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Europa, disoccupazione giovanile e nuovi rischi sociali

Negli ultimi decenni il mercato del lavoro è cambiato in modo sostanziale, se prima era considerato normale lavorare presso un unico datore di lavoro, nel tempo, sembra sempre più difficile riuscire a trovare, specialmente per i giovani, lavori a lungo termine e corrispondenti al percorso di studio fatto. Insieme ai cambiamenti del mercato del lavoro mutano anche le figure professionali richieste.

In tutta Europa si è dato avvio a delle riforme strutturali per affrontare i cambiamenti e aumentare il tasso di occupazione attraverso revisione e/o attuazione di politiche attive e passive del lavoro e maggiore flessibilità dei contratti per favorirne l’accesso44.

42 Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino,Bologna

pag 144

43 Vogliotti S., Vattai S., (2014), Welfare State, modelli di welfare state in Europa, Bolzano, AFIIPL 44 Righi A., Sciulli D. (2008),Durata dei processi di transizione scuola-lavoro: un confronto europeo,

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In un contesto in cui la disoccupazione media Europea nel 2016 corrispondeva all’8.6%, troviamo i paesi oggetto di questa analisi con tassi di disoccupazione piuttosto diversi, l’Italia con 11.7% e la Norvegia 4.7% (Eurostat 2017).

In linea generale i paesi dell’Europa del Sud sono quelli che registrano maggiori tassi di disoccupazione a differenza dei paesi scandinavi i quali hanno alti tassi di occupazione, questo vale in particolare per la popolazione giovanile che sembra essere la più lesa dai cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro conseguentemente alla crisi economica globale.

In molti paesi la disoccupazione giovanile, e non solo quella, è aumentata in modo serio e in alcuni casi costante, senza accennare a diminuire o arrestarsi nel periodo successivo alla crisi globale.

La problematica dei giovani disoccupati si affianca ad un altro importante, recente e grave problema all’interno di diversi contesti europei che non da molti anni viene studiata e analizzata per tentare di trovarne una soluzione. Alcuni giovani si trovano infatti esclusi dal contesto economico e sociale non lavorano, né studiano né sono impegnati in tirocini o formazione, questi vengono definiti nell’epoca moderna NEET (not in employment, education or training) che, nel periodo successivo alla crisi economica, sono aumentati in ogni paese OECD, escluse la Germania e la Norvegia fino al 201345. I giovani come sappiamo hanno subito la recessione trovandosi di fronte poche prospettive e spesso con in mano scarsi strumenti per rispondere alle sfide lanciate dalla crisi. In molti paesi dell’OCSE le condizioni giovanili sono drammaticamente peggiorate aggravando in particolare la condizione di coloro i quali avevano poche esperienze lavorative o nessuna e si trovavano al di fuori del contesto lavorativo, formativo o educativo. I periodi che queste persone passano come NEET possono provocare danni importanti e impatto negativo nel percorso futuro sembra infatti che molti di loro mantengano nel tempo una condizione di disoccupazione intermittente o stabile e guadagni molto più bassi rispetto ai loro coetanei che non hanno sperimentato tale condizione. I NEET sono dunque probabilmente uno dei frutti delle difficili condizioni del mercato del lavoro degli ultimi decenni che ha reso sempre più complesso accedere ad una occupazione e mantenerla. Questo gruppo di persone, che sta numericamente aumentando in diversi paesi europei e non solo, è eterogeneo, costituito da genitori single, persone scoraggiate che hanno abbandonato la ricerca del lavoro, in alcuni casi individui con problemi di salute. È’ un gruppo difficile da osservare e controllare a causa del fatto che non necessariamente queste persone sono registrate agli uffici di collocamento o assistenza, meritano tuttavia una attenzione speciale dato che

45 June 2013, THE OECD ACTION PLAN FOR YOUTH, Giving youth a better start in the labour

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spesso questi periodi “da NEET” sono lunghi ed hanno un impatto intenso nella vita delle persone46.

