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Concorso “esterno” in associazione mafiosa. La tormentata evoluzione di un istituto di diritto giurisprudenziale

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Facoltà di Giurisprudenza

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Tesi di laurea:

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Concorso “esterno”. La tormentata

evoluzione di un istituto di diritto

giurisprudenziale

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Il candidato Il relatore

Muscolino Filippo Prof. Gargani Alberto

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Anno accademico 2013-2014

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A tutti coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo.

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INDICE

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INTRODUZIONE………VII

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Capitolo I

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Gli elementi del concorso eventuale nel reato di associazione mafiosa e la questione della sua configurabilità

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Parte I - Il concorso di persone nel reato

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1.1 Fondamento del concorso di persone nel reato. 1

1.2 La struttura del concorso di persone: pluralità di soggetti. 7

1.3 segue: la realizzazione di un fatto tipico alla stregua della fattispecie monosoggettiva. 8

1.4 segue: il contributo obbiettivamente rilevante. 9

1.5 Le cause di giustificazione nel concorso di persone. 17

1.6 L’elemento soggettivo. 18

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Parte II - L’associazione di tipo mafioso 2.1 L’associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p. 19

2.2 segue: l’organizzazione. 23

2.3 segue: la forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento e di omertà. 24

2.4 segue: scopi dell’associazione. 29

2.5 Le condotte. 32 2.6 L’elemento soggettivo. 34 2.7 La clausola di equiparazione. 35 2.8 Circostanze aggravanti. 36

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Parte III - L’applicabilità del concorso eventuale ai reati associativi

3.1 Premessa. 39

3.2 La lotta al terrorismo politico-eversivo. 40

3.3 La lotta alla mafia. 45

3.4 segue: l’orientamento dottrinale contrario. 48

3.5 segue: le perplessità degli autori c.d. disincantati. 55

3.6 Il tortuoso cammino giurisprudenziale verso un primo intervento delle Sezioni Unite. 58

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Capitolo II

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‘Consacrazione’ e specificazione degli elementi costitutivi del concorso esterno

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Parte I - La sentenza Demitry

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1.1 Il primo intervento delle Sezioni Unite: il caso Demitry. 77

1.2 Le critiche mosse dalla dottrina alla sentenza Demitry. 86

1.3 Il secondo intervento delle Sezioni Unite. 97

1.4 segue: la sentenza Villecco riapre il dibattito. 102

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Parte II - La sentenza Carnevale

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2.1 Il caso Carnevale: iter processuale e rimessione alle Sezioni Unite. 108

2.2 L’elemento oggettivo del concorso esterno: i requisiti negativi. 111

2.3 segue: i requisiti positivi. 118

2.4 L’elemento soggettivo del concorso esterno. 123

2.5 Il superamento della teoria della “fibrillazione”. 127

2.6 Una novità nel rigetto degli argomenti “sistematici”. 129

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Parte III - Il quarto ed ultimo intervento delle Sez. Unite riguardante il patto di scambio politico mafioso: la seconda sentenza Mannino

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3.1 Il reato di «scambio elettorale politico-mafioso». 132

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3.2 Il formarsi di un modello ermeneutico «binario» basato sul fenomeno

delittuoso di riferimento. 147

3.3 Il caso Andreotti. 160

3.4 Il quarto ed ultimo intervento delle Sezioni Unite: il caso Mannino. 167

3.5 segue: il contenuto della sentenza “Mannino-bis”. 175

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Capitolo III

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Recenti evoluzioni in tema di concorso ‘esterno’ e prospettive de lege ferenda

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Parte I - La giurisprudenza successiva alla sentenza Mannino

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1.1 L’“anarchia ermeneutico/decisionale” della giurisprudenza di legittimità post-Mannino. 196

1.2 Il processo Dell’Utri. 1.3 segue: il giudizio di rinvio. 222

1.4 segue: rilievi critici della sentenza Dell’Utri. 225

1.5 Gli ultimi sviluppi giurisprudenziali. 243

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Parte II - Prospettive di riforma

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2.1 L’introduzione di fattispecie incriminatrici ad hoc. 257

2.2 segue: contra. 264

2.3 segue: la proposta di sostituzione del criterio “causale” con il modello “strumentale”. 269

2.4 segue: una possibile via di mezzo. 275

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Introduzione

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Questa tesi di laurea ha ad oggetto le infinite vicissitudini di un istitu-to centrale del nostro ordinamenistitu-to penale, il concorso eventuale o 1

“esterno” in associazione mafiosa, il quale, nato come “cavallo di battaglia” nella lotta alla mafia, rectius alla mafia in guanti gialli , si è 2

invece rivelato essere, come si potrà constatare al termine della lettura, un “cavallo di Troia”, dal cui ventre sono venute fuori “orde” di prob-lematiche — complice l’indeterminatezza che ammorba le norme di riferimento, ossia gli artt. 110 e 416-bis c.p. — che si sono poi abbat-tute contro la stessa magistratura che lo aveva impiegato.

Così, nell’emergenza di una situazione in cui, anche a detta dell’allora Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi , sembra realizzarsi in 3

pieno la premonizione della c.d. “teoria della palma” , espressa da 4

Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta”, la magistratura, già

Anche nel dibattito politico-mediatico, v. G. Fiandaca, Il concorso esterno agli

1

onori della cronaca, in Foro it., 1997, V, 1 ss.

L’espressione, ripresa da vari autori, è contenuta in una relazione dello studioso

2

palermitano Gaetano Mosca dal titolo Che cos’è la mafia, tenuta nel 1900 e ora riprodotta in G. Mosca, Uomini e cose di Sicilia, a cura di V. Frosini, Palermo, 1980, 11; con essa alludeva al tipo di protezione che gli esponenti delle classi superiori accordano ai gruppi mafiosi.

M. Draghi, Le mafie a Milano e nel Nord: aspetti sociali ed economici, Intervento

3

del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, in Dir. pen. cont. [www.penale-contemporaneo.it], Milano, 11 marzo 2011.

L. Sciascia, Il giorno della civetta, Milano, 2012, 125-26: «Forse tutta l'Italia va

4

diventando Sicilia... A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già oltre Roma... »; v. anche il ricordo di G. Pansa, I casalesi a Cuneo, in L’Espresso, 25 settembre 2008.

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priva di diversi efficaci strumenti di tutela, non sembra più poter fare pieno affidamento su quell’istituto, che, come ha scritto C. Visconti , 5

aveva costituito l’«emblema di un magistero penale che a cominciare dai primi anni ’90, magari superando alcune ritrosie e “timidezze” nel-l’interpretazione delle norme, ha alzato il tiro dell’attività repressiva per arrivare a colpire la contiguità mafiosa di alto bordo, cioè una par-ticolare forma di “criminalità del potere (o dei potenti)” fino ad allora lasciata più o meno intenzionalmente indenne».

Ad oggi, è tanto, troppo, il divario tra la quantità di indagini prelimi-nari avviate a titolo di concorso esterno e il numero di procedimenti per i quali è stato almeno disposto il procedimento . 6

Nel mentre la dottrina ha fatto sentire la sua voce, quasi sempre in risposta — adesiva o, più spesso, critica — alle conclusioni cui via via giungeva la prassi applicativa; si è interrogata sull’istituto in esame, tentando altresì di influenzare le scelte interpretative e politico-crimi-nali della giurisprudenza.

Con le parole di Tullio Padovani, impegnato a descrivere i guasti pro-cessuali della legalità penale, la dottrina, è arrivata fino a definire l’istituto un «autentico esemplare di un bestiario giuridico sempre più fittamente popolato da mostri» , mentre al contrario G. Vassalli aveva 7 8

avvertito la necessità di precisare che si tratta di un «presunto mostro», visto che anche al «concorso esterno nelle forme dell’aiuto

C. Visconti, Contiguità alla mafia e responsabilità penale, Torino, 2003, 272.

5

I dati diffusi dal Procuratore nazionale P. Grasso sono stati in parte riportati da F.

6

Cavallaro, Concorso esterno: 7190 accusati, solo 540 sentenze, in Corriere della sera, 29 novembre 2007, 25.

