 42

1.8.3. Trasferimento delle tecnologie ... 45

2. COME SUPPORTARE IL PROCESSO DI OUTBOUND OPEN INNOVATION ... 49

2.1. Relazione tra ICT ed Innovazione ... 50

2.2. Quadro teorico sul Knowledge Management ... 53

2.2.1. Knowledge Creation ... 54

2.2.2. Knowledge Storage ... 56

2.2.3. Knowledge Transfer ... 63

2.2.4. Knowledge Application ... 67

2.2.5. Considerazioni ... 69

2.3. Knowledge Management e Innovazione ... 70

2.3.1. Outbound Open Innovation e Knowledge Management ... 74

2.4. Ricerca di potenziali ICT per il supporto dell’Outbound Open Innovation 79 3. FRAMEWORK DI SUPPORTO AL PROCESSO DI OUTBOUND OI ... 82

3.1. Collaborative technologies e Outbound OI ... 85

3.1.1. Electronic communication tools ... 86

3.1.2. Groupware ed Outbound OI ... 106

3.1.3. Social Media e Outbound Open Innovation ... 115

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3

3.3. Business Analytics e Outbound OI ... 146

3.4. Framework e Risultati... 149

4. CONCLUSIONI ... 152

Bibliografia ... 152

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L’Open Innovation (OI) ha assunto sempre più importanza in ambito aziendale, diventando a tutti gli effetti un fattore chiave per il successo competitivo delle imprese. Tuttavia, la gran parte della letteratura si è soffermata sull’analisi del lato “outside-in” dell’ OI, cioè quello relativo all’acquisizione di conoscenza esterna, definito Inbound Open Innovation. L’Outbound Open Innovation, il lato “inside-out” dell’ OI, relativo al trasferimento all’esterno delle conoscenze aziendali, è tuttora un argomento non ben approfondito dalla letteratura, sebbene la sua adozione possa portare a notevoli benefici sia strategici che finanziari.

Trasferire all’esterno le conoscenze aziendali significa per l’impresa commercializzare le proprie conoscenze ad altre organizzazioni indipendenti mediante la stipula di accordi contrattuali che prevedano ritorni in termini monetari o non monetari in modo che queste ultime possano sfruttarle proficuamente. Dunque, la commercializzazione delle conoscenze differisce nettamente dalla vendita di prodotti e servizi e può essere eseguita tramite concessioni di licenze, vendite di brevetti, creazione di spin-off o alleanze strategiche (Kutvonen, 2011). Le conoscenze possono anche essere rilasciate gratuitamente sul mercato mediante attività di open source (Chesbrough e Garman, 2009).

In passato, la maggior parte delle aziende non affrontava queste attività in modo strategico, bensì decideva caso per caso se commercializzare o no particolari conoscenze o tecnologie. La mancanza di una pianificazione strategica alla base della commercializzazione delle conoscenze è la principale causa delle difficoltà e dei fallimenti che le aziende hanno incontrato nel tentativo di perseguire l’ Outbound Open Innovation (Kutvonen, 2011).

A questo proposito, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) potrebbero offrire un valido supporto per le aziende intenzionate all’attuazione di strategie di Outbound OI.

Sebbene non sia stata ancora fornita una chiara comprensione del processo di Outbound OI, dalla letteratura emerge che, in generale, il processo di OI è caratterizzato da attività e decisioni complesse, a volte anche scarsamente strutturate, che potrebbero beneficiare del supporto delle ICT. Le ICT, infatti,

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possono promuovere e supportare la comunicazione tra diversi attori, la cooperazione, la creazione, la condivisione ed il trasferimento della conoscenza, fattori essenziali nell’OI. Esse forniscono alle imprese strumenti senza precedenti per generare, condividere, recuperare dati, informazioni e conoscenze e, di conseguenza, agevolarle nella gestione strategica dei propri confini (Bogers et al. , 2017). Il processo di Outbound OI potrebbe trarre grande beneficio dal supporto fornito da una piattaforma ICT dedicata che integri tutte le sue attività e fasi e faciliti il flusso di informazioni, evitando la frammentazione delle diverse fasi del processo.

Negli ultimi anni le piattaforme di OI (come Innocentive, NineSigma, Yet2.com per l’Inbound OI) sono cresciute esponenzialmente. Tuttavia, queste piattaforme esistenti supportano solo specifiche fasi o sottoprocessi dell’OI, ma non il processo nella sua interezza. D’altra parte però, sebbene l’OI possa essere profondamente influenzata dalle ICT, risulta ancora poco chiaro come queste tecnologie possano essere utilizzate dalle imprese per gestire efficacemente i flussi di conoscenza sia in entrata che in uscita, verso partner esterni (Awazu et al., 2009; Cui et al., 2015). La letteratura presenta una limitata compresione sia della struttura del processo di Outbound OI che della relazione tra OI e gli strumenti di ICT. Secondo la comunità scientifica, queste lacune dovrebbero essere colmate da nuove ricerche nell’ ambito di OI (Bogers et al., 2017). Di conseguenza, in questo studio di tesi viene analizzato il processo di Outbound OI e viene studiato il ruolo che le ICT possono avere nel supportare tale processo.

Sfruttando le evidenze della letteratura esistente nelle aree di OI, ICT e Knowledge Management (KM), viene costruito un framework concettuale in cui le fasi del processo di Outbound OI vengono collegate a categorie riconosciute di strumenti di ICT, attualmente utilizzate per il supporto del processo di KM. Gli obiettivi di questo studio sono quindi:

• definire il processo di Outbound Open Innovation e le relative attività; • comprendere quali strumenti di ICT potrebbero supportare le attività di Outbound OI;

• creare un framework concettuale per formalizzare i collegamenti tra le attività di Outbound OI e gli strumenti di ICT individuati.

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Per raggiungere gli obiettivi definiti, il metodo di analisi utilizzato in questo studio di tesi è la revisione della letteratura esistente riguardante OI, KM ed ICT.

La tesi è suddivisa in tre sezioni principali, ognuna delle quali ha comportato diverse ricerche.

Nella prima sezione è stata analizzata la letteratura esistente sull’Open Innovation e sulla commercializzazione delle tecnologie al fine di definire il processo di Outbound Open Innovation e le relative attività. Dopo un primo approfondimento generale riguardante il concetto di innovazione ed il modello di Open Innovation, è stata posta l’attenzione sull’Outbound Open Innovation per consentirne una profonda compresione. Pertanto, è stata accuratamente circoscritta la strategia di Open Innovation e sono state descritte le cinque modalità mediante cui un’azienda può commercializzare le proprie conoscenze. Data la notevole complessità della strategia di Outbound OI, tutte le analisi successive di questo lavoro di tesi sono state effettuate utilizzando come riferimento una delle cinque modalità di commercializzazione suddette: la concessione di licenze. In seguito sono stati analizzati tutti i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’attuazione dell’Outbound OI, sono stati individuati tutti i fattori che influenzano il successo dell’Outbound Open Innovation, sono state presentate le caratteristiche dei mercati per le tencologie ed esaminate le capacità che un’azienda dovrebbe sviluppare per sfruttarli. Queste analisi hanno portato all’individuazione di tre fasi principali: esplorazione dei mercati e delle tecnologie, valutazione del portafoglio tecnologico e trasferimento di tecnologie esterne, che delineano il processo Outbound OI. Infine, per ogni fase sono state identificate le relative attività necessarie al loro svolgimento.

Nella seconda sezione è stata analizzata la letteratura esistente du OI, KM ed ICT per individuare le potenziali tecnologie ICT a supporto del processo di Outbound. Per far fronte all'assenza di letteratura sul supporto delle ICT al processo di Outbound OI, è stata sfruttata la letteratura sul KM per trovare una corrispondenza tra le fasi del processo di Outbound OI e le fasi del processo di KM. Il collegamento tra i due processi è radicato nella natura dell'Outbound OI: trattandosi di un processo ad alta intensità di conoscenza, presenta diversi punti in comune con un tipico processo di KM. Pertanto, dopo un primo excursus

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sull’importanza delle ICT nell’OI e nel KM, è stato analizzato in dettaglio il processo di Knowledge Management e sono state definite le analogie tra le relative fasi e le fasi del processo di Outbound OI. L’identificazione di tali analogie ha permesso di ricercare le tecnologie ICT, utilizzate nel processo di KM, idonee al supporto dell’Outbound OI. Diverse classificazioni di strumenti di ICT sono state analizzate all’interno del processo di KM. L’analisi ha portato alla selezione di tre categorie principali di strumenti di ICT: collaborative technologies, enterprise content management e business analytics.