Sotto possiamo leggere i dati che ci propone il sito web OECD riguardo il numero dei NEET tra i 15-29 anni nel 2015 e possiamo immediatamente notare la differenza sostanziale che caratterizza i due paesi dei quali qui ci stiamo occupando Italia, con una percentuale del 27,4% e la Norvegia con il 9,2%.

Figura 1. NEET tra i 15-29 anni nel 2015

I paesi del Nord Europa sono generalmente considerati i pionieri nell’attuare le politiche di garanzia per le persone giovani, riuscirono infatti, prima che intervenissero le decisioni a livello sovranazionale che vedremo tra poco, ad introdurre tra gli anni 80 e 90 alcune misure che prevedevano una protezione e degli interventi diretti alla fascia di popolazione giovanile del territorio.

Le organizzazioni sovranazionali hanno tentato di agire, data la severa condizione, dando vita a politiche comuni e che stimolassero l’immediata azione dei governi attraverso lo “Youth

Employment Package” un insieme di misure aventi lo scopo di intervenire immediatamente per

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migliorare le condizioni dei giovani. Le strategie di azione all’interno di questo “pacchetto per la disoccupazione giovanile” si articolarono attraverso lo Youth Guarantee, un impegno sottoscritto nel 2013 da tutti gli stati membri dell’UE per assicurare che tutte le persone giovani sotto i 25 anni ricevessero una buona offerta di occupazione, educazione e apprendistato e nel 2016 l’ Investing in Europe’s youth, anche questo con lo scopo di favorire la transizione della popolazione giovane47.

I documenti sopra citati indirizzano i governi verso le priorità della creazione di posti di lavoro attraverso appropriate politiche macroeconomiche, politiche attive per l’occupazione e interventi di sostegni al reddito con l’obiettivo di salvaguardare i giovani con maggiore necessità. Le strategie da includersi in tutte le politiche nazionali, sono quelle di potenziare e migliorare il mondo della formazione con il mondo del lavoro, investire il necessario nella formazione e nell’educazione e mettere in atto politiche mirate alla realizzazione di collocamenti gratificanti e coerenti con i percorsi formativi.

Altrettanto importante sarebbe porre attenzione alle possibilità che i giovani disoccupati o con pochi anni di lavoro alle spalle, di accedere ad aiuti e programmi di assistenza sociale. L’obiettivo, quando possibile, dovrebbe essere quello di rendere queste persone attive sul mercato del lavoro anche attraverso la promozione di tirocini formativi48. Rispetto alle indicazioni comunitarie ogni governo avrebbe poi autonomamente scelto in base alle necessità e ad accordi tra governo locale, nazionale e regionale che tipo di strumento e di intervento mettere in campo.

Mentre la maggior parte dei paesi decide di seguire piani di attivazione eterogenei, i paesi come la Norvegia e la Danimarca scelsero fin da subito di focalizzare l’attenzione sul piano della istruzione, cercando dunque, di favorire il proseguimento degli studi o proponendo tirocini formativi con lo scopo di implementare le capacità e gli skills in modo da renderli più attrattivi nel mercato del lavoro. Una differenza sicuramente da non sottovalutare rispetto ad altri paesi, è la relativamente bassa disoccupazione che si rileva in Norvegia: le persone giovani e formate, di norma non hanno problemi nell’avere accesso al mercato del lavoro49. Successivamente alla decisione di avviare delle politiche di Youth Guarantee l’Europa è intervenuta attraverso altri progetti, tra i quali l’ultimo, sottoscritto nel marzo 2010, chiamato Strategia Europa 2020. Questo nasce con tre principali obiettivi relativi alla occupazione da raggiungere entro il 2020: dare lavoro al 75% delle persone tra i 20 e i 64 anni; abbassare al di sotto del 10% l’abbandono

47 LOCAL IMPLEMENTATION OF YOUTH GUARANTEES: Emerging Lessons from European

Experiences 2015 https://goo.gl/cbcFim

48 June 2013, THE OECD ACTION PLAN FOR YOUTH, Giving youth a better start in the labour

market pag.2

49 LOCAL IMPLEMENTATION OF YOUTH GUARANTEES: Emerging Lessons from European

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scolastico e fare in modo che almeno il 40% dei giovani tra i 30 e i 34 anni abbiano una istruzione terziaria; infine ridurre di 20 milioni il numero delle persone a rischio povertà o esclusione sociale50 (Eurostat).