Cit. T. Padovani, Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni antis

7

-toriche sulle dimensioni processuali della legalità penale, in Ind. pen., 1999, 540. G. Vassalli, Riforma del codice penale: se, come, quando, in Riv. it. dir. e proc.

8

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od ausilio nei reati associativi» spetta un pieno «diritto di cittadinan-za», e la «da taluno ritenuta mostruosità», deve piuttosto essere ricer-cata nella sua incerta costruzione, «legata ad uno smarrimento cres-cente nella interpretazione, oltre che nella mancata differenziazione edittale della pena».

Senza voler prendere fin da subito una posizione riguardo una vexata

quaestio di simile portata, la trattazione, comprensibilmente,

privi-legerà l’analisi degli orientamenti giurisprudenziali in materia, seguendo l’itinerario dello sviluppo cronologico: nel Capitolo I, dopo la presentazione del meccanismo di incriminazione costituito dalla combinazione degli artt. 110 e 416-bis c.p., che dà luogo al reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”, si darà uno sguardo alle prime vere applicazioni dell’istituto sotto il codice Rocco, quindi, dapprima negli anni della lotta al terrorismo politico-eversivo, poi, in quelli della lotta alla criminalità organizzata di tipo mafioso, analiz-zando le incertezze e le oscillazioni giurisprudenziali che hanno spinto le Sezioni Unite ad intervenire una prima volta nel 1994; nel Capitolo II saranno analizzate le quattro pronunce della Suprema Corte a Sezioni Unite, dalla prima del 1994 fino alla quarta, la sentenza Man-nino del 2005, cercando anche di capire per quale motivo, nonostante più di un decennio di legittimità praticamente incontrastata, l’una sen-tenza abbia richiesto l’intervento della successiva; sarà ivi dato anche uno sguardo all’unica pronuncia della Cassazione che tra le prime 9

due statuizioni delle Sezioni Unite aveva levato la voce contro l’istitu-to (provocando le terze Sezioni Unite) — tuttavia, con l’istitu-toni così oscuri e involuti da non incrinare minimamente l’unanimità dell’indirizzo — ed anche all’allora nascente dibattito circa la riconducibilità,

Cass. Sez. VI, 21 settembre 2000, Villecco, in Foro it., 2001, II, 405, con nota di C.

9

Visconti; in Cass. pen., 2001, 2064, con nota di F.M. Iacoviello, Concorso esterno in associazione mafiosa: il fatto non è più previsto dalla giurisprudenza come reato.

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to del concorso esterno, della contiguità dei politici alla mafia (c.d. “patto di scambio politico-mafioso”). Infine, nel Capitolo III si darà conto dei più recenti sviluppi, a partire dalla sentenza Dell’Utri, per chiudere la trattazione con le strade che la dottrina ha indicato nella prospettiva di una futura tipizzazione legislativa, a quanto pare, in-evitabile per superare le problematicità di un diritto giurisprudenziale che, nel caso del concorso esterno, non è riuscito a superare gli incon-venienti, forse riassumendo tale figura, meglio di ogni altra vicenda giurisprudenziale, i «numerosi tormenti» di cui è afflitto il nostro tem-po penalistico . 10

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C. Visconti, La punibilità della contiguità alla mafia tra tradizione (molta) e in

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«Anche un orologio rotto

segna due volte al giorno l’ora esatta» (antico detto Yiddish)

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Capitolo I

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GLI ELEMENTI DEL CONCORSO EVENTUALE NEL REATO DI ASSOCIAZIONE MAFIOSA E

LA QUESTIONE DELLA SUA CONFIGURABILITÀ

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Parte I

Il concorso di persone nel reato

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SOMMARIO: 1.1 Fondamento del concorso di persone nel reato. - 1.2 La struttura del concorso di persone: pluralità di soggetti. - 1.3 segue: la realizzazione di un fatto tipico alla stregua di una fattispecie monosoggettiva. - 1.4 segue: il contributo ob-biettivamente rilevante. - 1.5 Le cause di giustificazione nel concorso di persone. - 1.6 L’elemento soggettivo.

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1.1 Fondamento del concorso di persone nel reato.

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L’istituto del concorso esterno nel reato di associazione mafiosa non consiste in una singola fattispecie incriminatrice di parte speciale così rubricata, bensì nel portato dell’applicazione dell’art. 110 c.p., norma generale sul concorso di persone, all’art. 416-bis c.p., norma sul reato di associazione di tipo mafioso. È inevitabile, pertanto, affinché possa intendersi il processo di incriminazione — secondaria — che dà luogo alla figura del concorso esterno nel reato di associazione mafiosa, prendere le mosse dall’istituto di parte generale, per poi passare alla fattispecie di parte speciale.

Il concorso di persone nel reato (artt. 110 e ss. c.p.) è la situazione in cui «più persone pongono in essere insieme un reato, che,

astratta-mente, può essere realizzato anche da una sola persona» . 1

F. Mantovani, Diritto penale, P.g., Padova, 2011, 500. 1

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È denominato anche concorso eventuale, così da distinguerlo dalla diversa figura del concorso necessario, che, invece, ricorre quando la stessa fattispecie incriminatrice di parte speciale esige, già affinché sia integrato l’elemento del fatto tipico, l’intervento di più soggetti (ad es., rissa, incesto, bigamia, violenza sessuale di gruppo, associazione per delinquere etc.). Nel primo caso il reato è astrattamente monosog-gettivo e solo eventualmente realizzato in forma plurisoggettiva; nel secondo si parla di fattispecie necessariamente plurisoggettive, in cui, già perché sia soddisfatta la tipicità, si pretende la condotta di più sog-getti.

Essendo il nostro un ordinamento liberale a legalità formale , per pu2

-nire quei comportamenti dei concorrenti che, in quanto atipici, pur apportando un contributo alla realizzazione del fatto, non sono punibi-li in base alle sole fattispecie incriminatrici di parte speciale, serve una norma che assurga al ruolo di clausola di estensione della punibilità, id

est dilati i confini dell’area di rilevanza penale. Nel nostro

ordinamen-to tale funzione è assolta dall’art. 110 c.p. , il quale dispone: «Quan3 4

V. F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 502; nei sistemi a legalità sostanziale 2

vige, invece, la c.d. concezione estensiva dell’autore: la punibilità dei concorrenti non ha bisogno di un’espressa previsione, ma può essere ricavata dalla stessa nozione sostanziale del reato, inteso non come offesa “tipizzata” di interessi, ma come offesa di un interesse tipizzato, cioè offesa di interessi meritevoli di tutela, o, ancor più genericamente, condotta socialmente pericolosa, così che diventa possibile punire qualsiasi contributo che abbia comunque determinato e “causato” la realiz-zazione del reato; nello stesso senso cfr. T. Padovani, Diritto penale, Milano, 2012, 288; G.A. De Francesco, Il concorso di persone nel reato, in AA.VV., Introduzione al sistema penale, II, Torino, 2001, 328 ss.

La medesima funzione è propria anche dell’art. 40 comma 2° c.p., in materia di 3

causalità nei reati omissivi impropri, e dell’art. 56 comma 1° c.p., per quanto riguar-da il tentativo di delitto.

G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, P.g., Bologna, 2009, 493-94; F. Manto

4

-vani, Diritto penale, op. cit., 503; T. Pado-vani, Diritto penale, op. cit., 288; L. Vig-nale, Ai confini della tipicità: l’identificazione della condotta concorsuale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 1358 ss.