Nella quarta ed ultima sezione, infine, sono state analizzate in dettaglio le categorie di tecnologie individuate nella sezione precedente per comprenderne le modalità di utilizzo nelle attività caratterizzanti il processo di Outbound OI. É stato creato così un framework concettuale, una struttura a forma di matrice in cui le colonne indicano le fasi di Outbound OI e le righe le categorie di ICT, in cui sono stati formalizzati i collegamenti rilevati.

1. OUTBOUND OPEN INNOVATION: COMPRENSIONE DELLA

STRATEGIA E DEFINIZIONE DEL PROCESSO

In questa sezione l’Outbound OI viene analizzata sia da un punto strategico che operativo al fine di delineare un modello di supporto al relativo processo. A tale scopo è stata eseguita una revisione della letteratura esistente sull’Open Innovation e sulla commercializzazione delle tecnologie.

La revisione della letteratura è stata condotta utilizzando come principale motore di ricerca, il database scientifico Scopus (https://www.scopus.com/home.uri)

disponibile per il sistema della biblioteca dell’Università di Pisa. Il motore di ricerca Google Scholar è stato utilizzato in affiacamento per accedere a quei risultati di ricerca non ottenibili mediante Scopus.

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La ricerca è stata effettuata mediante l’utilizzo di parole chiave che sono state inserite nei campi di ricerca in alcuni casi singolarmente, in altri combinate tra di loro tramite il connettivo logico “^” (and) ed è stata limitata a sei campi principali: (i) Computer Science; (ii) Business, Management and Counting; (iii) Social Sciences; (iv) Decision Sciences; (v) Engineering; (vi) Economics, Econometrics and Financing.

Nella seguente tabella (Tabella 1) sono riportate le parole chiave e le varie combinazioni utilizzate in questa sezione.

Singole parole chiave Combinazioni

Outbound Open Innovation

Open Innovation

External technology

commercialization; Intellectual property; Technology exploitation; Technology transfer; Dynamic capabilities

Market for technology Technology transfer; Technology transaction

Technology transaction

Technology transfer; Technology exploitation; External technology commercialization; Patent licensing; Dynamic capabilities

Dynamic capabilities

External technology

commercialization; Technology exploitation; Patent licensing

Tabella 1 – Parole chiave e combinazioni

La ricerca ha prodotto 954 risultati. Una prima analisi di tali risultati è stata eseguita mediante la lettura dei relativi titoli ed abstract. In questo modo è stato

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possibile selezionare 106 studi potenzialmente utili. Tali studi sono poi stati analizzati approfonditamente attraverso la lettura degli interi articoli. In questa fase è risultato necessario integrare la ricerca con l’analisi di alcuni dei riferimenti negli studi citati in esame. In seguito a queste analisi è poi avvenuta la selezione definitiva dei 45 studi utilizzati per eseguire lo studio di questa sezione.

1.1. Apertura dei confini aziendali ed innovazione: Il paradigma dell’Open Innovation

In passato, le aziende sviluppavano internamente nuove tecnologie per i propri prodotti (Lichtenthaler, 2011), basando il proprio processo di crescita unicamente sull’incremento e sul potenziamento delle proprie risorse. L’innovazione, quindi, nasceva all’interno dell’azienda ed altrettanto internamente venivano svolte le successive fasi di sviluppo e produzione necessarie per la commercializzazione del prodotto finito. Questo tipo di strategia perseguito dalle aziende può essere definito ad “innovazione chiusa” in quanto comporta limitate interazioni con l’ambiente esterno (Lichtenthaler, 2011). Per molti anni questa strategia è stata considerata vincente. In virtù di ciò, le aziende investivano nell’assunzione di menti brillanti che potessero, tramite intense attività di ricerca, sviluppare idee innovative da commercializzare e reinvestivano i conseguenti ricavi in ulteriore attività innovativa (Chesbrough,2003a). La ricerca e sviluppo era quindi ritenuta la principale fonte del vantaggio competitivo e rappresentava un’invalicabile barriera all’ingresso per potenziali nuovi entranti.

Tuttavia, a partire dagli anni ottanta, le grandi imprese, fino a quel tempo considerate leader indiscussi nei rispettivi settori, hanno cominciato ad incontrare una nuova competizione proveniente da imprese di dimensioni minori (Chesbrough,2003a).

Molte aziende, anzichè sviluppare le tecnologie internamente, hanno iniziato ad acquisirle, per esempio attraverso alleanze strategiche o in-licensing (acquisto di brevetti), da organizzazioni esterne per completare la propria base di conoscenza

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interna (Lichtenthaler, 2011), riuscendo sia ad accelerare lo sviluppo dei nuovi prodotti che a ridurne i costi.

Non solo: le imprese hanno perfino cominciato a commercializzare attivamente la propria conoscenza tecnologica, compresa quella impiegata internamente per i propri prodotti, mediante out-licensing (concessione di brevetti) o alleanze strategiche (Lichtenthaler, 2011), garantendosi in questo modo un ritorno economico oltre alla possibilità di accesso a nuovi mercati.

Da ciò si desume che l’approccio strategico adottato dalle aziende si sia orientato verso l’apertura all’esterno dei propri confini.

Per descrivere questo fenomeno, Henry Chesbrough nel 2003 ha coniato l’espressione “Open Innovation”, a cui conseguentemente ha attribuito la definizione di “Use of purposive inflows and outflows of knowledge to accelerate

internal innovation, and expand the markets for external use of innovation, respectively” (Chesbrough, 2006).

Nasce così il “Paradigma dell’Open Innovation”. Questo paradigma mostra come un’azienda, per accrescere la propria capacità innovativa, possa affiancare alle proprie risorse quelle provenienti da una varietà di partner esterni. Analogamente evidenzia l’importanza della ricerca di nuovi sbocchi sul mercato per le innovazioni inutilizzate (Chesbrough, 2003a).

Tra i fattori determinanti alla base di questo cambiamento possono essere evidenziati l’aumento dei costi di sviluppo delle nuove tecnologie e l’accorciarsi del ciclo di vita dei prodotti (Chesbrough, 2006). L’incremento dei costi, infatti, ha fatto sì che l’attività di R&D interna gravasse sempre più sulle disponibilità economiche aziendali mentre la riduzione del ciclo di vita ha limitato la possibilità per l’azienda di recuperarne l’investimento a causa della inaspettata prematura uscita del prodotto dal mercato.

Aprendo i propri confini, le imprese possono limitare i costi di sviluppo e ridurre il time to market. Non solo, possono anche ottenere entrate aggiuntive derivanti dalla vendita a terzi delle tecnologie sviluppate internamente.

Altre motivazioni altrettanto importanti risiedono nella crescente accessibilità delle piccole imprese a fondi di capitali privati (private venture capital) per il finanziamento di progetti innovativi e nell’incremento della mobilità dei lavoratori

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(Chesbrough, 2003a) che rende sempre più difficoltoso per l’azienda il controllo delle proprie idee. Trasferendosi in altre aziende, infatti, il lavoratore porta con sè non solo le sue idee ma anche le competenze sviluppate durante il precedente rapporto lavorativo, avvantaggiando così il nuovo datore di lavoro. Aprire i propri confini, in questo caso, si traduce per l’azienda in una possibilità di accesso a menti brillanti che risiedono al di fuori delle sue mura.

Nel Paradigma dell’Open Innovation sono esposte due differenti strategie che possono essere perseguite dalle aziende: Inbound e Outbound.