Il tema disoccupazione giovanile è certamente uno dei più dibattuti in questo momento, i dati sulla disoccupazione dimostrano che gli adulti che hanno fatto ingresso nel mercato del lavoro in anni precedenti, sono più coperti e protetti delle persone tra 15 e i 24 anni.

Le persone più mature e già occupate risultano avere lavori stabili, redditi elevati e spesso lavori coerenti al titolo di studio. Nonostante questo anche per gli adulti, le condizioni sono peggiorate in concomitanza con la crisi finanziaria del 2007, che ha provocato danni in quasi ogni paese europeo.

Questa condizione comune, di diversa gravità tra i paesi europei, convive con un’altra importante complicazione, rappresentata dalla sempre più lunga e ostacolata transizione dalla scuola al lavoro. Non trovare lavoro, una volta terminata la scuola, genera dinamiche critiche e complesse sia per la persona coinvolta, che per la famiglia di origine e le istituzioni pubbliche che dovrebbero prevedere politiche di protezione.

Questa transizione, come osservano molti ricercatori, sembra essersi de-standardizzata, diversificata e individualizzata rispetto a ciò che avveniva precedentemente (Buchman 1989). Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad uno scivolamento in avanti, in termini temporali, di alcuni aspetti che riguardano la vita della popolazione giovanile, tra cui la formazione della coppia, l’autonomia, l’accesso alla propria abitazione, la fine degli studi e la nascita del primo figlio. Questo comporta una posticipazione della transizione allo stato adulto51 (Migliavacca, 2008).

Le minori opportunità lavorative, la mancanza di collaborazione tra pubblico e imprese private, il sistema scolastico che non trova coerenza con le offerte di lavoro, alimentano le condizioni di continua precarietà e instabilità, economica e sociale delle persone di giovane età.

L’Europa del Sud sembra essere la più coinvolta in questo processo, l’Italia è un caso emblematico visto che oltre il 60% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive con ancora con i genitori52.

Le politiche che i paesi decidono di mettere in atto per favorire il passaggio da una condizione di dipendenza ad una condizione di autonomia dalla famiglia di origine, sono determinanti. Notiamo che in Europa del Nord l’accesso alla prima occupazione non sempre rappresenta un percorso complesso a differenza dei paesi del Sud dove i giovani sembrano molto più

50 Eurostat, https://goo.gl/6Ugg24

51 Cordella G., Masi S.E. (2013), Condizione giovanile e nuovi rischi sociali, quali politiche?, pag 29,

Carocci Editore, Roma

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vulnerabili economicamente. Le politiche di lavoro attive, su cui i governi nazionali decidono di investire, possono certamente darci una spiegazione della condizione esistente, anche se non è scontato che a forti investimenti corrisponda bassa disoccupazione. Ragioni economiche, mercato del lavoro, aspetti culturali e sociali giocano un ruolo importante e non devono essere sottovalutati.

Elemento su cui porre attenzione e che risulta un fenomeno relativamente nuovo, è quello del lavoro a tempo determinato, causato da diversi fattori tra cui le modalità attraverso le quali viene utilizzata la flessibilità dalle aziende, ha portato in Europa all’esistenza di consistenti quote di persone giovani occupate solo per un breve periodo di tempo. Questo rappresenta inevitabilmente uno dei maggiori vincoli, che non permette di fare progetti e di emanciparsi. Strettamente legati alla questione della disoccupazione e dei lavori a termine vi sono il tema dell’abitazione e quello della povertà.

La questione della prima abitazione, risulta essere una parte importante della vita dell’individuo, che permette emancipazione e distaccamento dalla famiglia di origine, ed è una delle spese maggiori, il cui costo, sia per affitto che per acquisto è spesso molto alto, e non in linea con le comuni retribuzioni.

L’Europa del Sud si contraddistingue oltre che per la disoccupazione e un alto grado di familismo anche per la carenza di politiche adeguate e la bassa spesa sociale dedicata alle politiche abitative. La famiglia, gioca un ruolo fondamentale nel sostenere e supportare l’accesso alle abitazioni dei propri componenti perché53 il mercato dei mutui è rigido e le politiche pubbliche non trovano sviluppo.

