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Così lontano così vicino. Una proposta di lettura “a media distanza”dell’opera poetica di Lucian Blaga

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

Dottorato di ricerca in Digital Humanities

Tecnologie digitali, arti, lingue, culture e comunicazione

Curriculum di lingue e letterature straniere, linguistica e onomastica Indirizzo lingue e letterature straniere

XXXI ciclo

TESI DI DOTTORATO

Così lontano così vicino.

Una proposta di lettura “a media distanza” dell’opera poetica di Lucian Blaga

Candidata: Barbara Pavetto Tutor: Roberto Merlo

A. A. 2020/2021

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SOMMARIO

SOMMARIO 2

INTRODUZIONE 5

PARTE PRIMA 9

CAPITOLO 1 SVOLTE DIGITALI E LETTURE A DISTANZE VARIABILI 10

1. La svolta digitale degli studi umanistici 10

1.1. Stilistica e strumenti digitali 11

1.2. L’avvento del corpus 14

1.2.1. Il corpus 14

1.2.2. Linguistica dei corpora 15

1.2.3. Stilistica dei corpora 17

2. Close reading, la letteratura vista da vicino: il cartografo 20 3. Distant reading, la letteratura vista da lontano: il satellite 21

4. Una lettura “a metà strada”: il drone 24

5. Strumenti della stilistica dei corpora: Sketch Engine e le sue criticità 27 CAPITOLO 2 LO STATO DELL’ARTE: LA CRITICA BLAGHIANA E LE DIGITAL HUMANITIES

IN ROMANIA 32

1. La critica blaghiana in Romania 32

1.1. I contributi di Alexandra Indrieș, Titus Bărbulescu e Corin Braga 38

1.2. La ricezione dell’opera blaghiana in Italia 47

2. Le Digital Humanities in Romania 57

PARTE II 63

INTRODUZIONE: COSTITUZIONE E PREPARAZIONE DEL CORPUS 64

1. L’edizione critica utilizzata 64

2. La preparazione del corpus 65

CAPITOLO 1 IL VERBO: I CASI DI A VEDEA E A PRIVI 68

1. Il lavoro di Alexandra Indrieș: orizzonti semi-condivisi 68

1.1. Studio dei verbi più frequenti all’interno del corpus 68

2. Premesse sul lavoro 73

2.1. Misura 74

2.2. Interpretazione 75

3. Direzione e tipo di sguardo 77

(3)

3.2. Interpretazione 79

4. Modi, tempi e persone dei verbi 88

4.1. Il modo 89

4.1.1. I modi di a vedea - misura 89

4.1.2. I modi di a vedea – interpretazione 90

4.1.3. I modi di a privi - misura 91

4.1.4. I modi di a privi – interpretazione 91

4.2. Il tempo – misura 92

4.2.1. Il tempo – interpretazione 93

4.2. Il presente 94

4.2.3. Perfect compus e passato remoto 96

4.2.4. L’imperfetto e il futuro 98

4.3. La persona 100

4.3.1. La persona – misura 100

4.3.2. La persona – interpretazione 100

5. Il campo semantico della vista 105

5.1. Misura 106

5.2. Interpretazione 106

6. Uno sguardo ai verbi più frequenti. 110

6.1. Movimento e stasi 110

6.1.1. Misura 111

6.1.2. Interpretazione 111

6.1.3. Persone e tempi verbali dei verbi a veni e a sta – misura e interpretazione 113

6.1.4. Referenti animati e referenti inanimati 116

6.1.5. Campo semantico del movimento – misura e interpretazione 116

6.2. Chi sa di non sapere 118

6.2.1. A ști ˗ misura e interpretazione 118

6.2.2. Persone e tempi verbali – misura e interpretazione 119

6.2.3. Agenti animati e agenti inanimati 121

6.2.4. Sfumature semantiche 121

6.3. Altri verbi di percezione: a auzi e a simți 124

6.3.1. A auzi e a simți ˗ misura e interpretazione 125

6.3.2. Persone e tempi verbali – misura e interpretazione 126

6.3.3. Agenti animati e agenti inanimati 129

CAPITOLO 2 LA NEGAZIONE 130

1. Il potere tellurico della negazione 130

2. Il nu all’interno del corpus poetico blaghiano 134

2.1. Misura 135

2.2. Interpretazione 139

3. Una prima griglia interpretativa 140

3.1. Misura 142

3.2. Interpretazione 143

4. Il caso di decât 145

5. Una seconda griglia interpretativa 147

(4)

4.2. Interpretazione 153

6. Una terza griglia interpretativa 157

6.1. Misura 157

6.2. Interpretazione 160

7. Una quarta griglia interpretativa 162

7.1. Misura 162

7.2. Interpretazione 163

8. Le “grandi negazioni programmatiche” 165

CAPITOLO 3 LE FUNCTION WORDS: COMPARAZIONE E DEITTICI 170

1. Panoramica sullo stato dell’arte 170

2. La comparazione 175

3. Perché la comparazione? 179

4. La comparazione nella poesia di Lucian Blaga 183

4.1. Misura 184

4.2. Interpretazione 187

5. La comparazione senza ca 188

5.1. Misura 189

5.2. Interpretazione 191

6. Una diversa griglia interpretativa 192

6.1. Misura 194

6.2. Interpretazione 197

7. Comparativi di maggioranza e minoranza, superlativo relativo 199

7.1. Misura 199

7.2. Interpretazione 200

8. Un rapido sguardo a altfel 201

9. Deissi spaziale e deissi temporale 205

9.1. La deissi spaziale 205 9.1.1. Misura 206 9.1.2. Interpretazione 211 9.2. La deissi temporale 220 9.2.1. Misura 221 9.2.2. Interpretazione 227 CONCLUSIONI 239 BIBLIOGRAFIA 241 Fonti primarie 241 Fonti secondarie 241 RINGRAZIAMENTI 250

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INTRODUZIONE

Gli aspetti per noi più importanti delle cose sono nascosti dalla loro semplicità e quotidianità. (Non ce ne possiamo accorgere – perché li abbiamo sempre sotto gli occhi). […] ciò che, una volta visto, è il più appariscente, e il più forte, questo non ci colpisce1

Questo studio nasce con l’obiettivo di applicare metodologie e strumenti d’analisi innovativi, mutuati dalla Corpus Stylistics, allo studio dell’opera poetica di Lucian Blaga (1895-1961), poeta, filosofo e drammaturgo della prima metà del Novecento di straordinaria importanza, al quale tuttavia negli ultimi decenni la critica ha dedicato scarsa attenzione. L’obiettivo della ricerca è proporre un approccio inedito, finora mai adottato (e scarsamente impiegato nello studio della letteratura romena in generale), al corpus poetico blaghiano, che combini l’estrazione automatica di dati con l’interpretazione umana in una lettura digitale “a media distanza” volta a rilevare alcune particolarità del linguaggio poetico di Blaga e della sua evoluzione diacronica.

La parte “digitale”, ovvero la messe di dati relativi al corpus poetico cronologicamente strutturato ottenuta da query formulate con uno strumento specifico – il software per indagini linguistiche quantitative Sketch Engine (https://www.sketchengine.eu/) – è stata infatti interpretata in parte in modo “analogico”. Si è cercato un fertile compromesso, per utilizzare le categorie utilizzate da Franco Moretti, tra l’approccio di tipo distant reading – basato su moli immense di dati estratti da migliaia e milioni di testi, privati così di una propria individualità – e la tradizionale interpretazione in stile close reading – ovvero di orientamento microstilistico, focalizzato sui dettagli del singolo testo – in direzione di quello che negli ultimi anni si sta configurando come un approccio “a distanza variabile”, ovvero “a media distanza” (mid-distance reading), che permetta di analizzare i dati “da lontano”, come se ci trovassimo ad osservare il territorio sottostante da un aereo, ma anche “da vicino”, come se scendessimo di quota per osservare più nel dettaglio quelle parti di testo che si sono dimostrate particolarmente rilevanti. Implicito è il quesito relativo all’opportunità e alla fattibilità di simili studi applicati alla poesia e alla letteratura

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romena in genere allo stadio attuale dello sviluppo degli strumenti e delle metodologie d’analisi.

