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La transizione scuola-lavoro: il caso comparato di Italia e Norvegia

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Academic year: 2021

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FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea specialistica in

Sociologia e management dei servizi sociali

La transizione scuola-lavoro:

il caso comparato di Italia e Norvegia

Candidato:

Relatore:

Giulia Danielli

Prof. Matteo Villa

(2)
(3)

3

Alla mia famiglia e a Federico,

che mi hanno sostenuta durante questo lungo percorso.

A Gloria,

con la quale ho condiviso un’avventura incredibile che ha reso possibile

questo lavoro

.

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(5)

5

INDICE

Abstract: ... 12

Introduzione... 15

CAPITOLO 1 ... 17

UNO SGUARDO SULL’EUROPA ... 17

1.1 I welfare state dei due casi studio: Norvegia e Italia ... 24

CAPITOLO 2 ... 31

LA TRANSIZIONE DEI GIOVANI DALLA SCUOLA AL LAVORO:

UNA FASE CRITICA DETERMINANTE ... 31

2.3 Europa, disoccupazione giovanile e nuovi rischi sociali ... 34

2.4 Istruzione e regolazione dei contratti di lavoro ... 41

2.5 Eredità familiare ... 45

CAPITOLO 3 ... 53

SOCIAL INVESTMENT O SOCIAL DIS-INVESTMENT? ... 53

3.1 Un periodo di cambiamenti e una spinta verso l’attivazione ... 53

3.2 Regimi Socialdemocratici e attivazione ... 57

3.3 La Norvegia e la Work-Line ... 61

3.4 Regimi Sudeuropei e attivazione ... 71

3.5 Italia: avversione alle politiche di Social Investment? ... 73

(6)

6

SECONDA PARTE ... 86

CAPITOLO 4 ... 88

CASO STUDIO: GRIMSTAD ... 88

4.1 Introduzione e metodologia ... 88

4.2 Il contesto locale: la contea di Aust-Agder e Grimstad ... 90

4.3 Analisi e caratteristiche del campione ... 96

4.3.1 Caratteristiche del campione al momento dell’intervista ... 96

4.3.2 Dati di background

... 103

4.4 Caratteristiche della transizione

... 110

4.5 Network, servizi e territorio

... 115

4.6 Differenze di genere ... 118

4. 7 Due diverse traiettorie

... 120

4.7.1 Essere Attivati ... 121

4.7.2 Auto-Attivarsi ... 127

4.8 Conclusioni ... 132

CAPITOLO 5 ... 133

CASO STUDIO: MASSA CARRARA ... 133

5.1 Introduzione e metodologia ... 133

(7)

7

5.3 Analisi e caratteristiche del campione ... 136

5.4 Dati di background ... 139

5.5 Caratteristiche della transizione ... 143

5.6 Network, servizi e territorio ... 147

5.7 Differenze di genere ... 149

5.8 Possibili modelli e traiettorie ... 150

5.8.1 Sostegno familiare morale ed economico ... 150

5.8.2 Sostegno economico familiare ... 153

5.8.3 Sostegno debole ... 156

5.9 Conclusioni ... 159

CAPITOLO 6 ... 162

I DUE CASI COMPARATI ... 162

6.1 Differenze di Contesto ... 163

6.2 Campioni ... 164

6.3 Risultati in base alle aree di indagine ... 168

6.4 Background ... 168

6.5 Caratteristiche della transizione ... 172

6.6 Network, servizi e territorio ... 176

6.7 Differenze di genere ... 179

(8)

8

BIBLIOGRAFIA ... 186

Indice figure

Figura 1. NEET tra i 15-29 anni nel 2015 ... 36

Figura 2. Comparazione disoccupazione giovanile (15-24 anni)

Italia-Norvegia (Eurostat) ... 49

Figura 3. Disoccupazione delle persone tra i 15-24 anni Italia dal 2005 al

2016 (Eurostat) ... 50

Figura 4.Disoccupazione delle persone tra i 15-24 anni in Norvegia dal

2005 al 2016 (Eurostat) ... 50

Figura 5. Tasso di disoccupazione per uomini e donne tra i 15 e i 74 anni in

Norvegia (Statistics Norway) ... 63

Figura 6. Andamento disoccupazione in Norvegia dal 2006 al

2017(Statistics Norway) ... 64

Figura 7. Disoccupazione tra i 15 e i 24 anni in Norvegia dal 2005 al 2016

(Eurostat)... 65

Figura 8.Tasso di disoccupazione tra i giovani dai 15 ai 24 anni in Italia

(Eurostat)... 75

Figura 9. Disoccupazione giovanile in Europa (Eurostat) ... 76

Figura 10. Livelli di educazione per uomini e donne dai 16 anni di età per

comune di residenza (NAV) ... 94

Figura 11. Disoccupati assoluti e persone in cerca di lavoro sotto i 30 anni

di età per Paese, Contea e Comune ... 94

Figura 12. Numeri e percentuali degli users sotto i 30 anni die età in base

ai programmi NAV a cui adersocno per Paese, Contea e Comune (NAV) 95

(9)

9

Figura 14. Distribuzione campione per situazione occupazionale ... 98

Figura 15. Jobbsentral Grimstad- sala per riunioni e corsi di formazione

... 100

Figura 16. Jobbsentral Grimstad - laboratorio del legno... 100

Figura 17. Jobbsentral Grimstad- interno laboratorio legno ... 101

Figura 19. Tipi di occupazione al momento dell'intervista ... 102

Figura 18. Jobbsentral Grimstad- Magazzino mobili usati da distribuire

alle persone bisognose ... 101

Figura 20. Guadagno in Euro degli intervistati e occupazione ... 102

Figura 21. Condizione abitativa al momento dell'intervista ... 104

Figura 22. Distribuzione degli intervistati e dei loro familiari per titolo di

studio ... 106

Figura 23. Occupazione degli intervistati ... 107

Figura 24. Distribuzione per titolo di studio, età media, anni dopo l’uscita

dall’istruzione, occupazione stabile. ... 109

Figura 25. Distribuzione degli intervistati per numero di modalità utilizzate

nella ricerca del lavoro ... 112

Figura 26. Distribuzione campione ... 121

Figura 27. Distribuzione campione ... 127

Figura 28. Distribuzione per genere e titolo di studio ... 136

Figura 29. distribuzione del campione per situazione occupazionale ... 137

Figura 30. distribuzione del campione per tipi di occupazione ... 138

Figura 31. condizione abitativa al momento dell’intervista ... 139

Figura 32.distribuzione degli intervistati e i loro familiari per titoli di

studio ... 141

(10)

10

Figura 34. Distribuzione per titolo di studio, età media, anni dopo l’uscita

dall’istruzione, occupazione stabile ... 143

Figura 35. distribuzione modalità ricerca lavoro ... 144

Figura 36. distribuzione degli intervistati per numero di rapporti di lavori

... 145

Figura 37. distribuzione degli intervistati per periodi di disoccupazione e

disoccupazione di lunga durata ... 147

Figura 38. distribuzione del campione per età, titolo, occupazione e

autonomia ... 151

Figura 39. distribuzione del campione per età, titolo, occupazione e

autonomia ... 154

Figura 40. distribuzione del campione per età, titolo, occupazione e

(11)
(12)

12

Abstract:

Questa tesi tratta l'argomento della transizione scuola lavoro in due diversi contesti europei: Italia e Norvegia. Il tentativo è quello di mettere in evidenza, attraverso l'ausilio di interviste qualitative, le dinamiche legate a questo delicato periodo della vita degli individui. Nella prima parte della tesi, vengono presentati i due tipi di welfare state associati dalla letteratura ad Italia e Norvegia: il welfare sud-europeo e quello social-democratico. Attraverso tale chiave di lettura, vengono messi in luce e analizzati alcuni aspetti di funzionamento e le similitudini e differenze tra i due paesi sui temi della transizione scuola lavoro e nelle politiche e strategie messe in campo. In particolare, vengono descritti i cambiamenti avvenuti all’interno del mercato del lavoro, l’emergere dei nuovi rischi sociali e la dinamica della disoccupazione giovanile nei due paesi, nonché le rispettive modalità di risposta adottate. Nella seconda parte della tesi vengono presentate le ricerche svolte nei due territori di Grimstad e Massa Carrara, attraverso l’esposizione della metodologia di ricerca, delle variabili tenute in considerazione e delle caratteristiche dei campioni di intervistati. I due casi studio avevano l’obiettivo di mettere in luce quali meccanismi sembrano influenzare il passaggio dei giovani dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro, come gli stessi giovani agiscono e come percepiscono il periodo di transizione e come cercano di raggiungere l’autonomia economica ed abitativa. Vengono infine analizzate le traiettorie di vita che sembrano caratterizzare diversamente due distinti gruppi di intervistati, sia nel caso norvegese che in quello italiano. L’analisi è focalizzata su alcuni aspetti principali: background degli intervistati, integrazione socio-economica, ruolo della famiglia di origine, integrazione con i servizi territoriali pubblici e privati e differenze di genere. Nell’ultimo capitolo della tesi sono comparate le dinamiche del passaggio dalla scuola al lavoro nei due diversi contesti evidenziandone similitudini, differenze ed eventuali fattori caratteristici. La ricerca ha messo in evidenza quanto distinti siano i percorsi dei giovani italiani rispetto a quelli norvegesi nell’obiettivo di raggiungere una stabilità occupazionale ed una indipendenza economica e lavorativa. Più snelli e armonici appaiono i percorsi dei giovani norvegesi, i quali, attraverso il sostegno dello stato e un mercato del lavoro dinamico, riescono a raggiungere l’indipendenza in modi e tempi ragionevoli. Tra essi, sono comunque emersi alcuni alcuni tipi di transizioni più complesse che caratterizzano in particolare le persone con basso titolo di studio e minore capacità di attivare se stessi nella ricerca di una occupazione. Molto diversi appaiono invece i percorsi dei giovani italiani, i cui sviluppi risultano spesso strettamente dipendenti dalle risorse familiari a fronte di una mancanza di politiche adeguate, di una assenza, in molti casi di una funzione pubblica di sostegno e orientamento e di un mercato del lavoro poco dinamico e vitale. Sembrano infine essere confermate dai casi studio le tipiche tendenze definite dalla letteratura riguardo i due tipi di welfare, socialdemocratico e sud-europeo, pur se

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13

persino le politiche universalistiche del caso norvegese mostrano alcune criticità nel favorire l’inclusione dei giovani con basso titolo di studio, particolarmente nei periodi in cui cala la domanda di lavoro.

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(15)

15

Introduzione

All’interno di un contesto europeo colpito da una forte crisi economica e una costante e crescente disoccupazione la questione del mercato del lavoro oggi è divenuto uno dei temi più dibattuti a livello economico, politico e sociale. Il mutamento dovuto a fattori endemici e naturali e la crisi economica iniziata nel 2007, hanno provocato delle disfunzioni a livello europeo, una concatenazione di eventi, anche non direttamente collegati, hanno spinto e accompagnato la società e le istituzioni verso importanti e sostanziali trasformazioni.

Una delle difficoltà riscontrate in alcuni dei paesi europei è stata certamente quella di pianificare e predisporre delle politiche sociali adeguate al contesto, ai suoi mutamenti e ai nuovi rischi che si stanno presentando all’interno della società. La disoccupazione è divenuta un elemento sistematicamente presente nelle società contemporanee, in alcuni contesti europei ha provocato importanti squilibri e le politiche sociali hanno tentato, utilizzando differenti strategie, di limitare la problematica e di contenere l’esclusione delle persone dal mondo del lavoro.

Ogni paese europeo ha reagito alla crisi economica e alle difficoltà da essa causate in maniera sostanzialmente diversa, agendo attraverso numerosi interventi politici e finanziari. Le statistiche mettono in luce un aumento importante,durante gli ultimi decenni, del tasso di disoccupazione giovanile e femminile. In questo ambito cercheremo di osservare più da vicino un periodo della vita particolarmente delicato dell’ individuo e connesso all’argomento della disoccupazione: la transizione scuola-lavoro.

Analizzeremo attraverso l’ausilio della classificazione dei regimi di welfare e dei concetti di mercificazione e familizzazione di Esping-Andersen, due diversi contesti europei, italiano e norvegese cercando di conoscerne gli elementi distintivi nell’ambito della transizione.

Quello italiano è rappresentato dalla Provincia di Massa Carrara e quello norvegese, dalla città di Grimstad. Sono due ambienti profondamente diversi, i quali ci permetteranno di capire come e con quali differenze i giovani, una volta usciti dall’ambiente scolastico, affrontano il periodo di ricerca di una occupazione e quali sono i fenomeni che sembrano influenzare questo percorso. La tesi si svilupperà attraverso la prima parte, composta da tre capitoli, contenente la descrizione dei due differenti tipi di welfare state, socialdemocratico e sud-europeo e delle politiche adottate negli ultimi anni per proteggere le persone da alcuni rischi sociali, in particolare ci concentreremo su quelle previste per cercare di favorire la transizione scuola lavoro. La seconda parte invece, composta da tre capitoli osserverà più da vicino, attraverso l’ausilio di interviste semi-strutturate, la questione della transizione nei due diversi paesi. I questionari hanno coinvolto persone giovani che avevano terminato la scuola e, nel caso norvegese, anche personale amministrativo di alcuni enti pubblici. Il capitolo numero 4 e 5 si

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dedicano rispettivamente alle due ricerche svolte sul campo nei due paesi, Norvegia ed Italia. Ricostruendo le storie di vita degli intervistati abbiamo cercato di mettere in luce i meccanismi della transizione scuola lavoro concentrando l’interesse su alcune variabili significative. Tenendo infatti in evidenza il background familiare dell’intervistato, l’integrazione sociale ed economica dell’individuo, i percorsi scolastici, gli strumenti utilizzati per la ricerca di una occupazione, l’intervento dei servizi pubblici e privati, abbiamo voluto provare ad immaginare delle traiettorie che corrispondessero al percorso dei giovani norvegesi ed italiani verso una occupazione.

Nel capitolo conclusivo numero 6 compariamo i due casi studio, cercando di cogliere differenze e similitudini dei percorsi intrapresi dai giovani intervistati. Confrontiamo le traiettorie emerse nei due ambienti con l’obiettivo di capire quali delle variabili sembrano essere maggiormente influenti rispetto ad altre e quali caratteristiche emergono durante l’analisi dei dati raccolti.

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CAPITOLO 1

UNO SGUARDO SULL’EUROPA

La grande crisi finanziaria del 2007-2008 che ha colpito in una prima fase gli Stati Uniti ha avuto forti ripercussioni sull’economia mondiale con conseguenze sul benessere e sulla occupazione in molti paesi 1. Gli stati membri dell’Unione Europea hanno reagito diversamente sia alla crisi che alla conseguente recessione, alcuni, hanno avviato processi di ri-calibratura promuovendo misure di contrasto ai nuovi rischi sociali emergenti e cambiamenti nei loro sistemi di welfare, altri, non hanno avuto risorse né capacità per dare avvio a cambiamenti strutturali2.

Molti paesi durante questi periodi di difficoltà e contrazione hanno visto crescere drasticamente il numero di persone disoccupate e i governi hanno tentato, non sempre con successo, attraverso la combinazione di politiche diverse di arrestare e diminuirne l’incremento3.

Nonostante le loro differenze interne, i diversi paesi OECD, hanno cercato di mettere in atto interventi comuni nel tentativo di contenere gli effetti della crisi, ma sembra possibile affermare, sulla base di numerose ricerche, che la maggior parte dei sistemi di welfare europei abbiano in parte fallito nell’obiettivo, i dati infatti, mostrano che è aumentata la povertà tra i disoccupati e che i tradizionali supporti passivi, come il sostegno del reddito, hanno visto un decisivo declino4.