Inbound Open Innovation si riferisce ad un processo “outside-in” che comporta l’apertura del processo innovativo all’ “esplorazione della conoscenza”, espressione con cui si indica l’acquisizione di conoscenza proveniente da fonti esterne.

Outbound Open Innovation, al contrario, si riferisce ad un processo “inside-out” che comporta l’apertura del processo innovativo allo “sfruttamento della

conoscenza” e quindi alla commercializzazione della propria conoscenza

tecnologica (Lichtenthaler, 2011).

Le aziende, inoltre, potrebbero adottare congiuntamente le due modalità di Open Innovation combinando i due processi “outside-in” e “inside-out” (Enkel, Gassmann e Chesbrough, 2009).

Sebbene in letteratura sia stata posta maggiore enfasi sull’Inbound Open Innovation, l’importanza dell’Outbound Open Innovation è cresciuta parallelamente all’interesse crescente nei confronti dell’Open Innovation in generale (Gronlund, Ronnberg Sjodin e Frishammar, 2010).

1.2. L’ Outbound Open Innovation

L’Outbound Open innovation prevede l’apertura dei confini aziendali al fine di cercare nuovi sbocchi commerciali per tecnologie sviluppate internamente dall’azienda. Questo processo viene definito come l’attività mediante cui le imprese ricercano organizzazioni esterne dotate di un business model maggiormente idoneo a commercializzare una data tecnologia (Chesbrough e

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Crowther, 2006). Alla base di questo processo vi è quindi un flusso di conoscenza “inside-out”: la conoscenza prodotta internamente viene diffusa all’esterno dei confini aziendali per essere ulteriormente sviluppata da altre imprese. In questo modo l’azienda riesce a trarre profitto commercializzando idee e vendendo proprietà intellettuale e a far accrescere la tecnologia trasferendo idee all’ambiente esterno (Enkel, Gassmann e Chesbrough, 2009).

I vantaggi derivanti dall’attuazione di tale processo sono perciò sia di tipo economico, cioè i ricavi derivanti dalla vendita a terzi della propria tecnologia, e sia di tipo strategico, ovvero la scoperta di nuove applicazioni (e quindi nuovi mercati) per la tecnologia.

Molte aziende, soprattutto in tempi di crisi, focalizzano le risorse solo su progetti che offrono le maggiori probabilità di generare profitti di breve termine. Ciò fa sì che molti progetti potenzialmente promettenti vengano bloccati in un punto iniziale del loro sviluppo ed abbandonati all’interno dell’azienda, in attesa di un incerto futuro utilizzo, perché ritenuti non aderenti al proprio core business (Chesbrough e Garman, 2009).

In un modello di innovazione chiuso, l’accantonamento dei progetti si traduce in uno spreco di risorse in quanto tali progetti, a causa dell’avanzare del progresso tecnologico, potrebbero facilmente diventare obsoleti e quindi non più utilizzabili. Inoltre, se il focus su progetti ritenuti più sicuri si protrae per molto tempo, può diventare nemico della crescita (Chesbrough e Garman, 2009). Secondo Chesbrough e Garman, quindi, l’abbandono dei progetti minaccia la capacità dell’azienda di crescere oltre il suo core business. L’Outbound Open Innovation offre una valida soluzione a tale problema in quanto suggerisce all’ impresa di collocare alcuni dei suoi beni o progetti fuori dalle sue mura (Chesbrough e Garman, 2009).

Le aziende potrebbero dunque continuare a focalizzarsi sui loro progetti core e decidere di affidare gli altri ad organizzazioni esterne in modo tale da garantirsi future opportunità di crescita. Ciò non solo fa risparmiare molto tempo e denaro, ma può far accrescere anche nuove relazioni con fornitori e partner, promuovere ecosistemi innovativi e generare ricavi ad alto margine derivanti dalle licenze (Chesbrough e Garman, 2009).

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Per agevolare le imprese nell’attuazione del processo di Outbound Open Innovation, Chesbroug e Garman hanno individuato cinque mosse strategiche.

 La prima consiste nel diventare un cliente o un fornitore del progetto innovativo (Chesbrough e Garman, 2009). Gli autori suggeriscono alle imprese di far sviluppare i propri progetti promettenti ma non strategici ad altre aziende creando nuovi business e diventandone cliente o fornitore. L’idea di base è che, “svolgendo un piccolo ruolo” nel progetto, l’impresa possa ridurne i relativi costi e rischi (Chesbrough e Garman, 2009). Ne è di esempio Ely Lilly che ha contribuito a lanciare ciò che è diventato InnoCentive ed in seguito ne è diventata il suo primo cliente. Così facendo, ha pagato solo per i servizi da lei effettivamente utilizzati mentre i costi ed i rischi del progetto InnoCentive erano condivisi con molti clienti ed investitori esterni (Chesbrough e Garman, 2009).

 La seconda mossa strategica che gli autori suggeriscono è la creazione di spin-off aziendali (Chesbrough e Garman, 2009). Uno spin-off consiste nel dar vita ad una nuova organizzazione che possa sviluppare indipendentemente un progetto originariamente avviato nella casa madre. In altre parole, nel caso in cui l’azienda non possa continuare lo sviluppo di progetti innovativi promettenti perché ritenuti non aderenti al core business aziendale, può decidere di affidarli ad investitori esterni, creando una nuova organizzazione indipendente da sostenere solo con una modesta quota di partecipazione. In questo modo, l’unità aziendale atta allo svolgimento del progetto innovativo viene “scorporata” dalla casa madre per fondare una nuova organizzazione che dovrà cercare all’esterno ulteriori fondi di capitali, reclutare leader e staff talentuosi ed infine attrarre i clienti (Chesbrough e Garman, 2009). Affidare i progetti come spin-off si traduce, per l’azienda madre, in una riduzione di tempi e costi ad essi dedicati. D’altro canto però, ne comporta anche la condivisione del valore del successo con terze parti. Tuttavia, se lo spin-off dovesse avere successo, l’azienda madre potrebbe incrementare il proprio livello di partecipazione o addirittura acquisirlo (Chesbrough e Garman, 2009). L’azienda potrebbe inoltre decidere di vendere la propria quota ad altri

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investitori se dovesse ritenere inopportuni ulteriori investimenti in tale off. Lucent, per esempio, ha scorporato dalla sua sede, tramite spin-off, ciò che poi è diventato Lucent Digital Video. Così facendo ha avuto accesso a nuovi mercati dapprima non coperti, come quello cinese e di altri paesi in via di sviluppo. Dato il notevole successo conseguito dallo spin-off, Lucent lo ha successivamente riacquisito (Chesbrough e Garman, 2009).  La terza mossa strategica consiste nel concedere in licenza a terzi i propri

brevetti inutilizzati. “Many companies own lots of intellectual property (IP)

that delicers no direct financial benefit because it sits on the shelf”

(Chesbrough e Garman, 2009). I beni accantonati non producono nuovo valore. Inoltre, la loro generazione di valore diminuisce nel tempo a causa del manifestarsi di nuovi approcci concorrenziali e dell’abbandono degli stessi da parte delle persone che lo hanno prodotto. Secondo i due autori, le aziende dovrebbero essere consapevoli del fatto che le tecnologie bloccate, una volta liberate, possono trasformarsi in competitività (Chesbrough e Garman, 2009). Essi suggeriscono, quindi, alle imprese di concedere a terzi la propria IP inutilizzata per far sì che gli altri possano ulteriormente svilupparla. I vantaggi principali risiedono, quindi, nel ritorno economico derivante dall’incasso delle royalties, nella generazione di nuove possibilità di business e, di conseguenza, in concrete opportunità di crescita. Un attuatore di questa strategia è Royal Philips Electronics che, a seguito di una feroce concorrenza proveniente dai mercati asiatici, ha scorporato il suo business dei semiconduttori offrendo in licenza i relativi brevetti. In questo modo, l’azienda è riuscita a focalizzarsi sul mercato della salute e del benessere ed allo stesso tempo si è garantita una notevole fonte di ricavi derivanti dalle licenze (Chesbrough e Garman, 2009).  La quarta mossa strategica proposta è di “far crescere il proprio

ecosistema” (Chesbrough e Garman, 2009), ovvero creando un ampio network di partner. Mediante gli ecosistemi l’azienda, infatti, può fare affidamento su una moltitudine di partners, alleati e ricercatori. Risulta così più agevole per l’azienda ricercare qualcuno interessato allo sviluppo dei suoi progetti “non core” o, al contrario, accedere a progetti innovativi