Il lavoro è suddiviso in due parti: una prima parte, di stampo storico e metodologico, suddivisa in due capitoli, e una seconda parte, di analisi applicate, costituita da tre capitoli.

Nella prima parte, il primo capitolo ripercorre per sommi capi l’emergere e lo sviluppo di quelle che oggi vengono definite Digital Humanities, branca degli studi umanistici multidisciplinare che vede la collaborazione di specialisti non solo in ambito linguistico, letterario ecc, ma anche informatico e tecnologico. Il capitolo si concentra poi sulla succinta illustrazione del concetto di corpus e sullo sviluppo di Corpus Linguistic e Corpus Stylistics, per poi discutere i concetti di close reading, la lettura “a distanza ravvicinata”, e di distant reading, la lettura “a grande distanza”, dai quali si parte per illustrare, in conclusione, la possibilità e l’opportunità di un mid-distance reading, ovvero di una lettura “a distanza variabile” o “a media distanza”. Tale metodo d’analisi sarà applicato al corpus della poesia di Lucian Blaga nella seconda parte del lavoro.

Il secondo capitolo si apre con la rassegna delle diverse “ondate” della ricezione critica dell’opera poetica blaghiana (soprattutto in Romania, ma con un occhio anche alla situazione italiana), senza dimenticare il cosiddetto “silenzio della critica” che segue l’interdizione del poeta dalla scena accademica e culturale romena da parte del primo regime postbellico e che si protrae fino alla riabilitazione dell’inizio degli anni ’60, poco prima della morte del poeta. In questo capitolo si evidenzia come in ogni epoca i vari commentatori, pur con alle spalle un profilo di orientamento critico (e politico) molto eterogeneo, si siano concentrati su alcuni precisi aspetti dell’opera di Blaga, diversi a seconda del momento storico, e come in certi periodi la critica si sia mossa in determinate direzioni per perseguire determinati scopi (nel periodo della riabilitazione del poeta, ad es., obiettivo dei critici era quello di ristabilire “l’immagine” di Blaga rendendolo più accettabile dal contesto socio-politico di quegli anni, mentre più tardi, dopo la caduta del regime, la critica pare concentrarsi maggiormente sugli aspetti biografici e quasi psicanalitici dell’opera, allo scopo di individuare nessi tra l’opera e la vita personale di Blaga). Più in dettaglio sono discussi alcuni studi monografici dedicati all’opera

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blaghiana – due di Alexandra Indrieș, uno di Titus Bărbulescu e uno di Corin Braga – i quali, per diverse ragioni, presentano una qualche affinità con i metodi e gli obiettivi della presente ricerca.

Il capitolo si conclude con una panoramica, da un lato, sulla situazione dello studio della letteratura romena effettuato con approcci digitali, presentando i lavori e i progetti di studiosi quali Roxana Patraș e Andrei Terian, e, dall’altro lato, sull’applicazione all’opera di Lucian Blaga di metodologie quantitative, rilevando come le risorse siano di fatto poche e datate e confermando la necessità di ricerche e studi orientati all’implementazione degli strumenti e delle tecniche digitali.

La seconda parte del presente lavoro è dedicata al mid-distance reading del corpus poetico blaghiano ed è suddivisa in tre capitoli, ciascuno focalizzato su un diverso e specifico elemento/categoria del linguaggio poetico di Blaga.

Il primo capitolo si concentra in primo luogo sui verbi legati alla vista, nello specifico a vedea ‘vedere’ e a privi ‘guardare’, perché sulla base delle analisi rese possibili dal software Sketch Engine a vedea è risultato essere il verbo più utilizzato all’interno dell’intero corpus. I dati ricavati dall’interrogazione del corpus – e i dati successivamente ricavati da analisi più minuziose, ad es. lo studio di tempi, persone e modi dei verbi più frequenti – sono stati trasformati in percentuali e grafici di rapida consultazione. In questo capitolo si è stabilita una linea metodologica che consiste nel fornire i dati con gli strumenti digitali sotto forma di percentuali e grafici (la “misura”), che consentano una lettura – o meglio, una visione – del testo “da lontano”, facendolo seguire da una disamina critica di tali dati, con un sensibile “riavvicinamento” al testo da cui essi sono stati estratti (l’“interpretazione”), seguendo il principio di una “lettura a distanza variabile” discusso nel primo capitolo. Questo primo capitolo prosegue con l’analisi, secondo il modello “misura” e “interpretazione”, del campo semantico della vista (ochi, lacrimă, zare, privire e nevăzut) e, infine, di altri verbi frequenti nel corpus (a veni, a sta, a ști, a auzi, a simți).

Il secondo capitolo è dedicato all’analisi dell’utilizzo, all’interno del corpus poetico blaghiano, della negazione sintattica espressa tramite nu, particolarmente interessante poiché la negazione è un atto linguistico che pur negando un contenuto specifico all’interno di un enunciato, di fatto ne sottolinea la presenza (in una frase negativa, l’elemento negato compare comunque in seguito al nu, e l’idea dell’elemento

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negato è dunque presente nella mente del lettore – e dello scrittore). La negazione, pertanto, si rivela essere un elemento semanticamente e simbolicamente carico di un grande potere comunicativo. Sempre seguendo il modello “misura” e “interpretazione”, i dati desunti dalle query effettuate tramite Sketch Engine sono commentati e inseriti in una cornice ermeneutica di più ampio respiro. Viene poi ulteriormente osservato l’utilizzo, sempre all’interno del corpus della poesia blaghiana, di decât, e anche quali siano i lemmi più frequentemente associati alla negazione.

Il terzo capitolo, infine, si concentra sullo studio dell’utilizzo, all’interno delle opere poetiche blaghiane, della comparazione e di alcuni deittici avverbiali. Il capitolo si apre con un paragrafo introduttivo che illustra come, grazie agli strumenti e alle metodologie digitali, le cosiddette function words (ovvero tutti quegli elementi lessicali non portatori di significato semantico, e dunque pronomi, articoli, preposizioni ecc) siano state di recente oggetto di analisi soprattutto da parte di studiosi che si occupano di authorship attribution: proprio in virtù del fatto che l’utilizzo delle function words tende ad essere meno ponderato e più automatico ed istintivo, queste rappresentano una sorta di “impronta digitale” di ogni autore. Tenendo a mente che Blaga stesso considerava la metafora quale essenziale prerogativa dell’essere umano, si è quindi analizzato l’utilizzo all’interno del corpus poetico della comparazione costruita con la particella ca. Segue un’analisi (questa volta non digitale ma prettamente “analogica”) della comparazione “implicita” ovvero semanticamente intesa senza l’utilizzo della particella ca, seguita a sua volta dall’analisi dell’utilizzo di comparativo di maggioranza, comparativo di minoranza e superlativo relativo all’interno del corpus. Il capitolo continua poi con l’analisi dei principali deittici spaziali e temporali, ovvero aici, acolo, acum e atunci (e relative varianti).

Concludono la ricerca una serie di osservazioni che mirano a rispondere al quesito implicito in essa, tracciando alcune riflessioni su quali siano stati gli ostacoli principali in corso d’opera ma anche quali siano le promettenti aperture che l’approccio utilizzato ha consentito.

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CAPITOLO 1

SVOLTE DIGITALI E LETTURE A DISTANZE VARIABILI

La tecnica dell’elettricità è però in mezzo a noi, e noi siamo storditi, sordi, ciechi e muti di fronte alla sua collisione con la tecnica di Gutenberg2.