Osservando l’andamento delle traiettorie del welfare, si riconoscono alcuni momenti di consolidamento e crescita seguiti poi da periodi di difficoltà e contrazione. Gli anni che vanno dal 1945 fino al 1973 sono definiti dei “Trenta Gloriosi”, è la fase infatti in cui il welfare consolida la sua struttura, con ampi interventi su programmi pensionistici, sistemi di istruzione e assicurazione contro la disoccupazione. È un intervallo storico in cui prevale la prosperità economica e la pace internazionale, in concomitanza con la crescita, si attuarono le politiche

1 Jhon P. Martin, (2014), Activation and Active Labour Market Policies in OECD countries : Stylized

facts and evidence on their effectiveness , Paper No 84, June 2014, Geary Institute, University college

Dublin and IZA, Germany

2 Ascoli U. , Ranci C., Sgritta G.,(2016), Investire nel sociale, la difficile innovazione del welfare italiano,

Il Mulino, Milano.

3 Jhon P. Martin, (2014), Activation and Active Labour Market Policies in OECD countries : Stylized

facts and evidence on their effectiveness , Paper No 84, June 2014, Geary Institute, University college

Dublin and IZA, Germany

4 Cantillon B.,(2011), “the paradox of the social investment state : growth, employment and poverty in the

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Keynesiane, alla base delle quali, vi era l’idea che l’instabilità dell’economia capitalistica necessitasse di essere controllata attraverso un intervento regolativo dello stato che sostenesse la domanda di consumi e incentivasse gli investimenti privati. La soluzione prevista da queste politiche prevedeva che lo stato, attraverso la spesa pubblica, sostenesse il reddito dei cittadini, i quali, quindi, avevano maggiori possibilità di consumo, perseguisse l’obiettivo della piena occupazione attraverso l’ espansione del sistema pubblico, prevedesse sussidi per gli investimenti privati, e infine, affinché venissero redistribuiti i redditi in modo più egualitario per elevare le capacità della popolazione più povera.

L’aumento dell’intervento statale però, generò rapidamente una ascesa della spesa pubblica, in un momento in cui, in concomitanza ai nuovi provvedimenti, anche la spesa pensionistica, insieme a politiche di ammortizzazione sociale e programmi sanitari assorbendo una parte importante del PIL.

Sinteticamente potremmo definire un contesto europeo che per tutte le ragioni sopra citate, era caratterizzato da un alto carico fiscale, elevato intervento pubblico e aumentata spesa sociale. Da una condizione di forte crescita nel periodo dei Trenta Gloriosi, come quella appena descritta, che permise l’espansione dei servizi e il consolidamento dello stato sociale, si passò piuttosto rapidamente ad una fase di tensione e instabilità, economica e politica. Le difficoltà furono infatti immediatamente visibili in Europa già dai primi anni Settanta, quando, si manifestò un rallentamento dei tassi di crescita causato da diversi fattori quali inflazione, aumento dei costi energetici e del lavoro, instabilità del mercato finanziario. Fino agli anni Novanta si sono alternati momenti di crisi (fine anni 70 e inizio anni 90), in cui si riscontrò periodi di mancata crescita economica e produttività, in cui il settore industriale subì un forte declino che portò in alcuni casi ad un aumento della disoccupazione e molti paesi furono coinvolti in condizioni di malessere e crisi fiscali, e momenti di successiva ripresa (negli anni 80 e nella seconda metà degli anni 90). A causa delle difficoltà riscontrate dal settore manifatturiero durante gli anni Ottanta e Novanta la disoccupazione raggiunse un livello molto elevato per poi riscendere nella seconda metà degli anni Novanta e nel primo decennio di questo secolo grazie ai lavori caratterizzati da flessibilità5. In concomitanza con la crisi di questo settore però, si sviluppò la produzione di servizi e beni immateriali in cui diveniva determinante la conoscenza e la circolazione di informazione,vedremo come, grazie a queste circostanze e mutamenti, anche la figura femminile riuscì ad essere coinvolta in modo maggiore all’interno del contesto lavorativo.

La crisi finanziaria del 2007 fece si che la disoccupazione riprendesse la sua salita, divenne penetrante e preoccupante, determinò il cambiamento della struttura e della organizzazione del

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lavoro, che, aumentò la sua flessibilità e la sua precarietà ma nello stesso tempo permise il coinvolgimenti delle donne. L’occupazione femminile, comportò un aumento delle domande di servizi alla persona, dovuta dal fatto che se fino a quel momento, furono le donne a prendersi cura dei figli, dei malati e degli anziani, adesso le famiglie, non erano più in grado di prestare assistenza in modo autonomo, in un contesto caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione che cresceva in modo consistente.6

In uno scenario così caratterizzato, mutarono e aumentarono i rischi sociali cui il welfare aveva cercato di rispondere nei Trenta Gloriosi ed emersero parallelamente i cosiddetti “nuovi rischi sociali”. Si presentarono sulla scena nuove necessità alle quali il sistema pubblico dovette cercare di dare risposta per proteggere la popolazione che, in molti casi, da quel periodo divenne più vulnerabile a causa di processi quali la disoccupazione, la precarietà, le difficili transizioni dalla scuola al lavoro, le difficoltà legate al rapido invecchiamento della popolazione, alla mancanza di strumenti e servizi in grado di permettere di conciliare lavoro e cura. I rischi dunque iniziarono a prendere forme diverse, cambiarono e rimasero sulla scena sia quelli tradizionali, dei Trenta Gloriosi, che erano correlati alla possibilità negativa che i lavoratori industriali perdessero il lavoro e a garantire la salute e la formazione scolastica indipendentemente dalla condizione reddituale, sia i nuovi rischi sociali.

In linea generale ci fu la tendenza comune di contenere la spesa nei tre grandi settori tradizionali della protezione sociale: pensione, disoccupazione e sanità. Per i nuovi rischi sociali invece si previdero interventi diversi, tra cui misure di reddito minimo o sostegno fiscale, integrazione tra percorsi scolastici e lavorativi per sostenerne l’inserimento e l’attivazione, politiche finalizzate a promuovere la conciliazione tra lavoro e cura, e interventi per sostenere la possibilità di accedere alla casa7.

Le politiche che si sono succedute in questi diversi periodi storici si basarono su principi divergenti i quali non sempre riuscirono a limitare le problematiche e a innescare dinamiche positive. Il periodo post-guerra fino alla metà del 1970 come abbiamo detto ha seguito generalmente un’impostazione basata sulla politica Keynesiana, fino a che, le politiche sociali sembrarono avere necessità di essere riformulate perché non più coerenti con il contesto socio economico. Dopo la crisi economica del 1974 e l’incapacità delle politiche Keynesiane di rispondere all’aumento di disoccupazione e inflazione l’Europa si mosse verso l’adozione di un paradigma neoliberale il quale in molti casi però apparve fallimentare. Sembra, infatti, che durante questo periodo si siano aggravate notevolmente disoccupazione, disuguaglianze e

6 ibidem 7 Ibid. pag. 80

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divisioni sociali8, probabilmente a causa del fatto che il paradigma neoliberale interpretava le spese sociali pubbliche poco determinanti per la crescita economica e la stabilità ma anzi un costo ingente e poco efficiente. A differenza delle politiche Keynesiane, quelle neoliberali sostenevano che le politiche sociali troppo generose fossero causa e disincentivassero la ricerca del lavoro creando una condizione di dipendenza degli utenti9.

Negli anni Novanta emerse sulla scena un nuovo paradigma, il “Social Investment” (SI) che, ancora oggi, si fronteggia sul campo delle politiche sociali con il paradigma neoliberista, il quale concettualizza la spesa di welfare come un “costo” e causa di basso sviluppo.

