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Il capitale in banca tra vincoli di vigilanza e di mercato

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

IL CAPITALE IN BANCA TRA VINCOLI

DI VIGILANZA E DI MERCATO

RELATORE:

Prof.ssa Paola Ferretti

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

TESI DI LAUREA

IL CAPITALE IN BANCA TRA VINCOLI

DI VIGILANZA E DI MERCATO

Prof.ssa Paola Ferretti

CANDIDATA:

Giuliana Cilia

ANNO ACCADEMICO 2016-2017

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

IL CAPITALE IN BANCA TRA VINCOLI

DI VIGILANZA E DI MERCATO

CANDIDATA:

Giuliana Cilia

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Ai miei angeli custodi,

Carmelo e Concetta.

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INDICE GENERALE

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO 1 ... 4

1. LA GESTIONE DEL CAPITALE DELLE BANCHE IN UN CONTESTO NORMATIVO IN EVOLUZIONE ... 4

1.1 NATURA E RUOLO DEL CAPITALE NEL SETTORE BANCARIO ... 4

1.2 ORIGINI DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI “CAPITALE” DELLE BANCHE: I TRATTI ESSENZIALI DI BASILEA 1 E BASILEA 2 ... 9

1.3 LA CRISI FINANZIARIA E LA NECESSITÀ DI NUOVE DISPOSIZIONI REGOLAMENTARI: BASILEA 3 ... 14

1.3.1 IL RECEPIMENTO DI BASILEA 3 NELL’ORDINAMENTO EUROPEO – LA CRD IV/CRR ... 22

1.3.2 LE MODIFICHE DI BASILEA 3 AL SISTEMA DI ADEGUATEZZA PATRIMONIALE: L’INNALZAMENTO DELLA QUALITA’ E DELLA QUANTITA’ DEL CAPITALE ... 26

1.3.3 LA NUOVA DEFINIZIONE DI CAPITALE ... 32

1.3.4 LE NUOVE MISURE CONTRO LA PROCICLICITA’: I BUFFER DI CAPITALE45 CAPITOLO 2 ... 52

2. IMPLEMENTAZIONE ED EFFETTI DEL NUOVO QUADRO REGOLAMENTARE: LA SPINTA ALLA RICAPITALIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO EUROPEO ... 52

2.1 IL MONITORAGGIO DELL’ATTUAZIONE DI BASILEA 3 DA PARTE DELL’EBA52 2.2 IL RUOLO DELL’EBA E DELLA BCE NELLE VALUTAZIONI DI ADEGUATEZZA PATRIMONIALE DELLE BANCHE EUROPEE ... 63

2.2.1 LA RACCOMANDAZIONE DELL’EBA ... 65

2.2.2 IL COMPREHENSIVE ASSESSMENT DELLA BCE ... 71

2.2.2.1 L’Asset Quality Review ... 77

2.2.2.2 Lo Stress Test ... 79

2.2.2.3 I risultati del Comprehensive Assessment a livello europeo ... 84

2.3 FOCUS SUGLI STRESS TEST DELL’EBA: CARATTERISTICHE E RISULTATI .... 91

2.3.1 STRESS TEST 2011 ... 92

2.3.2 STRESS TEST 2014 ... 98

2.3.3 STRESS TEST 2016 ... 104

2.4 IL PROBABILE IMPATTO DELLA RICAPITALIZZAZIONE SULLA PERFORMANCE DELLE BANCHE EUROPEE ... 111

2.4.1 UN RIFERIMENTO ALLA LETTERATURA ... 114

2.4.2 IL MODELLO UTILIZZATO E I RISULTATI OTTENUTI ... 118

CAPITOLO 3 ... 122

3. ANALISI EMPIRICA DEL PROCESSO DI RICAPITALIZZAZIONE SU UN CAMPIONE DI BANCHE EUROPEE ... 122

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3.1 IL CAMPIONE DI BANCHE: CRITERIO DI SELEZIONE E METODO DI ANALISI122 3.2 L’EVOLUZIONE DEL CAPITALE REGOLAMENTARE DELLE BANCHE DEL

CAMPIONE NEL PERIODO 2012-2016: STRATEGIE DI RAFFORZAMENTO

PATRIMONIALE E IMPATTI SULLA PERFORMANCE... 127

3.2.1 ANALISI DELLE BANCHE “PEGGIORI” ... 127

3.2.1.1 Monte dei Paschi di Siena ... 127

3.2.1.2 Banco Popular Espanol ... 141

3.2.1.3 Unicredit ... 153

3.2.1.4 Allied Irish Bank ... 166

3.2.1.5 Deutsche Bank ... 176

3.2.2 ANALISI DELLE BANCHE “MIGLIORI” ... 189

3.2.2.1 DNB Bank Group ... 189

3.2.2.2 NV Bank Nederlandse Gemeenten ... 198

3.2.2.3 Svenska Handelsbanken ... 207

3.2.2.4 Swedbank ... 216

3.2.2.5 NRW Bank ... 226

3.3 EVIDENZE DAL CONFRONTO TRA LE BANCHE SOTTOPOSTE AD INDAGINE229 CONCLUSIONI ... 237

BIBLIOGRAFIA ... 240

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INTRODUZIONE

La delicata natura dell’attività svolta dalle banche e l’influenza che essa genera sul contesto sociale di un paese ha portato a considerare e valutare attentamente il ruolo rivestito dal capitale all’interno di un intermediario bancario, intendendolo come l’insieme di risorse messe a disposizione dagli azionisti per garantire la solvibilità dell’istituto.

Nella definizione del volume ottimale di mezzi propri, le banche devono tener conto del livello complessivo di rischi assunti, delle politiche di sviluppo programmate, delle aspettative delle società di rating, delle attese di rendimento degli azionisti e, non da ultimo, degli obblighi regolamentari imposti dalle Autorità di vigilanza. Considerata, infatti, la vastità degli effetti che la crisi di una banca può generare sulla stabilità dell’intero sistema, nel corso degli anni Stati e Autorità di Vigilanza hanno provveduto a rafforzare sempre di più la regolamentazione sul patrimonio delle banche, imponendo loro vincoli sempre più stringenti.

In particolare, è stata l’esperienza della grande crisi finanziaria del 2007 ad evidenziare l’importanza della tematica considerata, infatti, manifestandosi con una forza dirompente che si è propagata dal sistema finanziario mondiale all’economia reale, ha messo in luce le lacune e gli aspetti non opportunamente considerati nel comparto bancario, primo fra tutti l’adeguatezza patrimoniale.

La complessità della materia e il contesto finanziario altamente volatile ed in continua evoluzione hanno condotto a frequenti rivisitazioni e variazioni nel contesto regolamentare vigente, sfociando a seguito della crisi nella messa in opera nel 2009 del nuovo quadro normativo che ha preso il nome di Basilea 3 e che ha rappresentato in tale contesto la massima espressione di cooperazione raggiunta tra Autorità e tra Paesi.

Il nuovo accordo, nel perseguire l’obiettivo di contrastare gli effetti della crisi, impostare una struttura normativa in grado di evitare il ripetersi in futuro di simili eventi e garantire perciò la solidità del settore bancario, ha posto principalmente l’attenzione sulla definizione di capitale e sul suo miglioramento qualitativo e quantitativo, intervenendo sia attraverso l’incremento dei requisiti patrimoniali minimi richiesti alle banche sia con provvedimenti anticiclici.

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Nel dibattito relativo al rafforzamento della dotazione patrimoniale si è inserita l’EBA, che, in risposta alla crisi sovrana del 2010 e quindi in un contesto di perduranti tensioni sui mercati finanziari europei, ha adottato dei provvedimenti incisivi in questa direzione, al fine di salvaguardare la stabilità del sistema finanziario e di rassicurare i mercati della capacità degli intermediari di resistere a un ulteriore deterioramento delle condizioni economiche, ripristinando così la fiducia nell’intero settore bancario europeo.

Sulla base di quanto detto, il presente lavoro si focalizza sul tema del capitale delle banche, con una particolare attenzione rivolta alle modifiche apportate dall’evoluzione del quadro regolamentare europeo al sistema di adeguatezza patrimoniale e allo studio delle probabili implicazioni gestionali prodotte dall’introduzione di requisiti patrimoniali più rigidi e dalle numerose misure adottate dalle Autorità che hanno spinto le banche a dotarsi di riserve patrimoniali sempre più ampie.

