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Le argomentazioni che le Sezioni Unite hanno posto a fondamento della decisione nel senso della configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo sono state criticate sotto più aspetti dalla dottrina, talvolta anche dagli orientamenti in linea di principio favorevoli al- l’ammissibilità dell’istituto.

Già sul piano metodologico, un autore ha criticato il fatto che siano stati profusi pressoché tutti gli sforzi argomentativi al fine di confutare le obiezioni avanzate dalle tesi contrarie all’ammissibilità del concor-

La stessa Corte si accorge che, con la teoria della “fibrillazione”, è entrata in 203

contraddizione con gli scenari criminologici dati dalle scienze sociali e dalla stessa attività investigativa degli ultimi anni, in base ai quali il rapporto tra le organiz- zazioni mafiose ed i soggetti «esterni» si presenta dotato di caratteri di «fisiologia», di ordinarietà, piuttosto che di «patologia» ed «emergenza», infatti, aggiunge che potrebbe anche risultare che l’associazione abbia assegnato ad un associato il ruolo di aiutarla a superare i momenti patologici della sua vita, ma resta il fatto che, pur tenendo conto di tutti i possibili distinguo e con tutte le approssimazioni possibili, lo spazio proprio del concorrente eventuale materiale appare essere proprio quello del- l’emergenza nella vita dell’associazione o, quanto meno, non lo spazio della «nor- malità», occupabile invece da uno degli associati.

so esterno, senza che sia poi stato svolto un altrettanto minuzioso la- voro di approfondimento nel vagliare la correttezza delle conclusioni cui i giudici, nella sentenza stessa, sono giunti . 204

Passando al piano più strettamente giuridico, la sentenza ribadisce che, affinché possa assumere rilevanza penale come condotta di con- corso materiale nel reato associativo, la condotta del concorrente eventuale esterno deve concretizzarsi in un contributo oggettivamente apprezzabile sul piano causale alla vita o al consolidamento dell’asso- ciazione . Non dice, tuttavia, quale sia il peso specifico di tale con205 -

tributo causale, in altri termini, non spiega in che cosa esso debba consistere , tanto che la dottrina si è interrogata se possa ritenersi 206

sufficiente un contributo anche minimo oppure sia necessario un con- tributo tale da consentire all’associazione di fare un “salto di qualità” nel suo livello di efficienza e funzionamento . 207

Secondo Iacoviello , le difficoltà nella definizione del significato di 208

contributo causale alla vita o al consolidamento dell’associazione sca-

C. Visconti, Contiguità alla mafia, op. cit., 181; v. anche F. Bertorotta, Concorso 204

eventuale di persone e reati associativi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1998, II, 1304. Contra V.B. Muscatiello, Per una caratterizzazione semantica del concorso es

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terno, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 184, secondo il quale, il contributo, essendo esterno, è per sua definizione “non necessario”, quindi non può essere inteso come capace di produrre il rafforzamento o il consolidamento del sodalizio, ecco perché le stesse Sez. Unite hanno dovuto fare riferimento alla causalità agevolatrice o di rin- forzo. Nello stesso senso v. S. Ardizzone, Il concorso esterno di persone, op. cit., 759.

F. Siciliano, Il concorso eventuale nel reato associativo dopo la sentenza della 206

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 5 ottobre 1994, in Giust. pen., II, 1995, 526. Per F.M. Iacoviello, Concorso esterno in associazione mafiosa, op. cit., 2081, 207

questa incertezza sul piano sostanziale fa sì che il contributo indispensabile alla vita dell’associazione si traduca processualmente in qualsiasi contributo utile alla stessa, insomma, «per selezionare troppo non si seleziona nulla».

F.M. Iacoviello, Il concorso eventuale, op. cit., 863. 208

turiscono dall’aver preso come secondo termine della relazione causa- le una realtà sovradimensionata, cioè l’associazione mafiosa, nel sen- so che si finisce per dover apprezzare il contributo in proporzione alle dimensioni dell’associazione criminale, del suo grado di funzionalità operativa, dell’intensità del suo radicamento nel territorio sociale e parametri analoghi, con la paradossale conseguenza che «più è vasta, efficiente, “vincente” un’organizzazione criminale, più diventa ristret- ta l’area del contributo causale giuridicamente apprezzabile del con- corrente eventuale». L’autore, quindi, suggerisce di assumere come secondo termine della relazione causale non l’associazione, bensì lo svolgimento di un ruolo all’interno dell’organizzazione, id est la con- dotta del partecipe . 209

