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CONCRETO, PARABOLICO, ASTRATTO PERCENTUAL

LE FUNCTION WORDS: COMPARAZIONE E DEITTIC

1. Panoramica sullo stato dell’arte

Passiamo ora all’osservare l’utilizzo, in Blaga, delle cosiddette function words. Le function words sono quel gruppo di elementi lessicali che comprende pronomi, congiunzioni, negazioni, articoli ecc. Secondo Chung e Pennebaker le function words sono essenzialmente “il cemento che tiene insieme le parole piene”373. Non sempre queste

parole vengono definite come function words: ad es. gli stessi Chung e Pennebaker374 le definiscono anche junk words, mentre Kestemont375 utilizza il termine functor, preso in prestito dalla psicolinguistica e che originariamente definisce un morfema grammaticale.

Si tratta di una classe chiusa: al contrario di quanto avviene nel caso di verbi e sostantivi (definiti content heavy), che possono essere creati ex novo, modificati e possono cambiare significato nel corso del tempo, la categoria delle function words è molto limitata. Rappresenta soltanto lo 0,04% del nostro vocabolario376 (dati riferiti alla lingua inglese, ndA) ed è raro che tale categoria venga modificata o espansa. Le function words tendono a essere grammaticalizzate e a non possedere un contenuto semantico. Difficilmente, infatti, possono avere un significato se isolate, a differenza di quelle parole appartenenti alle classi aperte. Sono tendenzialmente parole corte e pronunciate velocemente. Il loro utilizzo è associato generalmente a raffinate competenze sociali: infatti, nonostante costituiscano più della metà delle parole che utilizziamo su base quotidiana377 sono anche le parole più difficili da imparare a gestire nel processo di

apprendimento di una L2378 e non solo.

373 Cindy Chung, James Pennebaker, The Psychological Functions of Function Words, in K. Fiedler, Social

Communication, New York, Psychology Press, 2007, p. 347.

374 Ibidem, p. 344.

375 Mike Kestemont, Function Words in Authorship Attribution. From Black Magic to Theory, in

“Proceedings of the 3rd Workshop on Computational Linguistics for Literature” (CLfL), Gothenburg,

EACL, 2014, p. 64.

376 Ibid, p. 60.

377 Chung, Pennebaker, The Psychological Functions, cit. p. 347.

378 C. Weber-Fox, H. J. Neville, Sensitive periods differentiate processing of open-and-closed class words:

an ERP study of bilinguals, in “Journal of Speech, Language and Hearing Research”, vol, 4, 2001, pp.

Sono dunque parole largamente utilizzate, di fatto quelle usate in maniera più frequente a livello orale e non, eppure, come ben sottolineano Van Petten e Kutas379, tendono a non essere prese in gran considerazione né dal mittente né dal destinatario del messaggio. Noi stessi non teniamo in gran conto il nostro proprio utilizzo delle function words a livello cosciente:

When composing a letter or making a speech, we might think briefly about these words. In daily conversation, however, we have virtually no control or memory over how and when they are used either by the speaker or by ourselves380.

Tale caratteristica intuitiva delle function words è stata anche da tempo confermata da esperimenti empirici: Schindler381 ha sottoposto alcune persone a un esperimento che prevedeva di leggere velocemente la frase “finished files are the result of years of scientific study combined with the experience of many years” contando quante “f” vi comparissero. Il risultato è che gran parte dei partecipanti non ha contato la “f” di “of”, confermando che le function words tendono a essere ignorate. Altri esperimenti hanno dimostrato come per i lettori sia più arduo individuare errori e imprecisioni riferiti alle function words, mentre non esiste tale difficoltà per le parole content heavy382. In

generale, si può affermate che le function words vengano date per scontate.

Tuttavia, proprio in virtù del fatto che sono utilizzate in maniera poco cosciente e meditata, lo studio dell’utilizzo delle function words (attraverso strumenti digitali quali liste di frequenza, collocazioni ecc.) viene oggi largamente impiegato in campi quali la authorship attribution.