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do più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse

sog-giace alla pena per questo stabilita». Il codice Rocco, abbandonando la rotta tracciata dal precedente codice

del 1889, ha optato per un modello c.d. monistico o di tipizzazione unitaria, basato sul criterio dell’efficienza causale della condotta di ciascun concorrente. In altri termini, nel codice vigente non si ha più una distinzione astratta tra compartecipi primari (autore, coautore, de-terminatore) e compartecipi secondari, con conseguenti autonoma ti-pizzazione delle figure e diverso trattamento sanzionatorio , ma si sta5

-bilisce che concorre chi apporta un contributo qualsiasi, purché dotato di rilevanza eziologica nell’ambito della realizzazione collettiva del fatto . 6

Se, per un verso, la rinuncia ad una classificazione astratta delle con-dotte di compartecipazione risponde all’esigenza di semplificazione, dall’altro, lo “scotto” da pagare è tutt’altro che esiguo: ne deriva,

È il c.d. modello pluralistico, corrispondente alla tradizione penalistica delle codi

5

-ficazioni liberali ottocentesche e tuttora recepito da alcuni Stati europei (ad es. Ger-mania); non sono pochi gli autori che auspicano un ritorno ad esso al fine di evitare di lasciare indeterminati i presupposti della punibilità delle condotte di comparteci-pazione ed appiattire le responsabilità individuali, essendo diversamente graduata la pena in base al tipo di contributo apportato.

Ex multis cfr. E. Morselli, Note critiche sulla normativa del concorso di persone nel reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 415 ss.; S. Seminara, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Milano, 1987, passim (ove si trova anche un’ampia analisi storica e comparatistica).

Si noti che il modello di tipizzazione unitaria non comporta una meccanica 6

eguaglianza del quantum sanzionatorio per tutti i concorrenti: se, da un lato, è vero che ciascuno di essi è punito nei limiti edittali stabiliti per il reato commesso, dal-l’altro, si ammette la possibilità di graduare in concreto la pena per ciascuno sia at-traverso il riconoscimento di specifiche aggravanti ed attenuanti, sia in virtù dell’art. 133 c.p.

(15)

fatti, una dilatazione, talora eccessiva , della responsabilità a titolo 7

concorsuale, peraltro alimentata da una tendenza giurisprudenziale a sorvolare sui requisiti oggettivi minimi di una tale legittima responsa-bilità.

Varie sono le ragioni che hanno spinto al cambio di impostazione: il coevo retroterra culturale influenzato dal «positivismo-naturalistico», perciò incline a valorizzare al massimo il «dogma della causalità», e dal «positivismo-criminologico» di matrice lombrosiana e ferriana, volto a sminuire l’importanza di una differenziazione delle responsa-bilità individuali sul piano della tipizzazione del fatto e dar rilievo al valore sintomatico dei contributi dei concorrenti; le comprovate diffi-coltà di calare i contributi concorsuali in astratto tipizzati sul piano concreto dei fatti; last but not least, le tendenze autoritario-repressive del regime fascista, delle quali la voluta indeterminatezza della norma

generale sul concorso di persone è cartina tornasole. Per spiegare da un punto di vista più strettamente tecnico-giuridico la

punibilità del concorso, cioè perché una condotta atipica diventi tipica e punibile, sono state formulate diverse teorie.

A lungo invalsa è stata la teoria dell’accessorietà , sorta in Germania, 8

secondo cui è necessario che sia integrata una condotta principale, o tipica, dell’autore, alla quale accede, si aggiunge, la condotta atipica del compartecipe, che, essendo atipica, non assume di per sé rilevanza

In uno dei suoi ultimi scritti G. Bettiol ha affermato: «Tutto il titolo del concorso di 7

più persone in un reato è passibile di eccezione di anticostituzionalità per mancanza di precisione parziale o totale, direi di tassatività», in Brevi considerazioni sul prob-lema del concorso di più persone in un reato (dattiloscritto), in CNR-CNPDS, La riforma di parte generale del codice penale. Concorso di persone nel reato, 1983, 4.

Teoria sostenuta dalla dottrina minoritaria: C. Pedrazzi, Il concorso di persone nel 8

reato, Palermo, 1952, 22 ss.; G. Bettiol e L. Pettoello Mantovani, Diritto penale, P.g., Padova, 1986, 656 ss.; più recentemente G. Marinucci e E. Dolcini, Manuale di diritto penale, P.g., Milano, 2009, 395 ss.; D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2009, 468 ss.

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penale; quindi, senza il fatto tipico principale dell’autore, al quale ac-cede la condotta atipica del concorrente, non può esservi comparteci-pazione criminosa.

Nel tempo l’accessorietà è stata diversamente configurata:

1) c.d. estrema, per cui la condotta principale deve risultare tipica, oggettivamente antigiuridica e colpevole;

2) c.d. limitata, è sufficiente che la condotta principale sia tipica e oggettivamente antigiuridica (quindi, può anche non essere colpe-vole);

3) c.d. minima, secondo cui basta che la condotta principale sia tipica (quindi, anche se il fatto, tipico, è giustificato da una scriminante). Se, da un lato, la teoria dell’accessorietà va apprezzata per la sensibili-tà dimostrata verso l’istanza garantista della legalisensibili-tà — richiedendo l’integrazione di una norma di parte speciale ribadisce il rispetto del principio di tipicità oggettiva quale ineludibile baluardo di un diritto penale del fatto — dall’altro lato, il suo vizio consiste proprio nell’e-sigere una condotta principale tipica: la sua variante estrema lascia lacune di punibilità (quid del concorso con un soggetto non imputabi-le?), cui si è cercato di porre rimedio con la figura dell’autore

media-to . Non è chiaro come si esplichi effettivamente quesmedia-to rappormedia-to di 9

accessorietà; infine, nulla può di fronte al fenomeno della c.d.

esecu-zione frazionata , dove nessuno realizza da solo l’intero fatto tipico 10

previsto dalla fattispecie incriminatrice monosoggettiva, e manche-rebbe, quindi, una condotta principale tipica cui accede la condotta di

V. nota n. 14. 9

Per gli autori secondo i quali tale argomento sarebbe già di per sé sufficiente per 10

negare spazio alla teoria dell’accessorietà cfr. M. Gallo, Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957, 62; P. Nuvolone, Pluralità di delitti e pluralità di delinquenti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1959, 1100; A. Pagliaro, Principi di diritto penale, Milano, 2000, 536.

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compartecipazione (ad es., una rapina in cui Tizio minaccia con la pi-stola Caio, mentre Sempronio gli sottrae il portafogli: nessuno dei due integra da solo la fattispecie di rapina ex art. 628 comma 1° c.p.). Per superare tali inconvenienti parte della dottrina ha elaborato la

teo-ria della fattispecie plurisoggettiva eventuale, in base alla quale «la

sintesi tra l’art. 110 c.p. ed una delle disposizioni di parte speciale non soltanto qualifica penalmente condotte irrilevanti ai sensi delle singole disposizioni di parte speciale, ma ben prima crea un’entità nuova, una forma (unitaria) nuova, nella quale le singole condotte perdono la loro autonomia per divenire parti di un tutto» . 11

In altri termini, la combinazione della norma di parte generale sul concorso di persone nel reato con la norma incriminatrice di parte speciale, estende la tipicità, dando vita ad una nuova fattispecie pluri-soggettiva, autonoma e diversa da quella monopluri-soggettiva, alla quale si affianca. Non serve più una condotta principale tipica, realizzata da un

Cit. R. Dell’Andro, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, 1957, 11

81; analogamente v. M. Gallo, Lineamenti di una teoria, op. cit., 53; P. Nuvolone, Pluralità di delitti, op. cit., 1098; T. Padovani, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Milano, 1973, 37; A. Pagliaro, Principi, op. cit., 536-37.

La teoria in commento si riparte a sua volta tra una concezione monistica, sostenuta dall’autore verbatim citato, secondo cui dall’applicazione combinata delle norme conseguirebbe un unico ed indivisibile reato a pluralità di agenti, e una concezione pluralistica, per la quale invece originerebbe una pluralità di reati, tanti quanti sono i concorrenti; si avrebbe in comune un nucleo di fatto materiale, con le peculiarità proprie di ognuno per ciò che concerne «l’atteggiamento psichico (che è, per cias-cuno, quello proprio del compartecipe che si considera) e taluni aspetti esteriori (che ineriscono soltanto alla condotta dell’uno o dell’altro compartecipe)», ecco spiegato perché sono previste circostanze, o addirittura è possibile l’esclusione della pena per taluno soltanto dei concorrenti; v. A. Pagliaro, Principi, op. cit., 538; nel senso che nel concorso di persone si ha una pluralità di reati v. già prima, M. Boscarelli, Con-tributo alla teoria del concorso di persone nel reato. Le fattispecie di concorso, Padova, 1958, 22.

