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Come abbiamo sottolineato sopra è importante capire quale è il ruolo della famiglia nel contesto attuale di transizione scuola-lavoro. La posizione della persona in cerca di lavoro in seno alla famiglia, è un aspetto importante perché questa influisce sulle risorse psicologiche oltre che economiche70.Gli studi fatti in molti casi dimostrano gli effetti che un certo tipo di contesto familiare ha sui rendimenti dei figli, in termini di successo scolastico e di carriera. Altrettanto

68 ibidem 69 ibidem

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analizzato è l’impatto della povertà della famiglia sul futuro del figlio. Uno dei modelli più accreditati è quello che prevede la correlazione causale tra denaro-investimento-denaro: l’investimento nell’istruzione del figlio dipende, secondo questo modello, dalla possibilità e dal capitale culturale della famiglia: una famiglia abbiente che investe in istruzione favorirà un buon rendimento futuro del figlio in termini di carriera e reddito71.

Come afferma l’OECD (2001) le risorse culturali ed educative dei genitori sono di importanza vitale per lo sviluppo cognitivo dei figli e per i loro risultati successivi. Diversi studi mettono in evidenza che il rendimento cognitivo dei figli dipenda molto più dal capitale culturale della famiglia rispetto alla sua ricchezza materiale o al suo status socio-economico. Le ricerche sottolineano le differenze sostanziali tra paesi: sembra infatti che nei paesi del Nord Europa a differenza per esempio anche degli USA, vi sia una più marcata indipendenza ed elasticità tra i risultati del figlio in termini di studio e carriera, ricchezza e capitale culturale della famiglia. Queste differenze possono essere analizzate attraverso l’osservazione dei programmi universalistici proposti dai welfare nordici, nei quali, l’intervento attraverso trasferimenti pubblici e servizi possono mitigare le disuguaglianze sociali ed aumentare e rendere equivalenti le opportunità. È noto quanto la povertà di una famiglia sia correlata a risultati formativi e lavorativi più bassi del figlio, ma è altrettanto noto agli studiosi che molto dipende da come il programma di trasferimenti monetari è progettato dal sistema pubblico.

Gli stati scandinavi, attraverso l’erogazione di servizi a basso costo, accessibili alla maggioranza della popolazione, sono riusciti a limitare l’impatto della povertà sulle famiglie. Nei paesi nordici l’irregolare distribuzione del capitale culturale è neutralizzato, perché gli stimoli cognitivi sono stati spostati in centri che non riproducono le differenze tra classi sociali, ogni bambino, di ogni estrazione sociale, infatti può accedere alla scuola e ad i servizi di doposcuola offerti a costi vantaggiosi. Questo permette una parità di opportunità tra classi sociali che non riproduce diseguaglianze. L’eredità sociale rimane fortemente pervasiva proprio perché i sistemi formativi riproducono le disuguaglianze preesistenti72. Le politiche pubbliche e il ruolo della famiglia nel percorso di transizione dalla scuola al lavoro hanno una funzione importante e influenzano anche un altro aspetto fondamentale di questo tragitto scuola-lavoro che sembra andare sempre più destrutturandosi. Nel periodo in cui il giovane lascia l’ambiente scolastico, il ruolo della famiglia risulterà essenziale se il tempo che serve per trovare un’attività lavorativa stabile è lungo, al contrario se vi è una durata limitata il giovane è più probabile che possa riuscire con le proprie forze.

71 Esping-Andersen G., Mestres J.(2003), Ineguaglianza delle opportunità ed eredità sociale, in Stato e e

Mercato pag. 123-152

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La difficoltà dei giovani di transitare dal periodo scolastico al mondo del lavoro è in questo momento storico molto evidente anche se, come risulta da alcuni studi, già nel 1994 venisse registrato dall’indagine europea sulle famiglie che oltre il 77% dei giovani italiani vivesse con i genitori, contro una percentuale dei paesi scandinavi di circa il 15%73. Non cambia molto negli anni successivi, risulta che nel 2012 infatti il 61,2% dei giovani italiani tra i 18 e i 34 viveva ancora con i genitori con una maggioranza degli uomini rispetto alle donne, la percentuale rimane simile tra le persone che vanno dai 25 ai 29 anni mentre diminuisce drasticamente per coloro i quali hanno tra i 30 e i 34 anni che è del 29,6%. Nei paesi scandinavi invece il tasso continuava ad essere molto basso anche negli anni successivi74.