I primi a sottolinearne il potenziale sono stati Mosteller e Wallace che, nel 1964383, dichiaravano come le parole più frequenti all’interno di una lingua (le function words, appunto) possano rivelarsi molto utili quali indicatori di stile autoriale.

379 Cyma Van Petten, Marta Kutas, Influences of semantic and syntactic context on open-and-closed class

words, in “Memory and Cognition”, vol. 19, nr. 1, 1991, pp. 95-112.

380 Chung., C., Pennebaker, J., The Psychological Functions, cit. p. 347.

381 Robert Schindler, The effect of prose context on visual search for letters, in “Memory and Cognition”,

vol. 6, 1978, pp. 124-130.

382 Adam Drewnowski, Alice Healy, Detection errors on the and and: Evidence for reading units larger

than the word, in “Memory and Cognition”, vol. 5, 1977, pp. 636-647.

383 Frederick Mosteller, David L. Wallace, Inference and Disputed Authorship: The Federalist. Reading,

Kestemont, in un interessante parallelismo con la pittura, nota come lo studio delle function words allo scopo di attribuire a un autore specifico un’opera sia paragonabile a quanto avviene nella storia dell’arte384: nell’Ottocento Giovanni Morelli affermava che al

fine di attribuire un’opera a un maestro non era più il caso di concentrare l’attenzione sugli elementi principali del dipinto (mantelli, abiti ecc, che possono essere paragonati a sostantivi e verbi in campo linguistico) ma di soffermarsi invece sui dettagli minori che tendono a passare inosservati: mani, orecchie, piedi ecc.

Da allora gli strumenti a disposizione degli specialisti nel campo della authorship attribution si sono raffinati, grazie anche all’avvento e al costante progresso della tecnologia digitale. Hoover385 sottolinea come, in tale campo, l’utilizzo di liste di frequenza di singole parole e function words si sia di fatto rivelato più efficace rispetto a quello delle collocazioni di parole adiacenti e parla della “surprising resilience of frequently-occurring words”386.

Secondo Argamon e Levitan

Due to their high frequency in the language and highly grammaticalized roles, function words are very unlikely to be subject to conscious control by the author. At the same time, the frequencies of different function words vary greatly across different authors and genres of text ˗ hence the expectation that modeling the interdependence of different function words frequencies with style will result in effective attribution387.

Tale assunto può essere considerato riduzionistico proprio in virtù del fatto che le function words non sono controllate in maniera cosciente dal discente/autore e che il loro studio può essere considerato inaffidabile soprattutto in mancanza di una vera e propria metodologia scientifica. Dello stesso parere è anche Kestemont, che sottolinea come nel campo della authorship attribution manchi ancora una determinazione definitiva del metodo scientifico utilizzato:

While there have been significative advances recently, it has been noted that the field is not particularly good at the explication of methods, let alone at developing a generally accepted

384 Kestemont, Function Words, cit. p. 61.

385 D. L. Hoover, Frequent collocations and authorial style, in “Literary and Linguistic Computing”, 2004,

pp. 261-280.

386 Shlomo Argamon, Shlomo Levitan, Measuring the usefulness of function words for authorship

attribution, Proceedings of ACH/ALLC Conference, 2005, p 1.

theoretical framework […] Thus, many methods and procedures continue to function as a black box, a situation which might eventually compromise the acceptance of experimental results388.

E ancora “few studies explicitly address the methodological implications of using this word category”389. Sempre secondo Kestemont, infatti, nel campo della authorship

attribution l’intuizione del singolo studioso ha prevalso sull’uso rigoroso del metodo scientifico.