L’elaborato si suddivide in tre capitoli.

Nel primo capitolo ci si concentra sull’ambito regolamentare. Verranno esposte tutte le novità del nuovo framework regolamentare evidenziando quali sono state le motivazioni che hanno portato fino a Basilea 3, facendo dei confronti con i framework precedenti e spiegando cosa non ha funzionato nelle normative passate. Successivamente si descriverà il nuovo quadro regolamentare europeo rappresentato dal CRD IV Package, che ha recepito nell’UE le regole di Basilea 3. Il capitale bancario viene quindi inteso come il riflesso di una serie di vincoli esterni che assumono la forma di requisiti patrimoniali minimi che ciascun istituto di credito è tenuto a rispettare. La nuova disciplina prudenziale tocca tutti i principali tasselli della regolamentazione finanziaria ma l’intervento sulla definizione di capitale, ossia sulla scelta degli elementi da computare o meno nel patrimonio utile a fini di vigilanza, rappresenta forse quello più significativo, soprattutto alla luce delle conseguenze della crisi. Ci si concentrerà, dunque, sulle novità riguardanti il capitale tralasciando tutto ciò che non sia ad esso attinente.

L’introduzione di requisiti più rigidi in tema di adeguatezza patrimoniale e le numerose spinte alla ricapitalizzazione del sistema bancario europeo, provenienti dall’esterno, hanno suscitato timori ed aspettative in relazione ai possibili effetti che essi avrebbero potuto generare sul sistema bancario.

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A tal proposito, nel secondo capitolo si illustrerà l’ultimo esercizio di monitoraggio dell’applicazione della nuova normativa eseguito al livello europeo allo scopo di valutare l’impatto generico di simili provvedimenti. Si accennerà l’argomento del Meccanismo di Vigilanza Unico entrato in vigore a Novembre 2014, concentrando l’attenzione in particolar modo sul relativo esercizio di vigilanza (Comprehensive Assessment) effettuato dalla BCE in collaborazione con l’EBA per valutare “le condizioni di salute” delle banche europee. Infine, si esporranno i risultati ottenuti dagli stress test condotti dall’EBA sin dal 2011, utilizzati da sempre come uno strumento per spingere le banche a rafforzare la propria situazione patrimoniale nella consapevolezza che il sistema bancario europeo fosse in una situazione di fragilità e dovesse ricapitalizzarsi.

Si concluderà il secondo capitolo con una verifica statistica del probabile impatto delle strategie di rafforzamento patrimoniale sulla performance del sistema bancario europeo, prendendo in analisi i dati medi di un ampio campione di banche.

Nel terzo ed ultimo capitolo si analizzerà l’evoluzione del capitale regolamentare e dei coefficienti patrimoniali di un campione di banche europee opportunamente selezionato al fine di avere un riscontro concreto del processo di ricapitalizzazione messo in atto dalle stesse nel quinquennio 2012-2016.

L’obiettivo è di valutare le ripercussioni degli aumenti di capitale effettuati dalle banche oggetto di indagine sulla perfomance delle stesse, studiando, attraverso un modello di regressione lineare, l’esistenza e la forza della correlazione tra il coefficiente patrimoniale di più elevata qualità (CET1 ratio) e gli indici di bilancio ROE, ROA ed NPL ratio.

Infine, attraverso un confronto dei risultati ottenuti da ogni singola banca, sarà valutata l’efficacia degli incrementi di capitale a livello complessivo.

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CAPITOLO 1

1. LA GESTIONE DEL CAPITALE DELLE BANCHE IN UN CONTESTO NORMATIVO IN EVOLUZIONE

1.1 NATURA E RUOLO DEL CAPITALE NEL SETTORE BANCARIO

Per la generalità delle imprese (e quindi anche per le banche), il capitale proprio viene definito come l’insieme dei beni, materiali o immateriali, a disposizione dell’azienda in un dato momento. In termini tecnici esso è costituito dal capitale sociale più le riserve, ossia dalle risorse conferite dai soci per lo svolgimento dell’attività di impresa.1 I canali principali per mezzo dei quali è possibile alimentare la dotazione patrimoniale di una generica impresa sono due: diretto, attraverso l’emissione e conseguente sottoscrizione di quote del capitale sociale da parte dei soci, e indiretto, consistente nell’autofinanziamento generato destinando una parte degli utili d’esercizio all’accrescimento delle riserve patrimoniali.

Il capitale rappresenta la principale “garanzia” di svolgimento dell’attività in condizioni di solvibilità e continuità aziendale, in quanto espressivo della capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni e insieme al capitale apportato da terzi a titolo di debito alimenta l’operatività aziendale e i processi di investimento. Tuttavia si differenzia da quest’ultimo in quanto destinato a permanere stabilmente in azienda, senza alcun obbligo di rimborso e remunerazione per i soci, e ad essere utilizzato incondizionatamente per la copertura di eventuali perdite. Da qui la definizione ampiamente diffusa di “capitale di rischio”, proprio per sottolineare la partecipazione al rischio d’impresa di coloro che concorrono alla sua formazione, cioè il rischio di subire delle perdite durante lo svolgimento dell’attività.

L’attività bancaria, infatti, non diversamente da qualunque attività di impresa, è per sua natura un’attività caratterizzata dall’assunzione di rischi, sicché la possibilità di andare incontro a perdite quando questi si concretizzano è in certa misura fisiologica.2

Proprio per la peculiare attività svolta dagli intermediari bancari, consistente nella raccolta del risparmio presso il pubblico e nell’esercizio del credito (art. 10 TUB),

1 C. Schena, La gestione del patrimonio delle banche, Il Mulino, Bologna, 1996.

2 C.Frigeni, Natura e funzione del capitale delle banche nella nuova regolamentazione, Banca Impresa Società, n°1/2015.

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la letteratura economica ha individuato diverse nozioni di capitale bancario, che rispondono a finalità differenti. Tra queste, abbiamo3:

- Capitale Regolamentare (Regulatory Capital, RC): definito anche come patrimonio di vigilanza(PV), consiste nel complesso degli strumenti patrimoniali computabili ai fini della vigilanza, ovvero è la definizione di capitale utilizzata dalle autorità di vigilanza per la determinazione dei requisiti di adeguatezza patrimoniale. La regolamentazione internazionale contempla, fin dai tempi di Basilea 1, due distinte categorie di capitale regolamentare: il patrimonio di base e il patrimonio supplementare,riconoscendo tanto la necessità di risorse patrimoniali in grado di assorbire le perdite nel momento in cui si verificano, allo scopo di consentire la prosecuzione dell’attività (corrispondenti alla dotazione rientrante nel patrimonio di base), quanto quella di risorse da rendere disponibili per il ripianamento delle perdite in caso di insolvenza (esigenza alla quale è possibile fare fronte anche con le risorse conteggiate nel patrimonio supplementare).

L’obiettivo principale posto a presidio dei diversi Accordi raggiunti dal Comitato di Basilea, infatti, è stato ed è tuttora quello di stabilire il livello minimo del capitale regolamentare in rapporto ai rischi assunti dalle banche nonché la sua composizione, ossia le tipologie di strumenti finanziari ammessi per rispettare i requisiti minimi di capitale4;

- Capitale Contabile (Book-Value Capital, BVC): è il capitale misurato sulla base dei principi contabili seguiti per la redazione del bilancio e corrisponde alla differenza tra le attività e le passività di terzi, così come registrato in bilancio. Esso è in qualche misura simile al Tier1 valido ai fini regolamentari, infatti non include poste come il debito subordinato, che rientrano nel Tier 2;

- Capitale a Valore Corrente (Fair Value Capital, FVC): Corrisponde alla differenza tra il valore corrente delle attività della banca e il valore corrente delle sue passività verso terzi. Il valore corrente delle attività e delle passività è pari al valore attuale dei flussi di cassa che esse generano in futuro. Tra le attività compaiono anche le attività immateriali come i brevetti, i marchi e l’avviamento

3 A.Resti, A.Sironi, Rischio e valore nelle banche, Egea, Milano, 2008.

4E. Montanaro, La composizione del patrimonio di vigilanza, Università di studi aziendali e giuridici, Siena, 2016.

