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La Lingua Franca barbaresca nel bacino del Mediterraneo: analisi linguistica, testimonianze e studi critici di un fenomeno di semplificazione italo-romanzo.

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA

TESI DI LAUREA

La lingua franca barbaresca nel bacino del Mediterraneo: analisi

linguistica, testimonianze e studi critici di un fenomeno di

semplificazione italo-romanzo.

CANDIDATO RELATORE

Camilla Citerni Chiar.mo Prof. Roberto Peroni CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Franco Fanciullo

(2)
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Che il Mediterraneo sia la fortezza ca nun tene porte addo' ognuno po' campare d'a ricchezza ca ognuno porta,

ogni uomo con la sua stella nella notte del dio che balla e ogni popolo col suo dio che accompagna tutti i marinai e quell'onda che non smette mai.

(4)
(5)

I. CHE COSA S’INTENDE QUANDO PARLIAMO DI LINGUA FRANCA? 12

I.1ETIMOLOGIA 12

I.2AMBIGUITÀ DEL TERMINE LINGUA FRANCA: UN PROBLEMA TERMINOLOGICO 14

II. LA LINGUA FRANCA BARBARESCA 18

II.1IL CONTESTO SOCIO-LINGUISTICO DI FORMAZIONE E DI STABILIZZAZIONE 18

II.1.1BREVE INQUADRAMENTO STORICO 18

II.1.3CONDIZIONI FAVOREVOLI ALLA STABILIZZAZIONE DELLA LINGUA FRANCA BARBARESCA. 19

II.1.4IL CONTRIBUTO DELL’ITALIANO DIPLOMATICO-CANCELLERESCO ALL’AFFERMAZIONE

DELLA LINGUA FRANCA BARBARESCA 24

II.2CARATTERISTICHE LINGUISTICHE GENERALI 27

II.2.1PREMESSA SULLA VARIAZIONE SINCRONICA 27

II.2.2LA FONETICA 28

II.2.3LA MORFOLOGIA 32

II.2.4LA SINTASSI 37

II.2.5IL LESSICO 37

II.2.6LE NEOFORMAZIONI 44

III: I PRINCIPALI TESTI DI LINGUA FRANCA 46

III.1LA FASE DEL PIDGIN INIZIALE 46

III.1.1IL CONTRASTO DELLA ZERBITANA (1305-1334) 47

III.1.2ELEMENTI DI LINGUA FRANCA NEL CONTRASTO DI CIELO D’ALCAMO (1231-1250)? 50

III.1.3IL VILLANCICO DI JUAN DEL ENCINA (1520) 52

III.1.4LA ZINGANA DI GIGIO ARTEMIO GIANCARLI (1545) 54

III.2LA FASE DEL PIDGIN BARBARESCO STABILE 60

III.2.2PIERRE DE BOURDEILLE ABATE DI BRANTÔME,VIES DES GRANDS CAPITAINES ESTRANGERS

ET FRANÇOIS, RIEDITO DA SABE,PARIS,1848 62

III.2.3DIEGO DE HAEDO,TOPOGRAPHIA E HISTORIA GENERAL DE ALGER,VALLADOLID,1612 63 III.2.4MONSIEUR DE BRÈVES,RELATION DES VOYAGES DE MONSIEUR DE BRÈVES TANT EN GRÈCE, TERRE SAINCTE &EGYPTE, QU’AUX ROYAUMES DE TUNIS &ARGER,PARIS,1628 65 III.2.5PADRE JOSÉ TAMAYO,MEMORIAS DEL CAPTIVERIO DEL P.JOSEPH TAMAYO DE LA

COMPAÑÌA DE JESÙS,1644 66

III.2.6EMANUEL D’ARANDA,RELATION DE LA CAPTIVITE ET LIBERTE DU SIEUR EMANUEL DE ARANDA MENE ESCLAVE A ALGER EN L’AN 1640& MIS EN LIBERTE L’AN 1642,BRUXELLES,1656