Lo studio dell’utilizzo delle function words negli ultimi anni è stato preso in considerazione anche dalla psicologia sociale. Chung e Pennebaker sottolineano infatti l’importanza del ri-prendere in considerazione il valore dello studio del linguaggio, che, in tale campo, è utilizzato soprattutto per la comunicazione interculturale390 e l’attribuzione sociale391. A tale scopo è ormai universalmente riconosciuto come, al fine

di ottenere dati genuini, non sia il caso di porre domande esplicite ai parlanti quanto piuttosto di osservare il loro utilizzo del linguaggio in contesti spontanei.

Secondo Chung e Pennebaker le modalità di utilizzo di quelle che loro definiscono junk words “can provide powerful insight into the human psyche”392, in quanto tali junk

words, pur essendo tendenzialmente trascurate dai discenti “[…] have a powerful impact on the listener/reader and, at the same time, reflect a great deal about the speaker/writer”393, e ancora “the way people use function words reflects their linguistic

style”394. I due autori passano poi a elencare alcuni studi sul possibile collegamento tra

attività biologica e utilizzo delle function words. Scherwitz, Berton e Levanthal395 hanno notato come gli intervistati che soffrivano di pressione alta tendevano a un utilizzo maggiore del pronome personale “I”. Pennebaker, Groom, Loew e Dabbs396 rilevano

388 Kestemont, Function words, cit. p. 59. 389 Ibidem, p. 59.

390 Christopher Hajek, Howard Giles, New directions in intercultural communication competence, in J. O.

Greene, B. R. Burleson, Handbook of communication and social interaction skills, NJ, Mahwah, 2003, pp.935-957.

391 K. Fiedler, G. R. Semin, Attribution and language as a socio-cognitive environment, in K. Fiedler, G.

R. Semin, Language, interaction and social cognition, Thousand Oaks, CA, Sage Publications, 1992, pp. 58-78.

392 Chung, Pennebaker, The Psychological Function, cit. p. 344. 393 Ibidem, p. 344.

394 Ibid., p. 347.

395 L. Scherwitz, K. Berton, H. Leventhal, Type A: behavior, self-involvement and cardiovascular response,

in “Psychosomatic Medicine”, 1983, 40, pp. 593-609.

396 J. W. Pennebaker, C. J. Groom, D. Loew, J. M. Dabbs, Testosterone as a social inhibitor: Two case

studies of the effect of testosterone treatment on language, in “Journal of Abnormal Psychology”, 113,

invece un maggiore utilizzo del pronome “I” tra gli intervistati (biologicamente maschi e femmine) che facevano utilizzo per varie ragioni di iniezioni di testosterone. Al calare dei livelli di testosterone nel sangue calava anche la frequenza di utilizzo della prima persona singolare in favore di altri pronomi personali. Weintraub397 nota invece come l’utilizzo

della prima persona singolare sia associato a stati mentali negativi, e l’analisi della poesia di autori morti suicidi (confrontata all’analisi dell’opera di autori non suicidi) ha rivelato un utilizzo maggiore della prima persona singolare398.

Secondo gli studiosi ci sono differenze di utilizzo delle function words legate al sesso399 e all’età400:

[…] people use fewer first person singular words and greater first personal plural words with age. This, along with the greater use of exclusive words, suggests that as people age they make more distinctions and psychologically distance themselves from their topics. In other words, older people speak with greater cognitive complexity”401.

Questa panoramica sullo studio dell’utilizzo delle function words fa riferimento a campi di ricerca che esulano dagli obiettivi del presente lavoro, ha come riferimento la lingua inglese, e in alcuni casi la lingua parlata che, per ovvi motivi, viene interpretata secondo griglie completamente diverse da quelle applicate all’analisi di opere poetiche.