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che pur non avendo una consistenza fisica sono comunque in grado di generare ricavi futuri;

- Capitalizzazione di Mercato (Market Capitalisation, MC): Si ottiene moltiplicando il valore di mercato di un’azione per il numero di azioni emesse. Può essere calcolata esclusivamente per le banche quotate. Corrisponde al valore attuale dei flussi di cassa che gli azionisti percepiranno in futuro, scontato con un tasso opportunamente corretto per il rischio. Coincide con il capitale a valore corrente soltanto in presenza di un mercato efficiente, di informazione disponibile e completa e di investitori razionali, ma tali condizioni raramente sono riscontrabili nella realtà;

- Capitale Economico (Economic Capital, EC): è la quantità di capitale necessario, opportuno e desiderabile per fronteggiare adeguatamente i rischi assunti dalla banca. Esso coincide con il Capitale a Rischio (CAR) e può essere misurato attraverso il concetto di Valore a Rischio (VAR), cioè come la massima perdita possibile, all’interno di un intervallo di confidenza sufficientemente elevato, entro un determinato arco temporale;

Date tutte queste definizioni, le questioni su cui ora bisogna interrogarsi sono due: “qual è la quantità ottimale di capitale che una banca deve detenere? E quali sono le principali determinanti del grado di patrimonializzazione di una banca?”

Per rispondere alla prima domanda è conveniente concentrarsi prima sulla seconda. La decisione del grado di patrimonializzazione è legata alla comprensione delle funzioni svolte dal capitale di una banca5:

- “Cuscinetto” per l’assorbimento dei rischi e la copertura delle perdite;

- Forma di finanziamento particolarmente adatta per quelle attività la cui redditività si manifesta in modo graduale e differito nel tempo (immobilizzazioni tecniche, partecipazioni, avviamento…);

- Permette di elaborare le strategie di rilancio aziendale o ridefinizione delle attività, partecipando, per esempio, a operazioni di concentrazione con altre aziende del settore o a investimenti in tecnologia necessari a riposizionare l’offerta dell’impresa rispetto all’evoluzione della domanda e del mercato;

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- Concorre alla formazione della reputation grazie alla quale la banca può estendere e rafforzare le relazioni con la clientela e accedere a costi più contenuti alle diverse forme di finanziamento.

Considerando queste importanti funzioni, i fattori di cui bisogna tener conto nel dare una definizione di volume ottimale di mezzi propri e che rappresentano, quindi, una chiara risposta alla prima domanda che ci siamo posti sono i seguenti:

- Gli obblighi regolamentari imposti dalle autorità di vigilanza in termini di requisiti patrimoniali minimi da rispettare;

- La valutazione interna del livello complessivo di rischi assunti; - Le politiche di sviluppo programmate;

- Il rating obiettivo della banca e le aspettative delle società di rating; - Le attese di rendimento degli azionisti;

- Le condizioni del mercato dei capitali, che possono rendere più o meno agevole e conveniente la raccolta di nuovi mezzi patrimoniali.

La regolamentazione rappresenta un rilevante vincolo esogeno per una banca nella determinazione della dotazione patrimoniale ottima, per questo la scelta di darne evidenza nel primo punto del precedente elenco non è assolutamente casuale.

Sicuramente una relazione fondamentale che la banca deve, o dovrebbe, rispettare è la seguente:

AC≥EC,

dove per AC (Available Capital) si intende l’ammontare di capitale effettivamente disponibile e utilizzabile dalla banca.

Il capitale economico, dunque, dovrebbe essere interamente coperto dal capitale disponibile.

Si tratta in sostanza di una relazione tra capacità di assumere il rischio ed effettiva assunzione del rischio. È chiaro che la situazione ideale sarebbe quella di mantenere stabilmente un’eccedenza di capitale disponibile rispetto al capitale a rischio (AC-EC>0), perché se valesse AC=EC, la capacità di assumere rischio dell’istituzione finanziaria sarebbe interamente utilizzata, ma tale condizione rischierebbe di irrigidire l’operatività della banca e non consentire l’assunzione di nuove posizioni di rischio che si potrebbero rendere necessarie.

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Tuttavia, non è possibile quantificare il capitale concentrandosi unicamente sul capitale a rischio misurato da modelli interni ignorando il vincolo imposto dalle autorità di vigilanza.6

Il mancato rispetto dei coefficienti patrimoniali minimi può infatti esporre la banca a sanzioni, anche pesanti, da parte delle autorità di vigilanza, oltre che a una grave perdita di reputazione sul mercato. È dunque necessario che il capitale della banca sia adeguato non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello normativo. Il capitale regolamentare deve considerarsi come la dotazione minima necessaria per proseguire l’attività bancaria e al di sotto della quale non si può scendere.

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1.2 ORIGINI DELLA DISCIPLINA IN MATERIA DI “CAPITALE” DELLE BANCHE: I TRATTI ESSENZIALI DI BASILEA 1 E BASILEA 2

Finora nell’espletamento del ruolo e della natura delle risorse patrimoniali di cui si dota, o dovrebbe dotarsi, una banca, si sono utilizzati indistintamente i termini di “dotazione patrimoniale”, “mezzi propri”, ma soprattutto quello di “capitale”. Quest’ultimo, però, è uno dei termini più ambigui in ambito economico e giuridico, per i molteplici significati che tende ad assumere a seconda del contesto nel quale viene utilizzato. Già in ambito bancario sono emerse diverse specificazioni dello stesso a seconda dei criteri e degli elementi utilizzati per la sua determinazione, ma quando ci si sposta sul piano della regolamentazione bancaria, la normativa sul capitale è essenzialmente una normativa sulla “adeguatezza patrimoniale”.

Si tratta di una disciplina che introduce vincoli allo svolgimento dell’attività bancaria in ragione della qualità e quantità di dotazione propria, incidendo in maniera significativa sulla struttura patrimoniale e finanziaria delle società che esercitano questa attività.

Un ruolo centrale in questa direzione viene svolto dal Comitato di Basilea sulla Vigilanza Bancaria (più semplicemente, Comitato di Basilea7), che si è dedicato, fin

dalle sue origini, all’elaborazione di principi condivisi in materia di vigilanza e regolamentazione bancaria e, in particolare, all’istituzione di un quadro di regole comuni in materia di capitale a livello internazionale. Infatti, il primo e per lungo tempo unico tema al quale è stata dedicata attenzione da parte di questo organismo è stato quello concernente i principi e le modalità con cui imporre un requisito patrimoniale per lo svolgimento dell’attività bancaria.

Tale attivismo è sfociato nella pubblicazione, già nel 1988, di un primo documento nel quale venivano enunciati una serie di principi in materia – noto come Accordo di Basilea o, successivamente, come Basilea 1 – e che ha rappresentato un punto di partenza, più che un punto di arrivo8.

7 Il Comitato di Basilea è un organismo fondato alla fine del 1974 dai Governatori delle banche centrali dei paesi del G10 (Gruppo dei 10), con sede, appunto, a Basilea. Si riunisce quattro volte l’anno e gestisce circa trenta gruppi di lavoro. Le attività del Comitato si svolgono sotto l’egida della Banca per i Regolamenti Internazionali (Bank for International Settlements). Il Comitato non possiede nessuna autorità di vigilanza sovranazionale e le sue conclusioni non hanno valore legale. Piuttosto formula standard e linee guida ad ampio spettro e raccomanda best practices in una prospettiva che vede ogni autorità individuale farle proprie nella maniera più adatta al proprio sistema nazionale. Il Comitato riporta ai Governatori delle banche centrali dei paesi del G10 e chiede il sostegno dei Governatori stessi per le iniziative più importanti.

8 C.Frigeni, Natura e funzione del capitale delle banche nella nuova regolamentazione, Banca Impresa Società, n°1/2015.

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L’accordo sul capitale denominato Basilea 1 nasce proprio per rispondere alla necessità di uno schema normativo uniforme in tema di adeguatezza patrimoniale delle banche, finalizzato all’ottenimento di 2 obiettivi principali:

- rafforzare la solvibilità e solidità del sistema bancario internazionale, limitando l’assunzione di rischi eccessivi da parte delle banche;

- favorire la creazione di un level playing field, ossia di condizioni concorrenziali uniformi per le istituzioni finanziarie dei diversi Paesi, riducendo così le disparità competitive legate alle diverse normative nazionali.

Tale Accordo imponeva alle banche di rispettare un rapporto minimo dell’8%, il cosiddetto coefficiente patrimoniale, tra il patrimonio di vigilanza e le attività ponderate per il rischio. In simboli:

𝑃𝑉

∑𝐴ᵢ ∙ 𝑤ᵢ≥ 8%

Dove PV è il patrimonio di vigilanza (capitale regolamentare), Aᵢ l’attività i-esima e wᵢ la relativa ponderazione per il rischio.