67 III.2.7R.P.JEAN BAPTISTE LABAT (A CURA DI),MÉMOIRE DU CHEVALIER D’ARVIEUX, ENVOYÉ EXTRAORDINAIRE DU ROY À LA PORTE,CONSUL D’ALEP,D’ALGER, DE TRIPOLI,& AUTRES ECHELLES DU LEVANT,CONTENANT SES VOYAGES À CONSTANTINOPLE, DANS L’ASIE, LA SYRIE, LA PALESTINE, L’EGYPTE & LA BARBARIE,PARIS,1735 68 III.2.8DEL MODO CON CUI VENGONO TRATTATI GLI SCHIAVI IN FEZ E NEL MAROCCO,1754 69 III.2.9RODRÍGUEZ CASADO,JORGE JUAN EN LA CORTE DE MARRUECOS,«REVISTA DE MARINA»,

1941 69

III.2.10DON FERNANDO MENDÉZ,YNFORME DE LA JUNTA DE OBRAS Y LISTAS DE LOS EMPLEADOS

(6)

III.2.11JOHANN VON REHBINDER,NACHRICHTEN UND BEMERKUNGEN ÜBER DEN ALGIERISCHEN

STAAT,ALTONA 1798-1800 73

III.2.12GIUSEPPE MANNO,STORIA DI SARDEGNA,IV,1827. 74

III.2.13DON FELICE CARONNI,RAGGUAGLIO DEL VIAGGIO COMPENDIOSO DI UN DILETTANTE ANTIQUARIO SORPRESO DA’ CORSARI CONDOTTO IN BARBERIA E FELICEMENTE RIMPATRIATO,2

VOLL., ED.SOZOGNO,MILANO 1805 76

III.2.14DR.L.FRANK, E J.J.MARCEL,L’AFRIQUE MODERNE,TUNIS,L’UNIVERS PITTORESQUE

1885, RIEDIZIONE BOUSLAMA,TUNIS 1985. 78

III.2.15FILIPPO PANANTI,AVVENTURE ED OSSERVAZIONI SOPRA LE COSTE DI BARBERIA,2 VOLL.,

MILANO 1817. 79

III.2.16ARMAND DE FLAUX,LA RÉGENCE DE TUNIS AU DIX-NEUVIÈME SIÈCLE,1865 83 III.2.17DICTIONNAIRE DE LA LANGUE FRANQUE OU PETIT MAURESQUE SUIVI DE QUELQUES

DIALOGUES FAMILIERS ET D’UN VOCABULAIRE DE MOTS ARABES LES PLUS USUELS; À L’USAGE DES

FRANÇAIS EN AFRIQUE,MARSEILLE,1830 86

III.2.18ELISABETH BROUGHTON,SIX YEARS RESIDENCE IN ALGIERS,LONDON,1839 94 III.2.19GIUSEPPE FERRARI,LA SPEDIZIONE DELLA MARINA SARDA A TRIPOLI,ROMA 1912 96

III.2.20SIR GRENVILLE TEMPLE,EXCURSION ON THE MEDITERRANEAN.ALGERS AND TUNIS,

SAUNDERS AND OTLEY,I,LONDON,1835 98

III.2.21AMOS PERRY,CARTHAGE AND TUNIS,PAST AND PRESENT: IN TWO PARTS,PROVIDENCE

PRESS COMPANY,1869 99

III.2.22LOUIS CALLIGARIS,NOTICE SUR TUNEZ, IN RÉLATIONS INÉDITES DE NYSSEN,FILIPPI ET CALLIGARIS (1788,1829,1834), ED.CH.MONCHICOURT,PARIS,1788-1834 100 III.2.23HISTOIRE CHRONOLOGIQUE DU ROYAUME DE TRIPOLI, IN E.ROSSI,LA LINGUA FRANCA IN BARBERIA,«RIVISTA DELLE COLONIE ITALIANE», N.S.,1928 101