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lanciati da terzi. Ad esempio SAP, un’azienda consolidata rinomata per la profonda integrazione dei suoi software aziendali, ha sviluppato importanti ecosistemi attorno alle sue tecnologie. Ha creato EcoHub, un marketplace di soluzioni per ecosistemi, certificate e supportate da SAP e dai suoi partners. Sia aziende che partners traggono benefici dallo sfruttamento di un forum aperto che accelera la scoperta di nuove capacità e suscita idee riguardanti i bisogni del marketplace. Una creazione connessa è il SAP Developers Network, una comunità online dove qualsiasi sviluppatore SAP o utente esperto può chiedere ai colleghi supporto per un problema del software SAP. La persona che espone il problema aggiudica punti alla persona che lo risolve e SAP posta regolarmente i nomi dei 200 contributori che hanno ottenuto più punti. Gli sviluppatori spesso includono il totale dei loro punti nei loro curriculum come prova per i potenziali datori di lavoro della loro abilità con i software SAP. Ad un costo molto ridotto per SAP, questo networks fornisce soluzioni per i suoi clienti ma anche opportunità di business per i suoi partner dell’ecosistema (Chesbrough e Garman, 2009).

 L’ultima mossa individuata dagli autori consiste nel rilasciare gratuitamente sul mercato, tramite attività di open source, le conoscenze e le tecnologie sviluppate internamente. In questo modo le aziende possono trasferire i costi all’esterno e, allo stesso tempo, accelerare il progresso mediante una cospicua partecipazione ai propri progetti da parte di esterni (Chesbrough e Garman, 2009). Questa mossa strategica potrebbe avere un ulteriore vantaggio: inibire altre aziende di brevettare prodotti basati su queste tecnologie rese pubbliche. Ciò è quanto accaduto a Merck, nota casa farmaceutica statunitense con il suo progetto Merck Gene Index. Notando il rapido progresso nel sequenziamento del genoma umano, l’azienda si rese conto che molte giovani aziende biotecnologiche avrebbero potuto provare a brevettare parti chiave del genoma. Ciò avrebbe bloccato la sua possibilità si sviluppare nuovi medicinali per malattie genetiche. Decise perciò di finanziare molti progetti di ricerca universitari sul genoma umano e di pubblicarne tutte le scoperte. In questo

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modo, Merck Gene Index diventò di “dominio pubblico”: tutti potevano usarlo ma nessuno poteva brevettare sequenze specifiche di geni (Chesbrough e Garman, 2009).

Dalla comprensione delle suddette mosse strategiche si può notare come l’adozione dell’Outbound Open Innovation vada oltre la mera vendita delle proprie tecnologie (Kutvonen, 2011) ma include metodi di scambio quali la concessione di licenze, la vendita di brevetti, la creazione di spin-off tecnologici e la stipula di alleanze strategiche.

In quest’ottica, l’Outbound Open Innovation può essere inteso come “an

organization’s deliberate commercializing (exploitation) of knowledge assets to another independent organization involving a contractual obligation for compensation in monetary or non-monetary terms” (Lichtentaler, 2005).

La commercializzazione all’esterno delle tecnologie proprietarie può riguardare tutte le tecnologie sviluppate internamente perciò va ben oltre l'attività marginale di commercializzazione delle conoscenze residue (Rivette e Kline, 2000). Queste “transazioni di tecnologie” sono più difficili e complesse rispetto alle semplici transazioni di prodotti (Arora, Fosfuri e Gambardella, 2001). Però, se ben condotte, possono portare a notevoli vantaggi.

IBM, per esempio, attraverso la concessione di licenze, ha incrementato i propri profitti da 30 milioni di dollari nel 1990 ad oltre 1,9 miliardi di dollari nel 2001 (Chesbrough, 2003b). Inoltre, il fatto che i ricavi ottenuti da IBM mediante il licensing siano rimasti alti negli ultimi anni (Lichtentaler, 2007), fa dedurre che questa attività sia stata completamente integrata nella strategia aziendale. Al contrario però, molte altre aziende che hanno tentato di attuare questo tipo di transazioni, hanno incontrato notevoli difficoltà a causa delle complesse sfide gestionali e dell’impegno finanziario necessario. Di conseguenza, spesso, le azioni di queste ultime si sono rivelate fallimentari. La commercializzazione delle proprie tecnologie non rappresenta il core business per la maggior parte delle imprese (Kutvonen, 2011). Pertanto, molte aziende non riescono a sfruttarne a pieno il loro potenziale (Fosfuri, 2006). Spesso accade, infatti, che le aziende non siano in grado di riconoscere l’applicabilità delle proprie conoscenze in campi diversi dal loro core

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business (Kutvonen, 2011). Tali difficoltà hanno provocato atteggiamenti riluttanti nelle aziende e ciò spiega la predominanza nel passato di strategie innovative chiuse (Chesbrough, 2007). Le strategie di Open Innovation, in particolare quelle che vanno oltre la commercializzazione della sola conoscenza residuale, comportano notevoli rischi (Lichtentaler, 2007). La conoscenza tecnologica costituisce una delle principali fonti di vantaggio competitivo (Teece, 1998) e, trasferendo all’esterno tecnologie proprietarie, un’azienda potrebbe rafforzare i concorrenti a discapito dei propri profitti (Fosfuri, 2006).

Il primo passo per comprendere al meglio come le aziende possano trarre benefici dall’Outbound Open Innovation consiste nell’analizzare i fattori che le spingono a commercializzare le proprie tecnologie (Lichtentaler, 2007). Date le molteplici modalità suddette in cui questa attività può essere svolta, per semplicità, mi soffermerò sugli aspetti legati alla concessione di licenze tecnologiche (technology licensing).

1.3. I fattori influenti sulla scelta dell’Oubound Open Innovation come strategia da perseguire

Dall’analisi della letteratura emerge che il fattore per il quale molte aziende hanno deciso di concedere in licenza le proprie tecnologie consiste nel “revenue effect” (Fosfuri, 2006). Questo è definito come: “the present value of the flows of money

accruing to the licensor in the form of licensing payments, net of all possible transaction costs that bear on the seller of the technology” (Fosfuri, 2006). In altre

parole, l’azienda licenziante può concedere ad un’altra il diritto di usare la propria tecnologia in cambio di pagamenti in denaro. Così facendo, l’azienda genera nuovi ricavi che non avrebbe mai realizzato portando avanti solo il suo precedente business (Lichtentaler, 2007).

Sebbene la letteratura si sia soffermata principalmente su questo fattore di tipo monetario, esistono molti altri fattori di tipo strategico, ugualmente importanti, che possono creare benefici per le aziende, pur non essendo direttamente connessi alla generazione di ricavi. Questi fattori strategici possono essere

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suddivisi in tre categorie in base al tipo di strategia che l’azienda intende sostenere: product-oriented; technology-oriented e mixed strategy (Lichtentaler, 2007).

1.3.1. Fattori product-oriented

I fattori appartenenti a questa categoria sono tre e sono finalizzati al supporto della strategia di prodotto di un’impresa.

 Il primo consiste nella possibilità per l’azienda di entrare in mercati esteri (Lichtentaler, 2007). In quest’ottica, il technology licensing viene impiegato come un sostituto degli investimenti esteri diretti e consente perciò all’azienda di sfruttare la propria tecnologia mediante vendite di prodotti in mercati geograficamente distanti (Koruna, 2004).