Il patrimonio di vigilanza è suddiviso in due categorie: il patrimonio di base, o Tier 1 capital, e il patrimonio supplementare, o Tier 2 capital. Il patrimonio di base è costituito dalle poste patrimoniali più “pregiate”, cioè contraddistinte da un’elevata capacità di proteggere i terzi dagli effetti di eventuali perdite che potrebbe subire la banca (es. capitale azionario versato, riserve palesi, alcuni strumenti innovativi di capitale). Il patrimonio supplementare è invece formato da strumenti maggiormente assimilabili a debito (es. riserve di rivalutazione, riserve occulte, cioè connesse a plusvalenze non ancora realizzate, strumenti ibridi di capitale, prestiti subordinati).Inoltre, l’emendamento apportato all’Accordo nel 1996 (noto come Basilea 1.5), con il quale è stata estesa alle banche l’applicazione dei requisiti di patrimonializzazione ai rischi di mercato, ha dato origine a un terzo blocco patrimoniale: il Tier 3, utile ai soli fini della parziale copertura dei rischi di mercato9.

La rischiosità degli impieghi veniva poi riflessa in differenti coefficienti di ponderazione (wᵢ), più elevati (e che dunque implicavano un requisito patrimoniale più consistente) per le attività più rischiose. In particolare, le attività venivano allocate in quattro categorie: a rischio nullo (0%), basso (20%), medio (50%) e

9P.Ferrari, La gestione del capitale nelle banche e l’utilizzo degli strumenti innovativi di patrimonializzazione: un’analisi comparata internazionale, rivista Moneta e Credito, n°225/2004.

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pieno (100%) in base a tre criteri: il loro grado di liquidità, la natura dei debitori e l’area geografica di residenza di questi ultimi10.

Già alla fine degli anni ‘90 la disciplina sul capitale di Basilea costituiva il fondamento della regolamentazione prudenziale applicata a tutte le banche in oltre cento paesi, inclusa l’Unione Europea. In origine, essa era obbligatoria solo per le banche operanti su scala internazionale; tuttavia, molti paesi (tra cui l’Italia) ne hanno esteso l’applicazione a tutte le banche nazionali al fine di prevenire il potenziale “effetto domino” generato dal fallimento di una banca, consistente nel trascinamento dell’economia dell’intera nazione in una gravissima recessione. Nonostante l'Accordo del 1988 sia stato considerato di indiscussa valenza, avendo portato a un sostanziale aumento dei coefficienti patrimoniali di quasi tutte le banche con operatività internazionale, ha rappresentato solo il primo passo per il conseguimento della stabilità finanziaria internazionale, a causa dei limiti di particolare rilevanza che lo hanno fatto apparire inadeguato e insufficiente. In particolare, ricordiamo11:

- focus solo sul rischio di credito e sul rischio di mercato;

- scarsa differenziazione del rischio: l’ipotesi implicita era che tutte le imprese commerciali ed industriali avessero uguale capacità di credito, per cui i crediti vantati verso le stesse venivano considerati come un’unica categoria di rischio, ponderata al 100 per cento. Inoltre, paradossalmente, le esposizioni verso Paesi non-OCSE venivano considerate più rischiose di quelle verso i Paesi OCSE; - mancato riconoscimento dei benefici derivanti dalla diversificazione del

portafoglio e dall’utilizzo di strumenti di mitigazione del rischio (garanzie e derivati creditizi).

A Basilea 1 si devono anche una serie di distorsioni destinate a svolgere un ruolo cruciale nella crisi, tra cui la diffusione degli arbitraggi regolamentari svolti dalle grandi banche internazionali (soprattutto in merito alla composizione del patrimonio di vigilanza), la diffusione incontrollata delle cartolarizzazioni e la loro crescente applicazione alle attività ad elevato rischio e l’incentivo a trasferire rischi tipicamente creditizi sul trading book12.

10A.Resti, A.Sironi, Rischio e valore nelle banche, Egea, Milano, 2008.

11Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, Da Basilea 1 a Basilea 2, Macerata, 2006. 12R.Bottiglia, Prime riflessioni su Basilea3 e possibili impatti sulle imprese, Convegno. Oltre la crisi: strategia e finanza per il rilancio e lo sviluppo delle imprese, Verona, 25 novembre 2010.

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Al fine di superare le criticità emerse in tale Accordo, le autorità di vigilanza hanno avviato nel 1999 un profondo e laborioso processo di revisione che è sfociato nella pubblicazione, nel 2004, e nella successiva entrata in vigore, alla fine del 2006, di un nuovo framework regolamentare, comunemente definito “Basilea 2”, proprio per sottolineare il fatto che non si tratta di una semplice aggiunta ma di una vera e propria riscrittura dell’Accordo del 1988.

Come quest’ultimo, Basilea 2 è stato applicato alle banche e ai gruppi bancari operanti a livello internazionale13e ha perseguito sostanzialmente gli stessi obiettivi (garantire la solidità e la stabilità del sistema bancario e promuovere condizioni competitive uniformi per le banche di diversi paesi), mirando a un rafforzamento degli stessi e aggiungendone un terzo: rendere il sistema dei requisiti patrimoniali maggiormente sensibile all’effettivo grado di rischio dei portafogli bancari, riducendo così il divario tra capitale economico e capitale regolamentare.

A tal fine, le principali innovazioni hanno riguardato:

- l’ampliamento del ventaglio di rischi che deve trovare copertura nel patrimonio di vigilanza (inserimento, accanto ai rischi di credito e di mercato, del rischio operativo);

- l’accantonamento di quote di capitale proporzionali alla probabilità di default dei crediti assunti;

- il rafforzamento del processo di supervisione svolto dalle autorità di vigilanza sulle banche;

- una maggiore trasparenza nella comunicazione al mercato.

Alla luce di tutto ciò, il Comitato di Basilea ha ritenuto che il nuovo schema di regolamentazione dovesse fondarsi su tre principi normativi fondamentali per il sistema bancario, comunemente detti “pilastri”, destinati a rinforzarsi tra di loro (Basilea 3 ha conservato tale struttura):

- Pillar 1 – Requisiti minimi di capitale, destinato a definire regole quantitative di misurazione del fabbisogno di capitale fissato, analogamente alla disciplina pregressa, all’8%delle attività ponderate per il rischio di credito, di mercato ed operativo, quest’ultimo suscettibile di comportare per le imprese bancarie ingenti perdite legate ad errori od inadeguatezze riconducibili ai processi interni, al personale o ai sistemi utilizzati, ovvero ad eventi esterni;

13Alcuni organi di vigilanza nazionali, tuttavia, hanno scelto di applicarlo anche alle banche domestiche, così come è successo per l’Italia.

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- Pillar 2 – Processo di controllo prudenziale: insiste sulla necessità che il management della banca sviluppi un processo interno di valutazione dell’adeguatezza dei fondi propri (detto ICAAP, Internal Capital Adequacy Assessment Process) e si prefigga obiettivi patrimoniali commisurati al profilo di rischio, alla strategia e alla struttura di controllo specifici della banca. Questo processo interno viene poi soggetto a sorveglianza e, ove opportuno, a interventi da parte delle autorità di vigilanza, che hanno la facoltà di richiedere alle banche una dotazione patrimoniale superiore ai coefficienti minimi obbligatori;

- Pillar 3 – Disciplina di mercato: impone alle banche severi criteri di trasparenza (disclosure), chiedendo loro di fornire agli investitori un’informativa tempestiva e capillare sull’adeguatezza patrimoniale e sulle esposizioni e i processi di misurazione dei rischi. L’obiettivo è quello di far sì che il pubblico degli investitori possa verificare in maniera chiara e trasparente le condizioni di rischio e di patrimonializzazione delle singole banche14.

Gli innegabili aspetti positivi ed i significativi miglioramenti apportati, non hanno tuttavia esonerato Basilea 2 da critiche feroci, per di più suffragate dall’osservazione della mancata tenuta dei presidi posti dall’Accordo all’irrompere della crisi finanziaria.

14Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria, BASILEA 3: Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, 2010.