III.3TESTI LETTERARI E PIÈCES TEATRALI DAL XVII AL XIX SECOLO. 102

III.3.1GIOVANBATTISTA ANDREINI,LA SULTANA (1622) 102

III.3.2UNA COMMEDIA GENOVESE ANONIMA:BAGOLINA E L’INCONTRO COL VENDITORE TURCO

(CA.XVII SEC.) 106

III.3.2MOLIÈRE:LE SICILIEN (1667) E LE BOURGEOIS GENTILHOMME (1670) 108

III.3.3GOLDONI:I PETTEGOLEZZI DELLE DONNE (1751),LE DONNE DE CASA SOA (1755),

L’IMPRESARIO DELLE SMIRNE (1759) 118

III.3.4G.MALAMANI,IL SETTECENTO A VENEZIA (1891), ALL’INTERNO DUE POEMETTI VENETI:

EL MERCANTE ARMENO E UN TURCO INAMORA’(CA. METÀ XVIII SECOLO) 123

III.3.5MARTIN PIAGGIO, DUE POESIE SULLE CONQUISTE GENOVESI IN BARBERIA,(1825;1830).

128

IV STUDI CRITICI SULLA LINGUA FRANCA 132

IV.1L’UR-CREOLISTA SCHUCHARDT E L’IPOTESI DELL’AUTO-SEMPLIFICAZIONE (1909) 132

IV.2ETTORE ROSSI,LA LINGUA FRANCA DI BARBERIA (1928) 135

IV.3CARLO TAGLIAVINI SU LINGUA FRANCA E LINGUE CREOLE IN ENCICLOPEDIA

TRECCANI (1931;1932) 137

IV.4PELIO FRONZAROLI E L’IPOTESI DEL PARASTRATO SEMITICO (1954) 139

IV.5R.A.JR HALL: LA LINGUA FRANCA MEDIEVALE, LA LINGUA FRANCA DI BARBERIA ED IL

SABIR (1966) 143

IV.6KEITH WHINNOM,THE CONTEXT AND ORIGINS OF LINGUA FRANCA (1977) 145

IV.7LAURA MINERVINI, LA LINGUA FRANCA NEL CONTINUUM INTERLINGUISTICO (1996)

(7)

IV.8G.CIFOLETTI, DALLA LINGUA FRANCA MEDITERRANEA ALLA LINGUA FRANCA

BARBARESCA,(1989;2011) 162

IV.9RENATA ZAGO,A DISSERTATION ON LINGUA FRANCA (1989?) 169

IV.10JOCELYNE DAKHLIA, LA LINGUA FRANCA COME LANGUE MÉTISSÉE (2008) 174

IV.11BARBARA TURCHETTA, LA LINGUA FRANCA IN FUNZIONE DELLA TEORIA

MONOGENETICA (2009) 181

IV.12FEDERICA VENIER, L’EREDITÀ DI SCHUCHARDT E LA VALIDITÀ DELLA TEORIA

FRONZAROLIANA (2012) 186

IV.13FIORENZO TOSO, LA LINGUA FRANCA COME VARIETÀ DI ITALIANO L2 IN BASE A

NUOVE TESTIMONIANZE (2008) 190

V LA LIGUA FRANCA BARBARESCA A CONFRONTO CON ALTRE VARIETÀ

SEMPLIFICATE DI ITALIANO 195

V.1LA SEMPLIFICAZIONE LINGUISTICA DELL’ITALIANO NEL CORNO D’AFRICA 195

V.1.1BREVE INQUADRAMENTO STORICO 196

V.1.2LE CARATTERISTICHE LINGUISTICHE DELL’ISE 198

V.1.3ANALOGIE E CORRISPONDENZE TRA LINGUA FRANCA BARBARESCA E ISE 202

V.1.4L’ACCUSATIVO PREPOSIZIONALE INTRODOTTO DA PER E DA ALTRE PREPOSIZIONI IN

ALTRE LINGUE. 204

V.1.6M.TOSCO, L’ADATTAMENTO DEI PRESTITI ITALIANI IN SOMALO 214 V.2L’ITALIANO SEMPLIFICATO NELLA SVIZZERA TEDESCA: IL

FREMDARBEITERITALIENISCH (FAI) ED IL FOREIGNER TALK (FT) ITALIANO 219

V.2.1LE CARATTERISTICHE LINGUISTICHE 221

V.2.2IL FOREIGNER TALK ITALIANO (FT)NELLA SVIZZERA TEDESCA 230

V.2.3ULTIME CONSIDERAZIONI SUL FAI E LA LINGUA FRANCA BARBARESCA 235 V.3BREVE ACCENNO AL SISTEMA VERBALE DELLE INTERLINGUE DEI MIGRANTI 238