 Il secondo motivo che può spingere l’azienda al technology licensing è la

vendita di prodotti e/o servizi aggiuntivi (Lichtentaler, 2007). In questo

caso, la tecnologia viene utilizzata come mezzo per accedere a nuovi mercati di prodotto (Koruna, 2004). Le aziende che acquistano in licenza la tecnologia, possono impiegarla per creare nuovi prodotti e/o servizi diversi da quelli prodotti dall’impresa licenziante. Indirettamente, perciò, mediante il technology licensing, il licensor può soddisfare mercati non coperti dal suo attuale business.

 Un’azienda potrebbe avere la necessità di trovare utilizzatori esterni per la propria tecnologia per commercializzare con successo i suoi prodotti (Conner, 1995). In virtù di ciò, il terzo fattore che influisce sull’adozione del techonolgy licensing si riferisce alla possibilità, per l’azienda, di imporre

uno standard industriale (Lichtentaler, 2007). Una spiegazione esaustiva di

tale fenomeno risiede nel concetto di esternalità di rete; secondo il quale il beneficio che deriva dall’utilizzo di un bene incrementa al crescere del numero di utilizzatori. Dunque, concedere in licenza una propria tecnologia, può farne accrescere talmente tanto il valore da far sì che questa diventi uno standard dominante.

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19 1.3.2. Fattori technology-oriented

I tre fattori contenuti in questa categoria sono finalizzati al rafforzamento della posizione tecnologica di un’impresa (Lichtentaler, 2007).

 Una prima motivazione per cui un’azienda possa decidere di ricorrere al technology licensing consiste nella necessità di garantirsi la libertà di operare (Lichtentaler, 2007). In settori ad elevata intensità di ricerca come quello elettronico e quello dei semiconduttori, le industrie dispongono di grandi portafogli di brevetti caratterizzati da un alto grado di “sovrapposizione tecnologica” (Teece, 1998). Ragion per cui, un’azienda potrebbe ritrovarsi a dover usufruire di scoperte altrui precedentemente brevettate per sviluppare le proprie tecnologie e commercializzare i propri prodotti. In quest’ottica, il technology licensing viene impiegato per evitare il “patent infringement” (Lichtentaler, 2007) e consentire, dunque, all’impresa di operare liberamente.

 Spesso la commercializzazione delle tecnologie proprietarie può rappresentare l’unico modo per acquisire conoscenze esterne. A tal proposito, il secondo fattore incidente sull’attuazione di tale attività risiede nell’avere libero accesso al

portafoglio tecnologico di un’altra impresa (Grindley e Teece, 1997). A causa

dell’accorciarsi dei cicli di vita di prodotti e tecnologie e della crescente convergenza tecnologica (Rivette e Kline, 2000), un’azienda potrebbe ritenere inevitabile ottenere una tecnologia sviluppata da altri per accelerare il proprio processo produttivo. La transazione, in questo caso, non è unilaterale ma si realizza mediante il reciproco scambio di tecnologie formalizzato tramite contratti cross-licensing o allenze strategiche (Lichtentaler, 2007).

 Il terzo fattore appartenente a questa categoria consiste nella possibilità di

garantirsi la leadership tecnologica (Koruna, 2004). Da questo punto di vista, il

technology licensing viene adoperato per indurre i competitor a concentrare le loro attività innovative in particolari campi o su determinate tecnologie. Infatti, l’azienda potrebbe concedere in licenza la propria tecnologia solo in specifici campi per eliminare la rivalità nel campo in cui intende operare (Lichtentaler,2007). Potrebbe anche concedere ai competitors una specifica tecnologia per far sì che lei sia l’unica a concentrarsi su un’altra che vada a

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soddisfare un diverso segmento di mercato o che sia superiore, nel lungo termine, a quella ceduta (Davis e Harrison, 2001).

1.3.3. Fattori mixed strategy

I tre fattori di questa categoria sono orientati al supporto sia della strategia di prodotto che quella tecnologica adottate dall’impresa.

 Un primo beneficio che un’azienda potrebbe ottenere tramite technology licensing è la realizzazione degli effetti di apprendimento con la conseguente compressione della curva di apprendimento aziendale (March, 1991). L’azienda potrebbe infatti formalizzare, mediante accordi di licensing, delle clausole di “retrocessione” allo scopo di acquisire le conoscenze generate dal suo partner in seguito allo sviluppo della tecnologia (Davis e Harrison, 2001).

 La concessione di licenze consente anche all’azienda di migliorare la sua

reputazione (Lichtentaler, 2007). Una solida reputazione può favorire la

stipula di contratti di cross-licensing con altre aziende facilitando, in questo modo, l’acquisizione di conoscenza esterna; non solo, può anche influenzare positivamente il business dei prodotti dell’impresa (Rivette e Kline, 2000).

 Infine, queste transazioni possono rafforzare il network interorganizzativo dell’azienda (Davis e Harrison, 2001). I network forniscono accesso diretto ad altre istituzioni coinvolte nella rete (De Man, 2005) agevolando così le transazioni di tecnologie. In quest’ottica, il licensing rappresenta un ottimo metodo per mantenere, intensificare ed espandere il network di un’impresa (Lichtentaler, 2007).

Nella seguente tabella (Tabella 2) propongo una schematizzazione dei fattori appena descritti.

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Tabella 2 – I fattori strategici del technology licensing

Aldilà dei fattori monetari e strategici, un’azienda può ritrovarsi costretta a concedere in licenza le proprie tecnologie per questioni legali (Chesbrough, 2002) e quindi, per evitare misure punitive. In questo caso la scelta di commercializzare le proprie tecnologie non è volontaria e può portare anche ad indebolire la posizione di un’azienda rispetto ai suoi concorrenti (Lichtentaler, 2007).

Questo non è l’unico aspetto negativo derivante dal perseguimento di tale strategia ma ne esistono sia di carattere monetario che strategico. Il prossimo paragrafo sarà quindi dedicato all’analisi di tali svantaggi.

1.4. Gli svantaggi dell’Outbound Open Innovation

Analogamente ai fattori, ci sono aspetti negativi che incidono direttamente sui ricavi aziendali ed altri invece che impattano più che altro sulla posizione competitiva dell’azienda e quindi influiscono solo indirettamente sui profitti a lungo termine dell’impresa (Kline, 2003). Per questo motivo, anche tali aspetti possono essere suddivisi in monetari e strategici.

1.4.1. Svantaggi monetari

Il primo di tali svantaggi risiede nell’ “effetto di dissipazione dei profitti” che consiste in una riduzione di quei profitti dell’azienda non derivanti dalle attività di licensing (Fosfuri, 2006). Questo svantaggio colpisce quindi le aziende che competono anche sul mercato dei prodotti e può verificarsi a seguito dell’ingresso di un nuovo competitor nel mercato o del rafforzamento di una società preesistente. Un nuovo concorrente o comunque una concorrenza più aggressiva

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non solo può far ridurre i margini prezzo/costo ma anche la quota di mercato provocando, di conseguenza, una riduzione dei profitti dell’impresa derivanti dalla commercializzazione dei suoi beni (Fosfuri, 2006).

Inoltre le aziende, prima di intraprendere attività di technology licensing, potrebbero dover affrontare scelte “keep or sell” (Lichtentaler, 2007) cioè decidere se utilizzare internamente la tecnologia o farla sfruttare all’esterno. Sebbene molte aziende scelgano di imboccare entrambe le strade, lo sfruttamento concomitante della strategia internamente ed esternamente risulta vantaggioso solo in specifiche circostanze, per esempio in presenza di esternalità di rete (Conner, 1995). Concedere in licenza una tecnologia comporta generalmente costi inferiori per l’azienda rispetto al doverla sviluppare internamente (Fosfuri,2006). Tuttavia però, anche i ricavi sono inferiori dal momento che i profitti sono condivisi con i partner (Arora, Fosfuri e Gambardella, 2001). In aggiunta, i ricavi che un’azienda può ottenere tramite licensing possono dipendere fortemente dal suo potere contrattuale relativo (Stuart, 1998). Perciò, nello stabilire se commercializzare esternamente la tecnologia, l’azienda deve tener presente dei costi-opportunità dovuti a profitti plausibilmente maggiori conseguenti allo sviluppo interno della tecnologia (Lichtentaler, 2007).