(18)

autore, cui accedano le condotte dei compartecipi, e l’esecuzione del reato può essere frazionata tra le condotte di più soggetti . 12

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1.2 La struttura del concorso di persone: pluralità di soggetti.

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I requisiti strutturali del fatto tipico della fattispecie plurisoggettiva eventuale nel reato sono tre : 13

1) la pluralità di soggetti; 2) la realizzazione di un fatto tipico secondo una fattispecie monosoggettiva; 3) il contributo obbiettivamente

rile-vante. Il primo requisito è la pluralità di persone fisiche: se si tratta di reato

astrattamente monosoggettivo sarà sufficiente il numero di due; se si tratta di reato plurisoggettivo sarà necessario almeno un soggetto in più di quelli necessari a realizzare la fattispecie tipica plurisoggettiva. Nel computo si tiene conto anche dei soggetti non imputabili e non punibili, come si desume chiaramente dall’art. 112 ult. comma c.p., che dispone l’applicazione degli aggravamenti di pena ivi previsti an-che se «taluno dei partecipi al fatto non è imputabile o non è punibile», e dal quale si ricava che, ai fini della sussistenza del con-corso criminoso, si prescinde dalla punibilità di taluno dei concorrenti; dall’art. 119 comma 1° c.p., dove si dispone che «le circostanze sog-gettive, le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono con-corsi nel reato, hanno effetto soltanto riguardo alla persona cui si rife-riscono»; infine, dall’art. 111 c.p., per il quale «chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile, ovvero non punibile

G. Insolera, voce Concorso di persone nel reato, in Dig. disc. pen., II, Torino, 12

1988, 455 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 504.

Cfr. G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 501 ss.; F. Mantovani, Dirit

13

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a cagione di una condizione o qualità personale, risponde del reato da questa commesso (…) » . 14

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1.3 segue: la realizzazione di un fatto tipico alla stregua di una

fat-tispecie monosoggettiva.

!

Il fatto collettivo deve nel suo complesso integrare una fattispecie in-criminatrice monosoggettiva. Essendo il delitto tentato il limite mini-mo dei fatti punibili, occorre che siano realizzati gli estremi almeno del tentativo di delitto , si avrà in questo modo un concorso di perso15

-ne in delitto tentato. Non rileva, invece, il tentativo di concorso , cioè 16

l’attività svolta al fine di realizzare un concorso nel reato, qualora poi il reato non sia commesso, in base all’art. 110 c.p. (« (…) concorrono nel medesimo reato (…) »); all’art. 115 c.p., che sancisce la non puni-bilità per il semplice fatto di essersi accordato con altri allo scopo di commettere un reato, qualora all’accordo non segua la commissione

Riconducibili al concorso di persone nel reato sarebbero quindi anche quei casi in 14

cui la dottrina tedesca aderente alla teoria della accessorietà c.d. estrema, per giusti-ficare la punibilità di chi strumentalizza un altro essere umano non imputabile, non colpevole, o non punibile per altra causa, aveva escogitato la figura del c.d. autore mediato: chi si serve di altro essere umano come strumento esecutivo di un reato (ad es. artt. 46 e 54 ult. comma c.p.) non può essere punito come autore (o come coau-tore) dal momento che non realizza materialmente il fatto, ma neanche come istiga-tore o ausiliaistiga-tore, perché — in base alla teoria in questione — la condotta principale, alla quale l’apporto accede, non sarebbe punibile in concreto. Da qui l’esigenza di considerare autore, seppur “mediato”, punibile ai sensi della stessa fattispecie mono-soggettiva, chi usa altri soggetti come puri strumenti esecutivi.

La teoria dell’autorìa mediata è ormai ripudiata: cfr. F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 510; Padovani, Le ipotesi speciali, op. cit., passim; S. Seminara, Tecniche normative, op. cit., 340 ss.

Per una voce favorevole v. A.R. Latagliata, I princìpi del concorso di persone nel reato, Napoli, 1964, 78 ss.

Quindi, ex art. 56 comma 1° c.p., compimento di «atti idonei, diretti in modo non 15

equivoco a commettere un delitto».

G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 506; F. Mantovani, Diritto pe

16

(20)

del reato accordato, e dell’istigatore a commettere un reato, qualora l’istigazione sia stata accolta, ma il reato istigato non è stato commes-so . La riserva di cui all’art. 115 c.p. («salvo che la legge disponga 17

altrimenti»), si riferisce alle ipotesi in cui altre norme puniscano l’accordo o l’istigazione come reati a sé stanti, alla luce dell’impor-tanza attribuita dal legislatore a determinati interessi (ad es., artt. 302, 304, 322, 327, 414, 416 c.p.).

La condotta tipica può essere realizzata, indifferentemente, da un solo concorrente (ad es. mandante di un omicidio ed esecutore), da ciascu-no di essi compiutamente (c.d. correità, ad es. omicidio realizzato congiuntamente da due persone, ciascuna delle quali spara un colpo idoneo a cagionare la morte), da più di uno in forma c.d. frazionata (v. es. rapina, retro, 1.1).

!

1.4 segue: il contributo obbiettivamente rilevante.

!

Eccoci al nocciolo della teoria del concorso . Perché un soggetto pos18

-sa essere considerato compartecipe è neces-sario che «abbia effettiva-mente contribuito alla perpetrazione del reato» , tuttavia l’art. 110 19

c.p. non precisa la portata di tale contributo, limitandosi a disporre che «quando più persone concorrono (…) ciascuna di esse soggiace alla pena (…) ».

Ai sensi dell’art. 115 comma 2°, 3° e 4°, c.p., il giudice, in presenza di indici di 17

pericolosità sociale, potrà comunque applicare la misura di sicurezza della libertà vigilata di cui all’art. 229, n. 2, c.p.

T. Padovani, Diritto penale, op. cit., 293, lo definisce «il vero punctum dolens»; 18

analogamente F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 512; A. Di Martino, Concorso di persone, in Le forme di manifestazione del reato, a cura di G.A. De Francesco, in Trattato teorico/pratico di diritto penale, diretto da Palazzo-Paliero, II, Torino, 2011, 168.

G. Bettiol e L. Pettoello Mantovani, Diritto penale, op. cit., 646. 19

(21)

Il contributo può essere sia materiale che morale: nel primo caso è rappresentato da un intervento personale nella serie di atti che danno vita all’elemento materiale del reato; nel secondo si manifesta sotto forma di impulso psicologico alla realizzazione di un reato material-mente commesso da altri . 20

I presupposti del comportamento atipico, necessari per l’integrazione di un concorso minimo nel reato, devono essere ricostruiti alla luce dei principi costituzionali di determinatezza della fattispecie penale — non avrebbe senso pretendere il rispetto di tale principio per la norma speciale monosoggettiva e, al contempo, lasciare indefinita quella plu-risoggettiva — di materialità, cioè percettibilità esteriore del compor-tamento, in conformità dell’esigenza garantista espressa dal brocardo

cogitationis poenam nemo patitur; infine di personalità della respon-sabilità penale, in quanto il comportamento esteriore deve

concretiz-zarsi in un contributo rilevante per la realizzazione del reato, qualora, invece, si punisse un contributo non rilevante, non in grado di influen-zare l’altrui proposito criminoso o lo svolgimento del reato, si puni-rebbe senza potersi parlare di partecipe alla realizzazione comune del reato, che, pertanto, resterebbe obiettivamente “altrui” . 21

V. G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 509. 20

Nell’ambito della compartecipazione psichica si è soliti distinguere due figure: il determinatore, colui che fa sorgere in altri (l’autore) un proposito criminoso prima inesistente; l’istigatore, colui che si limita a rafforzare, galvanizzare un già esistente proposito criminoso altrui.

Cfr. F. Albeggiani, Imputazione dell’evento e struttura obiettiva della parteci

21

-pazione criminosa, in Indice pen., 1977, 404; F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 513.