Nei paesi dell’Europa Meridionale, Italia compresa, con alta disoccupazione giovanile, si riscontra una condizione in cui la famiglia mantiene economicamente a lungo i figli inattivi o in cerca di lavoro e questo avviene principalmente a causa della scarsa generosità degli schemi di sostegno del reddito per i disoccupati e l’assenza in alcuni casi di protezione per coloro che sono giovani e disoccupati. I genitori sono spesso disposti a compiere sacrifici affinché i figli possano accedere a posizioni lavorative congrue con il titolo di studio al costo di lunghe attese. Da alcune rilevazioni emerge che i figli delle famiglie con basso reddito limitano i tempi di attesa rinunciando alle proprie aspettative e accettando le prime occupazioni proposte.

I paesi in cui la penalizzazione dei giovani è minima come la Germania e i paesi scandinavi, i giovani escono presto dalla famiglia, supportati da sussidi di disoccupazione generosi e universalistici. Nei paesi dell’Europa meridionale al contrario, le famiglie sostengono i giovani senza lavoro offrendo loro un’abitazione, un reddito e spesso anche posti di lavoro in aziende di famiglia. I giovani coinvolti in questa faticosa condizione e transizione vivono quindi da un lato un lungo periodo di mancata indipendenza, dall’altro, hanno la possibilità di permettersi una ricerca del lavoro meno assidua75.

Riassumiamo quindi brevemente le caratteristiche della transizione scuola-lavoro nel contesto norvegese e del contesto italiano, rispettivamente.

Nel 2011 la spesa per l’educazione in Norvegia era il 6,66% della spesa pubblica e l’istruzione risulta fondamentale per trovare un’occupazione76.

73 Ibidem pag.122

74 Istat, 2014 Generazioni a confronto, come cambiano i percorsi verso la vita adulta, pag 97 75 ibidem

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Il sistema di istruzione norvegese è rigido e sequenziale e a coloro che abbandonano il percorso di studi si offrono possibilità di recupero e formazione professionale attraverso interventi pubblici.

Come già accennato, in Norvegia come negli altri paesi scandinavi l’obiettivo è quello della piena occupazione, che è vista come lo strumento principale per finanziare lo stato sociale, ed è fortemente caratterizzata dai suoi interventi universalistici, che mirano a proteggere tutti dai rischi sociali, vecchi e nuovi. La disoccupazione giovanile delle persone tra 15 e i 24 anni nel 2016 era dell’11,2%, dalle statistiche e dai dati presentati da Eurostat sembra quindi tendenzialmente aumentata dal 2006 con una diminuzione nell’ultimo anno.

Sono state introdotte importanti misure di flexsecurity conciliando flessibilità del lavoro e sicurezza dei lavoratori e avviate molte politiche attive del lavoro spesso attuate attraverso piani di azione individuali che vedremo meglio in seguito. La conciliazione tra politiche passive e attive e schemi assicurativi generosi permettono, alla maggior parte dei giovani, di non cadere in condizioni di povertà e di non pesare sulle spalle dei genitori una volta finito il percorso scolastico.

In Italia la spesa per l’istruzione nel 2011 risultava più bassa di quella norvegese ed era del 4,29% della spesa pubblica77. Molti studiosi sostengono che l’anello debole del sistema di transizione scuola lavoro sia da attribuire proprio al sistema educativo poco efficiente all’interno di un contesto difficile anche per quanto concerne il mercato del lavoro e l’andamento della economia.

Elemento spesso discusso è quello della durata eccessiva degli studi che sembra essere uno dei motivi che determina una percentuale di abbandono tra le più alte del mondo. Vi è un basso numero di laureati e di diplomati e le riforme attuate non sembrano capaci di far fronte a tale problema. Il tempo necessario alla transizione scuola lavoro è molto lungo78.

Come si evidenzia nella sottostante tabella Eurostat, la disoccupazione delle persone di età tra i 15 e i 24 anni nel 2016 in Italia era ben al di sopra della media europea, con un tasso del 37.8%, molto alto, rispetto agli altri paesi europei. A differenza della Norvegia che invece ha un tasso di disoccupazione giovanile pari al 6.1% nel 2016.

La disoccupazione giovanile che viene presa in esame dai grafici Eurostat include tutti i giovani tra i 15 e i 24 anni che sono disoccupati. Il tasso di disoccupazione è la percentuale di disoccupati giovani comparati con il totale della popolazione di quell gruppo di età (non solo gli attivi ma anche gli inattivi, ad esempio gli studenti).

