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Il tortuoso cammino giurisprudenziale verso un primo intervento

delle Sezioni Unite.

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La prima significativa pronuncia relativa al concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso risale al 1985 ed è una sentenza del

Per risolvere C. Visconti, Il concorso esterno in associazione mafiosa, op. cit., 148

1328, propone di prendere, come secondo termine relazionale del nesso causale, non il mega-evento associazione, ma anche una sola parte di esso, cioè scomporlo in entità dotate di maggiore sostrato empirico e più agevolmente comparabili con la singola condotta, in analogia all’approccio teorico-pratico che adotta la medesima soluzione nell’ambito di reati posti a tutela di beni giuridici ad ampio spettro, come l’ambiente o l’amministrazione della giustizia, dove è normalmente impossibile at- tribuire ad una singola condotta la capacità di compromettere o addirittura distrug- gere il mega-bene tutelato.

G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 134 ss. 149

G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 149. 150

Tribunale di Roma . Il caso riguardava una vasta e articolata asso151 -

ciazione mafiosa operante nella capitale e costituente parte integrante della N.C.O. (Nuova Camorra Organizzata).

Tra le diverse problematiche di carattere giuridico fu affrontata anche quella relativa alla «possibilità di configurare, rispetto ad un reato ne- cessariamente plurisoggettivo, quale quello associativo, un concorso eventuale da parte di persone diverse dai concorrenti necessari, cioè da parte di estranei». Risolta la questione nel senso dell’ammissibilità, i giudici di merito passano ad individuare i presupposti della condotta dell’estraneo che concorre nel reato di associazione di tipo mafioso: «la figura del concorrente è agevolmente individuabile nell’attività di chi, pur non essendo membro del sodalizio, cioè non aderendo ad esso nella piena accettazione dell’organizzazione, dei mezzi e dei fini, con- tribuisca all’associazione mercé un apprezzabile fattivo apporto per- sonale, facilitandone l’operare o agevolandone l’affermarsi, cono- scendone l’esistenza e le finalità, ed avendo coscienza del nesso cau- sale del suo contributo. Il concorso in associazione criminosa è quindi caratterizzato negativamente dal fatto che il soggetto non è entrato a far parte dell’organizzazione criminale, positivamente dal fatto che ha comunque apportato alla stessa un contributo causale di una certa con- sistenza».

In sostanza, il “concorrente eventuale” è colui che, operando dall’e- sterno, mira ad agevolare e favorire l’associazione nel suo complesso; la mancanza di un contributo concreto favorevole alla vita dell’orga- nizzazione criminosa potrà, allorquando sussistano i presupposti, dar luogo al reato di favoreggiamento ex art. 378 c.p., in cui il reo agisce,

Trib. Roma Sez. VII 8 febbraio 1985, Matarazzo ed altri, in Cass. pen., 1985, 151

invece, aiutando una o più persone associate ad eludere le investiga- zioni . 152

Invece, all’inizio del 1987 la Corte di Cassazione, con la sentenza Cil- lari , si schiera contro la configurabilità dell’istituto. 153

La Suprema Corte annulla la decisione del giudice dell’appello che aveva invece ritenuto «pienamente possibile il concorso eventuale di persone diverse dai concorrenti necessari nel reato plurisoggettivo», riscontrabile quando il soggetto, per qualsiasi motivo, non fosse entra- to organicamente a far parte del sodalizio e gli avesse tuttavia prestato un proprio contributo, con la consapevole volontà di operare perché lo stesso realizzasse i suoi scopi. I giudici di legittimità adottano il mo- dello causale di condotta partecipativa che «non si riduce ad un sem- plice accordo delle volontà, ma richiede un quid pluris, che con esso deve saldarsi e che consiste in quel minimo di contributo effettivo ri- chiesto dalla norma incriminatrice ed apportato dal singolo per la rea- lizzazione degli scopi dell’associazione». Si conclude nel senso che la partecipazione “esterna” che, ai sensi dell’art. 110 c.p., renderebbe responsabile colui che ha prestato al sodalizio un proprio ed adeguato contributo con la consapevole volontà di operare perché lo stesso rea-

Successivamente, il giudice dell’appello ribadisce quanto già affermato dal giu

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dice di prime cure, infatti, ritiene ammissibile il concorso eventuale di terzi nel delit- to associativo «ogni qualvolta il soggetto, per qualsiasi motivo, non sia entrato or- ganicamente a far parte del sodalizio ed abbia tuttavia prestato ad esso un proprio contributo, con la consapevole volontà di operare perché lo stesso realizzasse i suoi scopi. Deve trattarsi di un contributo adeguato, ossia obiettivamente idoneo e diretto a rafforzare o almeno a conservare la potenzialità della struttura organizzativa», v. Corte di Appello di Roma 1 febbraio 1986, Matarrazzo ed altri, in Cass. pen., 1986, 1189 ss.