(22)

L’opinione tradizionale, sostenuta anche dai compilatori del codice , 22

ricorreva alla teoria condizionalistica : la condotta del compartecipe 23

deve essere condicio sine qua non del reato, cioè eliminando mental-mente quella (c.d. giudizio controfattuale), questo non sarebbe stato commesso. Ad uno sguardo più attento la teoria in esame, che nel rea-to monosoggettivo si rivela lacunosa per eccesso , risulta essere sor24

-prendentemente restrittiva nel concorso: esulano, infatti, dall’area del-la punibilità le ipotesi di c.d. partecipazione non necessaria, cioè quei contributi ritenuti pur sempre meritevoli di sanzione sebbene non indi-spensabili (ad es., furto con scasso in cui un soggetto, che lavora con un trapano ad una cassaforte e che in 20 minuti porterebbe a termine il suo lavoro, utilizza invece la chiave offertagli da un complice ); inol25

-tre, dal punto di vista applicativo, vi sono casi estremamente comples-si nei quali accertare se il contributo comples-sia stato o meno condicio comples-sine

Dai quali la teoria condizionalistica viene posta a fondamento dell’abolizione di 22

ogni distinzione tra le condotte dei concorrenti e dell’adozione di un regime giuridi-co uniforme: «Il criterio di una eguale responsabilità per tutte le persone che sono concorse nel reato è in diretta dipendenza del principio che si è accolto nel regolare il concorso di cause nella produzione dell’evento in forza del quale tutte le con-dizioni che concorrono a produrre l’evento sono causa di questo», cit. Relazione al progetto definitivo. Lavori preparatori, V, parte I, Roma, 1929.

Per tutti v. C. Pedrazzi, Il concorso, op. cit., 70 ss., secondo il quale è proprio con 23

la formula condizionalistica che si impedisce che il concorso «degeneri oltre i limiti del ragionevole».

A causa del suo regressus ad infinitum metaforicamente descritto da uno studioso 24

civilista come una palla di neve che, scendendo lungo la china causale, si trasforma in una valanga, v. A. De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, I, Milano, 1979, 119.

Per un compendio delle critiche avanzate sotto questo profilo v. M. Siniscalco, voce «Causalità (rapporto di)», in Enc. dir., VI, Milano, 1960, 639.

L’esempio, riproposto da F. Albeggiani, Imputazione dell’evento, op. cit., 413, è 25

tratto da W. Class, Die Kausalität der Beihilfe, in Festchrift für U. Stock, Würzburg, 1966, 116: eliminando mentalmente la condotta del complice che fornisce la chiave, il reato di furto si consumerebbe ugualmente, anche se con tempi diversi.

(23)

qua non rischia di essere, se non impossibile, perlomeno probatio dia-bolica . Infine è possibile eccepire anche sul piano più strettamente 26

normativo: l’art. 114 comma 1° c.p. attribuisce al giudice la possibilità di diminuire la pena verso i concorrenti la cui attività «abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato» e per certo un’attività di «minima importanza» non può essere conside-rata indispensabile — o meglio condicio sine qua non — per la realiz-zazione del reato . 27

Per aggirare questi ostacoli si è allora proposto di riferire l’incidenza causale della condotta al fatto storicamente verificatosi, in modo da far risultare condizionante ogni contributo in difetto del quale la vi-cenda criminosa concreta o non si sarebbe svolta, o si sarebbe svolta diversamente (riprendendo l’esempio prima proposto, se eliminiamo 28

mentalmente la fornitura della chiave, è vero che l’autore avrebbe co-munque commesso il reato, ma lo avrebbe commesso diversamente, avvalendosi del trapano ed impiegando un tempo maggiore).

Si pensi alle ipotesi di compartecipazione c.d. psichica, dove l’eliminazione men

26

-tale dell’incoraggiamento non consente di sapere con margini di certezza se il soggetto avrebbe commesso o no il fatto, e di correità, allorquando ciascuno dei soggetti integra, con la propria condotta, la fattispecie monosoggettiva (ad es., due sicari che sparano ciascuno un colpo mortale): v. T. Padovani, Diritto penale, op. cit. 294.

F. Albeggiani, Imputazione dell’evento, op. cit., 409; F. Carnelutti, Lezioni di 27

diritto penale. Il reato, I, Milano, 1943, 312 ss.; T. Padovani, Diritto penale, op. cit., 294.

Per C. Pedrazzi, Il concorso di persone, op. cit., 79, l’accertamento del nesso 28

condizionalistico andrebbe impostato in «rapporto alle concrete modalità del fatto principale: se il fatto principale, senza l’aiuto del partecipe, si sarebbe verificato nelle stesse modalità concrete; in caso di risposta negativa poco importa accertare che un fatto assai simile, giuridicamente equivalente, si sarebbe verificato lo stesso. Basta cioè che l’influsso del partecipe si eserciti su un particolare, anche secondario, dell’impresa criminosa».

Similmente M. Boscarelli, Contributo, op. cit., 68; F. Antolisei, Manuale di diritto penale, P.g., Milano, 2003, 558; L. Stortoni, Agevolazione colposa e concorso di persone nel reato, Padova, 1981, 98 ss.

(24)

Tuttavia, ragionando in questi termini, si rischia una dilatazione inac-cettabile della sfera di rilevanza penale della compartecipazione: ogni contributo che modifica in qualche modo la situazione storica concre-ta, potrebbe essere considerato condotta di compartecipazione . 29

Per i casi in cui la teoria condizionalistica si rivela inadeguata, cioè, quando eliminata mentalmente la condotta del partecipe, si accerti che il reato si sarebbe verificato lo stesso, ma non è possibile negare che la condotta del concorrente abbia dato un contributo causale al risultato finale agevolando l’impresa criminosa, la dottrina tedesca ha elaborato il modello della causalità c.d. agevolatrice (detta anche di rinforzo) . 30

Alla stregua di tale impostazione, cui si affidano la dottrina e la giuri-sprudenza prevalenti, si considera penalmente rilevante non solo il contributo necessario, tale ai sensi del brocardo sublata causa tollitur

effectus, ma anche quello di mera agevolazione o facilitazione della

commissione del reato . 31

Neanche quest’approccio è immune da obiezioni: presta il destro al-l’impossibilità di sanzionare quelle ulteriori ipotesi di partecipazione

Anche, addirittura, quello del soggetto che casualmente passa per il luogo in cui 29

viene commesso il reato o, ancora, vi assiste inattivo (ad es., il cliente che, trovatosi in banca all’arrivo dei delinquenti, assiste alla rapina, si potrà mai dire che abbia partecipato al fatto perché, senza di lui, la rapina sarebbe stata “storicamente diver-sa”?). L’esempio è tratto da T. Padovani, Diritto penale, op. cit. 294; sul punto cfr. anche A. Di Martino, Concorso, op. cit., 173; L. Vignale, Ai confini della tipicità, op. cit., 1383.

Per ulteriori rilievi critici v.G.A. De Francesco, Il concorso di persone e il dogma causale: rilievi critici e proposte alternative, in Cass. pen., 2012, 3913 ss.

W. Class, Die Kausalität, op. cit., 115 ss.; F. Albeggiani, Imputazione dell’evento, 30

op. cit. 412 ss.; seguita anche da G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 505 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, op. cit. 515 ss.

Non si richiede che il contributo sia anche condizionalistico: nell’esempio prima 31

fatto sarà punibile nella forma del concorso di persone nel reato di furto il complice che ha fornito la chiave allo scassinatore, comportando un risparmio di tempo, nonostante questi avesse con sé il trapano.

(25)

non necessaria in cui non si ravvisa un’influenza causale neanche nel-la forma attenuata dell’efficacia agevonel-latrice, casi di inutilità o, addi-rittura, dannosità del contributo che comunque è stato prestato (ad es., Tizio ha prestato a Sempronio, autore del furto, uno strumento da scasso, il trapano, ma questo ha invece utilizzato la chiave fornitagli da Caio; ancora, il complice maldestro che con la sua condotta impac-ciata finisce per ostacolare anziché favorire l’impresa criminosa). Ecco allora la teoria c.d. della prognosi postuma, in cui si abbandona il criterio causale sostituendolo con un giudizio di idoneità ex ante della condotta del partecipe a facilitare la commissione del reato, una valutazione di accrescimento della probabilità di verificazione, anche se ex post la condotta si rivela inutile o dannosa.