Dello stesso avviso è Lattanzi , secondo il quale non si può condivi210 -

dere la ricostruzione che generalmente viene fatta del concorso ester- no: non lo si può far consistere in un contributo dato all’associazione nel suo complesso in quanto «il reato di cui all’art. 416-bis c.p. è co- stituito dalla condotta di partecipazione all’associazione o di promo- zione, direzione od organizzazione della stessa, quindi solo rispetto ad una di queste — non rispetto all’associazione unitariamente intesa — è configurabile un concorso e deve essere valutato, sotto l’aspetto og- gettivo e soggettivo, il contributo di chi non risulta essere associato».

F.M. Iacoviello, Il concorso eventuale, op. cit., 860-61 e 863: «Non si può con

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correre nell’associazione in quanto tale perché — come giustamente è stato osserva- to — essa è un fatto, o, per meglio dire, è un effetto delle condotte di promozione, organizzazione, ecc., e di partecipazione», quindi il concorrente eventuale «non può che essere colui che dà un contributo causale allo svolgimento di tale ruolo». In sostanza, si rivede la tesi sviluppata da V.B. Muscatiello, v. retro 3.4, Cap. I. Secondo C. Visconti, v. antea nota n. 148, la soluzione deve, invece, rinvenirsi nel- l’operare una «riduzione di scala» del secondo termine della relazione causale, ed è a questa soluzione che sembrano aderire le Sezioni Unite laddove parlano di man- tenimento in vita «anche solo in un determinato settore».

G. Lattanzi, Partecipazione all’associazione criminosa, op. cit., 3139. 210

Coglierebbe, quindi, nel segno la critica mossa da altro autore che 211

censura l’operato delle Sezioni Unite in quanto hanno finito per dar vita ad una fattispecie nuova di reato, invero inesistente, formulata in linea di massima nei seguenti termini: «Chiunque, senza essere legato da alcun vincolo ad un’associazione criminosa, compie, con o senza corrispettivo in denaro o altra utilità, atti che contribuiscono a mante- nere in vita o a rafforzare l’associazione ovvero ad agevolarne l’attivi- tà per la realizzazione del suo programma delittuoso, è punito con la stessa pena prevista per i partecipanti (…) ».

Più che ad una figura di concorso nei delitti associativi, si è dato vita ad una nuova fattispecie delittuosa che, nella sua genericità, porta ad un’estensione ingiustificata e preoccupante dell’area di punibilità per un titolo, quello associativo, al quale sono ricollegati effetti sanziona- tori di peso rilevante.

Pur senza approdare ai medesimi esiti ermeneutici dei precedenti due autori, anche G. Fiandaca critica la pronuncia per il problematico 212

ricorso alla categoria della «causalità» quale parametro di rilevanza del concorso esterno nel reato associativo.

Dapprima l’autore si domanda se la giurisprudenza, nel ricorrere alla tradizionale formula del «contributo causale» al consolidamento o raf- forzamento di un’associazione, faccia (o intenda fare) riferimento ad un concetto di causalità in senso proprio o finisca con l’impiegare «una formula comoda che sottende e veicola qualcosa di diverso e di più labile della causalità strettamente concepita (…) un qualcosa che può, in sede processuale, essere fatto oggetto di un accertamento di

V. Adami, Il concorso eventuale nei reati plurisoggettivi e, in particolare, nei 211

delitti associativi, in Cass. pen., 1997, 2297-98.

G. Fiandaca, Una espansione incontrollata del concorso criminoso, in Foro it., 212

tipo intuitivo-impressionistico da caso a caso e che si presta, perciò, a manipolazioni o “scorciatoie” probatorie in vista di obiettivi repressivi o assolutori prefissati».

Dopodiché, sempre sul versante causale, l’autore sottolinea quelle che sono le difficoltà insite nel configurare una relazione causale tra una singola condotta di concorso esterno e l’associazione criminosa, dal momento che, esiste una sproporzione di scala tra i due termini, specie laddove si tratti di organizzazioni criminali di grandi dimensioni e sto- ricamente radicate in determinate aree territoriali; sarebbe, invece, più plausibile ipotizzare il nesso causale di fronte non già ad una condotta o più condotte di sostegno «isolate», bensì a condotte fiancheggiatrici sistematicamente ripetute nel tempo, solo che, in quest’ultimo caso, la necessità di ricorrere a fini repressivi all’istituto del concorso esterno potrebbe venir meno o ridimensionarsi, essendo verosimile la sussi- stenza dei presupposti di una partecipazione “interna” al reato associa- tivo . 213