In alcuni casi, i ricavi provenienti dalle licenze potrebbero addirittura non coprire le spese necessarie ad attuare la transazioni (Koruna, 2004). Ciò può accadere quando un’azienda abbia l’intenzione di imporre la propria tecnologia come standard industriale (Conner, 1995). Per perseguire tale strategia, infatti, l’azienda potrebbe essere indotta a commercializzare la propria tecnologia ad un prezzo inferiore rispetto al suo reale valore senza tener conto degli effettivi costi di transazione. Ciò ovviamente si traduce in un impatto negativo sulla situazione finanziaria dell’impresa.

1.4.2. Svantaggi strategici

A differenza degli svantaggi monetari, quelli strategici non incidono direttamente sui ricavi aziendali ma impattano piuttosto sulla sua posizione competitiva. Inoltre, analogamente a quanto visto in sede di analisi dei vantaggi strategici, anche gli svantaggi dipendono dal tipo di strategia che un’impresa intende perseguire. Di

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conseguenza, gli aspetti negativi possono essere distinti in product-oriented e technology-oriented.

Lo svantaggio product-oriented del technology licensing è dettato dalla necessita di disporre di beni complementari alla tecnologia commercializzata (Arora, Fosfuri e Gambardella, 2001). Anche in questa occasione l’azienda è costretta ad affrontare decisioni “keep-or-sell” però in questo caso l’attenzione è rivolta, appunto, allo sviluppo interno od esterno dei beni complementari. Un bene complementare è un bene utilizzato congiuntamente ad un altro per soddisfare un bisogno o per raggiungere un determinato obiettivo. Di conseguenza, all’aumentare della domanda di un bene, la domanda del rispettivo bene complementare subirà anch’essa un incremento. Nello specifico caso aziendale, non disporre in modo adeguato dei beni complementari alla tecnologia che si intende commercializzare può provocare una riduzione della domanda di quest’ultima. Inoltre, le tecnologie sono caratterizzate da una natura

path-dependence vale a dire che il loro sviluppo futuro dipende fortemente da ciò che

è stato svolto in passato. Ciò porta a considerare che se un’azienda non investe subito nello sviluppo di beni complementari, non solo un investimento futuro potrebbe risultare più costoso (Lichtentaler, 2007) ma potrebbe perfino provocare nell’azienda una carenza delle conoscenze necessarie per portare avanti tale sviluppo. Questa mancanza di conoscenze potrebbe portare l’azienda a non individuare in tempo nuove opportunità di prodotto o a non riconoscere tempestivamente i pericoli delle nuove tecnologie (Lichtentaler, 2007). Ciò può impattare negativamente sulla posizione competitiva dell’azienda sia in termini di ricavi che di possibilità di crescita a lungo termine.

I rischi più significativi in cui l’azienda può incorrere però sono determinati dagli aspetti negativi technology-oriented. La conoscenza tecnologica rappresenta per l’azienda una fonte importante di vantaggio competitivo (Teece, 1998). In virtù di ciò, la scelta di quali tecnologie dare in licenza diventa un fattore critico per le imprese. Il pericolo che ne deriva consiste nel concedere a terzi, in particolar modo ai diretti competitors, i propri “corporate crown jewels” (Lichtentaler, 2011), cioè le tecnologie fondamentali per competere nel mercato di competenza. Di

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conseguenza, trasferendo una tecnologia un’azienda potrebbe perdere parte del suo vantaggio competitivo e allo stesso tempo rafforzare un suo competitor. Come già detto, l’outbound open innovation consente di dar valore anche a dei progetti considerati inizialmente inutili (Chesbrough, 2003a). Però, se la rilevanza della tecnologia dovesse aumentare notevolmente l’azienda potrebbe pentirsi del non aver optato per il suo sviluppo interno che le avrebbe consentito, sicuramente, di ricavare maggiori benefici. Inoltre, una volta eseguita la transazione, questa difficilmente può essere annullata, anche se la tecnologia dovesse diventare estremamente importante per l’azienda (Teece, 1998).

Un’ulteriore aspetto negativo technology-oriented rilevante risiede nel considerare l’impegno necessario per condurre le attività di technology licensing da parte del personale dedicato alla R&D dell’impresa (Lichtentaler, 2007). Solitamente, insieme alla concessione della licenza, il licenziante deve offrire dei servizi aggiuntivi come la formazione del personale dell’azienda licenziataria (Rivette e Kline, 2000). Quindi, per eseguire con successo una transazione, il personale di R&D dell’azienda dovrebbe essere pienamente coinvolto in quanto, all’interno dell’azienda licenziante, rappresenta l’unica risorsa dotata di competenze esperte riguardanti la tecnologia da concedere (Rivette e Kline, 2000). Tuttavia, il personale di R&D ricopre un ruolo chiave all’interno dell’azienda in termini di incremento delle prestazioni tecnologiche. Ne consegue che un eccessivo suo impegno nelle attività di techology licensing può far rallentare la crescita aziendale.

1.5. Considerazioni aggiuntive

L’analisi dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dalla concessione di licenze, fa emergere che l’azienda debba gestire con particolare attenzione le attività necessarie al conseguimento di tali transazioni. Presumibilmente, l’esperienza può giocare un ruolo importante nel condurre con successo la strategia di Outbound Open Innovation. Ciò si deduce considerando che attraverso le transazioni tecnologiche, le aziende riescano ad entrare in contatto con altre realtà industriali e quindi ad acquisire nuove conoscenze relative a mercati diversi da quello di

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appartenenza. Inoltre, maggiori saranno le conoscenze acquisite, maggiore risulterà la “desorptive capacity” (Lichtentaler, 2011) sviluppata dall’azienda cioè la capacità di individuare nuove opportunità per lo sfruttamento all’esterno delle proprie tecnologie. Ne consegue che, all’aumentare del numero di transazioni effettuate, ovvero al crescere dell’esperienza, si incrementino anche le possibilità di perseguire con successo attività di Outbound Open Innovation.

1.6. I fattori che influenzano il successo dell’Outbound Open Innovation

Come già affermato, molte imprese incontrano notevoli difficoltà nel condurre con successo attività di technology licensing. Sebbene tale attività offra notevoli opportunità di crescita per le aziende, spesso queste ultime non sono in grado di sfruttare appieno la potenzialità delle proprie tecnologie. Di conseguenza non riescono a raggiungere i livelli di perfomance desiderati.

Secondo quanto riportato da Alfonso Gambardella, Paola Giuri e Alessandra Luzzi nel loro articolo “The market for patents in Europe”(2007), dall’analisi dei dati PatVal-EU1 (per semplificare PatVal) emerge che solo l’11% dei brevetti PatVal

siano stati effettivamente concessi in licenza. Inoltre, solo per il 7% dei rimanenti brevetti, i dententori si siano rivelati propensi alla concessione delle licenze pur non avendo intrapreso concretamente tale attività. Ne consegue che il mercato dei brevetti potrebbe essere per oltre il 70% più ampio (Gambardella, Giuri e Luzzi, 2007). Gli autori rivelano altresì che sebbene parte dei brevetti non sia stata impiegata per motivi strategici, le cause del non utilizzo possono essere ricondotte ad una mancanza di risorse od incentivi che impedisce ai detentori di investire sui propri brevetti.

Al fine di consentire una più agevole introduzione delle imprese nel mercato dei brevetti, gli autori hanno individuato cinque fattori che possono influenzare il successo dell’Outbound Open Innovation.

