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L’elemento oggettivo del concorso esterno: i requisiti negativi

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L’individuazione dei connotati del concorso esterno prende le mosse dalla sentenza delle Sezioni Unite del 5 ottobre 1994, definita «la pri- ma grande elaborazione della materia, sia per mole di trattazione che

In quanto le lacune non avrebbero potuto essere colmate con un eventuale 252

giudizio di rinvio.

Fatti che rientrano tra quelli coperti dal segreto d’ufficio ex art. 201 c.p.p., in cui 253

si sancisce «l’obbligo di astensione dal deporre su fatti conosciuti per ragioni del loro ufficio (dei pubblici ufficiali, pubblici impiegati ed incaricati di un pubblico servizio, n.d.r.) che devono rimanere segreti»; la Corte valorizzando il tessuto di questa norma, ritiene sussistente un divieto esplicito di testimonianza, posto dalla normativa processuale, in capo a chi sia obbligato al segreto d’ufficio, da qui deriva l’applicabilità diretta dell’art. 191 c.p.p. alle dichiarazioni rese in violazione del- l’obbligo del segreto.

per completezza di argomenti (…) documento di partenza per una ri- cognizione, sia pure di sintesi degli orientamenti dottrinali e giuri- sprudenziali ad essa successivi, compresi quelli più recenti» . 254

Nell’ampio excursus iniziale, dapprima vengono ripercorse le argo- mentazioni utilizzate in passato sia dalla dottrina che dalla giurispru- denza contro la configurabilità del concorso nel reato associativo, già ampiamente confutate dalla sentenza Demitry, dopodiché si affrontano le nuove manifestazioni di dissenso all’opzione scelta dalle Sezioni Unite del 1994, sviluppatesi successivamente alla pronuncia soprattut- to in ambito dottrinale, ma anche in quello giurisprudenziale con la sentenza Villecco, rea di aver fatto vacillare la «tenuta» della decisio- ne del 1994, già, comunque, avvertita come problematica dalla Corte di Cassazione nella sentenza Trigili del 25 giugno 1999 . 255

Terminata questa premessa, la Suprema Corte ribadisce apertis verbis «il principio secondo il quale in tema di associazione di tipo mafioso è configurabile il concorso esterno, con la precisazione che assume la qualità di concorrente esterno nel reato di associazione di tipo mafioso la persona che, priva dell’affectio societatis e non essendo inserita nel- la struttura organizzativa dell’associazione, fornisce un concreto, spe- cifico, consapevole e volontario contributo, purché questo abbia un’ef- fettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamen-

Per C.F. Grosso, Il concorso esterno nel reato associativo: un’evoluzione nel 254

segno della continuità, in Leg. pen., 2003, I, 688, le due sentenze vanno intese nel senso di una logica e razionale evoluzione, non certo di discontinuità o mutamento di paradigma; invece, per G. Fiandaca, La tormentosa vicenda, op. cit., 694, la nuo- va presa di posizione delle Sezioni Unite «si limita a compiere un tentativo di cor- rezione di rotta sotto alcuni aspetti discutibile»; va oltre G. De Vero, Il concorso esterno in associazione mafiosa tra incessante travaglio giurisprudenziale e perdu- rante afasia legislativa, in Dir. pen. e proc., 2003, 1325, il quale parla di correzione «in misura notevole» delle indicazioni fornite in precedenza dalle Sezioni Unite.

Cass. Sez. VI, 25 giugno 1999, Trigili ed altri, in Riv. pen., 2000, 215 ss. 255

to dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione anche parziale del programma criminoso della medesima».

Quel «priva dell’affectio societatis e non essendo inserita nella struttu- ra organizzativa» attesta come, anche in questa pronuncia, i giudici prendono le mosse dalla contrapposizione della figura del partecipe a quella del concorrente esterno, essendo ormai appurato che soltanto risolvendo la questione concernente la natura della condotta di parte- cipazione ad associazione per delinquere, ed in particolare quella di tipo mafioso, si può affrontare correttamente il problema in esame . 256

Così procedendo, i giudici di legittimità ritengono inaccettabile la tesi della natura monosoggettiva del delitto di partecipazione ex art. 416-

bis c.p., considerando che «l’inclusione di taluno in un’associazione

non può dipendere solo dalla volontà di colui che all’associazione in- tende aderire, ma richiede anche quella di tutti gli altri associati o di

È il metodo c.d. via negationis, v. G. Denora, Sulla qualità di concorrente “es

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terno”, op. cit., 362; M. Papa, Un “baco del sistema”? Il concorso esterno nell’as- sociazione mafiosa di nuovo al vaglio delle Sezioni Unite tra prospettive di quaran- tena e terapie palliative, in Leg. pen., 2003, I, 699, secondo il quale: «d’altro canto è questo il procedimento abitualmente utilizzato ogni volta che si deve interpretare una norma incriminatrice nella parte speciale: forse che definiamo la condotta di furto, prendendo come riferimento la condotta del palo, quella dell’autista che ac- compagna i ladri o le altre ipotesi di concorso eventuale?»; cfr. F. De Leo, Aspettan- do un legislatore che non si chiami Godot. Il concorso esterno dopo la sentenza Mannino, in Cass. pen., 2006, 2264, secondo il quale, nell’ottica di un intervento legislativo di riforma, «per determinare in modo efficace l’attività dell’esterno al- l’associazione è prima utile una definizione almeno sufficiente dell’attività di chi invece a essa è interno, cioè del partecipe; dal momento che il nostro codice non ne definisce la figura e quindi la sua evanescenza si riverserebbe sull’esterno».