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1.3 LA CRISI FINANZIARIA E LA NECESSITÀ DI NUOVE DISPOSIZIONI REGOLAMENTARI: BASILEA 3

La normativa sul capitale delle banche, sin dalle sue origini, è cresciuta e si è evoluta grazie al contributo comune di banchieri, studiosi e autorità di vigilanza e ha rappresentato per molte banche non un mero adempimento regolamentare, bensì un veicolo di apprendimento e di evoluzione sul piano tecnico, organizzativo e gestionale.

Tuttavia prendendo atto di tutti i pregi, le potenzialità ma anche le perplessità e le incertezze di un simile impianto normativo, di fatto, l’entrata in vigore di Basilea 2 si è scontrato con il verificarsi di una delle più devastanti crisi finanziarie della storia che ha coinvolto le principali economie occidentali nell’agosto del 2007. La crisi del 2007-2009 è stata definita, per profondità e ampiezza, la peggiore crisi finanziaria dopo la Grande Depressione del 1929 e ha preso avvio in tutto il mondo a seguito della crisi dei mutui sub-prime15originatasi negli Stati Uniti. Lo scoppio della bolla immobiliare americana, infatti, ha rapidamente contagiato tutto il sistema finanziario mondiale, conducendo, nei due anni successivi, al fallimento di alcune importanti istituzioni finanziarie e costringendo le banche centrali a iniettare un volume senza precedenti di liquidità nel sistema finanziario e i governi di numerosi paesi a intervenire in aiuto delle banche in crisi.

Le turbolenze hanno fatto seguito a una fase protratta e sostenuta di crescita globale. Il contesto macroeconomico pre-crisi, infatti, era caratterizzato da tassi di interesse estremamente ridotti (favoriti da politiche monetarie espansive,da basse aspettative di inflazione e da una limitata percezione del rischio di default), da una crescita economica sostenuta, da tassi di insolvenza sulle obbligazioni e sui prestiti bancari ai minimi storici e da spread creditizi (cioè differenziali tra tassi sui prestiti e tasso risk-free) a livelli molto ridotti. Tali condizioni erano fra loro collegate: tassi di interesse ridotti favorivano gli investimenti e la crescita economica, che a loro volta aiutavano le imprese a crescere e rendevano meno probabili le situazioni di difficoltà che conducono all’insolvenza. Un basso tasso di default, a sua volta,

15Per prestito “subprime” si intende un prestito concesso ad un soggetto che non dispone dei requisiti necessari per ottenere un adeguato “score” (punteggio) di qualità creditizia, per esempio perché privo di reddito fisso, incapace di prestare garanzie, responsabile di insolvenze in passato, ecc

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riduceva il premio per il rischio richiesto dagli investitori, consentendo così a imprese e individui di finanziarsi a tassi più contenuti16.

Questa situazione particolarmente favorevole ha condotto allo sviluppo di un elevato grado di liquidità nei mercati finanziari internazionali, dato che l’offerta di fondi da parte degli investitori eccedeva la domanda, ma la manifestazione di rilevanti elementi di criticità del sistema ha ben presto fatto emergere il carattere fittizio e apparente di tale incremento, tanto che con il sopraggiungere della crisi finanziaria la liquidità è improvvisamente venuta meno e la visione ottimistica del mondo si è mostrata in tutta la sua fragilità.

Le stesse condizioni che nel decennio precedente avevano portato allo sviluppo del mercato globale, ora si ponevano a presidio dell’accumulo di forti squilibri. In particolare:

- Il basso livello dei tassi di interesse reali ha contribuito ad accrescere il valore attualizzato dei flussi di reddito generati dalle attività fruttifere, innalzando le quotazioni e contribuendo al boom dei prezzi degli immobili e nei mercati azionari;

- In alcuni mercati, soprattutto in quelli americani, di fronte alla facilità di ottenere finanziamenti a un costo relativamente contenuto, imprese e individui hanno accresciuto in misura rilevante il loro grado di indebitamento con le banche, riuscendo in tal modo a incrementare gli investimenti immobiliari e i consumi. Inoltre, Ciò ha portato inevitabilmente a un incremento significativo della leva finanziaria;

- I contenuti margini connessi ai bassi spread creditizi e la limitata percezione del rischio di default hanno determinato un’inadeguata valutazione del rischio dei prestiti, successivamente ceduti sul mercato. Numerose banche internazionali, infatti, hanno puntato all’espansione dell’offerta di credito attraverso modelli di intermediazione creditizia Originate-To-Distribute (OTD), cioè cedendo attivi preesistenti (mutui sub-prime) o il relativo rischio mediante operazioni di securitization o credit derivatives e liberando così parte del capitale impegnato. Di per sé questo processo di trasformazione di attivi illiquidi, tipicamente prestiti, in attività liquide sotto forma di titoli negoziabili (Asset Backed Securities o ABS) immessi sul mercato, può essere considerato virtuoso e

16A.Resti, A.Sironi, La crisi finanziaria e Basilea 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro regolamentare, op.cit.

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capace di condurre a una migliore allocazione dei rischi nell’ambito del sistema finanziario. Il problema nasce quando il modello OTD viene applicato in misura particolarmente aggressiva e per le banche la cessione dei prestiti diviene la prassi. Inoltre, il corretto utilizzo della securitization presuppone di includere prestiti di ottima qualità e non prestiti concessi a soggetti con scarsa capacità di rimborso, come invece accadde negli USA in quegli anni.

La banca che origina il credito dovrebbe valutare con attenzione il merito creditizio del debitore, ma perde l’incentivo a effettuare tale valutazione quando sa che il rischio di un eventuale insolvenza dello stesso non resterà sul suo bilancio ma verrà sopportato da un altro soggetto, acquirente del titolo collocato sul mercato in seguito al meccanismo di cartolarizzazione degli attivi. È esattamente ciò che è accaduto. Le banche, consapevoli di scaricare su altri soggetti il potenziale rischio di default, hanno prestato scarsa attenzione al rischio di credito di tali strumenti, favorendo l’accesso al credito anche a soggetti di dubbia solvibilità e venendo meno a una delle funzioni classiche di un intermediario finanziario, cioè la valutazione rigorosa del merito di credito dei soggetti affidati. A ciò si è aggiunto il fatto che i giudizi delle agenzie di rating, su cui anche ricade l’onere della valutazione dell’affidabilità dei crediti sottostanti, sono risultati sistematicamente ottimistici e questo comportamento ha scontato rilevanti conflitti di interessi connessi con commissioni elevate percepite per la certificazione della qualità delle operazioni di cartolarizzazione; - I titoli strutturati derivanti da operazioni di securitization sono stati inseriti nei

bilanci delle banche nel portafoglio di negoziazione (trading book), diversamente dai prestiti bancari, tipicamente inseriti nel banking book. Gli strumenti inseriti nel trading book sono oggetto, da parte del risk management delle banche e delle autorità di vigilanza, di un’approfondita analisi dei rischi di mercato, mentre una minore attenzione è prestata al rischio di credito che, invece, è centrale per determinare il valore degli ABS. Inoltre, i requisiti patrimoniali a fronte del rischio di mercato richiesti dalla normativa vigente non erano ancora stati accuratamente presi in considerazione e ciò ha determinato l’accantonamento di un capitale insufficiente a coprire le perdite registrate; - Un ultimo elemento di criticità era connesso all’elevato grado di leva finanziaria

che ha caratterizzato i processi di securitization, dato che le stesse attività sottostanti sono state oggetto di più operazioni di titolarizzazione, attraverso

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successivi “rimpacchettamenti” delle originarie Asset-Backed Securities in strumenti sempre più complessi (cc.dd. re-securitizations). Questo meccanismo accresceva la distanza tra “originator” delle posizioni a rischio (per esempio, la banca che cartolarizzava un pacchetto di mutui sub-prime) e investitore finale, aumentando l’opacità degli attivi e facilitando la trasmissione delle perdite nei portafogli finanziari degli investitori17.

In un tale scenario, dominato da cultura dell’indebitamento e del credito facile, si sono inserite le scelte gestionali delle banche, le quali hanno trovato nella generazione e distribuzione del rischio di credito il proprio motore dei profitti. Su questi elementi, si è innestato, a partire dal 2006, un cambiamento del contesto macroeconomico che ha condotto al crollo del sistema: da un lato si è verificato l’aumento dei prezzi delle materie prime, che a sua volta ha favorito una ripresa dell’inflazione e dei tassi di interesse, dall’altro una flessione dei prezzi degli immobili che ha reso molti debitori incapaci di rimborsare le rate dei mutui, ritrovandosi in una situazione di “negative equity”, ossia con un valore dell’immobile inferiore al valore del debito e con rate del mutuo crescenti.

