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Sourcing Category Management Razionalizzare la spesa nel Purchasing: lo Spend Management in ThyssenKrupp Encasa

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(1)

D

IPARTIMENTO DI

I

NGEGNERIA DELL

’E

NERGIA DEI

S

ISTEMI

,

DEL

T

ERRITORIO E DELLE

C

OSTRUZIONI

RELAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA LAUREA MAGISTRALE IN INGEGNERIA GESTIONALE

Sourcing Category Management

Razionalizzare la spesa nel Purchasing: lo Spend

Management in ThyssenKrupp Encasa

RELATORI IL CANDIDATO

Prof. Riccardo Dulmin Giordano Campisi

Dipartimento DESTEC

Ing. Fabio Becorpi Purchasing Manager ThyssenKrupp Encasa s.r.l.

Sessione di Laurea del 03/05/2017 Anno Accademico 2016/2017

(2)

Sourcing

Category

Management

2016/2017

Razionalizzare la spesa nel

purchasing: lo Spend Management in

ThyssenKrupp Encasa

(3)

“Il denaro non fa ricco

se non si sa spenderlo”

(4)

I

S

OMMARIO

In un mercato moderno e competitivo un’organizzazione non può assolutamente trascurare quegli aspetti che contribuiscono ad accrescere il valore d’impresa e che concorrono alla sua sopravvivenza ed al raggiungimento degli obiettivi di business. Il settore manifatturiero necessita particolare attenzione da questo punto di vista perché le aziende di produzione hanno come scopo primario quello di creare valore attraverso i propri prodotti e il loro livello di qualità è spesso legato all’efficienza dei processi interni all’azienda, sia primari che secondari. Tra questi processi uno dei più critici è sicuramente quello di acquisto dei materiali e dei servizi necessari per far funzionare l’azienda in tutte le sue attività. Per un’azienda di produzione avere un processo di approvvigionamento efficace, efficiente ed allineato con le strategie e gli obiettivi aziendali, è la base per progettare, produrre e commercializzare prodotti di successo, ottimizzando al meglio le risorse che si hanno a disposizione.

Questa tesi è frutto del tirocinio svolto in ThyssenKrupp Encasa, azienda leader nel settore dell’accessibilità con la produzione di montascale e piattaforme elevatrici, nato dall’esigenza di razionalizzare la spesa nel purchasing, utilizzando metodologie e tecniche del Category

Management e di Spend Management per la gestione dei fornitori e per l’analisi della spesa,

(5)

II

A

BSTRACT

In modern and competitive markets, companies shouldn’t ignore elements that can increase the enterprise value because these factors determinate targets achievement and the survival of the company. This peculiarity is more important for manufacturing firms because the creation of enterprise value is possible through product value and the product quality level depends on primary and support processes efficiency. Purchasing is one of the most critical processes because activities use materials and services that purchasing buys from suppliers. Having an efficient, efficacious and target-aligned purchasing function is essential for designing, producing and commercializing successful products, optimizing available resources.

This thesis concretizes the work made in ThyssenKrupp Encasa, company leader in accessibility segment with stairlifts and platform lifts, and it arises from the need to rationalize spending in purchasing, using Category Management and Spend Management techniques with the aim of managing supplier park and spend data analysis. These activities have the purpose to support decision making and strategic planning for purchasing, sourcing and procurement.

(6)

III

I

NDICE

1. Introduzione ... 1

2. Category Management nel Procurement ... 2

2.1. Il contesto applicativo... 6

2.2. Il fattore concentrazione del mercato... 14

2.3. La classificazione dei codici ... 19

2.4. Il modello di portafoglio acquisti ... 23

2.4.1. Matrice di portafoglio di Kraljic e strategie di fornitura ... 24

2.4.2. Critiche sul modello di portafoglio ...31

3. Spend Management: il background ... 38

3.1. Dal Category Management allo Spend Management ... 39

3.2. Architetture informatiche di base ... 43

3.3. Strumenti di e-commerce... 52

4. Metodologia: le quattro fasi ... 56

4.1. Analisi AS IS ... 61

4.1.1. La classificazione dei fornitori ... 61

4.1.2. Valutazione sulle capacità di Spend Management ... 65

4.2. Spend Visibility ... 68

4.3. Spend Analysis ... 72

4.4. Opportunity Analysis e strategie ... 76

4.4.1. Matrice di portafoglio di Kraljic ... 76

4.4.2. Matrice impiego-utilizzo ... 78

4.4.3. Matrice di portafoglio acquisti global local ... 82

5. Caso aziendale ThyssenKrupp Encasa ... 85

5.1. Analisi AS IS ... 88

(7)

IV

5.1.2. Il parco fornitori e il sistema di Vendor Rating ...103

5.1.3. Analisi preliminare in materia di Spend Management ... 126

5.1.4. Il sistema informativo aziendale ...130

5.2. Spend Visibility ... 136

5.2.1. Analisi sulla provenienza e sull’integrità dei dati ... 136

5.2.2. La classificazione dei codici secondo lo standard SCC ... 150

5.3. Spend Analysis ... 154

5.3.1. Analisi ABC sulle categorie merceologiche ... 154

5.3.2. Distribuzione degli acquisti ... 159

5.4. Opportunity Analysis e Piano di Miglioramento ... 165

5.4.1. Matrice di portafoglio di Kraljic ... 165

5.4.2. Matrice impiego utilizzo ... 174

5.4.3. Matrice di portafoglio acquisti global ... 176

5.5. Risultati ottenuti... 180

6. Discussione dei risultati e sviluppi futuri ...183

7. Elenco delle figure e delle tabelle ... 185

8. Allegati ... 189

8.1. Allegato 1: Standard di classificazione ... 189

8.2. Allegato 2: Modello di portafoglio di Kraljic ... 190

8.3. Allegato 3: Caratteristiche dei codici nella classificazione di Kraljic ...191

8.4. Allegato 4: Mappatura dei processi in ThyssenKrupp Encasa ... 192

8.5. Allegato 5: Tabella di valutazione per il Supplier Performance Rating ... 193

8.6. Allegato 6: Template per la Commodity Review ... 196

8.7. Allegato 7: Esempio di e-auction ... 197

(8)

1

1. I

NTRODUZIONE

Razionalizzare la spesa non vuol dire solamente ridurre i costi o massimizzare i savings ma significa, piuttosto, ottenere il massimo con le risorse a disposizione seguendo la filosofia del

spendere bene è spendere meno. Per ottenere ciò il primo passo è conoscere con esattezza

“quanto” si spende, “come” si spende e “da chi” si acquista e saper utilizzare strumenti capaci di mettere in luce sia le criticità che le migliori opportunità che il mercato può offrire. È opportuno parlare di strategie d’acquisto solo se si predispone delle informazioni e delle metodologie adatte a supportarle, in un’ottica di medio-lungo termine. Le tematiche trattate e sviluppate in questo testo cercano di condurre verso questa direzione: dare una metodica nella gestione della spesa e degli acquisti integrando i principi base del Category Management e dello Spend Management.

Lo scopo di questo elaborato è mettere in luce il lavoro svolto durante il periodo di tirocinio presso ThyssenKrupp Encasa sulle tematiche inerenti al Category Management e allo Spend

Management applicate al purchasing, cercando in un primo momento di familiarizzare con le

nuove tecniche per poi proseguire con la costruzione di un modello applicativo e fornire un supporto metodologico alla pianificazione strategica degli acquisti.

Gli obiettivi del lavoro sono:

➢ la realizzazione di un blueprint sulla situazione AS IS degli acquisti, al fine di individuare eventuali criticità;

➢ l’analisi della spesa e il miglioramento della visibilità dei dati;

➢ l’elaborazione di un piano d’azione per allineare le strategie d’acquisto con gli obiettivi aziendali;

➢ l’elaborazione di proposte di miglioramento per sviluppi futuri.