L’addentellato normativo è rinvenuto nell’art. 56 c.p., nella parte in cui richiede l’«idoneità» ex ante degli atti . Tale appiglio, tuttavia, 32

non regge, non solo perché la norma richiamata è collocata nettamente al di fuori del capo relativo al concorso di persone nel reato, addirittu-ra in altro titolo seppur del medesimo libro I del c.p., ma, sopaddirittu-rattutto, perché una valutazione circa l’attitudine della condotta ad influire sul-la realizzazione del fatto, ha poco senso rispetto ad un reato realizza-tosi e, quindi, consumato, non tentato . 33

La tesi sembra piuttosto la ricerca forzata di un avallo «teorico» ad una prassi applicativa orientata in senso rigoristico, senza in realtà fornire un criterio idoneo a guidare la stessa, e finendo, anzi, per

F. Albeggiani, Imputazione dell’evento, op. cit., 427. 32

Ben più senso ha invece nell’ipotesi del tentativo di delitto, ove il delitto non si è 33

verificato, e, quindi, è utile valutare l’idoneità degli atti diretti a commetterlo ai fini di un’anticipazione dell’intervento della norma penale, v. per tutti G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 506.

(26)

condarla acriticamente razionalizzandone a posteriori le istanze puni-tive . 34

Poco condivisibile è anche quell’atteggiamento della giurisprudenza che, al fine di giustificare a ogni costo la punibilità e mantenere il re-quisito causale, procede ad una conversione «automatica» dell’appor-to (venga o no, poi, utilizzadell’appor-to) in una forma di «istigazione» o compli-cità psichica che ha determinato o rafforzato il proposito criminoso dell’agente . 35

Una più recente teoria di G.A. De Francesco tende a superare il “dogma causale”, “virando” su un criterio di “strumentalità” tra le condotte . Secondo l’autore citato, la natura concorsuale del contribu36

Sottoscrivibili le parole di un autore: «Che debba davvero punirsi chi ha fornito al 34

ladro la chiave o il grimaldello poi non concretamente utilizzati, non è così scontato come invece si pretenderebbe. Al contrario: in questi casi la punibilità è da escludere proprio perché si tratta di forme di complicità soltanto “potenziali”, nelle quali cioè l’ausilio inizialmente prestato manca di convertirsi in apporto effettivo e perdurante, che influisce concretamente sulla realizzazione del fatto», cit. G. Fiandaca e E. Mus-co, Diritto penale, op. cit., 506.

L’opera del partecipe, non causale sul piano materiale, diverrebbe tale sul piano 35

psicologico. Ancora una volta sia consentito un richiamo alle nitide parole di G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 507: «Che in certi casi l’offerta di uno strumento di ausilio possa operare come stimolo sul piano psicologico, non è da escludere. Solo che sarebbe errato fare di un’eventualità una soluzione obbligata: se la fornitura del mezzo incentivi psicologicamente la commissione del fatto, va provato caso per caso»; nello stesso senso F. Albeggiani, Imputazione dell’evento, op. cit. 416 ss.

G.A. De Francesco, Il concorso di persone nel reato, op. cit., 334 ss.; più recen

36

-temente Id., Concorso di persone, reati associativi, concorso nell’associazione: pro-fili sistematici e linee di politica legislativa, in Scenari di mafia: orizzonte crimino-logico e innovazioni normative, a cura di G. Fiandaca e C. Visconti, Torino, 2010, 128 ss.; Id., Il concorso di persone e il dogma causale, op. cit., 3913; vi aderisce T. Padovani, La concezione finalistica dell’azione e la teoria del concorso di persone nel reato, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, 406-08; Id., Note sul c.d. concorso ester-no, in Arch. pen., 2012, n. 2; contra P. Coco, L’imputazione del contributo concor-suale atipico, Napoli, 2008, 117 ss. e A. Cavaliere, Il concorso eventuale nel reato associativo. Le ipotesi delle associazioni per delinquere e di tipo mafioso, Napoli, 2003, 233 ss.

(27)

to deve essere di volta in volta concretamente verificata e «desunta dal modo stesso con il quale un simile contributo è venuto ad inserirsi nel-l’ordito complessivo della vicenda delittuosa». Il parametro di questa valutazione è dato dal «carattere obiettivamente strumentale» rispetto al dipanarsi delle condotte componenti la vicenda plurisoggettiva, che è più consono all’apprezzamento dei rapporti fra condotte umane , 37

non frutto di determinismo, ma di scelte, di iniziative, «di un attivo (e non inerte) manifestarsi delle modalità operative cui si ricollegano i singoli contributi» . 38

Impostata in questi termini viene semplificata anche la questione rela-tiva all’accertamento probatorio del contributo nelle ipotesi di com-partecipazione c.d. «psichica», per le quali un ragionamento secondo una logica strettamente causale indurrebbe a dover fornire una

proba-tio diabolica . Le sollecitazioni, i consigli, i suggerimenti rivolti al 39

destinatario dell’istigazione sono difficilmente dimostrabili sulla base del criterio condizionalistico: è praticamente impossibile verificare se, in difetto dell’istigazione, il soggetto avrebbe ugualmente commesso il reato , «dovrà ritenersi (necessario e) sufficiente accertare, attraver40

-so un confronto tra il tenore dell’istigazione e le caratteristiche del

Per critiche e perplessità riguardo l’adozione del criterio condizionalistico tra le 37

condotte umane v. G.A. De Francesco, Sul concorso di persone nel reato, in Studium iur., 1998, 733 ss.; Id., Il concorso di persone nel reato, op. cit. 328 ss.; altresì G. Insolera, Problemi di struttura del concorso di persone nel reato, Milano, 1986, 16-28;

Cit. G.A. De Francesco, Il concorso di persone nel reato, op. cit., 334. 38

Nel senso che le normali leggi del mondo fisico, che spesso spiegano e dimostra

39

-no l’esistenza di un legame causale, -non han-no più valore nelle relazioni interper-sonali, v. F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, Mi-lano, 1975, 102 ss.

Tanto che per non incapparsi in un deficit di punibilità la giurisprudenza ricorre a 40

(28)

to commesso, che tra i due termini del rapporto venga a intercorrere una relazione di sostanziale ‘corrispondenza’ sotto il profilo funziona-le, tale da legittimare la conclusione che l’esecutore abbia pur sempre messo a frutto e concretamente utilizzato i contenuti del messaggio istigatorio» . 41

La teoria in esame avrebbe anche il merito di consentire di esentare da punibilità colui che abbia prestato un contributo poi concretamente inutilizzato, in quanto tale apporto non è servito, non è stato funziona-le, non è stato strumentalizzato alla realizzazione del reato, e di gra-duare verso il basso la pena a carico del concorrente effettivo, nella misura in cui l’attività da lui esplicata fosse pur sempre suscettibile di essere rimpiazzata tramite il ricorso ad una differente modalità esecu-tiva . 42

!

1.5 Le cause di giustificazione nel concorso di persone.

!

Ai sensi dell’art. 119 comma 2° c.p. «le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato», dovendosi intendere con tale espressione — secondo la comu-ne opiniocomu-ne — le «scriminanti» o cause di giustificaziocomu-ne, cioè quel43

-le cause che escludono l’antigiuridicità oggettiva (ad es., artt. 50 ss. c.p.).

Dal momento che tali cause hanno come effetto quello dell’esclusione dell’illiceità del fatto tipico che è stato pur sempre integrato, ne con-segue che la compartecipazione dei concorrenti ad un fatto

G.A. De Francesco, Il concorso di persone nel reato, op. cit., 336. 41

G.A. De Francesco, Il concorso di persone nel reato, op. cit., 343. 42

F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 543. 43

(29)

mente lecito, è anch’essa obiettivamente lecita . Se, ad es., Tizio si 44

trova a doversi difendere da un’aggressione ingiusta, l’aiuto prestato-gli da Caio fa sì che entrambi vengano a beneficiare della scriminante della legittima difesa . 45

!