Il SI è invece orientato a privilegiare le politiche sociali per aumentare occupazione e occupabilità che, secondo questo approccio, rappresentano le precondizioni dello sviluppo economico10. L’obiettivo è cercare di investire sulle nuove generazioni per avere un capitale umano maggiore disponibile nel futuro, attraverso l’investimento in politiche per l’istruzione e attivazione dei lavoratori11. Il SI concentra la propria attenzione su un welfare che non protegge gli individui de-mercificandoli ma che li rende più forti nello stare sul mercato, funzionando da trampolino di lancio12.

Nonostante fosse sostenuto da molti, non sono mancate le critiche rivolte a questo tipo di approccio, secondo molti rivelatosi inefficace nel rispondere alle problematiche che stavano emergendo e che coinvolgevano Stato, economia e società. Le critiche sono suddivisibili principalmente tra coloro i quali sostengono vi sia una mancanza di chiarezza riguardo il concetto stesso di Social Investment, che viene descritto da Jenson (2009) come un

quasi-concetto e dunque la conseguente difficoltà nell’operazionalizzarlo e distinguere quali spese

possono essere effettivamente considerate di investimento sociale e quali invece no.

Un altro gruppo di critiche concentra l’attenzione sui contenuti di questo approccio, in particolare riguardo alla scarsa attenzione che sembra rivolgere agli aspetti strutturali delle diseguaglianze tra soggetti e quelle connesse ai contesti13.

In una situazione economica e sociale di pre-crisi, nel quale si tentava di preparare le economie e l’apparato dedicato alla protezione sociale, alle difficoltà che si prospettavano, la tendenza generale nella maggior parte dei paesi europei sembrò essere quella di muoversi verso dei programmi sociali che prevedevano uno stretto collegamento tra lavoro e benefit, favorendo e

8 Costa G., (2012), “il social investment approach nelle politiche di welfare: una occasione di

innovazione?”, Italian Journal of social policy, pp. 337

9 N.Morel, B.Palier, J.Palme, (2012), Towards a social investment welfare state? Ideas, policies and

challenges, pag. 7

10 Ascoli U. , Ranci C., Sgritta G., (2016), pag. 10 11 Ranci C, Pavolini E., (2015) pag. 88

12 Costa G., (2012) 13 Ibidem.

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rafforzando politiche di attivazione. Il nuovo approccio cercava di spostare la spesa per la protezione sociale da forme passive verso forme attive che avrebbero permesso all’individuo di rimanere inserito nel contesto economico e sociale. Nella realtà però, solo pochi paesi sono riusciti a trovare risorse e interventi adatti a questo tipo di politica definita di “social investment”. La spesa sociale, al contrario, in molti paesi è aumentata ma, spesso, il denaro è stato diretto verso la protezione di rischi tradizionali e verso le problematiche legate all’invecchiamento della popolazione piuttosto che investito in istruzione, caso esemplare ne è l’Italia.

I paesi del Nord Europa sono stati gli unici ad avere implementato e rafforzato le politiche di Social Investment in particolare quelle legate all’istruzione, che sembrano oggi tradursi in maggiori livelli di capitale sociale e coesione, maggiore capacità di innovazione, flessibilità del mercato del lavoro e crescita economica. Questi paesi hanno, non solo aumentato e ri-orientato le politiche di attivazione, ma provato a combinare maggior grado di protezione con considerevoli incrementi dedicati a politiche di Social Investment con lo scopo di promuovere eguaglianza sociale e di genere14.

Se nei paesi scandinavi, come descritto sopra, sono state potenziate le politiche per i nuovi rischi e mantenute costanti le politiche e le spese per i rischi tradizionali, contrastando così l’aumento delle disuguaglianze e aumentando la platea dei beneficiari, gli altri paesi europei sono intervenuti con politiche diverse. Nei paesi anglosassoni e in parte di quelli centro-orientali vi è stata una generale tendenza verso politiche di retrenchment e austerity: una riduzione generalizzata della protezione sociale e un sempre più evidente cambiamento in chiave neoliberista con conseguente importante aumento delle disuguaglianze sociali. I modelli di welfare di tipo corporativo-conservatore invece hanno trasferito attraverso una ricalibratura funzionale risorse e investimenti dal settore tradizionale a quello dei nuovi rischi sociali. La situazione dei paesi sud europei è contraddistinta oltre che da un contesto di austerity da una situazione di inerzia, che alterna fasi di retrenchment a fasi di conservazione delle politiche correnti. Questo porta ad una negazione di protezione nei confronti dei nuovi rischi sociali mantiene invece alta la protezione per gli insider creando così una forte dualizzazione sociale15.

Sullo sfondo delle trasformazioni politiche ed economiche avvenute in questi anni, in un contesto in cui la crescita è stata differente da paese a paese, sono emersi cambiamenti anche rispetto alle disuguaglianze tra gruppi sociali. Uno dei maggiori problemi, come detto sopra, è

14 Palier B., (2013), Social policy paradigms, welfare state reforms and the crisis, Il Mulino – Rivisteweb,

Bologna pag. 49

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stato quello legato alla disoccupazione che iniziò a crescere nuovamente e drasticamente dal 2007. Le giovani generazioni sembrarono fin da subito essere quelle maggiormente colpite dal mutamento, esposte a nuovi rischi e nelle mani di politiche sociali che non sempre sono riuscite a garantire una copertura inclusiva e efficace. Molte delle nuove politiche proposte, in un ambiente sempre più dominato dall’austerity, tentarono in modi diversi di sostenere un numero sempre maggiore di persone che stavano sperimentando condizioni di povertà attraverso misure di reddito minimo o sostegno fiscale. Cercarono inoltre di favorire e sostenere l’inserimento degli individui nel mercato del lavoro, anche attraverso politiche che integravano i percorsi scolastici con quelli professionali.

In queste fasi di cambiamento i giovani si ritrovarono da quel momento a fare i conti con un sistema che favoriva le coorti più anziane e con un forte aumento dell’incertezza dei percorsi lavorativi.

Nell’Unione Europea la disoccupazione giovanile infatti è cresciuta e si è distribuita in modo diverso: con una minore difficoltà di accesso al lavoro per quanto riguarda il Nord Europa e al contrario, disagevoli e scomode condizioni nel Sud Europa.

Le conseguenze di questi cambiamenti sono innumerevoli ma quelle che qui ci interessano in modo particolare sono legate alla difficoltà sempre maggiore di emancipazione, di transizione delle persone giovani, le quali con evidente difficoltà riescono a permettersi un’abitazione e sempre più facilmente rischiano di essere coinvolti in condizioni di povertà più o meno gravi16. Le diverse politiche assunte dagli stati per affrontare le problematiche illustrate, possono essere osservate tenendo presente la distinzione proposta negli anni Novanta dal sociologo danese Gøsta Esping-Andersen riguardo i sistemi di welfare europei. L’autore parla di “regimi di

welfare” facendo riferimento con questa espressione al sistema di interrelazione esistente tra

famiglia, stato e mercato. Attraverso l’analisi di queste relazioni Esping-Andersen osserva le divergenze e similitudini emergenti tra i diversi tipi welfare, sostenendo che, le differenze nei processi di inclusione sociale e nel grado di benessere socio-economico, sono riconducibili al diverso ruolo attribuito dallo stato alle potenzialità del mercato e all’azione della famiglia (Kazepov e Carbone, 2007).

Esping-Andersen, infatti, classifica i regimi concentrandosi su alcuni fondamentali concetti che serviranno anche in seguito ad analizzare i due casi studio di riferimento (Italia e Norvegia):

de-mercificazione, de-stratificazione e de-familizzazione17.