coloro che li rappresentano» . Infatti, tanto la costituzione dell’asso257 -

ciazione quanto l’inserimento di un soggetto in un’organizzazione già formata richiedono sempre e necessariamente la volontà e l’agire di una pluralità di persone, pertanto «si deve ritenere che tutti i reati as- sociativi sono sempre reati a concorso necessario, vale a dire, fattispe- cie plurisoggettive proprie».

Quindi, l’appartenenza di taluno ad un’associazione criminale dipende anche dalla volontà di coloro che già vi partecipano e «a tal fine pos- sono rilevare certamente le regole del sodalizio, anche se l’esistenza dell’accordo può risultare pure solo di fatto: purché da fatti indicativi di una volontà di inclusione del soggetto partecipe» . 258

I giudici danno poi un inquadramento della condotta tipica di parteci- pazione che l’art. 416-bis c.p. definisce con l’espressione di cui al comma 1° («chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso») e la descrizione sociologica di cui al comma 3°, di conseguenza, deve intendersi che «fa parte» chi si impegna a prestare un contributo alla

La Suprema Corte aggiunge che «è davvero difficile vedere nella partecipazione 257

una fattispecie monosoggettiva, come se la condotta sia costituita da un atto unilat- erale di adesione all’associazione, da una “iscrizione”, e non sia invece, tanto nel momento iniziale quanto in tutto il suo svolgimento, destinata a combinarsi con le condotte degli associati, in un’unione di forze per imprese che generalmente trascendono le capacità individuali».

Così in dottrina v. per tutti G. Spagnolo, L’associazione, op. cit., 90-1: «è possibile pensare ad un unico reato plurisoggettivo con sanzioni diverse rigidamente prefis- sate a seconda dei ruoli svolti dai singoli soggetti durante la vita dell’associazione (…) questa soluzione peraltro eviterebbe di ravvisare una pluralità di reati nel caso in cui ad un’attività associativa più qualificata segua, da un certo momento in poi, la semplice attività di partecipazione, e viceversa».

Qui le Sezioni Unite si allineano alle pionieristiche osservazioni di due autori fin 258

da subito schierati in senso favorevole alla configurabilità del concorso esterno, L. De Liguori e G. Spagnolo, v. antea nota n. 154.

Per uno sguardo sul valore che possono assumere le regole interne al sodalizio v. A. Fallone, Differenze ed identità nel concorso esterno e nel reato associativo, op. cit., 860 ss.; più recentemente Id., Concorso esterno: tra tipicià sostanziale e tipicità del metodo probatorio della fattispecie penale, in Giur. merito, fasc. 4, 2012, 0774b.

vita del sodalizio, avvalendosi (o sapendo di potersi avvalere) della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano per realizzare i fini pre- visti.

Il problema risiede nella mancata specificazione della portata di quel “far parte”, che, quindi, fa sì che la condotta partecipativa possa as- sumere forme e contenuti diversi, delineando una tipica figura di reato

a forma libera in cui la condotta può consistere in un mero contributo

apprezzabile e concreto, sul piano causale, all’esistenza o al rafforza- mento dell’associazione.

È qui evidente la presa di distanza dal modello c.d. organizzatorio-

puro: la condotta tipica del partecipe non consiste nella sola assunzio-

ne formale di uno “status”, cioè nel solo inserimento dell’agente nel- l’organizzazione associativa, bensì in un contributo arrecato al sodali- zio criminale da parte di chi «è stabilmente incardinato nella struttura associativa con determinati, continui compiti anche per settori di competenza» . 259

In conclusione, i giudici affermano che «a quel far parte dell’associa- zione, che qualifica la condotta del partecipe non può attribuirsi il solo significato di condivisione meramente psicologica del programma

Secondo C. Visconti, Contiguità alla mafia, op. cit., 228, si va a perpetrare quel

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la sorta di «inguaribile ambiguità» tra modello organizzatorio e modello causale: con un approccio definito dall’autore «sincretistico» si parte da un modello organiz- zatorio che viene poi inclinato verso una ricostruzione del reato incentrata sul con- tributo causale all’associazione quale elemento indefettibile per il giudizio di tipicità sulla condotta punibile. In altri termini, si richiede la «concreta assunzione di un ruolo materiale», quasi a voler sottolineare la natura essenzialmente organizzatoria della condotta, risolventesi nell’assunzione di un ruolo associativo, sia pure temper- ata da un quid di «concretezza» e «materialità», per poi guardare al modo in cui esso si «manifesta», cioè attraverso «un impegno reciproco e costante, funzionalmente orientato alla struttura e all’attività dell’associazione».

criminoso e delle relative metodiche , bensì quello, più pregnante, di 260

una concreta assunzione di un ruolo materiale all’interno della struttu- ra criminosa, manifestato da un impegno reciproco e costante, funzio- nalmente orientato alla struttura ed all’attività dell’organizzazione criminosa: il che è espressione di un inserimento strutturale a tutti gli effetti in tale organizzazione nella quale si finisce con l’essere stabil- mente incardinati».