È proprio nel mercato dei mutui immobiliari, e in particolare nel segmento sub-prime che si è verificata la scintilla che ha dato origine all’esplosione della crisi, la quale ha provocato una drastica riduzione della domanda di titoli cartolarizzati e il conseguente crollo delle loro quotazioni, rendendo di colpo il mercato illiquido18. Il crollo dei listini internazionali ha generato gravi perdite sugli strumenti derivati innescando una crisi di fiducia che ha aumentato l’avversione al rischio degli investitori provocando, infine, la riduzione di valore nell’attivo di molte banche. A risultarne penalizzate sono stati principalmente gli istituti bancari che avevano nei propri portafogli quote elevate di mutui immobiliari e la stretta interconnessione tra gli intermediari, venuta alla luce con forza durante la crisi, ha mostrato quanto possano essere marcate le ripercussioni sul sistema finanziario derivanti dal fallimento di singoli operatori, spesso cross-border e in alcuni casi di dimensioni molto elevate19. Lo scoppio della bolla immobiliare americana ha difatti contagiato

17A.Resti, A.Sironi, La crisi finanziaria e Basilea 3: origini, finalità e struttura del nuovo quadro regolamentare, op.cit.

18In pratica, di fronte all’incremento dei tassi di insolvenza sui prestiti, gli investitori hanno abbandonato il mercato privandolo della liquidità alla quale erano da anni abituati, in questo modo, in assenza di acquirenti i prezzi sono inevitabilmente crollati

19A. M. Tarantola, Verso una nuova regolamentazione finanziaria, intervento del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, 2011.

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rapidamente tutto il sistema finanziario mondiale. Nel settembre del 2008 il fallimento di una banca di investimento internazionale, Lehman Brothers, e la contemporanea crisi e i difficoltosi salvataggi di colossi finanziari, quali Bank of America, America International Group (AIG),Citigroup, Fannie Mae, Freddie Mac e Norther Rock hanno messo a dura prova la stabilità del sistema bancario internazionale.

La bancarotta di Lehman ha generato panico nei mercati finanziari a causa degli intensi rapporti che la banca aveva con numerose controparti finanziarie: si è cioè diffuso il timore che il suo fallimento potesse generare un “effetto domino”,determinando il default di altre importanti istituzioni e scatenando una vera e propria crisi. Il mercato interbancario si è di fatti bloccato, coinvolgendo anche istituzioni finanziarie profittevoli e sane, visto che anche loro trovavano credito solo su scadenze brevissime, oppure pagando spread consistenti.

Per fortuna, banche centrali e governi sono intervenuti con prontezza ad evitare il peggio, fornendo aiuti a tutte le istituzioni finanziarie in crisi (attraverso iniezioni di capitale, linee di credito, linee di liquidità, emissioni obbligazionarie subordinate, ecc.) al fine di riavviare il funzionamento dei mercati e ripristinare la fiducia di tutti gli operatori. Questi interventi hanno presentato costi diretti e indiretti20 elevati, ma alla fine si sono rivelati efficaci ad evitare il collasso del sistema finanziario internazionale e una nuova “grande depressione”.

Non si può negare che tra i fattori che hanno contribuito a creare le condizioni per il diffondersi delle turbolenze (menzionati in precedenza), la regolamentazione finanziaria ha avuto un ruolo significativo, posta fin dalle prime fasi sul banco degli imputati per non aver impedito l’ampliamento incontrollato dei rischi. Sono risultate evidenti le carenze dei sistemi aziendali di risk management e i limiti dell’apparato regolamentare in termini sia di quantificazione dei rischi che si andavano formando nei bilanci delle banche sia di successiva capacità di assorbimento delle perdite che si sono poi manifestate con la crisi finanziaria. Inevitabilmente, la sottostima

20Costi diretti relativi agli oneri sostenuti dai governi e costi indiretti legati al rischio che il mercato potesse dare per scontati in futuro i salvataggi pubblici e non valutare con attenzione la rischiosità delle banche. In pratica, il rischio che non si realizzi quella “disciplina di mercato” promossa dal Comitato di Basilea nel terzo pilastro di Basilea 2.

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dell’esposizione ai rischi delle banche ha portato con sé la sottostima della dotazione di capitale delle stesse21.

A rendere ancora più grave la situazione è stato il comportamento di molte grandi banche che hanno sfruttato le lacune normative e gli aspetti di flessibilità presenti in molti ordinamenti con l’obiettivo di minimizzare il “costo” del rispetto dei requisiti patrimoniali e hanno posizionato le proprie attività nei paesi meno “esigenti” sul piano del rispetto delle regole, operando arbitraggi tra diversi sistemi normativi. Ne è scaturita una risposta senza precedenti, per intensità e raggio di azione, delle massime autorità nazionali e internazionali, a livello politico e tecnico, volta a limitare l’impatto della crisi e predisporre i meccanismi per ridurre la probabilità che situazioni analoghe si possano ripresentare nel futuro. L’azione dei governi e delle autorità di regolamentazione è stata rivolta, infatti, non senza difficoltà e contrasti, ad identificare i cambiamenti da apportare in risposta ai riconosciuti “fallimenti” del sistema di regolamentazione vigente ed è stato così avviato un ampio processo di riforme che ha portato alla messa in opera nel 2009 del nuovo framework prudenziale per le banche, definito Basilea 3, il quale pur costituendo la tappa decisiva di tale processo, l’elemento portante del complessivo piano d’azione, non ne ha rappresentato la fase conclusiva22.

I punti di debolezza di Basilea 2

L’impianto regolamentare conosciuto come Basilea 2 era stato presentato e vissuto come un sistema di regole altamente migliorativo, varato per far fronte ai limiti e alle carenze del precedente accordo (Basilea 1), il quale aveva introdotto per la prima volta i requisiti patrimoniali bancari ma aveva lasciato aperte molte questioni. A Basilea 1 si devono una serie di distorsioni che hanno rivestito un ruolo cruciale durante la crisi, come la diffusione di arbitraggi regolamentari e la diffusione delle cartolarizzazioni favorite da un regime regolamentare troppo blando. Inoltre, non considerava gli effetti della diversificazione di portafoglio e non considerava importanti tipologie di rischio (di mercato, operativo, di liquidità).

Tuttavia, anche Basilea 2, che era stato pensato per risolvere tali problemi e che da molti veniva visto come la “soluzione finale” al problema della stabilità bancaria in

21G. Lusignani, L. Zicchino, Il rafforzamento patrimoniale delle banche: prime indicazioni sull’impatto delle nuove proposte di Basilea, Banca Impresa Società, n°2/2010.

22A. M. Tarantola, Verso una nuova regolamentazione finanziaria, intervento del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, 2011.

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un contesto di deregolamentazione e globalizzazione dei mercati, ha avuto esiti insoddisfacenti nella misura in cui non si è dimostrato efficace ai fini di prevenire la diffusione della crisi.

Il seme della crisi è germinato in sistemi finanziari, quale quello statunitense, che ancora adottavano Basilea 1 e che programmavano l’adozione della nuova normativa prudenziale limitatamente a un numero contenuto di intermediari. Inoltre, tre fra le vittime eccellenti della crisi (Northern Rock, Bear Stearns e Lehman Brothers) non applicavano Basilea 2 e anche laddove recepite, le nuove regole prudenziali non erano ancora operative quando sono emerse le criticità del sistema23. L’entrata in vigore di tale Accordo, infatti, si è conclusa nel 2008, quindi a crisi già ampiamente sviluppata, e appare logicamente scorretto addossare a Basilea 2 la colpa di aver generato la stessa, anche se certamente i ritardi nella sua messa a punto e implementazione rappresentano una responsabilità pesante per le Autorità.

Nonostante ciò, i punti deboli che comunque possono essere attribuiti al framework di Basilea 2 sono diversi, ma noi ci soffermeremo solo su quelli relativi al capitale, posto al centro della nostra attenzione:

 In primo luogo, la constatazione che nella maggior parte dei casi il capitale detenuto dalle banche nel rispetto della regolamentazione prudenziale si era rivelato insufficiente non tanto nella quantità, quanto nella qualità degli strumenti che lo costituivano.