16 Cordella G., Masi S.E. (2013), Condizione giovanile e nuovi rischi sociali, quali politiche?, pag 34,

Carocci Editore, Roma

17 Esping-Andersen G. (1990), The three worlds of welfare capitalism, Princeton University press, New

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23

Il primo concetto fa riferimento alla capacità dei sistemi di welfare, di sottrarre un individuo dalla dipendenza dal suo ruolo nel mercato del lavoro, per disporre comunque di risorse e opportunità anche senza avere un reddito da lavoro (bambini, casalinghe, anziani, malati, disoccupati) ; la de-stratificazione misura l’intervento del welfare nel limitare l’impatto che le differenze di classe sociale possono avere nel soddisfacimento dei bisogni e sulle opportunità dell’individuo; la de-familizzazione si riferisce ai compiti di cura e a quanto le politiche sociali o il mercato riescano a sottrarre il peso di questi compiti dalle spalle delle famiglie e in particolare delle donne, consentendo agli individui di disporre di risorse e possibilità anche a prescindere dalle risorse familiari e parentali18.

Ogni paese utilizza bilanciamenti diversi e imposta il proprio sistema di welfare secondo le necessità, ideologie e possibilità. Vediamo adesso quali sono i modelli proposti dal sociologo danese, in seguito terremo di conto di alcune modifiche ed integrazioni che sono state apportate a questa classificazione negli anni 90.

Il regime liberale, rappresentato da USA, Canada, Irlanda, Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda è caratterizzato da basso grado di de-mercificazione e di de-stratificazione, è uno stato che interviene in modo selettivo su chi è maggiormente in difficoltà e si riscontrano diversi sistemi di welfare secondo lo status socio economico. Si tende ad assegnare allo Stato solo compiti limitati e selettivi che il mercato non può svolgere, si occupa principalmente dei più poveri fornendo trasferimenti monetari19.

Il regime conservatore-corporativo rappresentato da Italia, Francia, Germania, Austria e Olanda è caratterizzato un grado medio di de-mercificazione e un basso grado di de-stratificazione, tende dunque a mantenere invariate le differenze tra lavoratori e famiglie che appartengono a classi sociali diverse nelle risposte che offre ai loro bisogni. È caratterizzato da un basso grado di de-familizzazione e di de-stratificazione e una de-mercificazione asimmetrica.

Il regime socialdemocratico rappresentato dai Paesi Nordici si basa su programmi universalistici che coinvolgono tutti i cittadini. Lo Stato afferma il diritto al lavoro di ognuno e persegue l’obiettivo della piena occupazione che serve a finanziare lo Stato Sociale20. Troviamo alto grado di demercificazione, de-stratificazione e de-familizzazione.

È possibile cercare di esaminare in modo riassuntivo le diverse tendenze europee nel rispondere ai problemi emersi nel periodo post crisi economica, osservando il loro conseguente tentativo di cambiamento per proteggere la società dai nuovi rischi sociali e dalla crescente disoccupazione.

18 Ranci C, Pavolini E., (2015) pag. 69-70 19 Cordella G., Masi S.E. (2013), pag 158 20 ibidem

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Le politiche che coprono i vecchi rischi sociali sono ancora predominanti nello scenario europeo ma negli ultimi venti anni hanno preso forma e stanno crescendo anche le politiche dedicate ai nuovi rischi sociali21.

In questo contesto presteremo attenzione alla disoccupazione giovanile e in particolare alla transizione scuola-lavoro, al come, le varie politiche attuate hanno più o meno favorito questo processo che sembra essere divenuto cruciale in molti dei paesi europei.

1.1 I welfare state dei due casi studio: Norvegia e Italia

Prima di osservare più nel dettaglio le politiche nel contesto italiano e in quello norvegese analizziamo i due ambienti e i rispettivi sistemi di welfare state. Questo ci aiuterà a interpretare più facilmente in seguito, le due ricerche sul campo alle quali si dedica questo testo.

Come illustrato sopra, i paesi del Nord Europa tra cui la Norvegia hanno implementato le politiche di Social Investment, tendendo a utilizzare una strategia che rende il welfare attivo, spendendo e investendo molto in politiche sociali e politiche attive e passive nel mercato del lavoro. Come dimostra il caso dei paesi scandinavi, le politiche di SI possono essere usate con successo combinando obiettivi sociali e politici22. Vi è, infatti, una corrispondenza nell’utilizzo di tali politiche e nella maggiore flessibilità di queste nazioni: nel campo del lavoro e della crescita, che permette loro la creazione di posti di lavoro, nella capacità di imparare e innovare. Vi è una bassissima trasmissione intergenerazionale della povertà e alti livelli di istruzione che sembrano tradursi nei fatti in maggiore capitale sociale e coesione23. Le problematiche concernenti il clima, l’ambiente e la tutela del contesto naturale sembrano essere affrontate con serietà e con interventi di successo, nonostante comunque, anche loro siano all’esordio e stiano muovendo i primi passi riguardo a questi temi. La chiave del buon risultato pare essere quella di non perseguire solo ed esclusivamente un ri-orientamento del welfare state con politiche di maggiore attivazione, ma combinando invece, forte protezione e investimenti per promuovere uguaglianza sociale e di genere.

Per molti decenni i paesi del Nord sono riusciti a evitare la disoccupazione grazie all'espansione dei servizi pubblici e alle politiche attive del mercato del lavoro. Attraverso l’espansione del settore pubblico è cresciuta in modo esponenziale la partecipazione femminile, che trova facilmente impiego nell’ambito dei servizi. Nonostante tutto comunque anche in questi paesi vi fu una crescita piuttosto rapida della disoccupazione alla fine degli anni Ottanta. Alla fine degli

21 Ibidem

22 Palier B., (2013), Social policy paradigms, welfare state reforms and the crisis, Il Mulino – Rivisteweb,

Bologna pag. 49

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anni Novanta in Norvegia e negli altri paesi scandinavi ci fu la tendenza a ridurre la generosità dei sussidi per i disoccupati e la decisione di attivare varie misure di spesa sociale. Ampi dibattiti, infatti, erano emersi e sono tuttora in discussione a causa dei generosi sostegni economici che secondo alcuni disincentivavano al lavoro, per questo le misure previste cercavano di evitare la dipendenza dalla protezione sociale. Si è tentato di assorbire l’eccesso di disoccupati creando posti di lavoro pubblici e monitorando direttamente ogni persona in cerca di lavoro per evitare comportamenti di moral hazard ed eliminando i sussidi a coloro che non accettavano lavori proposti.

Alla fine degli anni Novanta grazie ad interventi mirati ed organizzati in modo organico il livello di disoccupazione tornò a decrescere24. Evidenziata la tendenza generale dei paesi scandinavi, andiamo ad osservare come questa impostazione del welfare abbia avuto impatto sulla popolazione e sulla effettiva protezione sociale.

I sistemi di welfare socialdemocratici come abbiamo detto, sono sistemi che si basano sul principio dell’universalismo e sono caratteristici della Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca. Utilizzano politiche a sostegno di tutta la popolazione, a prescindere dalla condizione individuale economica e sociale, indipendentemente dai contributi versati e dalla precarietà economica. In molti hanno osservato l’abilità dei paesi nordici di combinare competitività, crescita, uguaglianza e redistribuzione sociale25. Come abbiamo discusso sopra, la problematica emergente negli ultimi decenni è stata proprio quella relativa alla difficoltà di combinare politiche in grado di rispondere a necessità che in parte si delineavano come nuove, la Norvegia è riuscita ad includere i nuovi rischi sociali all’interno del sistema di protezione pubblico attraverso un'espansione e un ri-adattamento del suo sistema di welfare26. Andiamo ad osservare alcuni fattori caratteristici che possono aiutarci a rappresentare la condizione di questa nazione in termini di problematiche e investimenti in politiche diverse.