V.4ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI SULLE VARIETÀ SEMPLIFICATE DI ITALIANO 244

CONCLUSIONI 248

(8)
(9)

Prefazione

Nel panorama di studi offerto da discipline come la pidginistica e la creolistica, o più genericamente nella linguistica del contatto, raramente si ha la possibilità di imbattersi in studi sulle varietà pidginizzate o varietà semplificate di italiano. Come ho potuto constatare in prima persona, dopo un periodo di studi in suolo francese, la tradizione di studi e la letteratura sull’argomento in Francia e soprattutto nei paesi anglofoni è ingente e tuttora molto fiorente. L’interrogativo da cui il presente lavoro prende le mosse è stato appunto suscitato dalla considerevole disparità di studi critici sulle varietà linguistiche semplificate a base francese rispetto a quelle a base italiana. Perché i pidgin italiani, se ci è consentito servirsi di questa denominazione in senso lato, o comunque le varietà semplificate di italiano non possiedono una tradizione di studi altrettanto florida?

Partendo da questo interrogativo e dalla riscontrata esiguità in termini sia quantitativi che qualitativi della letteratura sull’argomento, si è tentato in questa sede di indagare le caratteristiche linguistiche, i contesti di formazione ed i fattori storico-sociali che hanno determinato la nascita e la diffusione della lingua franca barbaresca. La scelta di occuparsi principalmente della lingua franca deriva dalla vasta portata di questo fenomeno in termini sia storici che linguistici, poiché essa rappresenta la varietà semplificata a base italo-romanza più longeva e di più antica formazione.

Iniziando la trattazione con una riflessione di tipo terminologico, volta alla chiarificazione del significato del termine lingua franca, dotato di un elevato grado di vaghezza, si è riscontrato quanto spesso in letteratura sia stato impiegato impropriamente. Lo studio prende in considerazione uno span temporale di notevole estensione, dalla questione delle origini, ancora dibattute, che colloca le prime testimonianze tra il XIII ed il XIV secolo in cui si ipotizza l’esistenza di un gergo a diffusione pan-mediterranea, per arrivare poi alla fase di stabilizzazione, compresa fra la metà del XVI secolo la metà del XIX secolo, in cui la lingua franca inizia ad affermarsi come lingua veicolare tra popolazioni cristiane e musulmane ed impiegata nei territori delle reggenze barbaresche (Algeri, Tunisi e Tripoli). L’oggetto di studio è infatti la lingua franca barbaresca, una denominazione necessaria per restringere il campo di indagine alla varietà semplificata

(10)

italo-romanza nella sua fase di maggiore stabilità e diffusa sul territorio magrebino in epoca barbaresca, poiché da quest’area provengono la maggior parte delle testimonianze. Alla trattazione delle criticità relative alla terminologia segue una sezione dedicata alla morfologia, alla sintassi ed alla fonologia della lingua franca barbaresca con una parte dedicata anche alle neoformazioni e all’analisi del lessico, col tentativo di proporre alcune nuove interpretazioni; in questo capitolo abbiamo affiancato alle osservazioni di Cifoletti alcune proposte da altri studiosi, con la volontà di elaborare un profilo linguistico aggiornato della lingua franca barbaresca.

La finalità del terzo capitolo è quella di proporre un’antologia aggiornata dei testi di area romanza e più genericamente di area europea, nella quale si prenderanno in considerazione sia testi di tipo letterario e teatrale, sia testi di tipo documentaristico o autobiografico-memorialistici; accanto ai testi tradizionalmente appartenenti al corpus delle testimonianze di lingua franca, ne sono stati aggiunti altri sia di natura letteraria che documentaristica. Le nuove testimonianze provengono da aree geografiche meno consuete, come ad esempio dal Marocco e dalla città di Genova, senza contare alcuni testi relativi alla storia della comunità tabarchina. Come vedremo, entrambe le tipologie di testi sono funzionali all’indagine qui condotta, se da un lato i testi documentaristici si rivelano più attendibili nel delineare i parametri linguistici della lingua franca

barbaresca, (si pensi ad esempio alla validità delle testimonianze di Diego de Haedo),

dall’altro i testi letterari possono aiutarci a formulare ipotesi inedite circa la diffusione, i contesti di utilizzo e le origini della lingua franca nella sua fase iniziale, nonostante essi

possano apparire irrimediabilmente compromessi dal fenomeno

dell’ipercaratterizzazione letteraria a scopo comico-parodistico.