Non esente da critiche anche la ricostruzione che le Sezioni Unite hanno dato dell’elemento soggettivo del concorrente eventuale. Secondo Lattanzi il concorrente eventuale potrebbe anche non agire con il dolo specifico richiesto dal reato associativo, ma deve sapere che il medesimo dolo è presente nel destinatario del contributo e deve volere la realizzazione del reato da parte del destinatario, inteso, se- condo l’autore, come atto di svolgimento del ruolo associativo, pertan- to, non può ritenersi sufficiente il dolo eventuale, vale a dire l’accetta- zione del rischio di dare con la propria azione un contributo alla commissione del reato associativo, non è sufficiente la consapevolez-

Nello stesso senso G. Insolera, Il concorso esterno nei delitti associativi, op. cit., 213

422 ss.; G.A. De Francesco, Gli artt. 416, 416-bis, 416-ter, 417, 418 c.p., op. cit., 71-2.

za della possibilità che ciò si verifichi, ma occorre che l’effetto contri- butivo sia voluto . 214

Critico anche V. Adami , per il quale deve essere respinto già il prin215 -

cipio per cui il concorrente in un reato che richiede il dolo specifico possa concorrere pur essendo privo di tale dolo: «l’elemento psicolo- gico, se si tratta di reato doloso, non può che corrispondere a quello che la fattispecie esige: non è pensabile che un concorrente nel mede-

simo reato vi partecipi con dolo generico mentre il reato esige il dolo

specifico»; nel reato associativo il dolo specifico è «coscienza e vo- lontà di far stabile parte di un’associazione, avente lo scopo (…) so- ciale di commettere più delitti», quindi, se il soggetto non è e non vuo- le essere parte dell’associazione, se non vuole proporsi il fine di commettere più delitti, non potrà essere considerato concorrente “in- nervando” la sua condotta con un nuovo modello di concorso caratte-

G. Lattanzi, Partecipazione all’associazione criminosa, op. cit., 3149. 214

Nel senso per cui non può ipotizzarsi un concorso nel delitto associativo a titolo di dolo eventuale v. anche G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 139, secondo il quale «sul piano dell’elemento soggettivo i partecipi agiscono per realizzare i propri scopi attraverso l’associazione; il concorrente per far sì che l’associazione realizzi i suoi fini. In entrambi i casi pertanto è escluso che possa essere sufficiente il dolo even- tuale»; M. Cerase, nelle osservazioni a Cass. Sez. VI, 27 marzo 1995, Alfano, in Cass. pen., 1997, 983, secondo il quale ammettere la punibilità del concorrente a titolo di dolo eventuale «significherebbe rendere i contorni del concorso esterno labili oltre ogni ragionevolezza e affidarne davvero l’accertamento all’arbitrio della magistratura, ciò che esporrebbe oltre misura quest’ultima alle critiche di coloro che già attualmente ritengono il concorso esterno una stravaganza».

Diversamente C.F. Grosso, La contiguità alla mafia, op. cit., 1192, secondo cui «a fondare la responsabilità ex art. 110 c.p. sarà sufficiente, secondo i principi generali, che il concorrente esterno agendo per i suoi scopi personali, si rappresenti, quan- tomeno in termini di possibilità (dolo eventuale), di intrattenere rapporti con la mafia, e di apportare alla stessa un rilevante contributo sul terreno dell’aiuto prestato alla conservazione o al rafforzamento della sua organizzazione».

V. Adami, Il concorso eventuale nei reati plurisoggettivi, op. cit., 2304; v. anche 215

G.L. Verrina, Il concorso esterno e l’associazione per delinquere di stampo mafioso, in Giur. it., 1995, II, 413.

rizzato da un tertium genus di dolo, quello di contribuzione, che non trova legittimazione nella realtà giuridico-penale.

Molte perplessità investono anche il fugace accenno all’elemento di differenziazione tra la condotta del partecipe e la condotta del concor- rente della fase di «fibrillazione», cioè quel particolare “contesto si- tuazionale” in cui deve collocarsi il contributo del concorrente ester- no.

Per le Sezioni Unite, dobbiamo trovarci in un momento in cui l’asso- ciazione criminale, al fine di superare una fase patologica , in man216 -

canza di disponibilità di membri interni, decide di far ricorso all’ope- rato di estranei.