Si ritiene tuttavia interessante osservare le applicazioni pratiche di tali studi e i relativi risultati, in quanto è possibile dedurre che le function words possano di fatto rappresentare un elemento fino ad ora piuttosto trascurato, ma di fatto rilevante, nell’osservazione dei significati impliciti del linguaggio utilizzato da diversi autori e da Lucian Blaga in particolare. Il nostro interesse è rivolto all’aspetto diacronico e a come il linguaggio poetico sia evoluto con lo scorrere del tempo e del susseguirsi di eventi storici e personali che hanno senz’altro avuto un impatto sullo stile poetico dell’autore.

397 W. Weintraub, Verbal behavior in everyday life, New York, Springer Publishing Company, 1989. 398 S. W. Stirman, J. W. Pennebaker, Word use in the poetry of suicidal and non-suicidal poets, in

“Psychosomatic Medicine”, 63, 2001, pp. 517-522.

399 M. L. Newman, J. W. Pennebaker, D. S. Barry, J. M. Richards, Lying words: Predicting deception from

linguistic styles, in “Personality and Social Psychology Bullettin”, 2003, vol. 29, nr. 5, pp. 665-675.

400 J. W. Pennebaker, L. D. Stone, Words of wisdom: Language use over the life span, in “Journal of

Personality and Social Psychology”, 85, 2003, pp. 291-301.

2. La comparazione

È nell’armonia tra le diversità che il mondo si regge, si riproduce, sta in tensione, vive.402.

Individuato nelle function words un elemento di specifico interesse per la presente analisi, e allo scopo di proporre un diverso approccio rispetto ai precedenti critici dell’opera blaghiana che avevano scelto (per naturale affinità con le metodologie offerte dal close reading) principalmente di affrontare lo studio e l’analisi su parti del discorso quali il verbo, l’aggettivo e il sostantivo, si è deciso di utilizzare lo strumento – offerto da Sketch Engine – degli n-grams403 allo scopo di osservare il comportamento di particelle linguistiche alle quali è normalmente dedicata minore attenzione, soprattutto nell’ambito della critica letteraria.

I possibili filoni d’indagine aperti da questo strumento sono molteplici. L’attenzione si è rivolta alla particella ca (come), presente con elevate frequenze in diversi abbinamenti all’interno dell’intero corpus poetico blaghiano. Lo scopo di tale ricerca era quello di individuare, nell’ottica della visione metaforica della poesia, l’uso retorico della comparazione quale strumento linguistico retorico.

La poesia di Lucian Blaga, infatti, è generalmente considerata dalla critica come molto metaforica, considerazione che non stupisce se si considera che Blaga stesso considerava la metafora prerogativa essenziale dell’essere umano:

[La metafora] ha sicuramente a che fare con l’ordine strutturale dello spirito umano, e la sua descrizione, analisi e spiegazione costituiscono tutte insieme un intero capitolo di antropologia… La modalità metaforica è nata insieme all’essere umano, non è apparsa nel corso dell’evoluzione o della storia umana”404.

402 Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, Milano, Tea, 2004, p. 392.

403 Dal sito di Sketch Engine: “The n-gram tool produces frequency lists of sequences of tokens. N-grams

are also called multi-word expressions or MWEs. N-grams can be generated on any attribute with word and lemma being the most frequent used ones”. Gli n-grams, dunque, sono dei token che compaiono frequentemente accoppiati all’interno del corpus di riferimento. La soglia di rilevanza per cui una combinazione di token viene rilevata dal software può essere impostata dall’utente. In questo caso tale soglia era impostata a un minimo di dieci occorrenze.

404 L. Blaga, Geneza metaforei, in Trilogia Culturii, București, Humanitas, 2011, p. 357. “[metafora] ține

definitiv de ordinea structurală a spiritului uman, iar descrierea, analiza și explicarea ei fac împreauna un capitol de antropologie… Modul metaforic s-a iscat odată cu omul, n-a apărut în cursul evoluției sau al istoriei umane”.

Proprio a partire da questo assunto blaghiano, si è osservato a livello testuale il comportamento linguistico del marcatore ca per poi procedere a un’analisi critica sul significato che tale strumento retorico può assumere a livello semantico.