Successivamente presenteremo una raccolta, anch’essa aggiornata, degli studi critici e dei contributi forniti dagli studiosi più autorevoli in materia, tentando di mettere in risalto le interpretazioni più puntuali e convincenti, tra cui figurano gli studi di Cifoletti, di Minervini e di Toso. Si discuterà brevemente anche il ruolo della lingua franca in relazione all’elaborazione della teoria monogenetica sulla genesi dei pidgin, provando a dissociare questa varietà da tale ormai obsoleta tradizione di studi.

Nel capitolo conclusivo ci concentreremo invece sui rapporti e sulle corrispondenze esistenti tra le diverse varietà semplificate di italiano, mettendo a confronto la lingua franca barbaresca con l’Italiano Semplificato d’Etiopia (ISE), con il

(11)

Fremdarbeiteritalienisch della Svizzera tedesca (FAI) e con il foreigner talk italiano

(FT). La finalità di questa comparazione è quella di tentare di tracciare una strada più generale alla semplificazione dell’italiano, mettendo in risalto le analogie più significative, che potrebbero gettare le basi per ulteriori studi e riflessioni future.

(12)

I. CHE COSA S’INTENDE QUANDO PARLIAMO DI LINGUA

FRANCA?

I.1 Etimologia

Il termine lingua franca è giunto a determinare nel corso dei secoli varietà linguistiche molto distanti tra loro sia geograficamente che storicamente ed anche le ipotesi sulla derivazione etimologica non hanno mancato di marcare ulteriormente il grado di ambiguità e di arbitrarietà nell’utilizzo dell’espressione.

La prima ipotesi in ordine cronologico è detta anche ipotesi bizantina, essa in particolar modo collega l’aggettivo franca all’uso dell’aggettivo ά, foneticamente

fraŋki, che inizia a diffondersi durante le crociate ed indica genericamente tutti gli

europei occidentali. In seguito all’assedio di Costantinopoli del 1204, in ambito bizantino il termine Φραγκικά1passa ad indicare nei secoli successivi in prima istanza il latino ed

in seguito diverse varietà romanze tra cui il francese e, a partire dal XV secolo, alcune parlate italiane tra cui perfino l’italiano letterario. Dall’ambiente bizantino il glottonimo

ά si diffonde in tutte le lingue orientali, mantenendo la sonorizzazione del nesso

consonantico (-nk->-ng-) come in greco bizantino: farang in persiano, afranji o ifranji in arabo letterario e freng- in turco. Anche Tagliavini (1932) abbraccia quest’ipotesi, il termine ά2sarebbe già noto a partire dal VI secolo, benché usato impropriamente

da Stefano di Bisanzio per riferirsi ad un popolo delle Alpi italiane; in seguito all’epoca delle crociate e dell’impero latino di Bisanzio passa ad indicare genericamente gli occidentali e le loro lingue native. Dall’area bizantina esso si diffonde anche in ambito mediorientale-musulmano e slavo. Di stessa matrice troviamo nel mondo arabo il termine lisān al-faranǧ, del tutto sovrapponibile a Φραγκικά bizantino (e di probabile derivazione

diretta) che indicava presso le popolazioni di lingua araba le lingue dei popoli romanzi con cui venivano in contatto, in particolar modo l’italiano. In un secondo momento passerà ad indicare la lingua franca come lingua veicolare a base romanza. Quest’ultima ipotesi rappresenta la tesi maggiormente accreditata dagli studiosi che, a partire da Hugo

1 K.&H.KAHANE, Lingua Franca. The Story of a Term, «Romance Philology», 30,1976, p. 30

(13)

Schuchardt fino ai giorni nostri, hanno abbracciato questa posizione, ritenendola la più in sintonia con le testimonianze documentarie in nostro possesso.