77 Actualitix https://goo.gl/xC4hjL

78 Cordella G., Masi S.E. (2013), Condizione giovanile e nuovi rischi sociali, quali politiche?, pag 165,

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Figura 3. Disoccupazione delle persone tra i 15-24 anni Italia dal 2005 al 2016 (Eurostat)

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Le riforme apportate al mercato del lavoro hanno previsto maggiore flessibilità e legalizzazione del lavoro temporaneo ma hanno incrementato e favorito la diffusione del lavoro atipico. Questi strumenti hanno certamente aperto al strada ad una riduzione della disoccupazione ma non hanno modificato la durata della transizione, che rende i giovani dipendenti dalla famiglia di origine per periodi lunghi e/o costretti ad accettare lavori temporanei mettendo da parte le proprie aspirazioni79.Questa complessità è dovuta anche da altre ragioni, quali la mancanza di efficienti politiche attive del lavoro, basse coperture assicurative e assenza di schemi assistenziali di sostegno al reddito che sostengano la persona nel passaggio determinante di cui abbiamo fino ad ora parlato80.

2.6 Conclusioni

Confrontando i due diversi regimi di welfare, italiano e norvegese sembrano piuttosto chiare le peculiarità che contraddistinguono queste due aree. Le condizioni attuali di ognuno dei due paesi sono dovute a fenomeni strutturali e a storie e politiche molto diverse.

Tra le varie differenze appare di grande interesse la questione che Esping-Andersen definisce “familizzazione” ovvero una sorta di contributo della famiglia alla produzione totale di welfare. La capacità del welfare di de-familizzare, dunque di limitare l’intervento della famiglia nella produzione di cura e servizi, non è equivalente nei diversi sistemi. Negli studi che sono stati fatti, emerge che i paesi nordici sono effettivamente gli unici in grado di de-familizzare, mentre gli altri paesi dimostrano uno scarso impegno nel settore dei servizi81 e la cura dei familiari sembra essere sostanzialmente a carico dei parenti più stretti.

A seguito delle osservazioni fatte in questo capitolo possiamo concludere sottolineando la divergenza esistente nel ruolo che la famiglia ricopre in Italia e in Norvegia.

La situazione italiana come abbiamo già detto è caratterizzata da un forte familismo e da una assenza di servizi pubblici in grado di aiutare il giovane e limitare il ruolo della famiglia. Si manifesta fondamentale oggi, in una condizione di mancanza di lavoro per i giovani e una sempre più lunga fase di transizione, che la famiglia sia presente e disponibile, non solo economicamente.

79 Cordella G., Masi S.E. (2013), Condizione giovanile e nuovi rischi sociali, quali politiche?, pag 165,

Carocci Editore, Roma

80 Ranci C, Pavolini E., (2015), Le politiche di welfare, pag. 192, Il Mulino, Milano

81 Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino,Bologna

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In Norvegia la condizione è diversa, sia per quanto concerne l’occupazione che per quello che riguarda la transizione. Le difficoltà dei giovani sembrano essere minori in forza della bassa disoccupazione giovanile e dalla presenza di diversi servizi pubblici universali che intervengono in maniera congiunta per rendere le persone indipendenti dalla famiglia di origine. Osservare il diverso ruolo giocato dalla famiglia all’interno di contesti così diversi può essere interessante per analizzare e leggere, come faremo in seguito, le storie di vita di persone giovani che hanno appena superato o vivono, al momento dell’intervista, la loro transizione in due territori molto diversi. Così facendo, potremo conoscere meglio cosa e come effettivamente queste persone giovani vivono questo delicato periodo della vita e quale sia l’importanza della famiglia durante questo turbolento e travagliato percorso.

Le problematiche sembrano intersecarsi ed essere spesso l’una dipendente dall’altra, come descrive Esping-Andersen in uno dei suoi testi: i paesi europei contraddistinti da forte familismo trovano spesso degli ostacoli nella formazione della famiglia e appare frenata decisamente anche l’offerta di lavoro, come conseguenza, si abbassa il tasso di fecondità, si riducono i redditi delle famiglie e aumentano i rischi di povertà82.

Inoltre a incidere sul familismo probabilmente contribuiscono sia il ruolo limitato dello stato, che il funzionamento del mercato del lavoro, il quale in molti casi tende ad assicurare una occupazione agli uomini adulti penalizzando invece giovani e donne.

Un ruolo estremamente importante nel contesto della transizione scuola-lavoro e del benessere sociale lo giocano le combinazioni di politiche attive e passive del mercato del lavoro, che facilitano l’inserimento delle persone nel mondo del lavoro e proteggono il loro reddito in momenti di difficoltà. Nel capitolo successivo cercheremo di mettere in luce le differenze attinenti alle politiche attive del lavoro nei due paesi studio.

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CAPITOLO 3

SOCIAL INVESTMENT O SOCIAL DIS-INVESTMENT?