Iniziamo dalla povertà, uno dei problemi che affligge ancora oggi molti paesi e che implica delle difficoltà nel disegnare politiche e combinazioni adeguate, la Norvegia, insieme ai paesi scandinavi, ha un rischio e un'incidenza molto bassi rispetto agli altri paesi europei, le indennità, infatti, sono generose sia per l’ampia platea dei destinatari sia per entità27. Più di molti altri paesi infatti hanno sviluppato politiche di sicurezza sociale comprensive e generose per tutti i

24 ibidem

25 Johansson H., Bjørn H,(?) New models of participation in Nordic welfare state: can they also include

groups at the margins of society?, Paper prepared for the Mid-term conference of the NCOE , May 18-20, Oslo, Norway pag.3

26 Villa. M, Venke F.J., (2015), The changing logics of the Italian and Norwegain employment and

inclusion policies. Using comparative bottom-up case studies to understand intra-country variation and regime shifts, pag.10

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cittadini indipendentemente dai contributi versati durante gli anni di lavoro che permettono dunque una assistenza penetrante ed efficiente oltreché affiancata da politiche attive inclusive. Gli investimenti e le riforme infatti che questi paesi hanno avviato attraverso l’attuazione di politiche di attivazione per mantenere gli individui operosi nel mercato del lavoro sono spesso prese ad esempio da molte nazioni data la funzionalità e il basso numero di disoccupati e poveri che caratterizza questi ambienti.

Altro fattore a cui è necessario fare cenno,ne capiremo meglio la ragione nel momento in cui parleremo del caso italiano, riguarda le politiche abitative, in questo paese, si assicura ad ogni famiglia un'abitazione adeguata, attraverso una combinazione di social housing, sussidi e sostegni per l’accesso alla proprietà. Le politiche e i servizi disponibili prevedono infatti diverse misure dedicate alle fasce della popolazione più vulnerabile, tra cui anche le persone giovani le quali con difficoltà riescono ad accedere a una abitazione se non aiutati ed agevolati dallo stato. Come vedremo questi fattori in alcuni paesi divengono determinanti e non permettono autonomia e indipendenza dalla famiglia di origine.

Altro importante aspetto di cui abbiamo sopra discusso e che è divenuto parte dei nuovi rischi sociali è certamente quello delle politiche di conciliazione cura-lavoro. Quando affrontiamo questo argomento non possiamo non sottolineare il ruolo che ricoprono le donne nella dinamica che da sempre le vede coinvolte nei compiti di cura. I paesi scandinavi danno, ormai da molto tempo, una notevole importanza alle pari opportunità di genere, le famiglie generalmente godono di trasferimenti economici consistenti e congedi parentali con elevati livelli di indennità. La donna è pienamente coinvolta nel mercato del lavoro grazie alle politiche che hanno in molti casi agevolato la loro occupazione e a seguito della attivazione di molti servizi, spesso di elevata qualità e costi limitati, che permettono all’intera famiglia di lavorare senza dovere prevedere lunghi periodi di inoccupazione a causa di figli piccoli e/o genitori anziani. Anche le prestazioni di long-term care o di lungo-assistenza sono molto maturi ed evoluti, i paesi Scandinavi furono tra i primi a sviluppare moderni approcci a queste problematiche. L’intervento pubblico è massiccio e penetrante e permette nella maggioranza dei casi di non far pesare sulle famiglie le i costi e le cure delle persone più anziane28. Il principio di de-familizzazione attraverso gli interventi statali è pienamente ed efficacemente attuato.

Per quanto invece riguarda l’Italia,essa appartiene, nella classificazione di Esping-Andersen, al regime conservatore-corporativo ma vedremo in seguito che sembrano adeguarsi maggiormente al caso italiano alcune rivisitazioni e modifiche che sono state apportate alla classica categorizzazione del sociologo danese. Il regime conservatore-corporativo si distingue per un

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forte familismo ed uno stato che si attiva nel momento in cui le famiglie o l’individuo non riescono a soddisfare i propri bisogni in modo autonomo e attraverso schemi assicurativi obbligatori che coprono solo in parte i lavoratori dai principali rischi sociali. Gli interventi pubblici sono strettamente legati alle differenze riguardanti le retribuzioni e alla capacità contributiva, in breve, a diversa classe sociale corrisponde un diverso tipo di assistenza. Le politiche di welfare infatti non sembrano essere state disegnate con l’obiettivo di migliorare la condizione connessa alle disuguaglianze sociali, gli schemi assicurativi pubblici infatti, come detto sopra coprono gli individui in base alla loro occupazione e alla loro posizione nel mercato del lavoro dunque lasciano inalterate le differenze sociali.

Durante gli anni successivi alla classificazione tradizionale di Esping-Andersen riguardo i regimi di welfare furono mosse delle critiche dirette alla poca considerazione che veniva data al ruolo della famiglia e al cosiddetto “welfare dei servizi”. Alcuni studiosi ritennero infatti che l’autore avesse dato molta importanza ai trasferimenti monetari a scapito dei servizi, i quali spesso invece erano fondamentali e coprivano rischi e bisogni sociali. Tra i vari interventi utilizzeremo la integrazione proposta da Ferrera (1996) il quale considerò l’esistenza di un altro regime di welfare in aggiunta ai tre esistenti che venne definito come modello Sudeuropeo e comprendente Italia, Grecia, Spagna e Portogallo. Si argomentava che i paesi sud europei avessero della particolarità rispetto agli altri e ancora oggi effettivamente è possibile leggere in questa chiave i paesi del sud nei quali si riscontrano delle peculiarità che permettono una categorizzazione a parte.

L’Italia oggi dunque non rientra a pieno titolo nel regime Conservatore Corporativo di Esping-Andersen per diverse ragioni, tra cui un modello di intervento pubblico misto, che si basa su programmi assicurativi legati alla occupazione in campo pensionistico ma sistemi universali a livello sanitario; uno scarso sviluppo delle politiche contro la povertà e assistenziali; una forte differenza di tutele per coloro i quali lavorano nel settore pubblico e nelle grandi imprese rispetto a coloro che lavorano in imprese più piccole; il forte e deciso familismo per cui molti compiti sono affidati alle famiglie, specialmente quelli relativi alle cure. Questi tratti sono comuni anche a Grecia, Portogallo e Spagna.

Furono quindi date letture diverse, fatte modifiche e integrazioni alla classifica esistente di Esping-Andersen, la quale comunque rimane una solido punto di riferimento per la letteratura. A differenza dei paesi nordici, nei paesi sud europei, in particolare in questo caso in Italia esiste una mancanza nella attuazione di politiche e servizi che stimolano e motivano alla partecipazione attiva nel mondo del lavoro, la tendenza degli ultimi decenni è stata quella di utilizzare un riadattamento caratterizzato da politiche sottrattive e non adatto alle sfide che

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stanno emergendo da diversi anni29. Questo aspetto come vedremo più avanti, risulterà centrale nella nostra ricerca e ci aiuterà a identificare tendenze sostanzialmente diverse nei due paesi. Il welfare italiano è caratterizzato da una forte passività rispetto a quello dei paesi nordici ed è un caso piuttosto emblematico nel panorama europeo. La composizione della spesa sociale è rimasta immutata e pensioni e sanità stanno continuando ad assorbire grandi quantità di risorse pubbliche ma sono rimaste al minimo le spese per politiche occupazionali e per la famiglia. La spesa relativa all’istruzione è sconfortante e la tendenza principale sembra quella del retrenchment. Osservando l’andamento europeo nel rispondere alle problematiche dei nuovi rischi è piuttosto chiaro che l’Italia non è riuscita a rispondere in modo concreto ai problemi che gli si sono presentati davanti negli ultimi decenni: politiche di sostegno alle famiglie minime, le politiche attive per il lavoro non rispondono in modo solido alle necessità, le politiche educative risentono dei forti tagli e le politiche passive non tengono il passo e sono inadeguate al contesto e alle sfide30. L’Italia inoltre come altri paesi del Mediterraneo ha tradizionalmente privilegiato i trasferimenti monetari, a differenza dei paesi nordici che per varie ragioni hanno sempre investito in servizi. Diversi sono i pareri riguardo a questi due tipi di intervento, alcuni sostengono che i trasferimenti sono in grado di rispettare le volontà e le scelte individuali mentre altri sostengono che i servizi abbiano effetti più egualizzanti31.