1. La svolta digitale degli studi umanistici

Negli ultimi decenni, negli studi umanistici interviene con sempre maggiore frequenza, spesso con forti e dichiarati intenti programmativi, l’uso di strumenti digitali. Quelle che sono oggi conosciute come Digital Humanities si sono costituite come un nuovo e diverso ambito di studi, dal carattere collaborativo e poliedrico, nel quale confluiscono esperti in settori umanistici che possiedono competenze informatiche e viceversa, caratterizzato da approcci estremamente eclettici accomunati tuttavia dall’utilizzo di strumenti digitali e automatici di raccolta e analisi dei dati. Gli orizzonti di ricerca si sono così ampliati enormemente, e sempre più università nel mondo e in Italia offrono ai propri studenti percorsi di formazione orientati alle DH.

In quanto segue intendo fare un excursus sul tema della tecnologia applicata alla ricerca in ambito umanistico e in particolare allo studio del linguaggio letterario, a partire dall’affermazione della stilistica come disciplina autonoma attorno agli anni ‘60 del secolo scorso, quando si impose una corrente di analisi e di critica letteraria oggettiva, basata su metodologie scientifiche. Il progresso scientifico e il fatto che il computer sia diventato uno strumento sempre più accessibile e sempre più facilmente manovrabile hanno contribuito in modo decisivo allo sviluppo di ambiti e metodi di ricerca strettamente legati alla possibilità di creare e interrogare vasti corpora di varianti di lingua, tra cui quelle letterarie. È in questo contesto che nascono e si sviluppano la linguistica e la stilistica dei corpora.

L’analisi letteraria integra il tradizionale approccio intuitivo e qualitativo con le possibilità offerte dall’analisi quantitativa che si avvale di strumenti elettronici, che con

2 Marshall McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man, Harmondsworth, Penguin, 1964, pp.

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lo sviluppo vertiginoso della tecnologia diventano in grado di rendere disponibili in formato digitale e di gestire moli sempre maggiori di dati. Al close reading (CR) si affianca finalmente il distant reading (DR), ovvero un nuovo percorso di ricerca che abbandona il classico approccio ravvicinato a un unico testo o parte di testo, da sviscerare in tutte le sue dimensioni (formali e contenutistiche, linguistiche ed extralinguistiche, testuali e intertestuali ecc.), per collocarsi in una prospettiva “distanziata” che, invece che focalizzarsi sulle minuzie del singolo testo, offre una visione globale della letteratura come fenomeno, rete ricchissima e multilivello di testi, autori, correnti, tendenze, date e luoghi di pubblicazione, idee in circolazione ecc. e di combinazioni di questi fattori.

Laddove non rinunci più o meno radicalmente ad avvicinarsi ai singoli “testi” per operare con milioni e miliardi di essi come unità di dati, il digitale può andare a coadiuvare metodologie più “tradizionali”, come nel caso di ricerche su corpora di dimensioni più contenute costituite dall’intera opera di uno stesso autore o del raffronto tra serie di opere di autori coevi, o addirittura da un’opera individuale. Ecco dunque che si configura implicitamente una serie di livelli di lettura intermedi, che negli ultimi anni hanno ricevuto una embrionale formalizzazione teorica sotto etichette riconducibili all’idea di mid-distance reading (MDR) o mid-range reading3, i quali permettono di fare

ricerca sfruttando i metodi quantitativi propri dello studio dei corpora senza però perdere di vista, tramite il ravvicinamento caratteristico della critica intuitiva e qualitativa, le specificità dei singoli testi presi in esame.

1.1. Stilistica e strumenti digitali

La stilistica (ri)nasce come disciplina autonoma negli anni ‘60, separandosi da altri approcci metodologici ai quali all’epoca era ancorata, in particolare grazie a istanze provenienti dalla Russia e dall’Europa orientale, così come dalla Francia e dalla Germania ma anche dal Regno Unito e dagli USA4. Secondo S. Chatman, le cinque direzioni fondamentali della “nuova” stilistica letteraria erano: la scuola russa di stampo formalista-Jakobsoniano, lo strutturalismo francese, la scuola britannica influenzata da Firth, la

3 Per il concetto di mid-range reading, Alison Booth, Mid-range reading: not a Manifesto, in “PMLA”

132.3, pp. 620-627.

4 Katie Wales, Stylistics, in Keith Brown, Encyclopedia of Language and Linguistics, Oxford, Elsevier,

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scuola americana influenzata dal New Criticism e da Bloomfield e la scuola “continentale” influenzata da Spitzer5. E proprio quest’ultimo, ancorché alcuni aspetti del

suo lavoro vengano criticati – ad es. l’aspetto psicologico – trova ampio consenso, essendo spesso considerato “il padre della New Stylistics”6 in particolare per l’approccio

che prevede di partire da un’ipotesi critica per poi attuare un’analisi oggettiva utilizzando specifiche griglie interpretative.

Utilizzare metodi coerenti e oggettivi da applicare alla critica letteraria: è proprio a partire da tale proposito che prende le mosse il rinnovamento della stilistica come disciplina. Verso la metà del secolo scorso, anche sulla scorta dell’entusiasmo delle prime applicazioni delle analisi elettroniche del linguaggio, si afferma l’esigenza di ancorare l’analisi e la critica letteraria a una dimensione più “scientifica”, più “oggettiva”, tramite l’adozione di metodologie e approcci mirati, allo scopo di conferire un nuovo e più attuale senso di “credibilità” e “scientificità” a una disciplina che, da sempre, si era basata eminentemente (e orgogliosamente) sulla “intuizione” e sul “gusto” del singolo studioso. All’inizio degli anni ’80 Stanley Fish descriveva tale ricerca di “oggettività” nei seguenti termini:

Stylistics was born of a reaction to the subjectivity and imprecision of literary studies. For the appreciative raptures of the impressionistic critic, stylisticians purport to substitute precise and rigorous linguistic descriptions and to proceed from these descriptions to interpretations for which they can claim a measure of objectivity. Stylistics, in short, is an attempt to put criticism on a scientific basis7.

Già prima di Fish, Louis Milic aveva sottolineato come l’utilizzo di un metodo quantitativo applicato alla stilistica non fosse altro che un modo per ovviare all’inevitabile soggettività della critica letteraria e alla difficoltà del lettore nell’individuare le caratteristiche più sottili dello stile di un dato autore8.

Nonostante i tentativi di rinnovarla su basi “oggettive” e dotarla di metodi formali propri, la stilistica, al confine con discipline quali la linguistica e la critica letteraria, forti

5 Seymour Chatman, S., Literary Style: A Symposium, Oxford, Oxford University Press, 1972, p. IX. 6 David Lodge, The Language of Fiction, London and New York, Routledge and Kegan Paul, 1966, p. 56. 7 Stanley Fish, What is Stylistics and Why Are They Saying Such Terrible Things About It?, in Fish S., Is

There a Text in This Class? The Authority of Interpretive Communities, Cambridge, Massachusetts,

Harvard University Press, 1966, pp. 69-70.

8 Louis Tonko Milic, A Quantitative approach to the style of Jonathan Swift, The Hague, Paris, Mouton &

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di tradizioni e metodologie lungamente affermate e consolidate, è potuta apparire – nelle parole di R.D. Cureton – una disciplina relativamente negletta, ma con buone possibilità di ripresa: “At present, relations between stylistics and its neighbouring disciplines are tentative at best. To most linguists, stylistics is a peripheral sort of applied analysis; to most literary critics, it is a laborious dwelling on irrelevances9.

La stilistica letteraria contemporanea parte dal presupposto che ogni testo sia caratterizzato da peculiarità e specificità, che possono variare anche da un testo all’altro dello stesso autore10, le quali si manifestano essenzialmente e primariamente attraverso il linguaggio: lo stile è infatti “distintivo” in quanto riflette peculiarità linguistiche, a loro volta espresse attraverso i diversi registri e generi11. In quanto studio di opere letterarie praticato con strumenti e metodi presi a prestito dalla linguistica, essa – come nota Short12 – si configura necessariamente come “interfaccia” tra linguistica e critica letteraria, una sorta di ponte di collegamento tra le due discipline.