Così inquadrata la condotta di partecipazione, si osserva che la situa- zione di chi entra a far parte di un’associazione criminale, condivi- dendone vita e obiettivi, e quella di chi, pur non entrando a far parte della stessa, apporta dall’esterno un contributo rilevante alla sua con- servazione e al suo rafforzamento, sono chiaramente distinguibili. La seconda potrà essere sanzionata andando ad applicare la disciplina di carattere generale sul concorso eventuale, che come tale è applicabile a qualsiasi ipotesi di reato , consente di soddisfare l’esigenza di as261 -

segnare rilevanza penale anche a quei contributi resi al sodalizio cri- minoso da parte di chi non sia considerato incluso in esso dagli asso- ciati, cioè «l’art. 110 c.p. consente di assegnare rilevanza penale a condotte diverse da quella tipica e ciò nondimeno necessarie o almeno utili, strumentali alla consumazione del reato». Secondo i giudici, non solo la diversità esistente tra la struttura permanente del reato di asso- ciazione e quella del concorso eventuale non determina affatto incom- patibilità tra le due fattispecie, ma neanche si richiede necessariamente

Così anche M. Papa, Un “baco nel sistema”?, op. cit., 699: «La partecipazione 260

non può dunque assolutamente risolversi in una mera adesione morale, in una affec- tio coltivata in segreto e manifestata in modo platonico (…) essa implica innanzitut- to l’assunzione di un ruolo, da intendersi come uno stabile inserimento all’interno della societas sceleris, conosciuto almeno da alcuni tra gli altri membri del sodal- izio».

La Corte definisce questo rilievo «valido anche per le ipotesi di reato “associati

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che pure il contributo dell’estraneo sia permanente, cioè che l’apporto perduri per l’intera permanenza dell’associazione, non dovendosi con- fondere l’aspetto del potenziale riconoscimento del contributo esterno in un qualunque momento della vita dell’associazione, con quello del- la sua durata . 262

Conclusivamente, i giudici di legittimità, finalmente, respingono espressamente quell’orientamento che suggerisce la «prospettazione di un concorso nel reato di partecipazione anziché nel reato associati- vo» , configurando il concorso esterno alla stregua di un contributo 263

alla condotta del singolo partecipante e non all’associazione comples- sivamente intesa, o anche ad un singolo settore dell’apparato crimino- so . 264

L’adesione a questa tesi produrrebbe infatti, a detta dei giudici, ulte- riori inconvenienti: il primo rischio è quello di giungere «ad una sur-

«Del resto — dice la Corte — neanche per il partecipe è necessario che il vinco

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lo associativo si instauri in prospettiva di una sua futura permanenza a tempo inde- terminato (…) ben possono, al contrario, ipotizzarsi forme di partecipazione desti- nate, ab origine, ad una durata limitata nel tempo»; v. a conferma Cass. Sez. I, 14 aprile 1995, Mastrantuono, in Cass. pen., 1996, 1781, relativa ad un’ipotesi di parte- cipazione ad un’organizzazione camorristica da parte di un esponente politico.

V. retro 3.4, Cap. I. 263

Così si recepisce la soluzione che era stata suggerita da C. Visconti e ribadita da 264

C.F. Grosso, Il concorso esterno nel reato associativo, op. cit., 686, v. antea nota n. 148.

rettizia assimilazione fra associazione e mero “accordo” criminoso 265

e di far venir meno il discrimine rispetto alla condotta di favoreggia- mento o di assistenza agli associati (come pure ai casi di concorso nei singoli reati-scopo), finendo così per dare ragione a coloro che esclu- dono l’ammissibilità di un concorso ex art. 110 c.p. nell’associazione proprio in virtù della capacità “assorbente” che svolgerebbero le anzi- dette fattispecie di assistenza agli associati e favoreggiamento perso- nale». In secondo luogo, si provocherebbero effetti anche peggiori di quelli che si vorrebbero evitare, infatti da un lato, si accollerebbe in capo all’estraneo il peso di un fatto delittuoso collettivo, pur avendo egli tenuto una condotta diretta esclusivamente ad agevolare un singo- lo partecipante e non l’intera associazione, con conseguente violazio- ne del principio di personalità della responsabilità penale, dall’altro, ne conseguirebbe un’estensione delle aree di condotte potenzialmente incriminabili, visto che il riferimento alla singola condotta partecipati- va come “evento” sul quale misurare il contributo causale del concor- rente è certamente qualcosa di meno pregnante rispetto all’organizza- zione associativa considerata complessivamente . 266

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