Sotto questo aspetto sembra colpire nel segno la critica di chi sostiene che la distinzione tra «fisiologia» e «patologia» nella vita dell’asso- ciazione mafiosa, oltre che empiricamente oscura, sia anche priva di agganci normativi, trattandosi di una distinzione che non sta nella leg-

Secondo due autori, A. Manna, Concorso esterno (e partecipazione) in associ

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azione mafiosa: cronaca di una “nemesi” annunciata, in Arch. pen., 2012, 476, e G.L. Verrina, L’evoluzione giurisprudenziale sul concorso esterno. Prospettive de iure condendo, in Arch. pen., 2012, 2, tale riferimento allo stato c.d. “patologico” della vita dell’associazione è perlopiù riconducibile ad un condizionamento di tipo empirico-storico. A riguardo, basti pensare a quanto stava accadendo in quegli anni: le operazioni di polizia successive alle stragi del 1992-93 e le condanne inflitte (tra cui gli ergastoli a diciannove boss), che avevano “decimato” i vertici dell’organiz- zazione, la difficile successione Riina-Provenzano al plafond della mafia palermi- tana; tutto ciò aveva indotto a ritenere che Cosa nostra fosse prossima alla rovina e che, di conseguenza, fosse costretta a cercare aiuto rivolgendosi a soggetti esterni per garantirsi la sopravvivenza.

ge e da questa non la si può ricavare neppure tramite la più «anarchica delle interpretazioni» . 217

Lo stesso Iacoviello sostiene che, peraltro, non si può non tenere conto del fatto che «un’organizzazione delittuosa che tende a perdurare per un tempo indefinito, e che mira quindi all’autoconservazione, non può non prevedere meccanismi interni di protezione per le situazioni di emergenza: così come avviene per qualsiasi sistema vivente o impresa economica»; si deve quindi considerare che ci siano già dei partecipi che entrano in azione proprio e soltanto nelle situazioni di emergen- za . 218

Anche Fiandaca non lesina critiche riguardo al ricorso al paradigma 219

della fase patologica della vita associativa, ritenendolo privo di suffi- ciente fondamento criminologico : infatti, e coglie nel segno, come 220

F.M. Iacoviello, Concorso esterno in associazione mafiosa, op. cit., 2081, il 217

quale aggiunge: «Quando si può dire che un’associazione mafiosa vive una fase fisiologica? Forse, quando domina sovrana sul territorio e nel proprio settore di af- fari, senza essere assillata dalle forze dell’ordine e senza essere insidiata da associ- azioni antagoniste? Ma questa è una visione elegiaca del vivere mafioso (…) Fisi- ologia e patologia sono già di per sé termini fluidi, confluiscono nella indetermi- natezza semantica quando si applicano ad una realtà di sua natura patologica come l’associazione mafiosa».

V. anche G. Lattanzi, Partecipazione all’associazione criminosa, op. cit., 3148: « (…) alla distinzione tra interventi nella fisiologia e interventi nella patologia del- l’associazione non riesco a riconoscere solide basi».

F.M. Iacoviello, Il concorso eventuale, op. cit., 862-63; similmente G.L. Verrina, 218

Il concorso esterno, op. cit., 412., per il quale considerando che l’associazione si rivolge al concorrente esterno nel momento in cui la “fisiologia” della stessa entra in fibrillazione, attraversando una fase “patologica” che, per essere superata, richiede il contributo di un esterno, «non può revocarsi in dubbio che un siffatto apporto fun- zionale alla vita della società integri una vera e propria partecipazione all’associ- azione».

G. Fiandaca, La tormentosa vicenda giurisprudenziale del concorso esterno, in 219

Leg. pen., 2003, 691 ss.

Peraltro, secondo l’autore, le stesse Sezioni Unite sembrerebbero essersi accorte 220

l’esperienza dimostra, una delle principali specialità che contraddi- stingue la criminalità di stampo mafioso «risiede nel fatto che la mafia dispone di un capitale sociale includente un insieme di stabili reti di relazione con esponenti del mondo della politica, del mondo dell’eco- nomia e del mondo delle professioni: per cui l’esigenza di forme di sostegno provenienti dall’esterno, lungi dal rispecchiare una fase pato- logica o di emergenza, corrisponde al fisiologico funzionamento della criminalità mafiosa» . 221

Secondo Visconti, il ricorso al paradigma del momento c.d. “patologi- co” comporta il rischio di avallare una prassi poco incline a praticare in concreto una distinzione tra concorso nell’associazione e nella commissione di un reato-scopo aggravato dal fine di agevolare l’asso- ciazione. L’autore propone l’esempio della condotta, considerata di 222

concorso esterno nell’associazione mafiosa, dell’estraneo che concor- re materialmente nell’omicidio perpetrato, su ordine di Cosa nostra, da tre affiliati all’organizzazione ai danni di un “uomo d’onore”, il quale, ancorché ristretto in carcere, era divenuto molto pericoloso per i capi dell’organizzazione perché in forte dissenso con loro.