Eppure ciò, dalla prospettiva disciplinare specifica dei più consolidati ambiti attigui della linguistica e degli studi letterari, è spesso stato visto come un punto debole della stilistica, ovvero il suo carattere in un certo qual modo “ibrido”, è oggi rivendicato dai suoi rappresentanti, sull’onda del crescente apprezzamento per gli approcci transdisciplinari, come un punto di forza e di originalità di questo ambito di studi, considerato in grado – come recita il titolo di un recente contributo di M. Mahlberg – di “colmare il divario tra linguistica e studi letterari” 13,

Considerata da un lato – soprattutto nelle vesti di strumento della critica letteraria più tradizionale – impressionistica ed eccessivamente soggettiva, dall’altro – in particolare nelle ipostasi formaliste di più chiaro impianto linguistico – eccessivamente meccanica e riduttiva, la stilistica resta quindi, come oggi orgogliosamente si reclama, una disciplina “di confine”, fortemente legata nella prassi e nelle premesse metodologiche alla linguistica. Proprio questo suo legame intrinseco con la linguistica ha fatto sì che

9 Richard D. Cureton, Linguistics and Literature: Stylistic, in William J. Frawley, International

Encyclopedia of Linguistics, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 470-471.

10 Geoffrey M. Leech, Mick Short, Style in Fiction. A Linguistic Introduction to English Fictional Prose,

London, Longman, 1981, p. 74.

11 K. Wales, A dictionary of Stylistics, Harlow, Longman, 2001, p. 372.

12 M. Short, Exploring the language of poems, plays and prose, London, Longman, 1996, p. 1.

13 Michaela Mahlberg, Corpus Stylistics: bridging the gap between linguistic and literary studies, in Hoey,

M., Mahlberg, Michael Stubbs, Wolfgang Teubert, Text, Discourse and Corpora. Theory and Analysis, London, Continuum, 2007, p. 222.

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l’avvento dei corpora e lo sviluppo della Corpus Linguistics avessero un forte impatto anche sulla stilistica, orientandola verso nuovi orizzonti.

1.2. L’avvento del corpus

È stato inizialmente con il nuovo approccio di Noam Chomsky allo studio del linguaggio che Corpus Linguistics e Corpus Stylistics hanno iniziato a svilupparsi: la “rivoluzione” chomskiana è stata l’input per la fondazione dell’analisi basata su corpora, un nuovo metodo che offriva agli studiosi nuove e ampie prospettive grazie all’utilizzo della tecnologia14.

1.2.1. Il corpus

Nel senso proprio originale, di ambito bibliografico, il termine corpus indica fin dall’antichità una raccolta strutturata ed esaustiva dei testi attribuiti a uno o più autori (es. Corpus Hermeticum, Corpus Hippocraticum) ovvero intorno a determinati argomenti o materie (es. Corpus Iuris Civilis). Nel senso più recente e proprio di discipline quali la linguistica (e la stilistica), un corpus è una raccolta di testi rappresentativi di una o più lingue, ovvero di una o più varianti di una o più lingue, oggi in genere disponibile e consultabile in formato elettronico, strutturata e organizzata in modo tale da poter essere impiegata, oggi prevalentemente tramite l’uso di specifici software di interrogazione, come base documentaria di analisi statistiche e test di verifica di ipotesi. In tale senso, l’uso di corpora come oggetto e strumento di ricerca è focalizzato primariamente non più sul contenuto dei testi raccolti (che diventa uno dei vari parametri di selezione e organizzazione), come è invece proprio del tradizionale corpus bibliografico, bensì sulla loro forma, in primo luogo sulla lingua, connotandosi decisamente come corpus linguistico.

Quando si parla di corpora, infatti, si intendono oggi implicitamente i corpora linguistici, sempre più numerosi e sempre più specializzati. Ma è importante sottolineare che è in crescita anche il numero di corpora che si connotano specificamente come letterari, raccogliendo le opere di un determinato autore o quelli di un gruppo di autori

14 Alessandro Lenci, Simonetta Montemagni, Vito Pirrelli, Testo e computer. Elementi di linguistica

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coevi allo scopo non solo di praticare analisi di tipo prettamente linguistico ma anche di discernere in essi “tendencies, intertextual relationships, or reflection of social and cultural contexts […]”15. Da un punto di vista stilistico, un corpus può essere definito

come una serie di “collections of computer-readable texts which often have several million words. For example, works of a specific author or of groups of authors can be compared statistically with texts by other authors which offer the possibility of isolating authorial ‘fingerprints’16.

Cosa contraddistingue quindi un corpus letterario contemporaneo dal corpus bibliografico tradizionale o da un semplice archivio di testi? Il fatto che il corpus letterario – come quello linguistico – è reso interrogabile da strumenti elettronici tramite “annotazione” (“annotare” un corpus significa codificarne gli elementi componenti, primariamente linguistici ma non solo) con specifiche “etichette” (tag) e secondo specifici criteri allo scopo di ricavare specifiche informazioni. Da un corpus annotato, ad es., è possibile ricavare in modo automatico concordanze, liste di frequenze, parole chiave, ma anche analisi più complesse di contesti sintattici e semantici, tesauri sinonimici ecc.

Un corpus, linguistico o letterario, non è quindi la semplice “somma” dei testi che lo compongono, e, a differenza del testo, il corpus non è fatto per essere “letto” in senso tradizionale, ma per essere analizzato e interrogato, per ragioni molteplici e in modi diversi. Nelle parole di E. Tognini Bonelli, mentre il testo è generalmente letto in modo “orizzontale” il corpus è predisposto per una lettura “verticale”; in questo senso – in riferimento ai noti concetti saussuriani – il testo è un fatto di parole, mentre il corpus è orientato alla langue17.

1.2.2. Linguistica dei corpora

15 Mahlberg, Corpus Stylistics, cit. p. 222.

16 Anonymous, Language and Literature. A Corpus Stylistic Approach to Charles Dickens, Munich, GRIN

Verlag, http://www.grin.com/en/ebook/213427, 2010, p. 2; l’autore osserva anche che “this method has

been under-used by many styliticians”.

17 Elena Tognini Bonelli, Theoretical overview of the evolution of Corpus Linguistics, in The Routledge

Handbook of Corpus Linguistics, a cura di Anne O’ Keffe e Michael McCarthy, Londra e New York,

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La linguistica dei corpora si presta ai più svariati utilizzi, in particolare allo studio del linguaggio e delle sue declinazioni in ambiti specifici (ad es. il linguaggio giuridico, medico, letterario ecc.) in virtù del fatto che l’analisi quantitativa studia in particolare la sintassi e il lessico di concreti atti comunicativi (scritti o orali) per identificare pattern d’uso. In altre parole, essa è generalmente definibile come “the empirical study of language relying on computer-assisted techniques to analyse large, principled databases of naturally occurring language”18. Più in dettaglio, la linguistica dei corpora

[…] is a research approach that facilitates empirical descriptions of language use. Corpus Linguistics research is based on analyses of a ‘corpus’: a large and principled collection of texts stored on a computer. A corpus provides the best way to represent a textual domain, and corpus analysis is the most powerful empirical approach for analising the patterns of language use in that domain19.

In quanto tale, essa opera con “some set of machine-readable texts which is deemed an appropriate basis on which to study a specific set of research questions”20. Uno strumento “empirico”, dunque, estremamente potente, che però i linguisti “teorici” hanno non di rado tacciato vuoi di sterilità o di inutilità. Noam Chomsky, ad es., in un’intervista, ha paragonato la linguistica dei corpora alla “collezione di farfalle”21. L’intervistatore B. Aarts, pur con alcune riflessioni critiche sullo statuto dei dati ottenibili dai corpora, opponeva giustamente a tale approccio riduttivo e caricaturale la rilevanza che la linguistica dei corpora ha come metodologia applicabile a diversi ambiti dello studio del linguaggio22. La linguistica dei corpora, dunque, invece di rappresentare una finalità in sé

stessa, come considerano molti studiosi, rappresenta piuttosto un mezzo, una metodologia empirica applicabile allo studio del linguaggio. In quanto tale, essa presenta numerosi vantaggi23:

18 Susan Conrad, Will Corpus Linguistics Revolutionize Grammar Teaching in the 21st Century?, in

“TESOL Quarterly”, 34(3), 2000, pp. 548-50

19 Douglas Biber, Corpus Linguistics and the study of literature. Back to the future?, Amsterdam, John

Benjamins Publishing Company, 2011, p. 16.