Basilea 2 non è intervenuta sulla definizione del patrimonio di vigilanza (Tier 1 e Tier 2) e non ha modificato la misura del requisito, ma ha consentito ai soggetti vigilati di sfruttare ampiamente gli strumenti di capitalizzazione di qualità limitata24, quali le emissioni subordinate, determinando un graduale scadimento della qualità del patrimonio bancario. Molte delle banche che hanno sofferto perdite ingenti e/o sono state salvate da interventi governativi, difatti, presentavano un coefficiente patrimoniale largamente al di sopra del minimo imposto da Basilea, ma avevano abusato delle possibilità loro concesse per costituire una sempre più consistente quota del patrimonio di vigilanza mediante collocamento sul mercato di strumenti cosiddetti “ibridi” (cioè, strumenti che

23F. Tutino, G. Birindelli, P.Ferretti, Basilea 3 Gli impatti sulle banche, Egea, Milano, 2011.

24Si tratta di strumenti riconosciuti nel capitale regolamentare, ma distinti dal capitale vero e proprio (core tier 1) in quanto non possiedono una qualità sufficiente per assorbire le perdite.

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nella sostanza sono debito), realizzando in tal modo un innalzamento soltanto fittizio del coefficiente patrimoniale, o, se si vuole, un rafforzamento più formale che sostanziale.

Nonostante gli indubbi vantaggi in termini di deducibilità fiscale degli interessi e di mancata diluizione degli assetti proprietari collegati a tali strumenti di tipo quasi-equity,essi presentavano l’inconveniente di essere percepiti dagli investitori come canali di debito a tutti gli effetti e nel mercato si è ben presto diffusa la convinzione che gli istituti emittenti non avrebbero rinunciato, neppure in caso di difficoltà, a corrispondere le somme dovute in modo puntuale e incondizionato. Le banche, pur di evitare conseguenze negative di natura reputazionale o di compromettere le future possibilità di raccolta, hanno assecondato questa convinzione e in molti casi non hanno ricorso alla cancellazione dei pagamenti connessi a tali strumenti, dimostratisi inefficaci nella copertura delle perdite inattese e non assimilabili alle forme più tradizionali di patrimonio, il common equity in primis(capitale sociale versato e riserve da utili non distribuiti).

 Un secondo ordine di problematiche attiene al carattere di prociclicità insito nell’apparato funzionale di Basilea 2, ovvero le interazioni fra settore finanziario e reale che tendono a rafforzarsi a vicenda e ad amplificare le fluttuazioni del ciclo economico. Una delle novità introdotte da Basilea 2 consisteva proprio nell’utilizzo dei rating – esterni se di agenzie internazionali quali Moodys, Standard & Poors e Fitch, o interni se assegnati direttamente dalle banche – come base per il calcolo del requisito patrimoniale. Ciò significa che una variazione del rating delle imprese cui una banca ha concesso credito determina una variazione del requisito patrimoniale della banca e ciò potrebbe minare la stabilità del sistema bancario. Infatti, se i coefficienti patrimoniali dipendono dai rating, e quindi dalla rischiosità della controparte, un’eventuale recessione, portando con sé tassi di insolvenza più elevati e downgrading più frequenti, condurrebbe a un aumento del capitale minimo richiesto alle banche. Poiché raccogliere nuovo patrimonio durante una fase di recessione sarebbe alquanto complicato, per mantenere le proporzioni tra capitale e attività a rischio le banche finirebbero per concedere meno credito all’economia e ciò non farebbe altro che accentuare la recessione. Analogamente, in presenza di una forte crescita economica associata a un generale miglioramento del merito di

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credito delle controparti (upgrading), i coefficienti patrimoniali si allenterebbero, consentendo alle banche di aumentare oltre misura l’offerta di credito all’economia. Sebbene a livello di singolo intermediario una regolamentazione atta ad indurre le banche a detenere maggiori presidi patrimoniali in concomitanza di fasi recessive possa rivelarsi ottimale, lo stesso non accade a livello macroprudenziale: se, infatti, tutte le banche riducessero l’erogazione dei finanziamenti all’economia, questo comporterebbe certamente un acuirsi dello stato di crisi in atto, con conseguente incremento del rischio di default dei debitori ed inasprimento delle criticità a livello sistemico. Trattasi dell’ennesima riprova di come una buona misura di vigilanza microprudenziale possa non rivelarsi necessariamente ottimale ad un livello macro.

Dalla constatazione di queste ed altre rilevanti problematiche25 il Comitato di Basilea ha ritenuto opportuno procedere a tutta una serie di modifiche della disciplina di riferimento culminate, alla fine del 2010, nella formulazione di un progetto volto ad introdurre un nuovo complesso di regole per la stabilizzazione delle imprese creditizie e del sistema bancario nel suo complesso, confluito nell’Accordo di Basilea 3, il cui varo ha testimoniato la complessiva insufficienza del precedente impianto26.

1.3.1 IL RECEPIMENTO DI BASILEA 3 NELL’ORDINAMENTO EUROPEO – LA CRD IV/CRR

Il Terzo Accordo di Basilea (Basilea 3) è stato definito allo scopo di migliorare la supervisione prudenziale del sistema bancario e monitorare più efficacemente il rischio sistemico e la sua amplificazione pro-ciclica e ha toccato tutti i principali tasselli della regolamentazione finanziaria: il capitale, l’operatività nella finanza strutturata, la leva finanziaria, l’interazione tra regole prudenziali e ciclo economico, il rischio di liquidità27.

25Tra le quali necessita menzionare il ruolo svolto, nel corso della crisi, dalla manifestazione concreta del rischio di liquidità, dall’eccessivo sfruttamento della leva finanziaria da parte delle banche, dall’impatto sui mercati delle difficoltà manifestate dalle istituzioni finanziarie a rischio sistemico e dalle ingenti perdite subite nel novero delle attività inserite nei portafogli di negoziazione (trading book).

26V. Manzi, La disciplina dei nuovi requisiti patrimoniali imposti dalle regole di Basilea 3. Implicazioni e prospettive per il sistema bancario, rivista trimestrale di diritto dell’economia, n° 4/2011.

27S. Mieli, L’attuazione in Europa delle regole di Basilea 3, Commissione 6° della Camera dei Deputati (Finanze), 23 febbraio 2012.

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Il processo di recepimento di questo impianto all’interno dell’ecosistema europeo è stato avviato il 20 luglio 2011 con l’adozione di una proposta legislativa da parte della Commissione Europea, rappresentata dal c.d. CRD IV Package, composto da una Direttiva e da un Regolamento: la prima si occupa delle questioni complementari, che devono essere trasposte in ordinamenti nazionali e richiedono quindi un maggior grado di flessibilità, il secondo istituisce un singolo framework regolatore direttamente a livello europeo. Basilea 3 è un accordo internazionale relativo a standard e requisiti minimi applicato alle sole banche attive a livello internazionale e così per come si presenta non può essere direttamente incorporato alla legislazione dell’Unione Europea (UE). Direttiva e Regolamento, invece, entrano a far parte dell’aquis comunitario e si applicano in modo vincolante a tutti gli istituti di credito e le società di investimento attive in Europa secondo la Financial Instruments Directive, coinvolgendo di fatto oltre 8.300 istituti bancari nazionali, regionali o di vendita al dettaglio e favorendo in tal modo la trasposizione nell’ordinamento europeo degli standard internazionali del nuovo accordo.

La Direttiva 2013/36/UE (c.d. Capital Requirements Directive IV) ha introdotto elementi di originalità rispetto al testo di Basilea, adottando disposizioni in materia di: autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria; operatività in regime di mutuo riconoscimento; processo di controllo prudenziale; cooperazione tra le autorità di vigilanza; governance; sanzioni; requisiti addizionali di capitale. In particolare, essa ha previsto la predisposizione di cinque nuovi buffer di capitale28, l’adozione di misure volte a ridurre il rischio proveniente da grandi esposizioni o esposizioni eccessive verso singoli attori e ha introdotto nuove disposizioni in materia di retribuzione e governance, finalizzate a evitare comportamenti eccessivamente rischiosi, predisponendo inoltre maggiori poteri per la funzione di risk management. Per quanto riguarda il Regolamento n. 575/2013 (c.d. Capital Requirements Regulation), direttamente vincolante per tutti gli Stati Membri, esso è volto a rendere operativo e a dettagliare l’impianto delineato dalla Direttiva, creando un framework unico che superi le divergenze a livello nazionale, rimuova le distorsioni presenti e prevenga l’arbitrarietà. Il documento stabilisce i requisiti per le istituzioni finanziarie in materia di fondi propri, standard di capitale, liquidità e leverage. Viene introdotta una più stringente e chiara definizione di patrimonio di vigilanza

28Capital conservation buffer, counter-cyclical buffer, systemicrisk buffer e due buffer relativi alle sole istituzioni sistemiche.