Cass. Sez. I 19 gennaio 1987, Cillari, in Cass. pen., 1989, I, 36, con ampia nota 153

lizzasse i suoi scopi, si risolve, in realtà, nel fatto tipico della parteci- pazione . 154

Soltanto pochi mesi dopo, la Corte di Cassazione muta orientamen155 -

to, ritenendo configurabile il concorso eventuale di persone in relazio- ne «particolarmente al delitto previsto dall’art. 416-bis, non soltanto nel caso di concorso psicologico, nelle forme dell’istigazione e della determinazione nel momento in cui l’associazione viene costituita, ma anche successivamente, quando essa è già costituita, tutte le volte in cui il terzo non abbia voluto entrare a far parte dell’associazione o non sia stato accettato come socio, e tuttavia, presti all’associazione mede- sima un proprio contributo (…) idoneo se non al potenziamento, al- meno al consolidamento ed al mantenimento dell’organizzazione cri- minosa». I giudici fissano poi i requisiti oggettivi e soggettivi del con- corso esterno: sotto il profilo obiettivo deve consistere in un apporto adeguato, sotto quello soggettivo deve essere diretto a rafforzare o

Critico l’autore della nota che accompagna la sentenza, secondo il quale perché 154

il soggetto possa essere considerato vero e proprio «autore» del reato di parteci- pazione, organizzazione, direzione etc., è indispensabile che faccia parte dell’associ- azione stessa, che ne sia cioè membro, più o meno qualificato. Nella struttura orga- nizzativa di cui si compone il sodalizio egli deve occupare quella stabile e ben definita posizione che possa qualificarlo appunto come socio, non è sufficiente un contributo, sia pure qualificante, né la mera volontà di realizzare il programma crim- inoso dell’ente, è indispensabile che il soggetto «si associ», entri a far parte di quella entità composita, stabile e super-individuale che è appunto l’associazione, la quale deve poter «contare» sul soggetto come facente parte del suo organigramma, quindi è necessario che lo abbia accettato come socio. Al di fuori di questa “condizione” nessuna volontà di perseguire le finalità dell’ente, né la rilevanza del contributo, possono trasformare l’extraneus in un partecipe.

Dello stesso avviso G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 139: «la differenza tra “partecipe” e “concorrente” non è tutta — come comunemente si ritiene — nell’at- teggiamento psicologico dell’agente (secondo che lo stesso voglia far parte o meno del sodalizio criminoso). Essendo necessaria l’accettazione da parte dell’associ- azione — (un quid pluris dunque, estraneo al soggetto ed alla sua sfera psicologica) — si deve riconoscere che vi è una differenza tra le due figure anche sotto il profilo oggettivo»; v. anche G.A. De Francesco, Societas sceleris, op. cit., 143.

Cass. Sez. I, 13 giugno 1987, Altivalle ed altri, in Cass. pen., 1988, 1812. 155

mantenere in vita l’associazione criminosa, con la consapevolezza e la volontà di contribuire alla realizzazione dei fini dell’associazione a delinquere . 156

Dello stesso avvisoèla sentenza Barbella del 4 febbraio 1988 . 157

La Suprema Corte pone l’accento sulla natura episodica del contribu- to del soggetto al di fuori alla struttura organica: quando l’agente «si sia limitato alla occasionale e non istituzionalizzata prestazione di un singolo comportamento, non privo di idoneità causale per il conse- guimento dello scopo del sodalizio, che costituisca autonoma e indivi- duale manifestazione di volontà criminosa e si esaurisca nel momento della sua espressione perché ontologicamente concepita e determinata nei correlativi limiti di tempo e di efficacia» va ravvisato concorso nel reato di associazione per delinquere e non partecipazione all’associa- zione stessa.