20 Tony McEnery, Andrew Wilson, Corpus Linguistics. Cambridge, Cambridge University Press, 2012,

p.1.

21 Bas Aarts, Corpus Linguistics, Chomsky and Fuzzy Tree Fragments, in W. Teubert e R. Khrisnamurthy,

Corpus Linguistics and linguistic theory, London, Routledge, 2007, p. 6-7.

22 Ibidem, p. 8.

23 Yufang Ho, Corpus Stylistics in Principles and Practice. A Stylistic Exploration of John Fowles’ The

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- i corpora elettronici possono essere processati, manipolati e interrogati in modo rapido ed efficiente e, se utilizzati in maniera corretta, forniscono risultati molto accurati;

- le tecniche della linguistica dei corpora sono un valido strumento di precisione che permette agli studiosi di identificare e dunque analizzare caratteristiche di un testo che non sarebbe possibile evidenziare con un’analisi intuitiva e analogica, per quanto approfondita: solo grazie allo studio e all’organizzazione di grandi quantità di dati è effettivamente possibile rilevare certi pattern linguistici;

- grazie allo studio di grandi quantità di dati e al successivo studio delle evidenze linguistiche prodotte, l’approccio analitico della linguistica dei corpora riesce (nei limiti del possibile) a evitare che lo studioso impegnato nell’analisi cada nel preconcetto personale, rendendo in questo modo l’analisi più affidabile;

- i corpora elettronici non sono “finiti” e non hanno limiti prestabiliti e precisi: possono essere rimaneggiati, arricchiti e utilizzati per nuove ricerche.

In questa visione della linguistica dei corpora il fattore chiave pare essere l’innovazione tecnologica in ambiti quali l’informatica o le tecnologie dell’informazione piuttosto che le diverse evoluzioni teoriche della linguistica stessa: è l’avanzamento tecnologico che offre alla disciplina le proprie potenzialità. Come mezzo e non come fine, la linguistica dei corpora è dunque uno strumento versatile e potente, che consente di praticare analisi di ampio respiro e ottenere risultati rilevanti per svariati ambiti di indagine, che vanno dalla didattica delle lingue alla discourse analysis, dall’analisi di linguaggi settoriali alla sociolinguistica e alla pragmatica ecc., nonché – come si vedrà – della stilistica letteraria.

1.2.3. Stilistica dei corpora

A metà strada tra la letteratura e la linguistica dei corpora si colloca la Corpus Stylistics, ovvero la stilistica dei corpora, conseguenza naturale e ovvia della già ricordata e ormai annosa volontà degli specialisti di letteratura di aggiungere una dimensione “oggettiva” e “scientifica” all’analisi letteraria in generale e in particolare allo studio dello stile. In linea con l’orientamento della linguistica verso metodi quantitativi, anche la stilistica, nella misura in cui opera primariamente tramite l’analisi di fenomeni linguistici,

(18)

ha adottato i metodi della linguistica dei corpora, aprendosi a percorsi di ricerca impossibili o estremamente laboriosi da praticare con metodi “analogici”, ad es. lo studio dell’intero lessico di una certa opera di un certo autore rispetto a quello di opere e autori coevi ovvero rispetto all’opera integrale del medesimo autore, in prospettiva tanto sincronica quanto diacronica, particolarmente importante per gli studi di studi di authorship attribution, ecc.

Secondo Michaela Mahlberg, uno degli alfieri della contemporanea stilistica dei corpora, l’analisi ad es. di un romanzo inizia dallo stilare una lista di parole-chiave24. Nel

suo lavoro di analisi su Orgoglio e pregiudizio, Mahlberg e C. Smith hanno estratto le parole-chiave del romanzo di Jane Austen e le hanno confrontate con le parole-chiave ottenute interrogando un corpus di romanzi scritti nella stessa epoca, con l’obiettivo di aggiungere un plus di oggettività alla critica letteraria applicata all’opera di Jane Austen, lasciandosi alle spalle il metodo puramente intuitivo per appoggiarsi invece ad analisi linguistiche su base scientifica.

Tuttavia, così come in linguistica l’analisi quantitativa è un metodo e non un fine, dovendo sempre essere integrata con le competenze ermenutiche del linguista, così anche nella stilistica dei corpora non è possibile prescindere completamente dalle competenze interpretative dello studioso di letteratura. In un altro studio, la stessa Mahlberg sottolinea l’importanza per gli studi letterari di combinare l’analisi quantitativa con quella qualitativa25. La prima rappresenta sicuramente un valido strumento e un approccio innovativo, il quale, per essere efficace, non può essere però praticato in totale autonomia rispetto alla seconda: non è (ancora?) possibile produrre un’analisi di un testo letterario sostenibile senza integrare i dati digitali, ovvero la lettura “verticale” del corpus, con quelli “analogici”, ovvero con la lettura “orizzontale” del testo (esula quindi da questo ambito il distant reading in senso proprio, che per sua natura esclude la lettura orizzontale dei testi). La stilistica dei corpora, dunque, è l’analisi di testi letterari che si avvale dei metodi e degli strumenti di indagine del testo sviluppati nell’ambito della linguistica dei

24 M. Mahlberg, Corpus Linguistics and the Study of Nineteenth-Century Fiction in “Journal of Victorian

Culture”, Vol. 15, No. 2, 2010, pp- 292-298.

25 M. Mahlberg, Dan McIntyre, A case for Corpus Stylistics, Ian Fleming’s Casino Royale, in “English Text

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corpora. Secondo Wynne, si tratta di una “[…] stylistics enquiry into literary language”26,

e, di nuovo secondo Mahlberg, “[…] a way of bringing the study of language and literature closer together”27.

Laddove entrambe le componenti, “analogica” e “digitale”, “qualitativa” e “quantitativa”, “uomo” e “macchina”, sono necessariamente presenti, è naturale porsi il problema del contributo di ciascuna al risultato finale. A tale proposito, a riguardo del proprio lavoro di analisi sul romanzo Cuore di tenebra di Conrad, M. Stubbs afferma a chiare lettere: “I am claiming not that quantitative corpus methods produce entirely new insights into the text, but that they describe more accurately the range of lexico-grammatical patterns which Conrad uses28.

Secondo Stubbs, infatti, se certamente può portare alla luce strutture e caratteristiche di un testo che sarebbero altrimenti impossibili da rilevare, l’analisi digitale ha però innanzitutto il pregio di documentare in modo oggettivo le intuizioni pregresse dei ricercatori, ovvero di fungere da strumento per effettuare dei test di verifica di ipotesi, e rappresenta il valore aggiunto dello studio che utilizza i metodi quantitativi oltre a quelli qualitativi. Un elemento di “oggettività” a supporto di intuizioni inevitabilmente (e felicemente!) “soggettive”: “[…] the aim is to say systematically and explicitly what something is: and that is where empirical, observational analysis can contribute. It is not possible (or desirable) to avoid subjectivity, but observational data can provide more systematic evidence for unavoidable subjective interpretation29.

Dello stesso avviso è anche R. Carter, il quale sottolinea come, in un lavoro di critica letteraria basato sull’analisi quantitativa, non sia auspicabile trascurare l’analisi qualitativa e intuitiva:

[C]orpus stylistics analysis is an essentially quantitative procedure and involves an assessment of significance drawn statistically from a corpus informed count. The actual application of Corpus Stylistics to texts necessarily involves … qualitative decisions and interpretive acts made by the analyst in the light of and to some degree in advance of the results from the assembled data-bank.