La seconda ipotesi interpreta franca come glottonimo, associandolo ai Franci3

(popoli occidentali provenienti dalla Francia in particolare quei popoli compresi tra Marsiglia e Genova), il termine secondo Hall (1966), principale sostenitore di questa ipotesi, si sarebbe affermato durante l’epoca delle crociate, e proprio in quest’epoca sono da ricercare le origini della lingua franca; di quest' aspetto e della teoria sulla genesi della lingua franca di Hall ci occuperemo più nel dettaglio in seguito.

L’ultima ipotesi, non per ordine cronologico, ma per numero di consensi riscossi è sostenuta in parte da Fronzaroli (1954) come possibile interpretazione alternativa; essa vede l’aggettivo franca derivato dall’italiano franco/francamente, inteso come ‘libero, liberamente’4, riportando come testimonianza una frase del 1667 estratta da una delle

lettere di Giovanni Pagni5. Dello stesso avviso è anche Wartzburg, che nel FEW collega

l’aggettivo frank al medesimo significato: «qui est de condition libre, par opposition à esclaves ou à serfs»6.

Come abbiamo visto il termine lingua franca conosce un’ampia gamma di utilizzi e di significati, che varia ampiamente in base al periodo storico e all’area geografica di impiego: lingua franca può riferirsi a tutte le lingue romanze, ad alcune varietà dialettali dell’italiano, all’italiano letterario, ad una varietà semplificata a base romanza, per arrivare fino ai giorni nostri in cui acquisisce il significato generico di lingua veicolare o pidgin. Un quadro molto complesso che inizia con un livello di generalizzazione massima (tutte le lingue romanze), per approdare successivamente ad uno di contingenza molto specifica (varietà romanza semplificata) per poi tornare in età contemporanea ancora una volta verso una decisa generalizzazione (lingua franca come sinonimo generale di lingua veicolare). In epoca moderna e contemporanea si poteva attribuire all’espressione parlar franco o lingua franca sia l’atto di parlare correttamente una lingua neolatina, che fosse l’italiano letterario o il veneziano, sia allo stesso tempo parlare una variante pidginizzata

3 K.&H.KAHANE,op. cit., 1976, p. 25.

4 P.FRONZAROLI,Nota sulla Formazione della lingua franca, in «Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e

lettere “La Colombaria”», XX, 1954, p. 215.

5 «Parla assai francamente italiano in modo, che fa intendersi, e intende il nostro linguaggio» riferendosi al bey di

Tunisi in Lettere di Giovanni Pagni medico e archeologo pisano a Francesco Redi in ragguaglio di quanto egli vide

ed operò in Tunisi, Firenze, 1829, p. 111.

6 W. VON WALTZBURG,Französisches Etymologisches Wörterbuch, XV (1969), p. 163, s.v. frank,

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di una qualsiasi lingua romanza, o di più lingue romanze. Da questo primo accenno alla storia del termine lingua franca si evince come sia facilmente giunto ad assumere nella contemporaneità tratti oltremodo ambigui e generici.

I.2 Ambiguità del termine lingua franca: un problema terminologico

Con lo scopo di fare maggiore chiarezza, passeremo in rassegna in questo capitolo le possibili interpretazioni ed utilizzi del termine lingua franca, fino a giungere alla definizione della lingua franca barbaresca di cui ci occuperemo in questa sede.

Iniziamo prendendo in considerazione la definizione di lingua franca proposta da Robert A. Hall, per il quale la vera lingua franca era una sorta di lingua mista dei crociati, formatasi genericamente nel Mediterraneo orientale, quando mercanti e crociati europei occidentali provenienti da ogni parte del continente si trovarono con la necessità di comunicare tra loro e con le popolazioni autoctone del Levante. Questa condizione rappresenterebbe, in creolistica ed in pidginistica, uno dei contesti sociolinguistici ideali per la formazione di un pidgin, tuttavia, nonostante le condizioni possano a prima vista apparire favorevoli, Hall non supporta questa tesi con alcuna prova documentaria, lasciandola invero poco convincente.