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(common equity e Tier 2). Il Regolamento contiene inoltre disposizioni in materia di esposizioni rilevanti, disclosure e trasparenza.

Attraverso questo impianto, i regolatori europei hanno cercato di trovare un giusto equilibrio tra flessibilità e rigidità, lasciando alla Direttiva, e quindi all’applicazione nazionale, le materie più strettamente pertinenti il secondo pilastro, e creando un quadro unico europeo per le materie riguardanti il Primo e il Terzo Pilastro di Basilea 3. La scelta di ridisegnare la disciplina prudenziale attraverso un provvedimento normativo valido per tutti i paesi dell’Unione Europea rappresentava un’importante novità in termini di tecnica legislativa e rispondeva all’obiettivo di ridurre la discrezionalità rispetto alla Capital Requirements Directive II (che recepiva all’interno dell’ordinamento comunitario il Secondo Accordo di Basilea), permettendo di conseguire la massima armonizzazione, attraverso quello che viene comunemente definito Single Rulebook, ossia una disciplina unica e di armonizzazione delle normative prudenziali degli Stati membri29.

È inevitabile la nascita di un trade-off tra la necessità di rispettare le regole concordate su scala globale e quella di riflettere, ove necessario e consentito, specificità di singoli ordinamenti e difatti è risultato davvero cruciale attuare tali regole in maniera coerente nelle diverse giurisdizioni. La crisi, d’altro canto, ha dimostrato quanto pericolose siano le divergenze regolamentari in aree-chiave dell’operatività bancaria, a cominciare dalla definizione del capitale bancario. Assetti normativi e di controllo meno prudenti possono, infatti, determinare effetti dirompenti anche nelle giurisdizioni più severe. Il progetto europeo del Single Rulebook nasceva proprio dall’esigenza, sostenuta anche dalla Banca d’Italia, di eliminare all’interno dell’Unione condizioni di disparità di trattamento, ma andava realizzato non perdendo di vista gli aspetti che potevano essere mantenuti sul piano nazionale30.

Il 17 aprile 2013 la proposta della Commissione Europea è stata approvata dal Parlamento Europeo e,successivamente, il 20 giugno, dal Consiglio dell’Unione Europea. In seguito, il 27giugno 2013 sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea (GUUE) i testi del Regolamento (UE) n. 575/2013 e della Direttiva 2013/36/UE con i quali vengono definitivamente introdotte nell’Unione

29C. Barbagallo, Verso un’unione europea delle regole e dei controlli di vigilanza, Convegno ABI Basilea 3, Roma, 27 giugno 2013.

30S. Mieli, L’attuazione in Europa delle regole di Basilea 3, Commissione 6° della Camera dei Deputati (Finanze), 23 febbraio 2012.

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europea le regole definite dal Comitato di Basilea nel 2010 per la vigilanza bancaria con l'intento di promuovere un sistema bancario più solido e resistente agli shock finanziari31.Le nuove regole, infine, sono entrate in vigore all’inizio del 2014, ma è stato previsto un periodo transitorio fino al 2019 per la messa a regime delle stesse al fine di non ostacolare la ripresa economica e in modo da consentire un graduale adeguamento dell’operatività delle banche, che possono così continuare ad assicurare i flussi di credito. La gradualità nell’applicazione costituisce proprio uno dei principi portanti su cui si fonda il nuovo framework normativo europeo.

Entrando nel merito, quello che viene identificato con “il Nuovo Accordo di Basilea 3” rappresenta in realtà una continuazione ed un rafforzamento del precedente accordo regolamentare (Basilea 2) che aveva evidenziato alcune debolezze e criticità. Il Comitato ha, infatti, mantenuto l’approccio basato su tre Pilastri che era alla base di Basilea 2, integrandolo per accrescere quantità e qualità della dotazione di capitale degli intermediari, introdurre strumenti di vigilanza anticiclici, norme sulla gestione del rischio di liquidità e sul contenimento della leva finanziaria. Il Primo Pilastro è stato rafforzato attraverso una definizione maggiormente armonizzata del capitale e più elevati requisiti di patrimonio. A fronte di requisiti patrimoniali rafforzati per riflettere in modo più accurato la reale rischiosità di talune attività (ad esempio, cartolarizzazioni e trading book), vi è ora una definizione di patrimonio di qualità più elevata essenzialmente incentrata sul common equità e sono imposte riserve addizionali in funzione di conservazione del capitale e in funzione anticiclica.

Il Secondo Pilastro ha richiesto alle banche di dotarsi di una strategia e di un processo di controllo dell’adeguatezza patrimoniale, attuale e prospettica, rimettendo all’autorità di vigilanza il compito di verificare l’affidabilità e la coerenza dei relativi risultati. In quest’area sono stati rafforzati i requisiti regolamentari concernenti il ruolo, la qualificazione e la composizione degli organi di vertice.

Il Terzo Pilastro, che riguarda gli obblighi di informativa al pubblico sull’adeguatezza patrimoniale, sull’esposizione ai rischi e sulle caratteristiche generali dei relativi sistemi di gestione e controllo, è stato rivisto per introdurre, fra

31Banca d’Italia, Documento per la consultazione, Applicazione in Italia del Regolamento (UE)n.575/2013 e della Direttiva 2013/36/UE, Agosto 2013.

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l’altro, maggiori informazioni sulla composizione del capitale regolamentare e sulle modalità con cui la banca calcola i ratios patrimoniali32.

1.3.2 LE MODIFICHE DI BASILEA 3 AL SISTEMA DI ADEGUATEZZA PATRIMONIALE: L’INNALZAMENTO DELLA QUALITA’ E DELLA QUANTITA’ DEL CAPITALE

Il Nuovo Accordo di Basilea è volto a rafforzare i presidi a tutela della stabilità del settore bancario, incidendo sia su una dimensione microprudenziale, ovvero sul singolo operatore, sia su quella macroprudenziale, ovvero sulla resilienza del sistema nel suo complesso, in quanto gli eventi verificatisi durante l’ultima crisi finanziaria hanno evidenziato come i pericoli maggiori per il sistema finanziario si presentino in corrispondenza del verificarsi di rischi sistemici, in grado, cioè, di colpire un numero potenzialmente illimitato di banche e generare perdite nello stesso momento su tutti gli intermediari. In questo scenario, è chiaro che non sarebbe di alcuna utilità il fatto che ciascuna banca presentasse una dotazione patrimoniale idonea a sopportare una quota parte delle perdite: se il verificarsi di un rischio sistemico genera perdite sufficienti a intaccare la continuità aziendale di un certo numero di banche, l’intero sistema finanziario collassa33.

Per questo, tra tutte le direttrici lungo le quali si è mosso il nuovo impianto regolamentare, l’intervento sulla definizione di capitale utilizzato a fini di vigilanza rappresenta forse quello più significativo. L’insufficienza della quantità e della qualità del patrimonio degli intermediari rispetto alle perdite sostenute è stato uno dei problemi più gravi emersi durante la crisi: la definizione di “patrimonio di vigilanza” non era sufficientemente armonizzata a livello internazionale e molti degli strumenti riconosciuti nel capitale regolamentare hanno dimostrato, alla prova dei fatti, di non possedere una qualità sufficiente per assorbire le perdite34.

Come già sottolineato in precedenza, gli elementi qualificanti del complesso di riforme riguardano:

 il rafforzamento patrimoniale, attraverso:

- l’innalzamento della qualità del patrimonio di vigilanza; - l’ampliamento della copertura dei rischi;

32Banca d’Italia, Disposizioni di vigilanza per le banche, Circolare n° 285 del 17dicembre 2013.

33C.Frigeni, Natura e funzione del capitale delle banche nella nuova regolamentazione, rivista Banca Impresa Società, n°1/2015.

34S. Mieli, L’attuazione in Europa delle regole di Basilea 3, Commissione 6° della Camera dei Deputati (Finanze), 23 febbraio 2012.

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