In Italia si riscontra una generale inabilità della politica nel rispondere alle emergenti problematiche connesse ai nuovi rischi sociali e una considerazione degli investimenti sociali quali spese non produttive. A differenza dei paesi nordici in cui l’attivazione, la promozione di misure volte alla conciliazione di cura e lavoro, l’alta qualità dell’educazione sono considerati fondamentali, oltre che per realizzare uguaglianza e coesione anche in previsione che da questi fattori si possa riscontrare una crescita economica e un investimento per il futuro.

Prima degli anni Novanta l’Italia si caratterizzava per una spesa importante dovuta alla generosità dei trattamenti pensionistici, non in linea con il resto dell’Europa e a scapito invece di investimenti rivolti alla disoccupazione e alle necessità familiari. Successivamente date le difficoltà occupazionali cercò, attraverso alcuni cambiamenti di rotta, di limitare la generosità delle pensioni e di prevedere attraverso un nuovo sistema la diminuzione della spesa previdenziale. Negli stessi anni si tentò inoltre di ri-orientare le politiche del lavoro attive e passive implementando le prima e aumentare la flessibilità dei contratti di lavoro “in entrata” per permettere una maggiore partecipazione.

29 Ascoli U. , Ranci C., Sgritta G., (2016), pag. 18 30 Ascoli U. , Ranci C., Sgritta G., (2016), pag. 18

31 Saraceno C., (2013), Il Welfare, modelli e dilemmi della cittadinanza sociale, Il Mulino, Bologna, pag

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Per quello che concerneva la sanità e l’istruzione continuarono ad essere basate su principi universalistici ma la spesa sociale dedicata sembrava essere diminuita sotto la media europea in particolare in relazione alla spesa per la sanità.

In questo quadro il paese non è riuscito a rafforzare le risposte verso coloro che erano e sono portatori di nuovi rischi o bisogni, ha seguito un percorso di retrenchment senza investire in quelli che sono divenuti i nuovi rischi32 o spostando poche risorse e in modo del tutto frammentario.

Per quanto riguarda la povertà i paesi del Sud Europa sembrano rispondere con debolezza: le politiche attive sono poco sviluppate, le indennità di disoccupazione sono poco inclusive e affatto generose, il sostegno al reddito è fragile.

Anche l’accesso alla casa risulta difficoltoso, la famiglia, come vedremo nei prossimi capitoli ha un ruolo molto importante nel sostenere l’accesso all’abitazione perché non sono particolarmente sviluppate le politiche pubbliche in questo frangente. È molto difficile accedere ai mutui per l’acquisizione di una casa per una persona che lavora da poco tempo o ha una lavoro non stabile e la famiglia in questo caso gioca un ruolo centrale nel sostenere economicamente i familiari attraverso trasferimenti, autocostruzione oppure donazioni. Specialmente i giovani in questi paesi, in particolare, come vedremo, in Italia, riscontrano enormi difficoltà nel riuscire a rendersi autonomi a causa della mancanza di stabilità lavorativa e conseguentemente di impossibilità nell’accedere a delle abitazioni che siano affitti o mutui. Strettamente legato a questa difficoltà, come discutevamo anche sopra, nel contesto dei paesi del Sud Europa si è cercato di rendere maggiormente flessibile anche il mercato del lavoro diffondendo contratti non standard e a causa mista e dando vita ad una condizione in cui rimane molto forte la distinzione di protezione e sicurezza tra outsider e insider. Una situazione questa che ha generato forte insicurezza e che in modo particolare si è abbattuta sui giovani, a causa dei contratti atipici e della disoccupazione, per quanto riguarda la possibilità di accedere al lavoro e ad una stabilità, che permetta loro di creare un nucleo familiare.

Evidente risulta anche lo scarso collegamento che la scuola riesce ad avviare con le aziende e una limitata formazione professionale. Anche in questo caso, oltre a quello connesso alla abitazione, è dimostrato quanto importante sia la famiglia e le risorse a loro disposizione per attivare successivamente il giovane e dare lui la possibilità di ampliare il suo bagaglio culturale e il suo capitale sociale.

In nome del familismo, che caratterizza questi paesi sud europei, non molto diversa è la condizione della cura per persone anziane e/o figli piccoli, la maggior parte delle responsabilità infatti sono affidate alla famiglia, i trasferimenti previsti sono poco generosi e selettivi e

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l’offerta dei servizi non è sempre adeguata e sufficiente. Per quanto concerne le persone anziane l’innovazione è stata pressoché nulla a fronte di una crescita importante dell’invecchiamento della popolazione33. Come lo è stato per i paesi del nord Europa, anche la capacità di aumentare la occupazione femminile dovrebbe essere un obiettivo per l’Italia da porsi in modo serio, la mancanza di interventi e le difficoltà di conciliazione lavoro-cura comportano spesso la presenza obbligata della madre nella abitazione per i primi anni di vita dei piccoli, e un difficile, se possibile, successivo ingresso nel mondo del lavoro.

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CAPITOLO 2

LA TRANSIZIONE DEI GIOVANI DALLA SCUOLA AL LAVORO: UNA FASE

CRITICA DETERMINANTE

Un tema sempre più rilevante nello scenario europeo è quello della difficoltà dei giovani di trovare stabilità e lavoro una volta terminato il percorso scolastico obbligatorio. Sembra sempre più complessa la transizione che porta le persone giovani a inserirsi nel mercato del lavoro e a rendersi autonomi dalla famiglia di origine, cercando spazio all’interno di un contesto socio-economico in mutamento. Nei capitoli successivi ci occuperemo di presentare i vissuti e le sensazioni rilevate in due ambienti diversi, Italia e Norvegia, di giovani in condizioni sociali e lavorative eterogenee che stanno affrontando questa transizione con strumenti e trascorsi disomogenei.

Questi dati ci aiuteranno, per quanto possibile, a osservare tendenze diverse nei due paesi e analizzare quale potrebbe essere la tendenza della transizione che avviene, come i giovani vivono l’esperienza della fine del percorso scolastico obbligatorio e l’inserimento nel mercato del lavoro all’interno di contesti diversi.

In questo capitolo invece, vorrei mettere in luce la condizione attuale dei paesi europei sottolineando i casi dei due paesi presi in esame, Italia e Norvegia, introducendo la problematica della transizione e dando spazio a ciò che riguarda la disoccupazione giovanile, i sistemi educativi e gli ambiti su cui può intervenire il sistema pubblico per facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Negli ultimi decenni i welfare europei hanno dovuto fronteggiare uno scenario economico e produttivo in mutamento che sta portando con sé nuovi rischi sociali, diversi da quelli che esistevano nel momento in cui nacque e si consolidò il sistema di welfare.

Lo scenario di riferimento è quello che dà spazio a nuovi fenomeni e conseguenti effetti, quali, per elencarne alcuni, la globalizzazione, che comporta un’interconnessione economica tra paesi, la terziarizzazione, che vede il forte aumento dell’occupazione femminile, la tecnologia, che cambia radicalmente i processi produttivi e il lavoro.

Il periodo dei Trenta Gloriosi fu caratterizzato da pieno impiego e crescita dei salari favorito da alcune condizioni di contesto come la dimensione piccola delle coorti in età da lavoro, l’aumento della produttività e le donne che non lavoravano.

L’occupazione nell’industria ha iniziato a ridursi negli anni 80, tra il 1979 e il 1993 i paesi OCSE hanno perso in media il 22% dei posti di lavoro manifatturieri, in alcuni, la riduzione

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della occupazione è stata ancora più alta34.Dunque siamo di fronte ad un contesto lavorativo che muta e si riorganizza e che in alcuni casi implica una perdita del tradizionale lavoro in fabbrica degli uomini e ad un loro ingresso insieme alle donne, delle quali aumenta il numero di occupate, all’interno del mercato dei servizi35.