Per raggiungere questi obiettivi il lavoro è stato organizzato seguendo un percorso articolato in tre step.

La prima fase, prettamente teorica, consiste nel raccogliere ed apprendere tutte quelle nuove tecniche che caratterizzano il Category Management e lo Spend Management necessari per elaborare un modello applicativo efficace. Si tratta di una fase di studio in cui lo scopo principale è

(9)

2

predisporre una solida base di conoscenza per individuare i giusti strumenti di analisi e utilizzarli nel modo corretto.

La seconda fase consiste nell’elaborare un metodo che permetta di applicare alla realtà aziendale quanto appreso nella fase precedente, utilizzando gli strumenti scelti e ritenuti opportuni per il raggiungimento degli obiettivi preposti.

La terza fase prevede l’applicazione del metodo ad un caso aziendale reale con l’intento di proporre un piano d’azione e mettere in pratica quanto realizzato.

2. C

ATEGORY

M

ANAGEMENT NEL

P

ROCUREMENT

Il termine Category Management è spesso utilizzato nel Marketing della grande distribuzione per indicare una strategia di commercializzazione e distribuzione organizzata per categorie

merceologiche (o commodity1). Molti testi descrivono lo stato dell’arte di questa teoria,

sottolineando come l’evoluzione del modello si sia spostato, sul finire degli anni ’80, da una gestione per brand ad una gestione per categorie di prodotto. Le commodity vengono, quindi, considerate come unità di business e come tali sono finalizzate alla creazione di valore e di savings per l’azienda.

Sono pochi, invece, i testi che trattano il Category management come una strategia di fornitura. Sebbene l’approccio sia comunque orientato alla gestione per categorie merceologiche, il fatto di spostare l’attenzione più a monte, a livello di approvvigionamento, anziché verso la parte finale della supply chain, comporta un ripensamento del modello applicativo del Category

Management.

Basti pensare alle diverse accezioni che assumono i termini purchasing, procurement e sourcing nell’ambito degli acquisti. Spesso questi termini vengono utilizzati indistintamente per identificare il ciclo d’ordine o il processo di selezione e valutazione dei fornitori, nonché la gestione dei contratti di fornitura o addirittura l’attività di negoziazione. La verità è che non c’è

1 In questo testo verranno usati indistintamente i termini commodity e categoria merceologica con il medesimo

significato di prodotto primario o materia prima che identifica una classe di beni che possono essere scambiati indistintamente. In italiano sono definiti beni indifferenziati.

(10)

3

una chiara e, soprattutto, univoca definizione dei confini che delimitano le aree di intervento di queste attività. Tuttavia è necessario fare un po’ di chiarezza sull’argomento poiché sarà indispensabile per capire il campo di applicazione e, quindi, l’estensione del lavoro svolto.

In questo testo verrà considerato il purchasing come l’attività operativa finalizzata all’acquisizione dei materiali. Si parla, quindi, di tutte quelle operazioni svolte nel ciclo d’ordine, come:

➢ definizione dei requisiti di approvvigionamento; ➢ richiesta d’acquisto (RdA);

➢ evasione ordine d’acquisto (OdA); ➢ spedizione;

➢ ricezione merci; ➢ fatturazione; ➢ pagamento.

Il sourcing viene inteso come l’insieme delle attività atte ad identificare e gestire le fonti di

approvvigionamento in un’ottica di relazione tra il fornitore e l’azienda2. Nello specifico si fa

riferimento a:

➢ identificazione dei fabbisogni; ➢ individuazione dei fornitori;

➢ valutazione e classificazione dei fornitori;

➢ negoziazione sulle forniture e dei termini contrattuali; ➢ gestione dei contratti.

Il procurement invece si può definire come la macro-attività che gestisce gli acquisti in un’accezione più ampia (a livello di supply chain) e comprende sia il purchasing che il sourcing come fasi operative di una pianificazione strategica. Stanno alla base del procurement attività come:

➢ ricerche di mercato;

➢ determinazione delle strategie di fornitura;

2 Non a caso il termine “outsourcing” indica una particolare tipologia di approvvigionamento in cui l’azienda

(11)

4

➢ analisi del portafoglio acquisti e del parco fornitori; ➢ logistica in ingresso;

➢ gestione delle scorte e delle giacenze (inventory management); ➢ analisi di spesa (spend management).

È chiaro che i confini che delimitano queste tre attività rimangano comunque sfumati a tal punto che in alcune aree non sarà sempre possibile distinguerle l’una dall’altra, come rappresentato in Figura 1.

Figura 1 - Rappresentazione di purchasing, sourcing e procurement

In questo testo si parla quindi di Sourcing Category Management come quel processo, in continua evoluzione, che guida le strategie di fornitura nelle organizzazioni moderne. Si è scelto di accostare il termine Sourcing a quello di Category Management per dare maggiore focus al rapporto con i fornitori anziché alla sola fase operativa di acquisizione dei materiali e per distinguerlo dalla controparte relativa al Marketing.

A questo punto, dopo aver definito il campo d’applicazione del Category Management, è opportuno fare un passo indietro e descrivere con più chiarezza di cosa si tratta. Sono state date diverse definizioni in merito, tra cui:

(12)

5 Peter Hunt, partner di ADR International, scrive:

“the term category management can mean different things to different people, so a working definition is needed. A ‘category’ is the logical grouping of similar expenditure items […]. Category management is the sourcing process used to manage these categories business needs while maximizing the value delivered from the supply base”. (1)

La definizione di Hunt descrive la categoria (Category) come un raggruppamento logico di codici e servizi organizzati per tipologia di spesa. Per cui il Category Management è quel processo che gestisce queste categorie merceologiche di spesa, al fine di soddisfare determinati bisogni di business dell’azienda.

Jonathan O’Brien descrive il Category Management come:

“[…] the practice of segmenting the main areas of organizational spend on bought-in goods and services into discrete groups of products and services according to the function of those goods or services and, most importantly, to mirror how individual marketplaces are organized.”

Ed aggiunge:

“Using this category segmentation, organizations work cross-functionally on individual categories, examining the entire category spend, how the organization uses the products or services within the category, the marketplace and individual suppliers.” (2)

O’Brien pone particolare attenzione allo scopo per cui è necessario segmentare le aree di spesa in diverse categorie merceologiche, cioè per rispecchiare il più possibile il mercato di fornitura. In effetti è facile pensare che sia più opportuno gestire gli acquisti pensando al mercato come un insieme di fornitori, raggruppati per settore merceologico, anziché come un insieme ipersegmentato di codici e servizi di diversa natura. Questo tipo di approccio permette di operare in modo trasversale alle diverse categorie, esaminando la spesa complessiva e il modo in cui l’azienda impiega queste risorse.

Il termine, coniato sul finire degli anni ’80, era nato per descrivere il cambio di rotta nelle strategie di Marketing, in risposta ai cambiamenti del mercato della grande distribuzione che in quegli anni era in profonda trasformazione. I Marketing Category Manager avevano capito che era

(13)

6

possibile incrementare le vendite ed i profitti attraverso una commercializzazione dei prodotti gestita per commodity anziché per brand. Questo approccio riflette più fedelmente le abitudini d’acquisto dei consumatori.

La teoria che sta dietro il Supplier Category Management fa riferimento agli stessi principi descritti nel Marketing Category Management per quanto riguarda la necessità di classificare i prodotti in gruppi omogenei, ma con le dovute differenze: non si parla di prodotti finiti ma di materiali o semilavorati; e non si parla di abitudini d’acquisto dei consumatori ma di fabbisogni delle aziende. È diversa anche la finalità per cui si fa la segmentazione, in quanto, se da una parte si vuole capire come rendere più efficiente la commercializzazione o la distribuzione di un prodotto, dall’altra si vogliono analizzare i comportamenti di spesa delle aziende verso i loro fornitori o terze parti.