È la volta dei Kahane e Tietze con il loro imponente volume The Lingua Franca in the Levant del 1958, nel quale troviamo lingua franca come sinonimo di linguaggio marinaresco mediterraneo. Gli studiosi precisano che «Lingua Franca is here used in a somewhat narrowed meaning. It is restricted … to nautical terms … borrowed by Turkish from the West»7; inoltre non abbiamo nessuna prova che i contemporanei

chiamassero questo gergo marinaresco, impiegato in tutto il Mediterraneo, lingua franca, sembra piuttosto un’etichetta liberamente attribuita dai Kahane senza alcun fondamento storico. Oltre a ciò lo studio dei coniugi coinvolge solo l’aspetto lessicale dei termini marinareschi, senza considerare minimamente la sintassi e la morfologia di questo gergo, redigendo piuttosto un vocabolario etimologico dei termini nautici turchi. Questi due fenomeni, la lingua franca ed il gergo marinaresco, restano ambiti di studio separati, ai quali certamente non mancano punti di contatto ed alcune affinità; ad esempio, in

7 H.&R.KAHANE,A.TIETZE,The Lingua Franca in the Levant.Turkish Nautical Terms of Italian and Greek Origin,

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entrambi l’italiano è la lingua che influenza maggiormente il lessico in ragione del prestigio che raggiunse nel bacino del Mediterraneo in età moderna. Questo impiego del termine lingua franca senz’altro contribuisce a rendere l’argomento ancora più confuso e vago.

Lingua franca, come abbiamo sottolineato nel paragrafo precedente, può essere utilizzato inoltre come sinonimo di lingua italiana parlata e non esclusivamente di una varietà pidginizzata, ciò avviene soprattutto negli studi che possiedono per zona d’interesse la Dalmazia e l’alto Adriatico. Vianello nell’articolo Lingua franca di Barberia e lingua franca di Dalmazia sottolinea come «la lingua franca in Dalmazia, sulla metà del ‘500 non si debba identificare col veneto o col veneziano, ma piuttosto coll’italiano parlato dai dalmati della costa»8, un italiano parlato «più o meno bene e con

inevitabili adattamenti (dalmatico-veneti), ma speditamente dagli abitanti alloglotti del litorale e delle isole di Dalmazia»9. Lo studioso cita per tale utilizzo dell’aggettivo

franco/lingua franca piccoli estratti dall’Itinerario di Giovan Battista Giustiniani, recatosi nel 1553 in Dalmazia e nelle basi veneziane adriatiche in cui «gli Abbitanti hanno costumi Italiani assai buoni, e parlano buona lingua franca»10. L’area di estensione di

questo fenomeno va da Pirano a Nord, fino a Ragusa a sud e risulta al momento pressoché impossibile stabilire una precisa data di origine, tuttavia è probabile che l’influenza veneziana si sia imposta «sopra uno strato già adeguatamente romanizzato»11 .

Sfortunatamente non vi è, al momento, alcuna documentazione di questa parlata, ma si trovano soltanto brevi accenni in testimonianze indirette, mentre abbondano in area levantina ed adriatica testimonianze della lingua italiana ad uso cancelleresco e diplomatico in epoca medioevale e moderna.

Veniamo infine alla definizione di lingua franca come lingua franca barbaresca, sostenuta da Guido Cifoletti nel volume omonimo del 2004, in cui si trova un profilo linguistico completo di questa varietà intesa come lingua autonoma. Ci troviamo di fronte ad un restringimento e una specializzazione semantica del termine lingua franca, che passa ad indicare una varietà pidginizzata a base romanza (prevalentemente italiana ed in misura minore spagnola) in uso negli stati barbareschi a partire dall’età moderna fino al

8N.VIANELLO,Lingua Franca di Barberia e Lingua franca di Dalmazia, «Lingua nostra», 16, p. 68. 9Ivip. 69.

10 Ivi,p. 67. Il corsivo, il maiuscolo e la geminazione dell’occlusiva bilabiale sono da attribuirsi all’autore stesso e

riportate fedelmente da Vianello.