1.6 L’elemento soggettivo.

!

Il terzo ed ultimo elemento della fattispecie plurisoggettiva è dato dal-la colpevolezza. Essendo l’art. 416-bis c.p., secondo termine deldal-la combinazione che dà luogo al concorso esterno in associazione mafio-sa, un reato a dolo specifico , ci limitiamo all’ipotesi più semplice e 46

“tradizionale” del concorso doloso in delitto doloso.

L’elemento soggettivo del concorso è costituito da due componenti: il dolo della fattispecie incriminatrice realizzata ed il dolo di concorso. Per il primo si parla di coscienza e volontà del fatto criminoso, che almeno uno dei concorrenti deve avere. Per quanto riguarda il secondo consiste nella coscienza e volontà di partecipare con la propria con-dotta alla realizzazione comune della fattispecie plurisoggettiva.

T. Padovani, Diritto penale, op. cit., 298. 44

L’esempio è tratto da G.A. De Francesco, Diritto penale. I fondamenti, Torino, 45

2011, 254.

Si noti che generalmente si ritiene che si possa avere concorso con dolo generico 46

in un reato a dolo specifico a condizione che un altro concorrente abbia agito con la finalità richiesta dalla legge. Si pensi al caso del furto: si richiede che l’autore agisca con scopo di profitto, per sanzionare l’istigatore sarà allora sufficiente la sua con-sapevolezza che quello abbia agito con lo scopo di profitto; se invece l’autore del furto difettava del dolo specifico, ad es. agendo per errore sul fatto, allora l’istigato-re deve aver operato con la finalità pl’istigato-rescritta dalla legge: l’esempio è tratto da F. Mantovani, Diritto penale, op. cit. 525; nello stesso senso G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale, op. cit., 513-14.

Al di fuori della manualistica, v. per tutti L. Picotti, Il dolo specifico. Un’indagine sugli elementi finalistici delle fattispecie penali, Milano, 1993, 611 ss.

Per una posizione più “antica” della dottrina v. R. Frosali, L’elemento soggettivo del concorso di persone nel reato, in Arch. pen., 1947, I, 7.

(30)

Non è necessario il «previo concerto», dato che può anche aversi con-corso improvviso e non predeterminato (ad es., Tizio vede Caio per-cuotere a mani nude Sempronio, da lui detestato, e lancia verso Caio un bastone affinché lo utilizzi nell’azione criminosa), non è necessaria neanche la «reciproca» consapevolezza e volontà del concorso che, infatti, può essere anche unilaterale, rimanendo monosoggettiva la condotta inconsapevole del contributo altrui (ad es., il domestico che, venuto a conoscenza del progetto di furto in danno del padrone, non attiva i sistemi di sicurezza per consentire la miglior riuscita dell’im-presa criminosa: il domestico concorre nel furto; il ladro, all’oscuro del contributo prestatogli, risponde soltanto in base alla fattispecie monosoggettiva realizzata) . 47

!

Parte II

L’associazione di tipo mafioso

!

SOMMARIO: 2.1 L’associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p. - 2.2 segue: l’organizzazione. - 2.3 segue: la forza di intimidazione e la condizione di assogget-tamento e omertà. - 2.4 segue: scopi dell’associazione. - 2.5 Le condotte. - 2.6 L’e-lemento soggettivo. - 2.7 La clausola di equiparazione. - 2.8 Circostanze aggravanti.

!

!

2.1 L’associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis c.p. !

!

Dopo aver preso in considerazione la disciplina del concorso eventua-le passiamo al secondo eeventua-lemento del processo di incriminazione, cioè alla fattispecie incriminatrice di parte speciale ex art. 416-bis c.p., fi-gura riconducibile al c.d. concorso necessario. Si passerà poi

Per tutti v. C. Pedrazzi, Il concorso di persone, op. cit., 83; M. Gallo, Lineamenti 47

di una teoria, op. cit., 95 ss.; F. Mantovani, Diritto penale, op. cit., 524; T. Padovani, Diritto penale, op. cit., 299, dal quale è tratto l’esempio riportato.

(31)

me della vexata questio dell’applicabilità delle norme sul concorso ai reati plurisoggettivi, rectius ai reati associativi, con particolare riguar-do all’art. 416-bis c.p.

Diversamente dal concorso di persone nel reato, in cui il vincolo tra le più persone è meramente occasionale e circoscritto alla realizzazione di uno o più reati determinati, i delitti associativi presuppongono un vincolo stabile tra più soggetti e un indeterminato programma crimi-noso di fatti delittuosi.

Nel caso dell’associazione abbiamo infatti una struttura organizzativa articolata in una serie di ruoli e competenze non coincidenti con le attività preparatorie della realizzazione di singoli delitti (o gruppi di reati), ma che appaiono predisposti, al contrario, in vista di un pro-gramma criminoso di carattere indeterminato . 48

L’art. 416-bis c.p. è stato introdotto con l’art. 1 l. 13 settembre 1982, 49

n. 646 (c.d. legge Rognoni-La Torre). L’intento era quello di dare una soluzione al problema della sussumibilità delle organizzazioni mafiose nella fattispecie ordinaria ex art. 416 c.p. , e di colmare le lacune di 50

Ad es., in un’associazione costituita a scopo di sequestro di persona, il ruolo di 48

studiare i movimenti delle vittime o di reperire i mezzi per attuare i sequestri, non viene predisposto per quel delitto o per quel certo gruppo di sequestri (sia pure inde-terminati nel numero), ma per il sequestro, per un determinato compito connesso al sequestro come programma astratto e generico, con totale indipendenza della fun-zione associativa rispetto alle condotte di partecipafun-zione ai singoli delitti; v. G.A. De Francesco, Gli artt. 416, 416-bis, 416-ter, 417, 418 c.p., in Mafia e criminalità or-ganizzata, a cura di Corso-Insolera-Stortoni, I, Torino, 1995, 20.

Per uno sguardo dettagliato sulle ragioni della sua introduzione cfr. G. Spagnolo, 49

L’associazione di tipo mafioso, Padova, 1997, 4 ss.; G. Insolera, Diritto penale e criminalità organizzata, Bologna, 1996, 66 ss.

Sul punto v. A. Ingroia, L’associazione di tipo mafioso, Milano, 1993, 46 ss.; G. 50

Turone, Il delitto di associazione mafiosa, Milano, 2008, 4 ss.; a suo tempo G. Fian-daca, Criminalità organizzata e controllo penale, in Indice pen., 1991, 19-20, ha prontamente rilevato che l’art. 416-bis c.p. deve la sua origine più alla necessità di superare le resistenze “culturali” alla riconduzione delle associazioni mafiose all’as-sociazione per delinquere comune che a reali esigenze tecniche.

(32)

tutela emerse in sede di applicazione della norma alle consorterie ma-fiose, non essendo sempre agevole, per queste, dimostrare sul piano probatorio l’esistenza di un programma delittuoso. Un reato associati-vo ad hoc avrebbe permesso, inoltre, di infliggere alle organizzazioni di tipo mafioso sferzate ben più incisive rispetto al sistema di misure preventive predisposto dalla l. 31 maggio 1965, n. 575, da intendersi come la prima risposta dello Stato repubblicano nei confronti della delinquenza mafiosa . 51

La dottrina è oggi concorde nell’individuare nell’ordine pubblico ma-teriale il bene giuridico tutelato autonomamente, sganciato cioè dai 52

beni giuridici lesi dalla commissione dei reati-fine, separazione indi-spensabile per superare l’idea dell’associazione come attività mera-mente preparatoria di questo o quel reato, priva quindi di un autonomo disvalore.