Gli elementi di differenziazione più rilevanti sono riassunti nella tabella Tabella 1.

MARKENTING CM SOURCING CM

Oggetto Prodotti Materiali

Area Vendite Approvvigionamenti

Stakeholder Clienti Fornitori

Destinazione Mercato consumer Mercato di fornitura

Scopo Incrementare le vendite Razionalizzare la spesa

Tabella 1 - Confronto tra Marketing Category Management e Sourcing Category Management

2.1. I

L CONTESTO APPLICATIVO

In un periodo caratterizzato da una situazione economica debole e instabile, come quella dei giorni nostri, per le aziende è sempre più difficile raggiungere gli obiettivi di business anche a causa delle forti influenze che arrivano dall’ambiente esterno. Sebbene l’obiettivo principe di ogni organizzazione sia quello di aumentare il proprio valore d’impresa, è sempre più difficile attuare strategie efficaci che permettono alle attività di creare valore per l’azienda. Questo è dovuto, in prima istanza, alla forte competitività che le aziende sono costrette ad affrontare a causa della

(14)

7

globalizzazione dei mercati: basti pensare all’invasione dei prodotti di manifattura orientale che hanno, in pochissimo tempo, occupato una fetta importante del mercato nazionale ed europeo, erodendo, in modo inesorabile, quote di mercato importanti.

Tuttavia la competitività non è l’unico fattore ad aver indebolito il valore delle imprese. Il rischio associato a questa situazione di instabilità e fragilità economica ha reso difficile l’accesso al capitale di terzi: investitori e banche hanno reagito all’incremento del tasso di rischio inibendo l’apporto dei capitali alle aziende. La conseguenza di questo fatto è che il costo del capitale di terzi è aumentato e ciò ha comportato un minore apporto di risorse da destinare allo sviluppo e alla crescita delle imprese.

Il risultato di questi cambiamenti ha portato le aziende a ripensare la propria struttura operativa. La tendenza è quella di cercare di valorizzare al massimo le attività core, cioè quelle attività che creano maggior valore per il cliente, e di esternalizzare tutte quelle secondarie o di supporto che sono comunque fondamentali per il funzionamento dell’azienda e per produrre beni o servizi.

Questo modello è descritto da Michael Porter come la Catena del Valore (3). Egli sostiene che un’organizzazione sia composta da processi primari e secondari. I processi primari intervengono direttamente nella creazione del prodotto o servizio, mentre i processi secondari svolgono un’azione di supporto sia all’intera organizzazione che alla produzione dell’output. Una rappresentazione del modello è illustrata nella Figura 2.

(15)

8

È chiaro che la suddivisione tra processi primari e secondari è da contestualizzare all’organizzazione oggetto di analisi. Lo stesso modello non può essere sempre adatto per descrivere aziende di natura diversa in quanto, alcune attività, possono essere primarie per una e al contempo possono essere secondarie per l’altra. È il caso, per esempio, di una software-house per cui il processo “Logistica in ingresso”, considerato primario per un’azienda manifatturiera, risulta secondario, se non addirittura marginale, per la realizzazione di un software. Stesso discorso si può fare per l’attività di gestione dei “Sistemi informativi”, considerata spesso secondaria, ma di notevole importanza per la creazione di un videogioco. In questo caso il processo “Sistemi informativi” si può considerare a tutti gli effetti un’attività primaria.

Ovviamente lo scopo di questa analisi non è semplicemente rappresentare un’impresa nelle sue funzioni principali ma anche permettere di individuare, oltre i processi che apportano valore al prodotto finale, pure quelli che non lo fanno e che possono essere addirittura considerati degli sprechi; ecco che un’analisi di questo tipo suggerisce i processi su cui concentrare le proprie risorse e quelli da esternalizzare a terzisti che riescono a fare queste attività in maniera più efficiente.

Questo modello si può estendere a tutta la supply chain: è possibile, infatti, considerare anche le catene del valore dei fornitori a monte e dei clienti a valle, come facenti parte di un “flusso del valore” più ampio che parte dai fornitori, attraversa la catena del valore dell’azienda e che si dirige verso i clienti attraverso i canali di distribuzione. Secondo questa visione più ampia anche i fornitori, i canali e i clienti contribuiscono ad accrescere il valore del prodotto e dell’azienda. La struttura appena descritta è chiamata da Porter come il sistema del valore (3) (Figura 3).

(16)

9

Figura 3 - Il sistema del valore del Porter

Questo approccio apre a nuove opportunità e nuovi scenari per le aziende moderne in cui fornitori e clienti partecipano alla valorizzazione del prodotto. Ciò significa che la progettazione e l’industrializzazione dei nuovi prodotti non possono più prescindere dalle scelte che vengono fatte a monte ed a valle della supply chain, in quanto esse influenzeranno fortemente il valore percepito dell’azienda e del prodotto stesso. È qui che il Category Management muove i suoi primi passi. Il

Sourcing Category Management sposta l’attenzione verso una politica di approvvigionamento

orientata agli obiettivi aziendali ed alla creazione di valore, piuttosto che alla mera riduzione della spesa. Un’impresa moderna che opera in un ambiente complesso e competitivo come quello odierno, non può pensare che la sola riduzione dei costi di acquisto sia una strategia che porti benefici nel lungo termine. È certo importante confrontare i savings generati da un processo d’acquisto più efficiente con i benefici portati, per esempio, da una partnership con un fornitore importante in termini di innovazione oppure con un fornitore a basso rischio. Il Category

Management può portare importanti vantaggi sia in termini di riduzione della spesa, che in termini

di riduzione del rischio di fornitura, valore del brand, migliore posizione competitiva e capacità di innovazione.

(17)

10

Seguire un approccio basato sul valore d’impresa significa guidare tutta l’organizzazione verso il raggiungimento di obiettivi condivisi. Questo significa che non solamente il procurement deve seguire questo percorso, ma anche tutte le altre funzioni ed i processi dell’azienda in modo coordinato. Se il Sourcing Category Management rimanesse confinato alla funzione acquisti, esso non porterebbe sicuramente ai risultati sperati; è di fondamentale importanza che esso abbia il supporto dell’intera organizzazione e che sia messo in condizioni di operare in modo trasversale a tutte le funzioni aziendali. Il motivo è semplicemente che “[…] se si vuole incrementare il valore

complessivo dell’organizzazione, è necessario guardare in tutti i posti dove esso viene incrementato”

(2). Questa affermazione può sembrare ovvia ma pone la giusta attenzione verso un problema noto come il “virtual brick wall” (2).

Jonathan O’Brien sostiene che ci sia una sorta di barriera virtuale tra fornitori e clienti, posta proprio nel cuore dell’organizzazione, che interrompe il flusso del valore. Questo perché molto spesso le varie funzioni aziendali sono più orientate al raggiungimento di un ottimo locale piuttosto che alla soddisfazione degli obiettivi globali. Infatti il marketing volgerà il proprio sguardo ai clienti finali mentre il procurement guarderà principalmente verso i fornitori. Questa situazione (illustrata in Figura 4) impedisce alle funzioni aziendali di muoversi nella stessa direzione e provoca uno scollamento nella catena del valore, in contrasto con l’intento di perseguire l’obiettivo comune di aumentare il valore dell’azienda.

(18)

11

La situazione appena descritta mette in luce il concetto generale, ma entriamo nel dettaglio del contesto applicativo.