26 Martin Wynne, Stylistics: Corpus Approaches, in K. Brown, Encyclopedia of Language and Linguistics,

Oxford, Elsevier, 2006, p. 224.

27 Mahlberg, Corpus Stylistics, cit., p. 219.

28 M. Stubbs, Conrad in the computer: examples of quantitative stylistic methods. Language and Literature,

in “Language and Literature: International Journal of Stylistics”, 14(1), 2005, p. 19.

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Corpus stylistic analysis is a relatively objective methodological procedure that at its best is guided by a relatively subjective process of interpretation30.

Anche in questo caso, come per la linguistica, è possibile affermare che la stilistica dei corpora non è un fine, ma un mezzo, non una teoria, ma un complesso di approcci empirici, applicati a diversi ambiti d’indagine, il cui comune denominatore consta nell’utilizzo di strumenti digitali. Nelle parole di Leslie Moss,

Corpus Stylistics is not a theory but rather a methodology which is capable of different applications. In fact, it would be truer to say that Corpus Stylistics involves a number of different methodologies, linked through the use of computers and quantitative analysis but quite diverse both in their practice, aims and results31.

2. Close reading, la letteratura vista da vicino: il cartografo

L’approccio classico alla critica letteraria è definibile con il sintagma già precedentemente incontrato “close reading”, lettura “da vicino” o “ravvicinata”. Tale pratica interpretativa si afferma in ambito britannico negli anni Venti del Novecento, con I.A. Richards, quale tentativo di rimpiazzare le osservazioni impressionistiche della “critica del gusto” con giudizi fondati su dati concreti dell’opera quali forma e linguaggio, ma assurge a metodologia con valore programmatico di affermazione dell’autonomia fondamentale del testo rispetto a ogni considerazione di natura intertestuale e extratestuale (in particolare la biografia e persino le possibili intenzioni dell’autore, ma anche il contesto culturale di produzione e di ricezione) negli USA degli anni Trenta e Quaranta, rappresentando “il sine qua non del New Criticism”32. Ormai istituzionalizzato,

nei decenni successivi il close reading si converte però in molti casi, in particolare in ambito didattico, in uno strumento rutinario “di comodo” tanto per i docenti quanto per gli studenti di letteratura33.

30 Ronald Carter, Methodologies for Stylistic Analysis: Practices and Pedagogies, in D. McIntyre, B. Busse,

Language and Style, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2010, pp. 66-67.

31 Lesley Moss, Corpus Stylistics and Henry James’ Syntax, tesi di dottorato sostenuta presso Department

of English Language and Literature, UCL, 2014, p.30.

32 Matt Erlyn, Lynne Tatlock, Distant readings. Topologies of German culture in the long Nineteenth

century, New York, Rochester, Camden House, 2014, p. 8.

33 Gerald Graff, Professing Literature: An Institutional History (1987), Twentieth Anniversary Edition,

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Come pratica del testo, il close reading precede una lettura puntuale e analitica del testo in ogni sua parte, escludendo (o tentando di escludere) qualsiasi informazione proveniente dall’esterno (e dunque prendendo in considerazione solamente le informazioni intrinseche al testo letterario preso in esame34) e prestando particolare

attenzione a strutture linguistiche e formali, a motivi, temi ecc. Quando si parla di close reading si intende un rapporto uno a uno tra critico e testo in esame, e, per ovvie ragioni, l’analisi che ne deriva è di tipo qualitativo. Qualità e non quantità, dunque. Il critico deve pertanto fare esperienza diretta di ogni brano, arrivando ad analizzare ogni dettaglio formale, stilistico, lessicale, semantico del testo che ha di fronte, che potrà essere un componimento in versi, un brano tratto da uno scritto di una certa lunghezza, una novella. L’idea è quella di trovare il focus del testo. Dati i naturali limiti umani, non sarà possibile prendere in esame un gran numero di testi nel loro complesso. Si tratta di un approccio che, per sua natura, prende in esame porzioni brevi di testo una alla volta e dà gran risalto ai dettagli in esso contenuti, alle singole parole, alle idee espresse dall’autore. È anche un tipo di lettura che segue un ordine cronologico e rispetta l’ordine delle pagine, l’analisi segue lo svolgersi della narrazione.

Per utilizzare una metafora, il lavoro di chi fa analisi della letteratura da vicino (CR) può essere paragonato al lavoro di un cartografo ottocentesco che si occupa di esplorare a piedi il territorio per poterlo mappare.

3. Distant reading, la letteratura vista da lontano: il satellite

Negli ultimi decenni, però, l’attenzione sempre più ineludibile al contesto di produzione e di fruizione dell’opera letteraria e la necessità di sperimentare nuovi metodi per ridare linfa non solo alla critica letteraria ma agli studi umanistici in generale hanno aperto nuove direzioni d’indagine, e l’avvento delle nuove tecnologie non ha fatto che ampliare enormemente gli orizzonti di ricerca ed espandere le possibilità di applicazioni transdisciplinari. La critica letteraria, in particolare, sposta il suo focus sul testo nella lettura ravvicinata a porzioni sempre più ampie del testo, del fenomeno letterario e della società nel suo complesso.

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In questo contesto, la focalizzazione estrema del close reading “does not adequately answer questions about the production and circulation of books, taste formation, or even necessarily about the relative position of texts in the literary field”35. A queste domande

si propone di dare risposta, invece, una visione “da lontano”, che non si concentri più sui micro-fenomeni interni al singolo testo, ma sui macro-fenomeni, sulla paraletteratura, su tutto quello che ha a che fare con la circolazione del libro anche come bene materiale, dalla produzione alla circolazione. Dall’approccio qualitativo del close reading si passa a un approccio quantitativo, basato su milioni e miliardi di testi digitalizzati e non sui dati del testo ma sui suoi metadati.

L’utilizzo del sintagma “distant reading” applicato a questo tipo di approccio è legato al nome di Franco Moretti, che nel suo saggio del 2000 Conjectures on world literature ha messo in risalto i fallimenti della letteratura comparata praticata con i metodi “tradizionali”36. Secondo Moretti, infatti, la sfida posta dalla lettura di una quantità

enorme di romanzi e testi è diventata ormai semplicemente insormontabile, e nessuno studioso è in grado di farvi fronte in modo accettabile. La comprensione del fenomeno letterario, secondo il critico, non può più passare solo attraverso il semplice aumento delle letture: piuttosto, è necessario introdurre nuovi metodi e nuovi oggetti di studio. Il concetto che sta alla base del distant reading non è certo nuovo, e ha come predecessori i cataloghi delle biblioteche, i dizionari di titoli, i registri della censura ecc. Quel che c’è in essa di fondamentalmente nuovo è l’utilizzo della tecnologia e la possibilità di lavorare su centinaia di migliaia di opere, che porta a una diversa dimensione epistemologica dello studio della letteratura.

Distant reading significa dunque allontanarsi, perdere di vista il particolare e dedicarsi invece a movimenti più grandi, impossibili da studiare con l’analisi ravvicinata, senza però perdere di credibilità, perché “la distanza non è […] un ostacolo alla conoscenza, bensì una sua forma specifica. La distanza fa vedere meno dettagli, vero: ma fa capire meglio i rapporti, i pattern, le forme”37. E ancora, Moretti parla di un “processo

di deliberata riduzione e astrazione – insomma: un allontanamento – rispetto al testo nella sua concretezza”38. Si tratta di un cambiamento di paradigma: l’occhio dello studioso va

35 Erlyn, Distant reading, cit., p. 9. 36 in “New Left Review”, I, 2000.

37 Franco Moretti, La letteratura vista da lontano, Torino, Einaudi, 2005, p. 3. 38 Ibidem, p. 3.

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dal particolare al generale per iniziare a trovare un ordine macroscopico. Il distant reading rende palesi dati che, a una lettura individuale e analogica, per quanto attenta, non potrebbero essere colti.