Una pronuncia del 21 marzo 1988 circoscrive la figura del concorso 158

esterno alla sola ipotesi del concorso morale, e limitatamente ai soli casi di determinazione o istigazione a partecipare o a promuovere, co- stituire, organizzare l’associazione per delinquere. Secondo la Cassa- zione, una condotta che in concreto favorisce le attività ed il perse- guimento degli scopi sociali ed è accompagnata «dalla coscienza e volontà di raggiungere attraverso quegli atti, anche se di per se stessi leciti, pure i fini presi di mira dall’associazione e fatti propri», risulta essere un’«attività che realizza, perfezionandosi l’elemento soggettivo

Quindi, se il contributo è dato ai singoli associati, ovvero riguarda specifiche 156

imprese criminose e l’agente persegue fini suoi propri, con indifferenza rispetto alle finalità associative, non sussisterebbe il concorso esterno.

Cass. Sez. I, 4 febbraio 1988, Barbella, in Cass. pen., 1989, 1988 ss. 157

Cass. Sez. I, 21 marzo 1988, Agostani, in Cass. pen., 1991, 223. In senso con

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e quello oggettivo, il fatto tipico previsto dalla norma istitutiva della fattispecie associativa». È evidente come anche qui si ricostruisca la condotta del partecipe facendo riferimento all’apporto causalmente rilevante per la realizzazione degli scopi dell’associazione, senza che perciò possa residuare uno spazio per il concorrente esterno.

Molto interessante, in quanto punta i riflettori sulla contiguità del ceto imprenditoriale alle associazioni mafiose, è la sentenza del 28 marzo 1991 con cui il Tribunale di Catania ha prosciolto due «cavalieri del 159

lavoro» catanesi dall’accusa di concorso esterno nell’associazione ma- fiosa, provato che la vicinanza al sodalizio fu imposta dall’esigenza di trovare soluzioni di «non conflittualità» con la mafia . 160

Nella sentenza si legge che «nelle zone ove Cosa nostra ha da tempo monopolizzato tutte le attività illecite di rilievo si è affermato un modo diverso di estorsione, costituito dall’imposizione di una presta- zione economica all’azienda in cambio della promessa di assicurare “protezione” da ogni inconveniente che dovesse provenire dall’am-

Trib. Catania, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, 28 marzo 1991, 159

Amato ed altri, in Foro it., 1991, II, 472 ss., con nota di G. Fiandaca, La contiguità mafiosa degli imprenditori tra rilevanza penale e stereotipo criminale; similmente v. Trib. Catania, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, 8 Marzo 1994, Di Grazia, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 1187 ss., con nota di A. Manna, L’ammissi- bilità di un cd. concorso “esterno” nei reati associativi, tra esigenze di politica criminale e principio di legalità.

Considerato che da uno «scontro frontale risulterebbe perdente sia il più modesto 160

degli esercenti sia il più ricco titolare di grandi complessi aziendali. Il rifiuto di un qualsiasi dialogo finalizzato al raggiungimento di un certo punto di equilibrio con- durrebbe l’imprenditore a rinunciare all’esercizio dell’impresa; e ciò, parados- salmente, avverrebbe proprio in quelle zone del territorio nazionale in cui il manten- imento e lo sviluppo dell’occupazione dovrebbero servire ad incentivare l’affranca- zione delle popolazioni dalla presenza mafiosa».

Già nel secondo Ottocento si fece notare che con riguardo «al fenomeno del manutengolismo esercitato dalle classi abbienti (…) nelle condizioni attuali, l’opera dei malfattori è così inestricabilmente mescolata colle relazioni sociali, che queste persone non hanno scelta che fra accettar quella o rinunziare a queste», v. L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Roma, 2000, 142.

biente malavitoso sia esterno, sia interno alla stessa organizzazione», quindi, «il rapporto che si viene ad instaurare con la protezione è ab- normemente assimilabile al contratto assicurativo: l’abnormità sta nel fatto che la fonte di rischio è costituita anche dallo stesso assicurato- re» . 161

Sul piano giuridico-normativo il giudice, pur ammettendo in via teori- ca l’applicabilità dell’istituto del concorso di persone al reato associa- tivo, aderisce all’orientamento per cui nei reati a concorso necessario sarebbe pressoché impossibile individuare casi di concorso eventuale, in quanto una qualsiasi condotta da rapportare alla fattispecie del con- corso eventuale potrebbe, già di per sé, essere sussunta nella condotta del delitto a concorso necessario: sotto il profilo oggettivo, infatti, «l’apporto esterno di uno o più soggetti non può non apparire scarsa- mente significativo quanto al rapporto causale fra condotta ed evento, cui di già contribuisce la grande massa dei veri e propri associati», sicché «qualora l’associazione criminosa sia costituita da una struttura talmente vasta da trascendere le singole territorialità ove il fenomeno si manifesta, è di tutta evidenza come l’apporto di eventuali soggetti esterni difficilmente potrà assumere efficacia decisiva in ordine all’e- sistenza ed all’operatività del vincolo associativo; e se, per avventura, una tale efficacia dovesse in qualche caso riscontrarsi, allora sarà più facile trovarsi di fronte ad un’appartenenza a pieno titolo nel reato a concorso necessario piuttosto che ad un concorso esterno» . 162