È sempre attuale il tema della riduzione dei costi come strumento per aumentare i profitti ed incrementare il margine operativo e il ROE. È opportuno specificare che questo obiettivo è perseguibile con diverse azioni atte a ridurre alcune voci di costo che, per semplicità, divideremo in overheads e spesa diretta. Gli overheads sono tutti quei costi generali che vanno ad incidere sul costo della produzione e sul prodotto con una certa percentuale di allocazione. La spesa diretta è frutto dell’attività degli acquisti e degli approvvigionamenti nel momento in cui vengono acquistati beni e servizi di terze parti che l’azienda non è in grado di produrre internamente. Ogni tipologia di azienda avrà una struttura dei costi che può essere profondamente diversa l’una dall’altra: un’impresa manifatturiera avrà una forte predominanza di costi per spesa diretta piuttosto che overheads, mentre un fornitore di servizi sarà il caso antitetico, con ampia predominanza dei costi del personale (Figura 5).

Figura 5 - Esempi di strutture di costo per settore

Questo significa che dove troviamo le fette più ampie di costo ci sono le più importanti opportunità di miglioramento. Per esempio molte aziende che presentano importanti overheads, preferiscono rendere più flessibile la propria struttura di costo cedendo parte delle proprie immobilizzazioni per liberarsi dei costi fissi ad esse associati a favore di costi variabili per l’affitto o canoni mensili per beni di terzi. È il caso in cui un’impresa decida di vendere il proprio capannone e affittarne uno di proprietà di terzi, trasformando una voce di costo fisso in una variabile (o semi-variabile) in funzione dell’effettivo bisogno di spazio in quel momento. Un risultato analogo si può

(19)

12

avere applicando una politica di ridimensionamento degli impianti facendo meno leva sulle economie di scala ma guadagnando certamente in flessibilità e nei costi di gestione. Anche l’outsourcing di alcune attività non primarie per l’azienda permette di trasformare dei costi fissi in costi variabili in funzione dei volumi di produzione o delle vendite.

Tuttavia l’approccio più diffuso è quello di razionalizzare la spesa (spending review): si agisce sulle spese dirette per l’acquisto di beni di terzi (materie prime, semilavorati, servizi di terzi) anziché sulla riduzione dei costi generali. Infatti nel Manufacturing, dove l’acquisto di materiali e semilavorati è in percentuale di gran lunga superiore alle altre voci di costo, anche una lieve riduzione della spesa può portare ad un incremento sensibile dei profitti.

Ma perché le aziende preferiscono attuare una politica di riduzione o razionalizzazione della spesa piuttosto che aumentare semplicemente i ricavi? I motivi possono essere molteplici. In primo luogo dipende dal settore in cui opera l’azienda: molti mercati hanno raggiunto una certa maturità del loro ciclo di vita e questo comporta una forte competitività e una certa difficoltà ad ampliare le proprie quote di mercato. In alcuni segmenti è addirittura impossibile una crescita del

market share perché esso è regolato da provvedimenti governativi. In altri settori, invece, a causa

dell’alta competitività con i vari concorrenti, un aumento di prezzo non porterebbe un aumento dei ricavi ma una diminuzione delle unità vendute e quindi, semmai, una diminuzione degli stessi, a causa della forte elasticità della domanda. Ma questo non è l’unico fattore.

Se si considera invece una strategia di riduzione degli overheads o dei costi fissi come descritto precedentemente, è naturale pensare che i benefici di queste azioni siano riscontrabili nel medio-lungo termine e, oltretutto, con debito apporto di capitale di investimento destinato alla modifica strutturale dei costi e delle immobilizzazioni. Invece, una riduzione della spesa diretta avrà un effetto pressoché immediato sul margine lordo, e quindi sul profitto, e con un investimento apparentemente basso.

Infatti è stato riscontrato che è più facile ottenere risultati visibili nell’immediato riducendo la spesa diretta, piuttosto che attuare un piano di investimenti per aumentare le vendite o per cambiare la propria struttura operativa o organizzativa cedendo attività in outsourcing o i propri

asset. Prendendo ad esempio un estratto del conto economico tipico di un’azienda di produzione,

si può vedere che una riduzione della spesa del 5% può portare un aumento del profitto del 25%. Lo stesso risultato si può ottenere con un aumento dei ricavi dell’11% (Tabella 2). Questo significa

(20)

13

che le risorse da destinare all’aumento dei ricavi (+11%) sono più del doppio, in valore assoluto, rispetto a quelle da destinare ad una diminuzione della spesa diretta (-5%), per ottenere lo stesso risultato sul Margine Lordo (+25%). Ecco perché le aziende solitamente propendono di più per una riduzione della spesa invece che incrementare le vendite.

Attuale -5% Spesa +11% Ricavi

Ricavi 7500 7500 8433

Spesa diretta (4500) (4275) (5040)

Overheads (2100) (2100) (2268)

Margine Operativo 900 1125 1125

Incremento MO - +25% +25%

Tabella 2 - Effetti sul margine lordo di una riduzione della spesa

In questo contesto il Sourcing Category Management trova un terreno fertile su cui attecchire. Se da una parte può garantire risultati nell’immediato in termini di riduzione della spesa, grazie all’aumento dei volumi d’acquisto e ad una gestione più razionale degli acquisti (Spend

Management), dall’altra permette di avere risultati anche nel medio-lungo termine perché

permette all’azienda di rafforzarsi e di accrescere costantemente il proprio valore.

A testimonianza del fatto che il Category Management è un approccio orientato ad obiettivi di medio-lungo termine, è stato condotto uno studio dal Chartered Institute of Procurement & Supply

Australasia nel 2011, in Australia e Nuova Zelanda, su un campione di circa 260 organizzazioni, in

cui viene chiesto quali siano i tre più importanti obiettivi attesi per il Category Management, sia nel breve periodo che nei successivi due anni dalla sua implementazione (4). È emerso che gli obiettivi di breve termine più sensibili sono il miglioramento nell’efficienza e i savings sui prezzi d’acquisto

(entrambi al 44%) seguiti dall’incremento della Customer Satisfaction (36%), savings sul TCO3

(34%) e consolidamento del parco fornitori (32%). Sul lungo periodo, invece, sorprende una certa attenzione alla sostenibilità socio-ambientale e all’innovazione di prodotto (entrambi al 24%)

3 Il Total Cost of Ownership è un approccio sviluppato da Gartner nel 1987 e viene usato per calcolare tutti i costi

del ciclo di vita di un prodotto informatico. Questa tecnica considera, oltre agli effettivi costi sostenuti per produrre il bene, anche i costi dovuti all’acquisto, l’installazione, la gestione, la manutenzione e lo smaltimento.

(21)

14

considerati spesso obiettivi meno pragmatici ma molto sensibili per la percezione che i clienti hanno dell’azienda. Al contrario, solo il 26% delle imprese si aspetta una riduzione del rischio di fornitura nei due anni successivi e un risultato simile viene riscontrato sul consolidamento del parco fornitori (22%); questi due indicatori sono spesso tra i driver più importanti per una strategia di fornitura vincente.

Figura 6 - Obiettivi attesi del Category Management (4)

2.2. I

L FATTORE CONCENTRAZIONE DEL MERCATO

Per capire meglio il contesto macro-economico in cui le aziende operano e le forze che influenzano la domanda sia dal lato delle vendite che dal lato degli acquisti, è importante capire come sono strutturati il mercato dei fornitori ed il mercato dei consumatori. Conoscere l’ambiente circostante, il “dove” vengono acquistati i beni, permette ad un’organizzazione di monitorare costantemente quello che le succede intorno e di adattarsi e integrarsi, nel migliore dei modi, allo

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15

scenario in cui opera senza necessariamente subire i cambiamenti che le impone l’ambiente esterno.

La caratteristica che più influenza le trattative di compravendita è la concentrazione del mercato poiché si ripercuote direttamente sul potere d’acquisto che una parte può avere rispetto all’altra. La struttura del mercato di fornitura, così come quello dei consumatori, è categorizzata considerando il numero di attori che dominano l’offerta o la domanda.

In letteratura il mercato dell’offerta può essere: ➢ Concorrenza perfetta.