In alcuni paesi del Nord è più semplice accedere al mercato dei mutui e politiche più evolute, assicurano accesso ad una abitazione adeguata per tutti, indipendentemente dalla situazione lavorativa e reddituale. Sono state attivate politiche eterogenee che combinate insieme ne producono effetti positivi nel favorirne l’accesso54.

Nei regimi mediterranei, come abbiamo sottolineato, aumenta e si rafforza l’esclusione e l’incremento del numero degli outsider, disoccupati, inattivi e fuori dal mercato del lavoro, questo cluster è generalmente composto da donne e giovani. In questi paesi, fortemente familistici i tassi di occupazione delle donne permangono bassi, e sono spesso le famiglie ad occuparsi dei rischi sociali anziché il welfare state come nel contesto dei regimi scandinavi. Quest’ultimi, sono caratterizzati da mercati del lavoro relativamente flessibili ma con garanzie sociali forti e universalistiche che assicurano alle famiglie sicurezza e benessere anche nelle fasi economiche più tormentate. I paesi del sud europa agiscono riducendo al minimo i cambiamenti

53 Ibidem pag. 38

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interni e organizzativi riguardo al mercato del lavoro e tendono a lasciare alle famiglie ingenti responsabilità, relative alla cura di piccoli ed anziani, piuttosto che protezione per quello che riguarda i disoccupati, di cui dovrebbe invece farsi carico il welfare55. Nei paesi socialdemocratici nonostante la forte presenza dello stato, che interviene con politiche universalistiche, il 23% della popolazione sperimenta almeno uno stato di povertà nell’arco di cinque anni, ma solo pochi di essi cadono in uno stato di povertà cronica, sembrano episodi contingenti e spesso ad essere coinvolti sono i giovani. Nei paesi invece mediterranei la diffusione della povertà e la sua cronicizzazione si collocano in una posizione intermedia56. Come afferma Beveridge (1942) contrastare la povertà rappresenta l’obiettivo principale del sistema di welfare. Le misure centrali per ostacolare ed arginare il fenomeno potrebbero certamente essere quelle del reddito minimo di cittadinanza, di cui in Italia abbiamo a lungo discusso senza trovare soluzioni concrete, il reinserimento nel mercato del lavoro delle persone attraverso facilitazioni e interventi mirati.

Dal primo dicembre 2017 in Italia entra in vigore il “Reddito di Inclusione”, una misura di contrasto alla povertà, condizionata alla valutazione della situazione economica del richiedente e diversa dal reddito minimo di cittadinanza. La struttura di questo intervento sembra che sarà fondata su due tipi di provvedimenti, uno che riguarda l’aspetto economico attraverso una erogazione mensile e l’altro prende le sembianze di un progetto personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa con l’obiettivo di superare la condizione di povertà. Non è certamente ancora possibile darne un giudizio dato che entrerà in vigore solo nel 2018.

In linea generale gli interventi attuati e dedicati al tema sono eterogenei nei paesi europei. Certamente possiamo evidenziare quanto la tendenza del welfare si andata trasformandosi in questi anni emergendo in un periodo caratterizzato da stabilità economica e per questo chiamato dei “Trenta Gloriosi” all’interno di un contesto di mercato senza disoccupazione dove è riuscito a trovare le sue fondamenta e il suo consolidamento. Il sostegno durante quel periodo era indirizzato a coloro che facevano parte di categorie più fragili ed erano difficilmente occupabili, oggi invece, come abbiamo visto sopra, in molti contesti europei la povertà e la disoccupazione entrano prepotentemente anche nelle fasce della popolazione che un decennio fa sembravano non correre nessun rischio. La condizione giovanile in molti paesi europei ne rappresenta certamente un esempio. Sempre più, sembra essere difficoltoso intervenire in modo concreto cercando di rispondere alla grande quantità di nuove necessità e bisogni emergenti all’interno di un contesto dominato dall’austerity.

55 Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino,Bologna

pag. 250

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