Il rischio che si corre è quello di dar luogo a plurime qualificazioni penali che enfatizzano oltre misura il disvalore del medesimo fatto e

E puntualizza che, anche ammettendo che sia criminologicamente corretto far 221

leva sull’elemento della «patologia», resta da chiedersi quanto la distinzione tra pa- tologia e normalità nell’ambito della vita associativa sia suscettibile di puntuale ac- certamento giudiziario; qualificare un contributo a un’organizzazione mafiosa come utile in una prospettiva di emergenza ovvero di normalità dipenderà non da criteri predeterminati e sicuri di giudizio, ma dal punto di vista che l’osservatore decide di adottare.

Relativo all’omicidio Puccio consumato nel 1989 nel carcere di Palermo e ripor

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tato da U. Natoli nel corso di una lezione tenuta presso la Scuola di perfezionamento in discipline giuridiche S. Alfonso de Liguori il 2 maggio 1995 dal titolo “Il concor- so esterno nei reati associativi tra teoria e prassi”, v. C. Visconti, Il concorso ester- no in associazione mafiosa, op. cit., 1340.

finiscono per disattendere le esigenze pratiche di razionale economia punitiva più che altro appagandosi, invece, un bisogno “penal-simbo- lico” di affermare che il soggetto è “contiguo alla mafia” . 223

Ad avviso dell’autore la soluzione è rintracciabile — «forse» — nel- l’interpretare il requisito della situazione di emergenza dell’associa- zione alla stregua del canone di matrice civilistica della “infungibilità” della prestazione dell’esterno rispetto alle prestazioni pretendibili da- gli associati medesimi. Quindi, nell’esempio sopra riportato, se l’apporto è stato fornito da un detenuto comune, allora risulterà fungi-

bile, nel senso che l’organizzazione si sarebbe potuta avvalere di un

qualsiasi altro detenuto; se, invece, viene fornito da una guardia carce- raria, allora si tratterà di un apporto infungibile, visto che, senza quel

Il rischio di ter in idem, cioè che uno stesso fatto sia sanzionato contestualmente 223

prima come reato autonomo, poi come concorso esterno all’associazione mafiosa in quanto contributo alla “sopravvivenza di tale ente”, infine come circostanza aggra- vante per i reati commessi “al fine di agevolare” l’associazione mafiosa.

L’aggravante prevista dall’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203, mira a sanzionare la presenza di un ulteriore e specifico profilo sogget- tivo, costituito dal fine di agevolare l’associazione mafiosa, in capo a chi ha realiz- zato una condotta di per sé integrante gli estremi oggettivi e soggettivi di un reato diverso, una volta però configurata quella condotta come concorso esterno nell’as- sociazione, il fine di agevolare l’ente è già compreso nell’ambito degli elementi del- l’aspetto subiettivo del contributo concorsuale punibile, quindi l’applicazione della circostanza predetta finisce per sanzionare quanto ha già ricevuto adeguata qualifi- cazione e severo trattamento penale.

Sul punto v. anche T. Padovani, Bene giuridico e delitti politici. Contributo alla crit- ica ed alla riforma del Titolo I, Libro II c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, 21, il quale segnala lucidamente il medesimo rischio in riferimento all’analoga aggravante a carattere “soggettivistico” introdotta in materia di criminalità politico-terroristica dall’art. 1, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, conv. in l. 6 febbraio 1980, n. 15.

sostegno logistico (ad es., di “copertura”) sarebbe stato impossibile realizzare l’omicidio . 224

Infine, poco convincente è risultata anche la parte conclusiva della sentenza in cui si puntualizza che è possibile «anche un solo contribu- to, il quale, dunque, può (…) essere anche episodico, estrinsecarsi, appunto, in unico intervento».

Sotto questo aspetto bisogna già prendere in considerazione il fatto che può verificarsi il caso in cui sia il concorrente eventuale esterno a