In questa forma di mercato sono presenti molti fornitori di dimensioni eterogenee ed i prezzi sono livellati seguendo una curva di domanda perfettamente elastica. In questo contesto non è difficile entrare o uscire dal settore e i prodotti sono considerati perfetti sostituti. Come conseguenza di queste considerazioni i profitti sono di entità medio bassa. È una forma di mercato ideale, poco riscontrabile nella realtà. Si può considerare il settore della cancelleria da ufficio in concorrenza quasi perfetta.

➢ Competizione monopolistica.

In un mercato di questo tipo i fornitori attuano una strategia di differenziazione di prodotto per cercare di creare una situazione di monopolio verso i propri clienti. Infatti questi settori sono caratterizzati da un alto grado di differenziazione sui prodotti ai quali sono spesso associati alti

costi di switching4 per il consumatore. Ne conseguono alcuni vantaggi tipici del monopolista per i

fornitori come un basso grado di concorrenza tra i competitors e la possibilità di poter manipolare i prezzi di mercato; i tabacchi e i detergenti sono settori contraddistinti da una competizione monopolistica.

➢ Oligopolio.

In regime di oligopolio il mercato è dominato da poche, grandi aziende che forniscono prodotti similari e poco differenziati tra loro. In questa situazione il settore è considerevolmente

4 I costi di switching, detti anche costi di transizione, sono quei costi che si generano nel momento in cui un

consumatore cambia fornitore, marca o prodotto che utilizza per soddisfare lo stesso bisogno. Non si tratta necessariamente di costi economici ma possono riferirsi anche alle difficoltà che scaturiscono dal cambiare un certo modo di fare. Ad esempio, il fallimento della tastiera Dvorak, che consentiva di scrivere molto più velocemente rispetto ad una tastiera QWERTY, è dovuto proprio agli eccessivi costi di switching per imparare ad utilizzarla.

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statico in quanto le alte barriere in ingresso non permettono ad altre aziende di entrare senza un apporto molto ingente di capitali. Un oligopolio può avere diverse forme, a seconda del comportamento che le varie aziende assumono tra loro. Può esserci una forma di oligopolio stabile, in cui i fornitori che ne fanno parte mantengono prezzi e quantità che garantiscono loro profitti senza incorrere in una competizione troppo accesa; questa situazione può degenerare quando si crea un cartello (cioè una qualsiasi forma di accordo dei fornitori sui prezzi). Un’altra situazione tipica è quella in cui un price-leader stabilisce l’andamento dei prezzi e gli altri fornitori si adeguano (price-taker). Queste tipologie di oligopolio sono raffigurate in una rappresentazione leggermente rivisitata di A. van Weele in Figura 7.

Figura 7 - Forme di oligopolio (Weele, 2010)

➢ Monopolio.

Un mercato in cui un solo fornitore ha in mano tutto il mercato per un determinato prodotto e decide in buona parte il prezzo dello stesso, è definito monopolio. Si può parlare di monopolio naturale se un’azienda possiede l’intero market share senza l’ausilio di provvedimenti governativi, altrimenti si definisce monopolio governativo. In ambito software i sistemi operativi per PC per il mercato consumer sono prodotti praticamente da una sola azienda nella posizione di monopolio naturale: in una situazione di questo tipo è l’antitrust a garantire gli interessi dei consumatori. Nella pubblica amministrazione è facile trovare dei monopoli governativi, come nelle forniture di acqua, gas o elettricità.

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Il mercato della domanda si presenta in modo del tutto speculare a quello dell’offerta e può essere:

➢ Concorrenza perfetta.

È una struttura del tutto analoga a quella precedentemente descritta per il mercato di fornitura ma dal lato dell’acquirente.

➢ Oligopsonio.

Sono presenti pochi acquirenti, generalmente di grosse dimensioni, che acquisiscono un forte potere contrattuale nei confronti dei fornitori a causa dei grandi volumi necessari a soddisfare la domanda e, spesso, anche a causa dell’alto grado di dipendenza del fornitore rispetto al cliente. L’industria automobilistica rientra in questo tipo di mercato della domanda.

➢ Monopsonio.

È una condizione in cui molti venditori forniscono i loro prodotti ad un solo acquirente. È una situazione relativamente rara ma è presente nell’industria dello zucchero, delle armi (i ministeri della difesa) e in ambito ferroviario.

Le varie casistiche descritte sopra possono essere raccolte in una matrice (Figura 8) a seconda del numero di fornitori e acquirenti, in modo da poter identificare immediatamente se gli uni o gli altri si trovano in una posizione dominante o subordinata. La matrice rappresentata sotto permette di avere un quadro iniziale sulla struttura del mercato di riferimento e capire, in un secondo momento, quali possono essere le strategie da attuare, oppure di prevedere i comportamenti dei competitors o dei fornitori. Uno studio di questo tipo può essere un punto di partenza di un’analisi di mercato che, combinata con un’analisi di portafoglio, permette di implementare le giuste strategie cliente-fornitore.

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Figura 8 - Struttura del mercato domanda-offerta (Weele, 2010)

Uno spazio particolare va dedicato alla descrizione di un altro fattore che influenza gli acquisti: l’effetto Maverick (5). Si parla di Maverick Buying nel momento in cui vengono fatti degli acquisti non pianificati al di fuori dei canali preferenziali o che non seguono strategie di approvvigionamento decise dalla funzione acquisti. Nonostante si tratti comunque di codici utilizzati effettivamente per la produzione o destinati ad altri processi aziendali, questo tipo di spesa è spesso generatrice di inefficienze e, in linea di massima, contrasta con la funzione di controllo della spesa da parte della funzione purchasing. Distinguiamo tre profili tipo del Maverick

Buyer:

➢ Tipo A. È il progettista che mette a disegno un nuovo componente che non può essere approvvigionato dai fornitori già inseriti in azienda. In questa situazione l’ufficio acquisti è costretto, per mancanza di alternative, a cercare un nuovo fornitore perdendo di fatto i vantaggi e il potere contrattuale che l’azienda aveva con il fornitore

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preferenziale. Questo tipo di acquisto fa sprecare risorse perché il buyer dovrà destinare tempo e risorse per gestire una nuova relazione e una nuova trattativa e di conseguenza anche i tempi di approvvigionamento si allungano.

➢ Tipo B. È il caso in cui un impiegato effettua degli ordini senza passare dall’ufficio acquisti e senza sfruttare, di conseguenza, le conoscenze e i benefici che l’azienda ha sviluppato nel tempo con i vari fornitori della vendor list. Anche in questo caso si presentano inefficienze in termini di prezzi più alti, di gestione di un numero maggiore di ordini e di relazioni con i fornitori.

➢ Tipo C. È il caso più grave di spesa incontrollata in quanto l’impiegato emette degli ordini di acquisto spendendo risorse dell’azienda in assoluta indipendenza. Spesso questo tipo di attività è svolta non seguendo le procedure aziendali e questo può generare degli errori negli ordini, nelle fatture o nel controllo qualità.

2.3. L

A CLASSIFICAZIONE DEI CODICI

Identificare le categorie merceologiche significa definire i “contenitori” in cui verrà inserito tutto ciò che viene acquistato, con lo scopo di avere una sorta di ranking delle categorie in base alla loro importanza. Questa operazione è necessaria per determinare la giusta strategia per ogni

commodity. Nei paragrafi precedenti sono state date diverse accezioni al termine categoria (o commodity), ma in generale possiamo definirla come un insieme omogeneo di prodotti o servizi

acquistati che soddisfano determinati fabbisogni interni o esterni all’azienda e che, così classificati, rispecchiano il mercato di fornitura. Esempi di categorie possono essere il vetro, la lamiera, i servizi informatici, i materiali plastici, la bulloneria.