Oltre alla questione della crescita dei servizi, dobbiamo anche porre attenzione al cambiamento che ha subito la fabbrica, che passa da una produzione di massa ad una produzione cosiddetta

just in time basata sulla specializzazione flessibile, sull’attenzione dei desideri dei consumatori e

sull’impiego del valore aggiunto del know-how e dell’apporto tecnologico. Questo ha portato ad un netto cambiamento dei processi produttivi e ad una riorganizzazione strutturale della domanda, oltre che ad una richiesta di competenze più specifiche e tecniche della forza lavoro. La disoccupazione sembrava minacciasse i lavoratori non qualificati, i quali, sempre più spesso, si trovavano esclusi da un mercato che necessitava di forza lavoro e competenze spendibili in un contesto di tecnologia avanzata36.

Gli effetti derivanti dal cambiamento della domanda e dell’offerta di lavoro sono diversi per ogni tipologia di lavoratore: per i giovani spesso è difficile trovare lavori che corrispondano alle aspettative o coerenti col percorso di studi (mismatch), per i più anziani esiste la difficoltà di rispondere ai cambiamenti imposti dalle nuove tecnologie e per le donne è diffusa la difficoltà di conciliare lavoro ed esigenze della vita quotidiana37.

Sempre più spesso nei nostri giorni il mercato del lavoro è caratterizzato da instabilità, l’occupazione difficilmente risulta sicura e resiste all’interno della stessa azienda e con la stessa mansione e la carriera lavorativa risulta frammentata e contraddistinta da momenti che alternano formazione, disoccupazione, occupazione. La perdita del lavoro oggi, diventa una condizione strutturale del mercato del lavoro38.

L’incertezza provocata da questa situazione dovrebbe essere oggetto di politiche di welfare finalizzate a proteggere da eventuali rischi la popolazione che, specialmente quella giovanile, con sempre più difficoltà transita dal contesto familiare di origine all’indipendenza.

Ogni paese europeo ha dato avvio a riforme per rispondere a questi mutamenti del contesto economico e lavorativo, gli stati membri dell’ Unione Europea hanno dato vita a processi diversi a seconda dei contesti, delle politiche e della propria storia ma seguendo comunque una direttrice comune di welfare attivo. Vedremo più avanti attraverso quali strumenti.

34 Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino,Bologna

pag 177

35 ibidem

36 Kazepov Y., Carbone D. (2007) Che cos’è il welfare state, Carocci, Roma, pag. 109 37 Kazepov Y., Carbone D. (2007) Che cos’è il welfare state, Carocci, Roma, pag. 110 38 Ibidem pag. 112

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I due modelli, regime socialdemocratico e mediterraneo o sud europeo dei quali ci occupiamo in questo contesto, hanno percorso strade diverse e raggiunto risultati altrettanto differenti. I regimi socialdemocratici hanno una tradizione consolidata nell’ambito delle politiche attive del lavoro ma nell’ultimo periodo anche nei programmi di assistenza sociale sono stati previsti elementi di attivazione: l’erogazione del servizio di fatto è subordinata all’attivazione dell’individuo in condizione di bisogno. La strategia utilizzata dai paesi del Nord prevede la possibilità di dare avvio a piani di attivazione individualizzati in cui è prevista la partecipazione dell’utente nella definizione dei programmi di reinserimento. Come abbiamo già detto il principio ispiratore di tali politiche prevede l’obiettivo di implementare le competenze degli utenti col fine di aumentare la loro attrattività nel contesto di mercato e nella ricerca del lavoro39. Il loro scopo è quello della piena occupazione che si traduce in politiche del lavoro attive e intense in termini di risorse e di programmi, che prevedono formazione, riqualificazione o promozione del lavoro. Tentano pertanto di massimizzare le capacità produttive dei cittadini e lo stato si propone di offrire risorse necessarie a lavorare e ricerca la motivazione appropriata40. È un regime dominato dallo stato, i piani di assistenza sociale si svolgono attraverso la collaborazione tra attori quali le agenzie di assistenza sociale e gli uffici del lavoro e il settore privato ha un ruolo evidentemente marginale41 come potremo assumere successivamente all’analisi delle interviste e dei dati raccolti in Norvegia. In questi contesti esistono molte differenze locali con diversificati interventi in base ai territori, tale fatto è emerso anche durante le interviste che sono state somministrate nell’ambito di Grimstad, cittadina norvegese entro la quale si è svolta la ricerca. La stretta collaborazione tra i diversi livelli di governo, comune, contea e stato, ha permesso la creazione di efficienti reti di servizi e interventi distribuiti a livello locale, i quali però, a seconda dei contesti sembrano essere “diversamente efficienti”. Molte istituzioni a livello locale hanno la libertà di scegliere la propria linea di azione e quali politiche utilizzare per mantenere certi standard, questa libertà, insieme a fattori contestuali provocano delle divergenze nei risultati e nella qualità ed efficienza dei servizi e degli interventi. Nonostante le diseguaglianze locali rimane comunque alto lo standard delle prestazioni previste.

I paesi del nord generalmente e la Norvegia in particolare, fino al 1992, sono riusciti a mantenere piena occupazione e livelli molto alti di eguaglianza. Questo successo sembra dovuto alla combinazione di politiche e istituzioni che hanno funzionato attraverso un sistema di contrattazione basato sulla concertazione e un mercato del lavoro flessibile, ma capace di

39 ibidem

40 Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino,Bologna

pag 139

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garantire ai lavoratori benessere e sicurezza grazie ad un’alta protezione del reddito e politiche attive del lavoro. Nonostante tutto le difficoltà dopo gli anni Novanta sono arrivate anche per questi paesi ma non intense quanto quelle che riguardano il resto dell’Europa.

I regimi di welfare mediterraneo, ai quali appartiene l’Italia, hanno meno conoscenza e tradizione nell’utilizzo dei programmi di attivazione rispetto ai paesi socialdemocratici, hanno comunque tentato di avviarne alcuni, nonostante le politiche passive prevalgano ancora oggi. Questi regimi danno particolare importanza alla protezione dell’impiego del maschio capofamiglia e le politiche attive risultano solo limitate42. Lo stato assume un ruolo marginale, definito sussidiario, assumono invece molta importanza le reti sociali primarie senza che, però, lo stato le sostenga con sussidi o trasferimenti monetari. L’intervento statale è assolutamente residuale e si attiva solo nel momento in cui vi è un fallimento o la impossibilità delle reti familiari di fornire aiuto ed assistenza ad individui che devono manifestare la necessità43. Sappiamo inoltre che tali regimi tendono a rispondere con misure strettamente legate alla posizione occupazionale dell’individuo, il grado di de-mercificazione è evidentemente basso e la persona è strettamente congiunta al suo ruolo occupazionale. Esiste infatti una forte divergenza negli interventi e nel sostegno tra le varie fasce della popolazione.

Essendo un sistema caratterizzato da forte familismo questi regimi scaricano inoltre il sostegno dei disoccupati sulle spalle della famiglia scoraggiando così l’occupazione delle donne, le quali ora come in passato spesso si trovano ad dovere accudire i più piccoli, i malati e gli anziani al posto dello stato e spesso senza il suo sostegno.

2.3 Europa, disoccupazione giovanile e nuovi rischi sociali

Negli ultimi decenni il mercato del lavoro è cambiato in modo sostanziale, se prima era considerato normale lavorare presso un unico datore di lavoro, nel tempo, sembra sempre più difficile riuscire a trovare, specialmente per i giovani, lavori a lungo termine e corrispondenti al percorso di studio fatto. Insieme ai cambiamenti del mercato del lavoro mutano anche le figure professionali richieste.

In tutta Europa si è dato avvio a delle riforme strutturali per affrontare i cambiamenti e aumentare il tasso di occupazione attraverso revisione e/o attuazione di politiche attive e passive del lavoro e maggiore flessibilità dei contratti per favorirne l’accesso44.

42 Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino,Bologna

pag 144

43 Vogliotti S., Vattai S., (2014), Welfare State, modelli di welfare state in Europa, Bolzano, AFIIPL 44 Righi A., Sciulli D. (2008),Durata dei processi di transizione scuola-lavoro: un confronto europeo,

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