Gli associati danno vita ad un organismo non orientato soltanto alla realizzazione di uno o più reati specificamente individuati, quanto a numero, identità delle vittime e così via; pur potendo essere alcuni reati specificamente progettati fin dall’inizio, gli associati si riparti-scono compiti in vista della realizzazione di un programma

In un primo momento si preferì non attivare il diritto penale sostanziale nella lotta 51

alla mafia, in quanto l’applicazione di un adeguato sistema preventivo avrebbe posto minori problemi di ordine probatorio, nonché ritenendosi, erroneamente, che allon-tanare il mafioso dal proprio humus territoriale fosse sufficiente ad eliminarne le potenzialità criminali: v. Commissione parlamentare antimafia, Mafia e politica, Bari, 1993, 75 ss.

Da intendersi come il «buon assetto o il regolare andamento del vivere civile, a 52

cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza», v. Relazione ministeriale al progetto del codice penale, in Lavori preparatori del codice penale, II, Roma, 1929, 202; per ordine pubblico ideale, in-vece, si intende l’insieme dei principi fondamentali sui quali si fonda e nei quali si riconosce la convivenza associata.

Sulla tutela dell’ordine pubblico nella sua accezione materiale v. G. De Vero, Tutela dell’ordine pubblico. Itinerari ed esiti di una verifica dogmatica e politico crimi-nale, Milano, 1988, 290.

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nato di reati e attività, dotando l’associazione di una struttura organiz-zativa a carattere permanente e stabile, destinata a fornire supporto alle singole deliberazioni criminose. Proprio questa stabilità del vinco-lo, costituisce l’offesa all’ordine pubblico, cioè alla pace e tranquillità sociale, evidentemente turbate dalla presenza di un ente dotato di vita propria e internamente strutturato in funzione della lesione di interessi penalmente tutelati . 53

Ulteriori profili lesivi sono stati individuati nella libertà morale dei consociati , nell’ordine democratico , nell’ordine economico , nel 54 55 56

buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione. Al comma 3° il legislatore ha dato una definizione marcatamente so-ciologica dell’associazione di tipo mafioso: «L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assogget-tamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di atti-vità economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri,

Così G.A. De Francesco, voce Associazione per delinquere e associazione di tipo 53

mafioso, in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, 290; Id., Societas Sceleris. Tecniche re-pressive delle associazioni criminali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1992, 54 ss.; dello stesso avviso A. Ingroia, L’associazione, op. cit., 22, e V.B. Muscatiello, Il concorso esterno nelle fattispecie associative, Padova, 1995, 123.

Cfr. G. Insolera, Diritto penale e criminalità, op. cit., 69; A. Cavaliere, Il concor

54

-so eventuale nel reato as-sociativo, op. cit., 80.

Si rinvia a G. Neppi Modona, Criminalità organizzata e riforma dei delitti contro 55

la personalità dello Stato, in AA.VV., “Materiali per una riforma del sistema pe-nale”, Milano, 1984, 44 ss.; G.M. Flick, L’associazione per delinquere di tipo mafioso: interrogativi e riflessioni sui problemi posti dall’art. 416-bis c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1988, 853.

V. F. Bricola, Premessa al commento della l. 13 settembre 1982 n. 646 (norme 56

(34)

ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettora-li».

Sono tre le caratteristiche fondamentali: 1) organizzazione; 2) forza di intimidazione e la condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva; 3) scopi dell’associazione.

!

2.2 segue: l’organizzazione.

!

L’art. 416-bis non richiede espressamente una struttura organizzativa, tanto che non manca chi ha ritenuto che questa possa essere considera-ta insiconsidera-ta nell’elemento della forza di intimidazione, e che, conseguen-temente, sarebbe superfluo un suo accertamento una volta dimostrata la sussistenza della forza di intimidazione . Questa lettura, già critica57

G. Neppi Modona, L’associazione di tipo mafioso, in “Studi in memoria di Gia

57

-como Delitala”, II, Milano, 1984, 899; G. Turone, Il delitto di associazione mafiosa, op. cit., 157.

(35)

ta in dottrina , non è stata accolta dalla giurisprudenza, quindi la pre58

-senza di una struttura organizzativa è da considerarsi necessaria . 59

Al comma 1° è fissato il numero minimo di 3 partecipanti.

!

2.3 segue: la forza di intimidazione e la condizione di

assoggetta-mento e di omertà.

!

Ad inizio secolo Alongi scrisse, citando le parole dell’onorevole Bon-faldini, che «la maffia è (…) prepotenza, è la solidarietà (…) che uni-sce (…) tutti quegli individui e quegli strati sociali che amano trarre sussistenza non dal lavoro, ma dalla violenza, dall’inganno e dall’in-timidazione» . Già allora si riconosceva come tratto tipico del com60

-portamento mafioso la forza di intimidazione, poi ripresa dall’art.

416-bis c.p. in cui si richiede che i facenti parte dell’associazione «si

av-valgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva».

G. Fiandaca, La mafia come ordinamento giuridico. Utilità e limiti di un para

58

-digma, in Foro it., 1995, V, 21; G.A. De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, op. cit., 308 ss.; Id., Societas sceleris, op. cit., 120; F.M. Iacoviello, Il concorso eventuale nel delitto di partecipazione ad associazione per delinquere, in Cass. pen., 1995, 864; G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 24.

Si pensi anche al quadro probatorio, spesso costituito da confessioni dei c.d. “pen

59

-titi”, cui si sono trovati di fronte i giudici. Collaboratori di giustizia come Buscetta e Contorno hanno parlato di Cosa nostra come di un’organizzazione verticistica sec-ondo il seguente schema: la «famiglia» composta da «soldati», “uomini d’onore” coordinati in gruppi di dieci da un «capo-decina», costituisce la cellula di base del-l’organizzazione che su basi territoriali controlla e coordina le attività di un quartiere o di un centro abitato. Tre o più famiglie territorialmente contigue costituiscono un «mandamento» e nominano al loro interno, o anche fra persone esterne, un «capo-mandamento». I capi-mandamento costituiscono la «Commissione» o «Cupola», un organismo collegiale con competenze provinciali volto a regolare il funzionamento dell’organizzazione e a dirimere eventuali controverse fra famiglie. La commis-sione, presieduta da uno fra i capi-mandamento, c.d. «Capo» o «Segretario», trova, infine, quale organismo superiore una commissione inter-provinciale dai contorni segreti e misteriosi, v. V.B. Muscatiello, Il concorso esterno, op. cit., 189, nt. 58.

G. Alongi, La maffia, Palermo, 1977, 49. 60

(36)

La forza di intimidazione è la capacità dell’associazione stessa, e non dei soli singoli associati, di incutere timore per la sua stessa esistenza, avendo acquisito nel tempo una peculiare “fama criminale” attraverso atti di violenza e/o minaccia . 61

Si richiede che gli associati si avvalgano della forza di intimidazione ai fini dell’attuazione degli scopi tipizzati dalla norma. Proprio l’esp-ressione “avvalersi” ha suscitato la diatriba «se sia necessario che l’associazione si sia effettivamente avvalsa della forza di intimidazio-ne, ovvero sia sufficiente che essa si proponga di utilizzarla, anche se poi non se ne sia concretamente servita» . 62

Un primo orientamento ritiene necessaria la commissione effettiva di atti di violenza e/o minaccia: è l’interpretazione di chi considera l’associazione di tipo mafioso un reato a struttura mista e richiede non solo l’esistenza dell’associazione stessa, ma anche la realizzazio-ne, o perlomeno un inizio di realizzaziorealizzazio-ne, del programma crimino-so . 63

Ad avvalorare tale conclusione sta il mero dato lessicale: la norma ri-chiede espressamente che gli associati «si avvalgano» della forza di intimidazione, laddove, invece, avesse voluto riferirsi al mero scopo

G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 26. 61

Per un’interpretazione nel senso che l’intimidazione da parte dei singoli associati non è sufficiente a qualificare come mafioso il sodalizio, v. Cass. Sez. I, 30 gennaio 1990, Abbattista, in Cass. pen., 1990, 1709 ss.

Cit. G.A. De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo 62

mafioso, op. cit., 310.

È la posizione di autori del calibro di L. De Liguori, Art. 416-bis c.p.: brevi note 63

in margine al dettato normativo, in Cass. pen., 1986, 1522 ss.; G. De Vero, Tutela dell’ordine pubblico e reati associativi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, 115; G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 65.

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