Le commodity possono essere individuate a priori o a posteriori. Nel primo caso si definiscono le classi merceologiche prima di fare un’analisi su ciò che viene acquistato seguendo, ad esempio, uno standard internazionale utilizzato dalle best in class del medesimo settore (come il German

Eclass o L’American UNSPSC5) (6). La stessa classificazione può essere fatta dopo aver condotto

una Spend Analysis preliminare interna e le classi vengono definite sulla base di ciò che è già stato

5 Lo United Nations Standard Products and Services Code è uno standard di classificazione dei beni di consumo e

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20

acquistato. Il primo approccio ha il vantaggio di utilizzare una tassonomia che è già stata adottata con successo da altre aziende e che permette di fare delle analisi del tutto paragonabili con coloro che utilizzano lo stesso standard. Di contro, ogni azienda è diversa dall’altra e in molti casi può essere più efficace una soluzione ad-hoc, attraverso una classificazione interna che rispecchia perfettamente la dimensione di spesa per ogni commodity.

In entrambi i casi le categorie devono essere abbastanza popolate da garantire volumi di un certo interesse per i fornitori in modo da poter avere una certa leva competitiva ma, allo stesso tempo, è noto che categorie troppo estese possono presentare delle difficoltà nella gestione.

Quest’ultimo aspetto diventa di fondamentale importanza nel momento in cui aziende multinazionali attuano una strategia di forte diversificazione e presentano, quindi, business unit in settori anche molto differenti tra loro. La sfida è trovare uno standard condiviso che permetta di avere, da una parte, una rappresentazione sufficientemente dettagliata della spesa delle varie filiali mentre, dall’altra, il mantenimento di una certa omogeneità dei dati di spesa provenienti da tutte le diverse aree d’affari. Bisogna considerare anche la piattaforma informatica da cui si vuole estrarre la base di dati: essa può essere condivisa con tutte le business unit e integrata a livello

corporate, oppure, qualora i dati provengano da piattaforme diverse, come infatti più

frequentemente accade, si procederà ad una fase di estrazione e pulizia degli stessi per permettere al sistema centrale di aggregarli ed elaborarli.

In questa fase è importante scegliere se classificare la totalità dei codici o solamente una parte. È ben dimostrato da studi empirici (Pareto), che circa l’80% della spesa è generato dal 20% dei fornitori o dal 20% delle commodity, e per questo motivo non è sempre necessario procedere con una classificazione completa di tutti gli items. A tal proposito O’Brien definisce tre gruppi di spesa: categorizzata, non categorizzabile e il resto della spesa (2). Nelle categorie rientra la maggior parte della spesa organizzata per classi merceologiche; la spesa non categorizzabile, invece, è costituita da quelle voci che non sono controllabili dall’azienda come le tasse o i costi per licenze. Nell’ultimo gruppo rientrano tutte quelle voci di spesa economicamente poco rilevanti (le cosiddette “code”) e per cui una visione così dettagliata non è necessaria e non darebbe valore aggiunto all’analisi.

La maggior parte degli standard per la classificazione delle merci e dei servizi sono strutturati seguendo un dispiegamento gerarchico. Questo significa che le prime due cifre del codice

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21

tassonomico rappresentano il segmento di appartenenza; la terza e la quarta cifra rappresentano la famiglia; la quinta e la sesta cifra rappresentano la classe e le ultime due posizioni sono destinate alla commodity, che è il livello più dettagliato dell’albero. Nell’esempio di Figura 9 - Rappresentazione gerarchica di una categoria, per identificare la categoria delle penne a sfera (roller ball pens), si usa il codice univoco 44121701 che ne descrive tutto il ramo fino alla radice.

Figura 9 - Rappresentazione gerarchica di una categoria (6)

Una commodity può essere classificata per funzione, per processo produttivo o per materiale. Questo significa che codici che appartengono allo stesso gruppo funzionale o che servono allo stesso scopo sono destinati ad appartenere alla stessa categoria. Lo stesso discorso si può fare per merci che sono realizzate con un processo produttivo similare, oppure che vengono fornite dallo stesso fornitore; anche in questo caso si tende a raggrupparle in un’unica categoria. Se i primi due metodi di classificazione non sono applicabili si può raggruppare i prodotti a seconda del materiale di cui sono composti.

I vantaggi di una struttura gerarchica sono molteplici: ➢ supporta il budgeting e la pianificazione strategica;

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22

➢ rende possibile la razionalizzazione del parco fornitori e l’aggregazione della domanda; ➢ integra il flusso informativo proveniente dagli ordini e la gestione dei debiti verso i

fornitori;

➢ permette operazioni di roll-up, drill-down e analisi multidimensionali (vedi par. 3.2); ➢ permette una visione al livello di supply chain;

➢ supporta e incrementa le prestazioni dell’e-procurement; ➢ supporta analisi di Business Intelligence.

Le regole di classificazione appena descritte sono utilizzate dalla maggior parte degli standard di classificazione, come l’UNSPSC, ma non tutti seguono questi principi. Per una panoramica più completa sugli altri standard in vigore si rimanda all’Allegato 1: Standard di classificazione (6).

Secondo uno studio condotto dal Chartered Institute of Procurement and Supply Australasia nel 2011 sulle categorie merceologiche più utilizzate (4) è emerso che non tutte le aziende applicano la stessa classificazione sui materiali diretti o indiretti. Questo accade perché la definizione di categoria per il Category Management è spesso trasversale alle classificazioni tradizionali, come può essere quella riferita ai materiali diretti e indiretti, perché vengono utilizzati dei criteri differenti che spesso sono finalizzati a raggiungere obiettivi diversi. Per esempio la distinzione tra

direct goods e indirect goods permette una più immediata allocazione dei costi sul prodotto e, di

conseguenza, il raggiungimento di obiettivi legati al target costing di prodotto o di budgeting. D’altro canto, se il prodotto è molto complesso, gestire tutti i materiali diretti come unica

commodity può risultare difficoltoso a causa della forte eterogeneità dei codici all’interno della

categoria stessa. Basti pensare a prodotti complessi come un’automobile, i cui materiali diretti sono spesso di natura talmente diversa da necessitare una gestione più capillare e, quindi, una tassonomia più profonda rispetto a quella tradizionale. Nella Figura 10 è indicato che ben il 15% dei Category Manager non è in grado di definire la categoria più importante con una singola classe ben determinata, ma piuttosto con un insieme di subcategorie dirette o indirette che condividono importanti sinergie; solo il 5%, invece, ritiene importante questa distinzione.

(30)

23

Figura 10 - Statistica sulle categorie più analizzate

2.4. I

L MODELLO DI PORTAFOGLIO ACQUISTI

Nei paragrafi precedenti sono stati affrontati gli aspetti principali che entrano in gioco quando si parla di Sourcing Category Management; in particolare ci siamo soffermati su tutte quelle variabili interne ed esterne che in qualche modo entrano nell’attività di procurement, ne condizionano i risultati e il raggiungimento degli obiettivi. Alcune di esse sono gestibili internamente, come la catena del valore e il “brick wall” oppure come la struttura dei costi delle varie tipologie di impresa. Altre variabili invece sono più di natura esterna perché dipendono da fattori che non sono propriamente controllabili dall’organizzazione, come la struttura dei mercati di fornitura e dei clienti. Una trattazione così ampia è necessaria a causa della natura stessa del processo d’acquisto. Esso, come il marketing, costituisce l’interfaccia dell’azienda verso il mondo esterno e, come tale, deve saper gestire con equilibrio tutte le sollecitazioni che provengono da fuori e da dentro l’organizzazione.