Quali sono dunque gli oggetti di studio di questa letteratura da lontano? Appare chiaro che il critico che si approccia alla letteratura in quest’ottica non lavorerà più con l’oggetto fisico “libro” né con il singolo testo, quale che sia il suo formato. Non sarà impegnato a leggere “orizzontalmente” un testo alla volta per analizzarlo in dettaglio, ma sposterà la sua attenzione al piano complessivo, ovvero praticherà la lettura “verticale” caratteristica del corpus, utilizzando appunto corpora, concordanze, tavole di frequenza, liste, classificazioni, collocazioni, ma anche geolocalizzazioni, taggature semantiche ecc.

I desiderata del distant reading, così come condensati da Erlin e Tatlock nel programmatico Distant readings, sono

to shift the focus of interpretation away from an exhaustive explication of individual works and towards a reconsideration of broader categories and larger corpora in order to pose questions about the functioning of the literary fields as a whole (reception, circulation, influence)39.

e

to recast, even to depersonalize, the encounter between scholar and text, specifically by adopting and adapting the quantitative methods and computationally assisted analytical techniques of disciplines such as statistics, computational science, and the quantitative social sciences40.

Si tratta insomma di rivedere radicalmente le priorità di ricerca nel campo degli studi letterari e il ruolo stesso dello studioso: da un lato, spostare il focus su quello che Margaret Cohen ha chiamato “the great unread”41, ciò che, con gli strumenti analogici precedenti sarebbe stato inevitabilmente destinato a finire nell’oblio e sparire per sempre e che oggi, con l’avvento dell’era digitale, può farsi oggetto di studio. Dall’altro, sostituire il ruolo fortemente personalizzato di interprete e mediatore del testo tradizionalmente attribuito allo studioso di letteratura con quello, più impersonale e – ancora una volta – “oggettivo” di analista di un fenomeno. Per riprendere il filone della metafora del cartografo, il lavoro di chi fa analisi della letteratura da lontano (DR) è paragonabile

39 Ibid., pp. 3-4. 40 Ibid., p. 4.

(24)

invece all’attività di un satellite che riesce a cogliere i grandi fenomeni che da vicino perdono di coesione.

4. Una lettura “a metà strada”: il drone

“Da vicino” e “da lontano” sono dunque due visioni della letteratura e due prospettive sul testo destinate a restare inesorabilmente agli antipodi e/o a scalzarsi a vicenda? Probabilmente no, perché close e distant reading sono in realtà due facce della stessa medaglia, operano in ambiti e con metodi sostanzialmente diversi, e l’uno non esclude l’altro. È possibile un metodo di lettura a metà tra il distant e il close reading e che potrebbe essere paragonato allo zoom di una fotocamera: “leggere” un testo passando dal distant al close reading per poi tornare indietro ogni volta che l’occasione lo richiede. Si tratta di applicare come metodo questo passaggio dal micro al macro e viceversa, per potersi occupare allo stesso tempo di analisi di generi e tendenze così come di analisi di brani nel dettaglio. Il distant reading può dunque effettivamente rappresentare un valido alleato anche per chi ha un approccio più tradizionale allo studio del testo letterario, in grado di espandere le prospettive e fornire un contesto più ampio agli studi “da vicino”.

Un’altra via per mediare tra “lontano” e “vicino”, alternativa allo “scalare” dall’uno all’altro e viceversa, è collocare la lettura programmaticamente a media distanza, praticando quello che è stato chiamato mid-distance reading. Una lettura “a media distanza” si colloca rispetto al testo non tanto lontano da perderne completamente di vista i dettagli e da nullificare la possibilità di intervento ermeneutico dello studioso-interprete propria della lettura ravvicinata ma nemmeno tanto vicino da non vederlo nella sua interezza e rendere inefficace l’impiego di strumenti automatici di estrazione dei dati specifici dell’approccio a distanza. Si tratta di una modalità di lettura applicabile a corpora letterari di dimensioni contenute e dai contorni ben definiti: non il magma indifferenziato preso in esame dal distant reading, né la frammentazione intratestuale congeniale al close reading, bensì un corpus “[…] still small enough for our individual reading competences, but also big enough so that statistical analyses are possible and meaningful”42.

(25)

Il presente lavoro di analisi ha l’obiettivo di inserirsi all’interno del filone di ricerca che si occupa dello studio del testo letterario con metodi digitali nello spirito di una lettura – appunto – “a media distanza”, in quanto ritenuta appropriata al caso qui discusso: il corpus poetico blaghiano, che, come vedremo nei capitoli seguenti, è costituito di 471 testi per un totale di 43019 token. Un corpus di dimensioni contenute, per cui l’intervento dell’interprete è ancora rilevante, ma abbastanza esteso da consentire di praticare analisi quantitative in grado di rilevare macro-fenomeni significativi (soprattutto a livello diacronico).

Se diamo credito all’affermazione di Marshall McLuhan secondo il quale “il medium è il messaggio”43, lo strumento utilizzato per condurre un’analisi ci dice già di

per sé qualcosa di importante sulle premesse a priori che il ricercatore si pone. Se ne deduce inoltre che un’analisi della letteratura a distanza (DR) non può esistere in quanto tale in forma pura: anche l’analisi digitale, infatti, alle attuali condizioni, non può attuarsi senza l’input iniziale del ragionamento umano. Il ricercatore sceglie già a priori in quali direzioni orientare le proprie query, e di fatto i risultati che riesce o meno a ottenere grazie all’ausilio delle proprie estensioni digitali sono espressione di una sua precedente intuizione, che sta di fatto alla base di tutta la ricerca. Proprio in questa prospettiva, e avendo già delle domande a cui cercare una risposta, ci si è orientati nella scelta di un approccio che tenesse conto sia dello studio “a distanza” e che potesse fornire indicazioni, tendenze e informazioni che difficilmente si riescono a cogliere osservando i testi con la lente d’ingrandimento, ma che al contempo offrisse la possibilità di utilizzare lo zoom: una volta individuata la tendenza generale, infatti, era nel nostro interesse avvicinarci quanto più possibile a livello di micro-testo e osservare l’applicazione a livello testuale di suddetta tendenza.

Scrive il fisico Carlo Rovelli:

In alta montagna guardiamo una valle coperta di nuvole bianche. La superficie delle nuvole riluce candida. Ci incamminiamo verso valle. L’aria si fa più umida, poi velata, il cielo non è più azzurro, ci ritroviamo in una rada nebbia. Dov’è andata la netta superficie delle nubi? Sparita. Il passaggio è graduale, non c’è alcuna superficie che separi la nebbia dall’aria tersa delle altezze. Era illusione? No, era visione da lontano44.

43 McLuhan, Understanding, cit. p. 7.

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L’approccio dello studioso descrive bene quello utilizzato per la presente analisi. Come l’escursionista che comincia a salire in montagna possedendo una certa idea del panorama che lo circonda, così si è partiti da alcune domande alle quali cercare una risposta allontanandoci dai singoli testi, ovvero salendo sulla montagna. Dalla cima il paesaggio si rivela nella sua interezza, ma è necessario, dopo essersi fatti un’idea della geografia locale vista dall’alto, tornare a valle per potersi recare in quei luoghi di cui dall’alto ci si è fatti un’idea: la mappa non è il territorio.

Per tornare alle già utilizzate metafore del cartografo e del satellite, c’è infine un terzo livello, che è quello rappresentato dal drone. Il drone (che, è bene notarlo, non può agire da solo ma deve necessariamente essere manovrato da un essere umano!) può sorvolare il territorio e osservarlo dall’alto, cogliendo macro-fenomeni che il cartografo non ha modo di cogliere, ma può anche scegliere di avvicinarsi al terreno, sorvolandolo a vari livelli di altezza, e cogliendo dettagli minimi che risulterebbero del tutto invisibili alla visione satellitare da grandi altezze.