1 I dati PatVal si basano su un sondaggio rivolto agli inventori di 9017 brevetti europei rilasciati dall’

European Patent Office (EPO) tra il 1993 e il 1998. Gli inventori erano situati in Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna e Regno Unito. Fonte: Gambardella, Giuri e Luzzi, 2007

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1) Efficacia della protezione brevettuale

Una protezione efficace dei brevetti può scoraggiare potenziali comportamenti opportunistici da parte dei licenziatari. In caso di protezione efficace del brevetto, infatti, diventa molto difficile per altre imprese trovare modi per utilizzare o produrre la tecnologia senza violare il brevetto (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007). Questo può essere spiegato considerando che i brevetti possono essere costituiti sia da conoscenza codificata che da know-how tacito dell’azienda detentrice. La conoscenza codificata può essere più facilmente compresa da esterni ma è anche più facile da trasferire perchè può essere più chiaramente tradotta in fome scritte, algoritmi o disegni (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007). La conoscenza tacita invece, per essere assimilata necessita di uno stretto contatto con il soggetto che la possiede. Perciò, le tecnologie basate sulla conoscenza codificata sono più facili da proteggere perchè emerge chiaramente quale sia l’oggetto della protezione. Al contrario, l’oggetto della protezione delle tecnologie basate sulla conoscenza tacita può essere soggetto ad ambiguità (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007). Di conseguenza, le probabilità che un potenziale licenziatario sia interessato a contrattualizzare l’acquisizione di tecnologie efficacemente protette saranno maggiori. Inoltre, un potenziale licenziatario potrebbe anche ritenere necessario accedere alle conoscenze tacite dell’impresa licenziante per poter utilizzare proficuamente la tecnologia. In questo caso, la maggiore efficacia della protezione brevettuale può far innalzare il potere contrattuale del licenziante, che sarà disposto a stipulare rigorosamente un contratto basato sul mutuo scambio delle conoscenze (Arora, 1995). Ciò favorisce l’instaurarsi di relazioni di lungo periodo e scoraggia una potenziale concorrenza aggressiva del licenziatario nel mercato di competenza del licenziante (Gallini, 2002).

2) Generalità della tecnologia

Una tecnologia “general-purpose” per definizione è una tecnologia versatile, cioè che può essere adeguata ad una varietà di applicazioni. Questa sua caratteristica può favorire il successo delle attività di technology licensing per due motivi. Innanzitutto perchè, essendo adatta ad un gran numero di applicazioni può

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attrarre un elevato numero di potenziali licenziatari. In secondo luogo perchè, data la sua versatilità, è più probabile che un potenziale licenziatario la utilizzi per competere in mercati distanti da quello di competenza del titolare del brevetto (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007).

3) Carattere scientifico della tecnologia

La conoscenza scientifica è tipicamente più codificata. In base a quanto emerso nel precedente punto 1), il trasferimento delle tecnologie basate sulla scienza è più semplice (Teece, 1986). Inoltre la natura codificata della conoscenza scientifica consente di proteggere più efficacemente il brevetto. Ciò rende le tecnologie basate sulla scienza potenzialmente più idonee al trasferimento tramite licenza.

4) Valore economico della tecnologia

Il valore economico del brevetto è molto importante per un potenziale licenziatario. Avendo pagato per l’acquisizione della licenza, egli dal suo utilizzo si aspetta di ottenere un ritorno economico maggiore del prezzo d’acquisto. Un brevetto di basso valore potrebbe perfino influenzare negativamente i profitti del licenziatario a causa della scarsa soddisfazione della domanda sul mercato (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007).

Le aziende, in particolar modo quelle di grandi dimensioni, dispongono di un’ampia varietà di brevetti. Non è detto però che tutti siano in grado di creare valore aggiunto per le imprese. Il licenziante difficilmente concede in licenza le proprie tecnologie core, preferisce piuttosto far sfruttare ad altri le proprie conoscenze residuali in modo da evitare minacce derivanti dall’ingresso di ulteriori competitors nel business di sua competenza. Perciò il licenziante è più propenso a concedere quei brevetti ritenuti di basso valore per la sua attività. Tuttavia, come è stato già affermato nel precedente punto 2), una tecnologia potrebbe essere adatta ad una varietà di applicazioni. Di conseguenza, delle tecnologie giudicate di basso valore per il licenziante potrebbero, al contrario, fruttare copiosamente se utilizzate da altre imprese per scopi diversi da quelli per cui è stata concepita. Si può così affermare che il valore del brevetto cresce all’aumentare del numero di applicazioni in cui può essere utilizzato. In virtù di ciò, la ricerca di nuove

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applicazioni per le proprie tecnologie marginali diventa un’attività particolarmente importante per l’azienda licenziante perchè può consentire di incrementare il valore percepito dagli eventuali licenziatari nei confronti delle tecnologie. Inoltre, un brevetto di maggior valore attira un numero elevato di potenziali acquirenti. Ciò fa innalzare il potere contrattuale del fornitore e di conseguenza, anche il prezzo d’acquisto del brevetto. Il vantaggio che ne consegue consiste in un maggior guadagno per il venditore delle tecnologie (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007).

5) Dimensione aziendale e beni complementari

La dimensione dell’impresa è il fattore che maggiormente influenza il successo delle transazioni tecnologiche. A godere di tale vantaggio, in questo caso, sono le piccole aziende.

Come già appurato nel precedente capitolo in sede di analisi degli svantaggi, per un’azienda affermata di grandi dimensioni potrebbe essere controproducente concedere in licenza le proprie tecnologie. Queste transazioni, infatti, potrebbero far rafforzare il licenziatario e conseguentemente far perdere al licenziante parte della quota di mercato soddisfatta dal suo business. Analogamente però, anche il potenziale licenziatario potrebbe ritenere svantaggioso acquisire tecnologie da un’impresa di grandi dimensioni. Le grandi imprese infatti, generalmente tendono ad integrare le proprie tecnologie nelle loro attività di business. Inoltre, qualora la diffusione della tecnologia dovesse essere correlata alla presenza sul mercato di beni complementari, le grandi imprese potrebbero avere le capacità o i fondi necessari per produrre o acquisire tali beni o, in caso contrario, potrebbero essere avvantaggiate, grazie al loro forte potere di mercato, nell’accesso al mercato finanziario per ottenere i fondi necessari all’acquisto. Il potenziale licenziatario perciò potrebbe non essere in grado di competere con un’azienda così potente. Di conseguenza, il ritorno economico derivante dall’utilizzo della tecnologia acquisita, per il licenziante potrebbe essere addirittura inferiore al prezzo di acquisto della licenza (Gambardella, Giuri e Liuzzi, 2007).

Al contrario, un’azienda di piccole dimensioni difficilmente risulta essere interessata a competere nel business dei prodotti. Piuttosto preferisce

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specializzarsi verticalmente nella tecnologia. I potenziali licenziatari perciò saranno più propensi a finanziare la piccola impresa perchè potrebbero utilizzare le sue tecnologie per ottenere un notevole vantaggio competitivo nel business dei prodotti. Anche dal punto di vista della piccola impresa, la concessione di tecnologie si rivela un’attività vantaggiosa. Quest’ultima infatti potrebbe utilizzare il licensing come strumento per creare legami con aziende consolidate non solo per accrescere la propria reputazione (Teece, 1986), ma anche per ottenere fondi e risorse necessarie allo sviluppo delle innovazioni. Ciò però non vuol dire che un’azienda di grandi dimensioni non possa concedere in licenza le proprie tecnologie, ma nel farlo potrebbe incontrare più difficoltà.

Dalla compresione dei fattori appena discussi si può notare come il successo delle transazioni tecnologiche dipenda principalmente da caratteristiche riguardanti la tecnologia da trasferire all’esterno. Le maggiori difficoltà che le imprese licenzianti possono incontrare non risiedono quindi nell’esecuzione della transazione in sè, ma nelle attività che la precedono. Queste attività preliminari includono studi sulla redditività tecnologica in termini commerciali e fasi organizzative e strategiche che precedono l’effettivo contatto con i potenziali acquirenti (Kutvonen, 2011).