A partire dalla definizione di Georgeta Corniță, secondo la quale

La comparazione è una figura semantica la cui costruzione si basa sul rapporto di somiglianza tra due oggetti, dei quali uno serve a evocare l’altro. Dal punto di vista strutturale, la comparazione è composta di comparato, comparante e della particolarità che le accomuna, e utilizza come correlativi gli avverbi: come, allo stesso modo, così come, come, allo stesso modo ecc405.

è stata in questa sede elaborata dunque la dicitura di “comparazione deittica” per tutte quelle comparazioni costruite con l’utilizzo di ca.

Fig. 1

In fig. 1 vediamo che impostando la ricerca per lemmi e limitando a due gli elementi massimi di associazione tra token, si scopre che al secondo posto per frequenza nel corpus

405 G. Corniță, 1995, Manual de stilistică, cit. pp. 168-169. “Comparația este figura semantică a carei

construcție se bazează pe raportul de asemănare dintre două obiecte, din care unul servește să-l evoce pe celălalt. Structural, comparația se compune din comparat, comparant și însușirea care-i aproape, având drept corelative adverbele: ca, astfel, asemenea, așa cum, precum, tot așa etc”.

completo delle poesie di Lucian Blaga406 troviamo ca+articolo indeterminativo utilizzato

con funzione comparativa407, con 104 occorrenze totali.

Fig. 2

In fig. 2 vediamo che la particella ca ricompare anche in 48esima e 49esima posizione con funzioni diverse: nel primo caso, infatti, è associata alla particella să, utilizzata in romeno come marca del congiuntivo. In questo caso non ha finalità comparative e serve invece alla costruzione di proposizioni circostanziali di scopo (come nel caso delle frasi Ca să l-aud mai bine mi-am lipit de glii urechea408 e De mână-aș prinde timpul ca să-i

pipăi pulsul rar de clipe409); nel secondo caso, invece, la particella ca è associata alla

preposizione de, ed è dunque utilizzata con funzione comparativa, implementando ulteriormente di altre 27 occorrenze il numero totale dei ca con tale funzione.

406 In prima posizione troviamo sine avea, che raggruppa le occorrenze in forma riflessiva del verbo avere

alla terza persona singolare e plurale (ad esempio s-a pierdut; s-ar juca; s-au obosit), mentre in terza posizione troviamo avea fi, che raggruppa le forme analitiche del verbo a fi (ar fi voit; ce-au fost; de n-ai

fi).

407 Avendo impostato la ricerca per lemmi, in questo caso sotto la voce ca un sono raggruppate anche le

occorrenze di ca seguite da articoli indeterminativi al femminile.

408 Opere, vol. I. p. 8. “Per meglio udire ho incollato/ contro le zolle l’orecchio […]” (Del Conte, p. 49). 409 Opere, vol. I, p. 90. “Vorrei prendere il tempo per mano e tastarne/ il polso avaro di battiti […]” (Del

Fig. 3

Infine, come vediamo in fig. 3, con solo 10 occorrenze ognuno, troviamo in posizione avanzata (260ª, 261ª e 262ª) altri 3 n-grams formati da ca+și, ca+pe e ca+din, che vanno ad implementare di ulteriori 30 occorrenze il numero dei casi di particella ca utilizzata come comparazione. Otteniamo dunque un totale di 161 comparazioni costruite con il marcatore ca e individuate dallo strumento degli n-grams, delle quali 81 nel corpus antumo e 79 nel corpus postumo.

Risulta evidente che la comparazione tramite la particella ca associata ad articoli, preposizioni e congiunzioni sia una delle strutture tipiche più frequenti all’interno del corpus. In particolare, è da rilevare che il pattern linguistico di maggior utilizzo di ca è quello che vede tale particella associata all’articolo indeterminativo sia maschile che femminile.

Fig. 4