Le dichiarazioni di alcuni pentiti hanno descritto il rapporto della mafia con 161

l’imprenditoria in tutta la sua articolata complessità, pur riconoscendo una diffusa e capillare situazione di estorsione: v. audizione di Calderone, op. cit., 289 ss. (con particolare riferimento proprio alla posizione dei “cavalieri del lavoro”); audizione di Buscetta, op. cit., 388 ss.; audizione di Messina, op. cit., 561 ss.

V. retro 3.5, infra. 162

Sotto il profilo soggettivo «va considerato come il dolo del concorren- te esterno debba atteggiarsi in coincidenza con il dolo del reato asso- ciativo (…) non si può prescindere, in sostanza, dal prendere in consi- derazione l’approvazione del programma del sodalizio malavitoso quale requisito minimale dell’atteggiamento psicologico dell’indivi- duo esterno alla organizzazione che concorra nel reato associativo», ma l’imprenditore in realtà agisce con il diverso intento di cautelarsi al fine di poter esercitare l’impresa, quindi difficilmente si può asserire l’integrazione dell’elemento psicologico, inteso come «approvazione del programma del sodalizio malavitoso» . 163

Allora, se non è partecipazione, l’interprete avrà soltanto la possibilità di orientarsi verso altre fattispecie legali entro cui ricondurre le con- dotte prese in considerazione, sempre che ne sussistano i presupposti. Dopo le stragi mafiose dell’estate del ’92 la magistratura requirente intensifica l’impiego del concorso di persone nel reato associativo. La sentenza Altomonte è la prima di una serie che lascia presagire 164

un definitivo consolidamento dell’orientamento favorevole. 


Secondo la Suprema Corte, per integrare la condotta di partecipazione occorre l’esistenza del «pactum sceleris», con riferimento alla consor- teria criminale, e dell’«affectio societatis» in relazione alla consapevo- lezza del soggetto di inserirsi in un’associazione vietata; non è suffi-

Critico C.F. Grosso, La contiguità alla mafia, op. cit., 1201, per il quale il dolo 163

del concorrente deve essere ricostruito diversamente: è sufficiente che egli, agendo al fine di realizzare interessi propri, operi con la consapevolezza di fornire all’asso- ciazione criminale prestazioni utili al mantenimento o al rafforzamento della sua struttura; nello stesso senso v. G. Fiandaca, La contiguità, op. cit., 478; G. Spagnolo, L’associazione, op. cit. 131;

Cass. Sez. I, 23 novembre 1992, in Giust. pen., 1993, II, 563, i giudici ravvisano 164

il concorso esterno nel caso di un semplice agente di polizia di Stato reo di aver for- nito almeno un paio di volte insieme ad alcuni affiliati, al di fuori, ovviamente, dei propri adempimenti d’ufficio, un “servizio di scorta” ad un boss camorrista al fine di proteggerlo da attentati da parte di clan rivali.

ciente l’adesione rituale, si richiede anche un contributo causale all’at- tività associativa, pure soltanto per una fase temporalmente limitata . 165

Il concorrente nel reato associativo è, invece, definito «il soggetto che, estraneo alla struttura organica del sodalizio, si sia limitato anche ad occasionali prestazioni di singoli comportamenti aventi idoneità cau- sale per il conseguimento dello scopo sociale o per il mantenimento della struttura associativa, avendo la consapevolezza dell’esistenza dell’associazione e la coscienza del contributo che ad essa arreca». In data 31 agosto 1993 la Cassazione si pronuncia ancora a favore 166

della configurabilità del concorso eventuale nel reato associativo, che si realizza «ogniqualvolta un soggetto, senza essere stabilmente inseri- to nella struttura dell’associazione criminosa, svolga, con coscienza e