1.7. I mercati per le tecnologie e lo sviluppo di capacità dinamiche

Come si è precedentemente osservato, il valore delle tecnologie è un fattore di elevata importanza nel successo delle transazioni tecnologiche. La difficoltà che le aziende possono incontrare nel valutare le proprie tecnologie può far accrescere notevolmente i costi di transazione (Arora, Forsfuri e Gambardella, 2002). Le pratiche contabili e le norme, utilizzate in passato dalle aziende, erano basate sulla valutazione di beni materiali e tangibili. I beni immateriali come le tecnologie, invece, richiedono valutazioni differenti e più complesse. La compresione dei mercati per le tecnologie può aiutare in tale scopo. In particolare, attraverso l’esecuzione di transazioni nei mercati per le tecnologie si migliora la capacità di valutazione per le proprie tecnologie. Le transazioni infatti, forniscono una misura oggettiva dei beni precedentemente trasferiti e permettono di fare confronti in

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caso di situazioni analoghe. Le tecnologie sono beni altamente differenziati e il loro prezzo riflette fattori idiosincratici per entrambi, acquirente e venditore. Di conseguenza, qualsiasi misura monetaria potrebbe risultare non corretta. I mercati per le tecnologie consentono di considerare il contributo della tecnologia in vari campi, separandola dal contesto in cui è stata creata e quindi anche da altri beni materiali posseduti dall’azienda. Ciò assume particolare importanza per le imprese che non dispongono di risorse a valle per commercializzare le tecnologie dal momento che riuscirebbero ugualmente a beneficiare dalla tecnologia senza necessariamente acquisire capacità a valle (Arora, Fosfuri e Gambardella, 2002). Con mercato per le tecnologie ci si riferisce a transazioni che consentono l’uso, la diffusione e la creazione di tecnologie (Arora, Fosfuri, Gambardella, 2002). Le tecnologie si presentano in forme diverse, per esempio sotto forma di proprietà intellettuale (brevetti), beni intangibili (software) o servizi tecnici; inoltre, possono essere anche incorporate in prodotti finiti. Ciò implica che anche le transazioni possono assumere forme diverse: si può concedere in licenza la proprietà intellettuale ma anche stabilire collaborazioni mediante cui sviluppare ulteriormente tecnologia o crearne una nuova. (Arora, Fosfuri, Gambardella, 2002). I mercati per le tecnologie differiscono in modo significativo dai mercati per i prodotti (Ziegler, Ruether, Bader e Gassmann, 2013). E’ risaputo che un mercato funziona correttamente quando:

 Acquirenti e venditori sono informati e consapevoli delle opportunità commerciali;

 Si possono facilmente verificare le caratteristiche prestazionali e l’utilità dei prodotti;

 Vi è la presenza di un gran numero di acquirenti e venditori;  Si possono stipulare ed attuare contratti a basso costo.

I mercati per i prodotti soddisfano abbondantemente questi requisiti (Teece, 1998). Ciò non può essere riscontrato invece nei mercati per le tecnologie. Questi ultimi infatti sono caratterizzati principalmente da:

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 Esiguo riconoscimento delle opportunità: in genere gli acquirenti non sono ben informati sui beni intangibili posseduti dalle altre aziende ed i venditori non sono in grado di individuare con facilità potenziali acquirenti per i propri beni.  Limitata possibilità di negoziazione: spesso i venditori preferiscono non negoziare le proprie tecnologie a causa della paura che la divulgazione, seppur effettuata tramite accordi non-disclosure, possa in qualche modo compromettere i diritti della proprietà intellettuale.

 Incerti diritti legali: i venditori potrebbero non essere ben consapevoli di fattori quali l’applicabilità di restrizioni d’uso e diritti di sublicensing. O semplicemente potrebbero non essere in grado di quantificare ed incassare royalties.

 Varietà della proprietà intellettuale: sebbene possano essere svolte più transazioni per un determinato pezzo di proprietà intellettuale, la proprietà intellettuale è altamente variegata. Ciò può complicare lo scambio a causa della difficoltà che insorge nell’eseguire una corretta valutazione della stessa. Inoltre, sia acquirenti che venditori potrebbero desiderare di personalizzare le transazioni, provocando, di conseguenza un aumento dei costi delle transazioni e delle difficoltà nella definizione dello scambio (Teece, 1998).

Quindi, come possono le aziende sfruttare proficuamente i mercati per le tecnologie? La risposta a questo quesito risiede nel concetto di sviluppo delle capacità dinamiche.

Le capacità dinamiche possono essere definite come una raccolta aggregata di conoscenze, routine e strutture organizzative che consente all’azienda di "integrare, costruire e riconfigurare le competenze interne ed esterne per affrontare ambienti in rapido cambiamento" (Bianchi, Chiesa e Frattini, 2009; Teece et al. 1997). In tale contesto, il vantaggio competitivo non deriva esclusivamente dalle risorse possedute dall’impresa ma anche dal modo in cui quest’ultime vengono “manipolate” al fine della creazione del valore. In altre parole, lo sviluppo delle capacità dinamiche può essere visto come un insieme di processi strategici ed organizzativi specifici mediante cui convertire le risorse tecnologiche in valore economico (Bianchi, Chiesa e Frattini, 2009).

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Nel loro articolo “Exploring the microfoundations of external technology commercialization (ETC)”, Bianchi, Chiesa e Frattini hanno proposto un quadro teorico a supporto del processo di commercializzazione delle tecnologie (Figura 1) in cui si nota come lo sviluppo delle capacità dinamiche sia fondamentale nel raggiungimento delle performance desiderate.

Figura 1 – Quadro teorico a supporto a supporto del processo dell’ETC (fonte: Bianchi, Chiesa e Frattini, 2009)

Il quadro teorico è formato da quattro blocchi principali: Risorse, Performance, Capacità dinamiche e Fondamenti. I Fondamenti sono costituiti da: Organizzazione, Processi e Persone.

Risorse: equivalgono ai beni tecnologici, posseduti dall'azienda, potenzialmente in

grado di determinare un vantaggio competitivo se commercializzati esternamente.

Performance: rappresenta la quota di profitti derivanti dalla commercializzazione

delle tecnologie;

Capacità dinamiche: sono le capacità organizzative che un’azienda deve

sviluppare per sfruttare esternamente le risorse. Le capacità dinamiche possono essere disaggregate in due funzioni critiche:

 Identificare nuove opportunità per la commercializzazione delle tecnologie: si riferisce alla capacità dell’azienda di filtrare e interpretare informazioni ottenute mediante l’esplorazione sia dei mercati che delle tecnologie esterne, al fine di individuare nuove opportunità per la

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commercializzazione delle tecnologie proprietarie e selezionare quelle con maggiori probabilità di successo.

 Cogliere le opportunità precedentemente individuate: una volta individuata l’opportunità, l’azienda deve agire prontamente per realizzarla. Perciò la capacità di cogliere le opportunità si riferisce alla capacità dell’azienda di selezionare modelli di business e partner idonei alla commercializzazione delle tecnologie.

Fondamenti: sono definiti come l’insieme di processi, procedure, strutture

organizzative, regole decisionali e abilità distinte necessari allo sviluppo delle capacità dinamiche. Possono essere suddivisi in tre categorie:

 Processi: Le soluzioni adottate dall'azienda in termini di fasi, attività e compiti per intraprendere concretamente la commercializzazione delle tecnologie. I processi dovrebbero essere supportati da opportuni strumenti manageriali quali: Metodologie di pricing dell’IP; Uso dei canali di comunicazione per segnalare l’intenzione di vendere una tecnologia; Uso di intermediari.

 Organizzazione: Le dimensioni organizzative che facilitano lo sviluppo delle capacità dinamiche comprendono le strutture, le metriche e premi necessari per dirigere, controllare e motivare le persone a svolgere compiti critici.

 Persone: Le abilità, le competenze e le conoscenze del personale sono fondamentali per lo sviluppo delle capacità dinamiche.

Da questo quadro teorico si evince che le risorse da sole, non sono sufficienti per raggiungere le prestazioni desiderate. Grazie allo sviluppo delle capacità dinamiche, un’azienda può essere in grado di trasformare le tecnologie in valore economico (Bianchi, Chiesa e Frattini, 2009).

Le capacità dinamiche sono quindi capacità aziendali “difficili da replicare” che permettono all’azienda di adattarsi alle mutevoli opportunità tecnologiche. Inoltre, consentono all’impresa di “...to shape the ecosystem it occupies, develop

new products and processes, and design and implement viable business models”

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