(31)

24

2.4.1. MATRICE DI PORTAFOGLIO DI KRALJIC E STRATEGIE DI FORNITURA

L’analisi di portafoglio di Kraljic fu creata nel 1983 da Peter Kraljic come modello di gestione strategica degli acquisti e ancora oggi è considerato un punto di riferimento per il mondo del

procurement. Questo approccio ha il vantaggio di riuscire a rappresentare in modo semplice e

immediato un quadro completo delle situazioni tipiche che caratterizzano i rapporti di fornitura all’interno dell’azienda. Lo scopo di questa analisi è quello di aiutare il purchasing a minimizzare il rischio di fornitura.

Questo strumento si presenta come una matrice suddivisa in quattro quadranti; ognuno di essi descrive una situazione diversa di fornitura. Sugli assi troviamo la complessità del mercato di

fornitura (posto sulle ascisse) e l’importanza strategica dell’acquisto (sulle ordinate). Queste due

grandezze sono molto complesse e tengono conto di un numero significativo di fattori che entrano in gioco nel momento in cui si vuole quantificare questi attributi.

➢ L’importanza strategica degli acquisti è funzione di tre fattori (7): o competenza;

o economico; o immagine.

Il fattore competenza è legato al know-how o alle abilità necessarie per gestire l’acquisto oppure all’incremento delle competenze tecnologiche interne apportate dallo stesso. Un acquisto che fa parte delle core competencies dell’azienda o che ne migliora la conoscenza in ambito tecnologico influenza questo fattore.

Il fattore economico tiene conto di tutte quelle situazioni in cui l’acquisto contribuisce in modo rilevante a dare valore aggiunto al prodotto o magari costituisce una leva importante per avere potere contrattuale verso il fornitore. Il volume monetario degli acquisti e l’impatto che esso ha sul prodotto finale con alta redditività o con alto valore aggiunto, costituisce un indicatore che misura l’incidenza del fattore economico sul fattore importanza degli acquisti.

Il fattore d’immagine fa riferimento all’immagine del fornitore agli occhi del mercato in ambito di sicurezza, marchio, prestigio, ambiente e sicurezza.

(32)

25 Questa relazione si può riassumere come segue:

𝐼𝑆𝐹 = 𝑓(𝐶, 𝐸, 𝐼)

➢ La complessità del mercato di fornitura è funzione delle caratteristiche (7) del: o prodotto;

o mercato; o ambiente.

Le caratteristiche del prodotto, in termini di complessità e grado di innovazione tecnologica, possono rendere più complessa o meno la fornitura.

Il fattore legato alle caratteristiche del mercato di approvvigionamento considera il grado di concentrazione del mercato dell’offerta, il potere contrattuale dei fornitori e le competenze commerciali e tecnologiche dei fornitori.

Il fattore ambientale è influenzato da tutte quelle situazioni in cui si considera il rischio legato alla fornitura e all’incertezza dello scenario macro-economico dell’offerta.

Anche questa relazione si può scrivere in modo più compatto:

𝐶𝑀𝐹 = 𝑓(𝑃, 𝑀, 𝐴)

Un altro aspetto da tenere in considerazione in un’analisi di portafoglio è il focus con cui si vuole utilizzare questo strumento. La matrice può essere utilizzata sia a livello di Business Unit per evidenziare le relazioni con i fornitori e le dipendenze da essi, sia a livello Corporate allo scopo di individuare e sviluppare sinergie e leve tra le diverse BU. Nel primo caso la matrice avrà un livello di dettaglio maggiore perché le informazioni in essa contenute faranno riferimento a fornitori e prodotti che sono in contatto diretto con l’azienda in oggetto. Nel secondo caso, invece, le informazioni contenute nella matrice saranno aggregate, perché proverranno dalle diverse

(33)

26

matrici di secondo livello che sono state realizzate a livello di BU. In questo caso si fa riferimento a prodotti e fornitori che non sono controllati direttamente dalla Corporate.

È opportuno specificare anche che l’oggetto di analisi rappresentato nella matrice può avere un grado di dettaglio diverso, a seconda della situazione. In situazioni in cui i prodotti acquistati sono pochi e ben definiti, nei vari quadranti del grafico possono essere posizionati i vari codici o materiali che rappresentano una parte o la totalità degli acquisti dell’azienda. Per esempio il portafoglio acquisti di un’impresa agricola specializzata è caratterizzato da una bassa varietà di articoli che possono ragionevolmente essere oggetto dell’analisi. Se invece si fa riferimento ad un’azienda con un portafoglio acquisti ampio e molto variegato, come l’industria automobilistica, inserire tutti i codici acquistati nella matrice è di scarsa utilità. In questo caso il focus si sposta alle categorie merceologiche (o commodity) che rappresentano un insieme omogeneo di prodotti la cui gestione può essere fatta in modo aggregato.

Classificazione degli acquisti

Il primo passo per costruire il modello è posizionare i codici, i componenti, i prodotti, i servizi o le categorie merceologiche nella matrice, tenendo conto delle due dimensioni (Importanza

strategica dell’acquisto e Complessità del mercato di fornitura) che ne determinano il

posizionamento nei quattro quadranti. È frequente trovare delle grandezze diverse sugli assi che identificano in modo più chiaro i driver che condizionano il posizionamento dei codici nei quadranti; per esempio spesso troviamo rischio della fornitura e impatto sul profitto. Il primo tiene conto della scarsa reperibilità delle materie prime, di eventuali limiti governativi o del basso numero di fornitori. L’impatto sul profitto, invece, considera l’incidenza del codice sulla qualità o sul valore finale del prodotto.

Ognuno dei quattro quadranti, illustrati in una rivisitazione del modello in Figura 11, rappresenta una fotografia di una specifica situazione di fornitura. L’illustrazione originale è riportata in Allegato 2: Modello di portafoglio di Kraljic (8).

(34)

27

Figura 11 – Rivisitazione della matrice di portafoglio di Kraljic (8)

La classificazione degli acquisti così esplicitata vede quattro situazioni diverse:

I. Codici Non Critici

Sono codici caratterizzati da una buona reperibilità sul mercato a causa della scarsa complessità del mercato di fornitura e, allo stesso tempo, non hanno una grossa importanza sul prodotto finale né in termini di valore aggiunto, né in termini di impatto sul cliente. Si tratta spesso di codici standard e il processo di acquisto per ottenerli segue il ciclo d’ordine come da procedura.

II. Codici Leva

In questo quadrante vengono posizionati quei codici che hanno un alto impatto sul prodotto finale ma la scarsa complessità del mercato di fornitura da cui provengono, non costituisce difficoltà nel processo di acquisto. È una situazione in cui si tende a sfruttare i vantaggi relativi agli alti volumi di acquisto per avere potere contrattuale verso i fornitori.

(35)

28

III. Codici Colli di Bottiglia

Sono oggetti contraddistinti da una scarsa reperibilità o provenienti da mercati scarsamente competitivi (vedi monopolio, oligopolio e competizione monopolistica descritti nel paragrafo 2.2). Sebbene non siano articoli particolarmente importanti per il prodotto, la relazione di fornitura complessa determina una certa criticità sulla gestione.

IV. Codici Strategici

Questi articoli necessitano di particolari attenzioni da parte dei Purchasing Manager perché si tratta di oggetti complessi e spesso scarsamente reperibili e che hanno un forte impatto sul cliente. Vengono fatte delle valutazioni in merito a partnership con i fornitori che vendono questi componenti, valutazioni di rischio di fornitura e possibilità di realizzare il pezzo internamente piuttosto che acquistarlo.

Un approfondimento sulle caratteristiche della classificazione vengono descritte in Allegato 3: Caratteristiche dei codici nella classificazione di Kraljic (8).

Analisi di mercato

Questa analisi viene svolta principalmente per capire la forza contrattuale dei fornitori rispetto al cliente, allo scopo di fornire un quadro completo sulle dinamiche che si sviluppano anche fuori dall’azienda e che influenzano le strategie di procurement. Una parte di questa analisi è già stata trattata nei paragrafi precedenti (“il grado di concentrazione del mercato” par. 2.2) ma lo strumento principe per questo tipo di valutazioni è il modello delle cinque forze del Porter, di cui rimandiamo la trattazione a testi dedicati.