D’altra parte, è l’insieme dei piccoli fenomeni a determinare la geografia generale di un paesaggio o di una situazione, come scrive anche Franco Moretti: “[…] è così che lavora la forma: con procedimenti che sono spesso microscopici, e riescono a produrre piacere senza che sappiamo davvero cosa stia succedendo”45. Proprio per preservare quel piacere

di cui parla Moretti si è privilegiata la modalità di analisi da vicino, ovvero il racconto, per dirla con il filosofo sud-coreano Byung-Chul Han, che afferma “la parola ‘digitale’ rimanda al dito (digitus), che – soprattutto – conta. La cultura digitale si basa sul dito che conta: la storia, invece, è un racconto”46.

Dunque, la presente analisi, seppur virando maggiormente verso il micro, anche a causa della natura intrinseca e delle dimensioni del corpus di riferimento, si basa essenzialmente sul costante tentativo di abbinare l’interpretazione “analogica”, quella del close reading, il “racconto”, alla misurazione dei valori statistici, ovvero alla dimensione della “conta” propria del distant reading. Pur rimanendo circoscritta all’interno del corpus poetico blaghiano e delle metodologie della critica tradizionale, l’analisi rivolgerà il proprio sguardo a una dimensione di eccezionalità, e a ogni misurazione tecnica seguirà

45 F. Moretti, Un paese lontano. Cinque lezioni sulla cultura americana, Torino, Einaudi, 2019, p. 37. 46 Byung-Chul Han, Nello sciame. Visioni del digitale, Bologna, Nottetempo, 2015, p. 51.

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un’interpretazione umana, considerata necessaria in quanto, sempre utilizzando le parole di Han:

Il sapere non è semplicemente dato: non si trova facilmente quanto l’informazione. Spesso, il sapere è preceduto da una lunga esperienza: esso possiede tutt’altra temporalità rispetto all’informazione, che è estremamente breve e fugace. L’informazione è esplicita, mentre il sapere assume una forma implicita47.

5. Strumenti della stilistica dei corpora: Sketch Engine e le sue criticità

La stilistica dei corpora si avvale di strumenti digitali mirati all’analisi linguistica automatica dei testi, le cui funzionalità essenziali sono, sotto diverse forme: la creazione di concordanze e di liste di frequenze di parole, l’estrazione di parole-chiave, la visualizzazione e possibilmente la comparazione di contesti d’uso. Tra i più noti, possiamo ricordare WMatrix, un software sviluppato nel 2009 da Paul Rayson della Lancaster University, il quale permette di stilare liste di parole-chiave, effettuare analisi e paragoni su corpora, creare concordanze ecc., oppure il popolarissimo WordSmith Tools, sviluppato da Mike Scott della University of Liverpool nell’ormai lontano 1996, spesso citato e utilizzato da coloro che praticano la stilistica dei corpora.

In seguito a una attenta valutazione degli strumenti digitali disponibili e che offrono funzioni simili, la preferenza è andata a Skecth Engine (https://www.sketchengine.eu/), software e corpus manager sviluppato da Lexical Computing Limited a partire dal 2003 e usato nella presente ricerca (v. Cap. 2 per ulteriori dettagli), oggi tra gli strumenti più conosciuti e utilizzati in studi sui corpora. Ad esempio, oltre a offrire funzionalità classiche come la creazione di concordanze e liste di parole, tra le sue particolarità SE offre le funzioni “Word sketch” e “Word sketch difference”, le quali producono, sotto forma di elenchi organizzati di combinazioni, il profilo collocazionale di forme o lemmi e ne consentono la comparazione. Qui sotto un esempio di “Word sketch”, basato sul corpus di lingua romena Romanian Web 2016 (roTenTen16) integrato in SE, del lemma adânc ‘profondo’ in posizione di attributo di sostantivo, nella

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modalità di visualizzazione lista (Fig. 1.a) e in quella grafica (Fig. 1.b), il quale illustra quali siano i sostantivi con cui questo lemma appare più frequentemente in combinazione:

Fig. 1.a

Fig. 1.b

E un esempio di “Word sketch difference”, basato sul medesimo corpus, dei lemmi

adânc ‘profondo’ e profund ‘idem’, sempre nella sola posizione di attributo di sostantivo,

in modalità lista (Fig. 2.a) e grafica (Fig. 2.b), il quale mostra i diversi contesti collocazionali dei due sinonimi:

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Fig. 2.a

Fig. 2.b

Sketch Engine spicca per il buon equilibrio tra potenza, flessibilità e accessibilità dell’interfaccia, e nonostante le ancora numerose criticità di utilizzo per indagini sulla lingua romena (v. sotto) si è rivelato lo strumento migliore tra quelli disponibili, in quanto altri programmi che supportano il romeno presentavano problematiche ancora maggiori. Pur essendo una delle lingue supportate dal software, infatti, non sono abilitate tutte le funzioni offerte per altre lingue più diffuse e studiate, come le concordanze parallele. Altre funzionalità (ad es. il Thesaurus) sono state implementate solo di recente e non

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sembrano rispondere ancora in maniera ottimale alle interrogazioni, limitando quindi il ventaglio di strumenti potenzialmente utili.

Ma il problema reale sono gli errori e le inconseguenze dell’algoritmo di taggatura, che rendono le ricerche inaccurate e in continua necessità di una verifica da parte dell’operatore umano. Ad es., non sempre le diverse parti del discorso sono etichettate con la corretta categoria grammaticale e il risultato è che il software rischia di non essere molto preciso nei risultati delle interrogazioni, problema che per l’inglese invece non si pone. Ciò rende più accidentato il percorso di ricerca. Un esempio eclatante, tra i molti possibili di tag errati, può essere quello di mare aggettivo ‘grande’, che compare sempre ai primi posti nelle Wordlist per aggettivi, nelle cui occorrenze vengono però spesso incluse anche quelle del sostantivo femminile mare ‘mare’, creando confusione e richiedendo un intervento umano; o ancora il fatto che, sempre nelle Wordlist, alcune forme dei pronomi personali di terza persona non siano disambiguate, essendo quindi contate insieme sia per genere che per numero, cosa che ad es. rende assi problematica e laboriosa un’analisi del genere. Per questo motivo nel corso della ricerca si è reso non di rado necessario un intervento “analogico” che, per ovvi motivi, è soggetto a errore umano e a tempistiche decisamente superiori.

Durante i primi tentativi di interrogazione del corpus si sono presentati altri piccoli imprevisti che hanno rallentato i lavori e che hanno richiesto un ulteriore rimaneggiamento del corpus caricato. Un esempio per tutti è dato dal fatto che, nel creare le liste di parole più frequenti, non è possibile esaminare contemporaneamente più sottocorpora. Il software permette infatti di analizzare un solo sottocorpus alla volta, rendendo necessaria una ulteriore e non prevista modifica del corpus di base per aggiungere altri tag identificativi che permettano di suddividere il testo e poterne prendere in considerazione solo una o più parti durante il lavoro, ad es. per separare le poesie antume (termine che adotto dal romeno per indicare le opere pubblicate in vita) dalle postume o per raggruppare alcune opere secondo precise logiche di interpretazione critica.

Sketch Engine e altri strumenti affini si sono rivelati essere, in sostanza, dei meri strumenti di calcolo. Si tratta di basi oggettive dalle quali partire per poter costruire riflessioni critiche soggettive, ed è importante sottolineare che, allo stato attuale delle cose e per questo specifico tipo di ricerca, gli strumenti digitali possono di fatto solamente

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rappresentare un punto di partenza da completare necessariamente con riflessioni “analogiche” e di stampo tradizionale. Tuttavia, i risultati ottenuti sono promettenti, e i lati positivi riscontrati superano di gran lunga le eventuali criticità dovute all’imprecisione degli strumenti. In particolare, il presente lavoro può servire a segnalare agli interessati che occorre ancora lavorare in direzione della creazione di strumenti calibrati sulla lingua romena per poter effettuare lavori di questo tipo, anche in vista di un eventuale accresciuto interesse volto a migliorare la qualità e la quantità di risorse digitali disponibili, e, in seconda battuta, può certamente offrire un punto di vista inedito che si giova di una tecnologia ad oggi non applicata sulla poesia di un autore quale Lucian Blaga.

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