Conferma un’altra sentenza dello stesso anno, Cass. Sez. I, 24 giugno 1992, Al

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fano ed altri, in Giust. pen., 1993, II, 265, dove si precisa che l’associazione mafiosa si differenzia dall’associazione per delinquere comune per la sua peculiare forza di intimidazione, pertanto, se nel caso dell’associazione a delinquere comune la con- dotta partecipativa punibile non può esaurirsi in una manifestazione positiva della volontà del singolo di aderire all’associazione già formatasi, richiedendosi un effet- tivo contributo, anche minimo e di qualsiasi forma e contenuto, destinato a fornire efficacia al mantenimento in vita della struttura associativa o al perseguimento degli scopi di essa, nell’associazione di tipo mafioso la partecipazione può consistere an- che nella sola dichiarata adesione all’associazione stessa da parte del singolo che presta la propria disponibilità ad agire quale “uomo d’onore”, il contributo causale sarebbe in re ipsa, insito nel solo fatto di aderire prestando la propria disponibilità ad operare come membro. Nonostante queste affermazioni di principio, più avanti nella sentenza si condanna per partecipazione ad associazione mafiosa tale Pipitone, il quale non solo ha aderito al sodalizio, ma ha anche messo a disposizione un «luogo sicuro da sorprese, in cui lui stesso e gli altri associati potessero discutere dell’attiv- ità delittuosa, delle modalità di attuazione di questa e dei problemi attinenti alla vita della societas», non limitandosi «alla prestazione di una semplice manifestazione di volontà, ma arrecando un contributo non certamente indifferente, all’esistenza di quest’ultima». Come osserva C. Visconti, Contiguità alla mafia, op. cit., 157, i giu- dici di legittimità sembrano ritenere sufficiente l’adesione per configurare la parteci- pazione punibile, ma poi considerano preferibile accertare anche un vero contributo causale apportato dall’imputato.

Cass. Sez. fer., 31 agosto 1993, Di Corrado, in Cass. pen., 1994, II, 1496; nello 166

stesso anno, sempre favorevolmente, v. Cass. Sez. I, 3 febbraio 1993, Oro, in Riv. pen., 1994, 666; Cass. Sez. I, 18 giugno 1993, Turiano, in Riv. pen., 1994, 540.

volontà, un’attività, ancorché occasionale e di importanza secondaria o di semplice intermediazione, che sia conforme alle finalità proprie dell’organizzazione mafiosa e rappresenti un contributo causale ap- prezzabile per il loro conseguimento».

Anche all’inizio del cruciale anno 1994, la Corte di Cassazione 167

prende posizione favorevole avallando la decisione della Corte di Ap- pello di Milano che il 5 maggio 1993 aveva condannato per concorso in associazione per delinquere finalizzata all’organizzazione e sfrut- tamento della prostituzione, due sorelle, Lione Giuseppina e Lione Teodora, proprietarie dell’albergo dove si praticava il meretricio con ragazze provenienti dall’estero. Per i giudici di legittimità, l’art. 110 c.p. è una norma di carattere generale, che, come tale, non può non trovare applicazione in ogni tipo di reato, e dunque anche nei reati as- sociativi, salva un’espressa contraria disposizione di legge od incom- patibilità con una singola fattispecie incriminatrice. Non solo di ecce- zioni non v’è traccia, ma addirittura la legge consente di applicare la disciplina concorsuale ai sensi degli artt. 307 comma 1° (per i reati di cospirazione politica e banda armata) e 418 comma 1° c.p. (in riferi- mento al delitto di associazione per delinquere anche di tipo mafioso) . Si aggiunge che «non v’è dubbio che il concorrente ester168 -

no — a differenza dell’associato, il quale deve agire con il dolo speci- fico di realizzare gli scopi per i quali l’associazione si è costituita — debba invece operare per fini propri individuali, pur dovendosi egli rappresentare le finalità criminose dell’associazione, così come non v’è dubbio che, sul piano oggettivo, la di lui condotta, invece che in-

Cass. Sez. I, 24 gennaio 1994, Silveira ed altri, in Giust. pen., 1994, II, 424. 167

Per uno sviluppo di tale argomento v. nota n. 177. 168

quadrabile in uno stabile inserimento nell’organizzazione, debba ri- solversi in un apporto, dall’esterno, ai fini dell’associazione».

Nell’estate dello stesso anno arrivano quattro pronunce della Corte di Cassazione, emesse nell’ambito di procedimenti de libertate, che ne- gano la configurabilità dell’istituto accendendo un conflitto all’interno della medesima Sezione I che porterà poi all’intervento delle Sezioni Unite con la sentenza del 5 ottobre dello stesso anno . In tutti i casi i 169

provvedimenti cautelari vengono annullati e si rinvia ad altro giudice