Posizionamento strategico

Dopo aver posizionato i vari item nella matrice si selezionano quelli strategici e, tenendo conto delle valutazioni fatte nel punto precedente sui rapporti di forza o debolezza con i vari fornitori, viene costruita una nuova matrice che costituirà il piano d’azione sulla base delle variabili:

➢ forza acquirente;

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29

La matrice raffigurata di seguito è un estratto dall’Exhibit IV del modello di portafoglio di Kraljic (8).

Figura 12 - Posizionamento strategico

Le celle della matrice sono disposte in modo da identificare tre possibili aree e, di conseguenza, altrettante categorie di rischio in funzione dello sbilanciamento della posizione di forza tra fornitore e cliente. La zona sopra la diagonale secondaria della matrice descrive una situazione in cui il cliente gioca un ruolo di forza rispetto ai fornitori e, in questa situazione, esso può sfruttare il suo potere contrattuale per ottenere dei benefici sia stipulando contratti vantaggiosi di medio-lungo termine, sia diversificando il rischio di fornitura attraverso il

multi-sourcing.

La zona posta sotto la diagonale minore è caratterizzata dalla situazione opposta: la maggiore forza contrattuale dei fornitori non permette all’acquirente di ottenere vantaggi da una collaborazione. È una situazione ad alto rischio a causa della scarsa influenza che il cliente ha nella negoziazione e nella definizione delle specifiche di fornitura (come il lead time di consegna). In

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30

questo contesto diversificare, cioè cambiare fornitore o il prodotto stesso, può essere l’unica strada percorribile per eliminare il fattore di rischio.

Le celle disposte sulla diagonale minore descrivono una situazione di sostanziale equilibrio cliente-fornitore ed in questo caso non c’è una strategia preferenziale se non quella di ottenere un mutuo beneficio delle parti.

Piani d’azione

L’ultima fase dell’analisi di portafoglio di Kraljic prevede la predisposizione di piani d’azione, i quali driver principali sono sintetizzati nella Tabella 3 a seconda della situazione specificata nella fase precedente di posizionamento strategico.

Driver Sfruttare Bilanciato Diversificare

Volume Distribuire Valutare

variazioni

Centralizzare

Prezzo Ottenere riduzioni Negoziazione

opportunistica

Accettare

Copertura contrattuale

Acquisti spot Spot o Contratti Assicurarsi contratti stabili

Nuovi fornitori Rimanere in contatto Fornitori

selezionati

Cercare nuovi

Scorte Basse Solo buffer Scorte di sicurezza

Make or Buy Buy Valutare

Make or Buy

Make

Sostituzione Rimanere in contatto Cercare opportunità

favorevoli

Cercare sostituti

Value Engineering Rafforzare valore del

fornitore

Valutare selettivamente

Aumentare proprio valore

Logistica Minimizzare i costi Ottimizzare

selettivamente

Assicurare scorte necessarie

Tabella 3 - Piani d'azione (8)

I piani d’azione sono da considerarsi delle linee guida la cui applicazione va contestualizzata alla realtà alla quale si vuole applicare. È importante notare come non sempre l’atteggiamento

(38)

31

si tratta comunque di codici critici con un alto impatto sul prodotto quindi ogni azione va ponderata con la giusta attenzione, anche nell’ottica di non danneggiare il fornitore. Lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda la strategia diversificare. Non sempre è possibile sostituire un fornitore che costituisce un vincolo tecnologico per il prodotto o per un processo produttivo, e non sempre i costi di switching sono sostenibili soprattutto per aziende medio-piccole.

Tuttavia bisogna considerare che molte imprese hanno percorso strade diverse per cercare di fronteggiare situazioni ad alto rischio di fornitura, come per esempio:

➢ acquisire il fornitore critico (integrazione verticale);

➢ costituire un’azienda ex-novo che sostituisca il fornitore critico;

➢ riprogettare il prodotto (DFx6);

➢ investire nella relazione con i fornitori (partnership, codesign, comakership).

2.4.2. CRITICHE SUL MODELLO DI PORTAFOGLIO

Il modello di portafoglio di Kraljic ha avuto il grande merito di fornire una rappresentazione semplice ed organizzata della maggior parte delle problematiche associate al supply

management. La classificazione dei codici nelle quattro categorie (Non critico, Leva, Collo di

bottiglia, Critico) ha permesso di focalizzare l’attenzione su quelle che sono, a conti fatti, quattro categorie di rischio, a cui sono associate opportunità e criticità diverse. In questo senso le tre strategie di approvvigionamento (Sfruttare, Bilanciato e Diversificare) sono finalizzate alla riduzione del rischio associato alla fornitura, e al rafforzamento della posizione del committente nel lungo periodo. Allo stesso tempo questo approccio fornisce spunti importanti di discussione in quanto mostra un quadro complessivo ed enfatizza l’esigenza di coordinamento tra le varie funzioni aziendali.

6 Il Design for X o DFx è una metodologia di progettazione che ha lo scopo di ridurre i costi o accelerare i tempi di

realizzazione di un progetto al fine di valorizzare alcune caratteristiche del prodotto relativamente ad una specifica fase di progettazione. I DFx più conosciuti sono i Design for Logistic (utilizzato da IKEA per distribuire i suoi prodotti) e il Design for Manufacturing che permettono di realizzare il prodotto ottimizzando al massimo l’efficienza produttiva.

(39)

32

Esistono comunque delle critiche al modello e delle questioni rimaste insolute che hanno stimolato molti studiosi a elaborare una trattazione più esaustiva a riguardo. I dubbi sul modello si sostanziano principalmente su tre questioni (9):

a) scarsa oggettività sulla misurazione delle grandezze della matrice; b) visione buyer-centric;

c) staticità delle posizioni all’interno della matrice.

a) Scarsa oggettività sulla misurazione delle grandezze della matrice

Le decisioni basate sull’analisi di portafoglio sono estremamente sensibili alla scelta delle dimensioni, dei fattori, dei pesi e delle soglie. Day (1986) sostiene che le misure sono il tallone d’Achille di tutti i modelli di portafoglio. Con questa affermazione si vuole sottolineare come sia difficile quantificare le grandezze impatto sul profitto e rischio della fornitura e che sarebbe più opportuno valutare il peso con cui ciascun fattore incide su queste dimensioni e sul posizionamento dei codici nella matrice; cosa che al momento è valutata in modo soggettivo (Olsen and Ellram, 1997). Qual è la soglia che discrimina i valori “alti” da quelli “bassi”? Una errata valutazione della soglia può comportare una visione completamente diversa del quadro complessivo. De Boer (1998) suggerisce un approccio completamente personalizzato da parte dell’azienda, la quale dovrebbe individuare in autonomia i criteri, i pesi e le soglie più adeguate alle loro esigenze.

Una possibile soluzione al problema della misurazione è posizionare i codici nella matrice attraverso una valutazione consensuale svolta in sede di discussione dai membri di un team. In questo modo viene livellata la soggettività individuale e promossa la collaborazione tra le diverse funzioni aziendali. Questo approccio costituisce uno strumento di valutazione e analisi flessibile e personalizzabile.

Un altro approccio può essere quello di modificare i parametri della matrice in modo che descrivano un’unica grandezza chiara ed inequivocabile. Akzo Nobel Coatings (9) ha utilizzato il metodo one-by-one sostituendo i parametri classici del modello, cioè “importanza strategica” e “rischio della fornitura”, rispettivamente con “valore dell’acquisto” e “numero di fornitori” (alternativi). È chiaramente una semplificazione del modello proposto da Kraljic perché considera

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