(16)

1830, anno di conquista della città di Algeri da parte delle truppe francesi. Si prende atto che la stessa espressione lingua franca in Dalmazia nel XVI secolo ed in Barberia in epoca moderna individuava due realtà molto diverse. Da qui la scelta dell’attributo barbaresca, condotta dall’autore in funzione distintiva, così da dissociare il termine lingua franca dalla vaghezza dell’aggettivo mediterranea e dimostrando, al contempo, maggiore continuità storica. Per Cifoletti la coniazione di un’inedita precisazione storica per questo termine spesso abusato, ha lo scopo di differenziare nettamente il pidgin stabile a base romanza parlato in Nord Africa nelle reggenze barbaresche da tutte le altre definizioni finora associate alla lingua franca, che hanno dimostrato maggiore vaghezza ed irregolarità. Nel manuale di Cifoletti La lingua franca mediterranea del 1989 l’autore univa sotto questa etichetta il pidgin parlato nelle reggenze barbaresche e gli altri impieghi in ambito levantino, tuttavia a partire dalla pubblicazione del manuale La lingua franca barbaresca del 2004, riedito nel 2011, lo studioso avverte la necessità di distinguere ulteriormente la varietà magrebina da quella genericamente mediterranea, restringendo così notevolmente il campo di indagine.

Riassumendo, secondo la terminologia utilizzata da Cifoletti (2004; 2011), per lingua franca mediterranea si intendono tutti gli utilizzi di una parlata a base romanza presumibilmente ad un livello di pidginizzazione in fase iniziale diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo e dotata di variazioni sia sincroniche che diacroniche (tra cui potrebbero rientrare l’italiano levantino e di ambiente dalmata). Di contro con il termine lingua franca barbaresca o pidgin barbaresco ci riferiamo al pidgin stabile a base italo-romanza, diffuso sulle coste dell’Africa settentrionale a partire dal XVII secolo fino al 1830; l’aggettivo barbaresco sta appunto a sottolineare come soltanto nelle reggenze barbaresche, grazie al particolare contesto socio-politico-linguistico, questa lingua abbia raggiunto un certo livello stabilità. Per Cifoletti tale stabilità sarebbe confermata anche dai documenti di lingua franca provenienti dalla Barberia, i quali sono «talmente numerosi e coerenti da schiacciare tutti gli altri e da giustificare una trattazione a parte, come di una lingua autonoma»12. Della lingua franca barbaresca forniremo, di seguito,

una storia della formazione, della diffusione e della stabilizzazione affiancata da un approfondimento dedicato alle particolari condizioni socio-linguistiche presenti nelle reggenze barbaresche; seguirà un’analisi delle caratteristiche linguistiche generali, per

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poi proseguire con uno spoglio delle testimonianze più significative in nostro possesso, ed infine una rassegna dei principali studi e delle teorie linguistiche in proposito.

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II. LA LINGUA FRANCA BARBARESCA

II.1 Il contesto socio-linguistico di formazione e di stabilizzazione

II.1.1 Breve inquadramento storico

A partire dal XVI secolo inizia l’epoca del predominio europeo in area magrebina, gli spagnoli conquistano il porto Mers el Kebir nel 1501, Orano nel 1508, Bugia nel 1510; nello stesso anno ottengono l’autorizzazione a costruire una fortezza sul Peñón, un piccolo isolotto situato esattamente all’entrata del porto di Algeri, al fine di controllare il commercio ed i principali traffici in entrata ed in uscita dalla città. Nel frattempo gli spagnoli insediano anche la dinastia degli emiri Hafside di Tunisi. L’isola di Gerba, invece, durante questo secolo e anche in quelli successivi passerà più volte di mano cristiano in mano musulmana e viceversa. All’insediamento europeo nelle fila delle dinastie nordafricane è posto un freno a partire dalla metà del 1500 dalla riscossa islamica, guidata dall’impero ottomano, che aveva già accresciuto i propri possedimenti in area levantina ed adriatica a partire dagli inizi del XV secolo13. Grazie alla collaborazione dei

corsari, ed in particolare dei leggendari fratelli Barbarossa (due rinnegati greci di nome Khair e Urūǵ ad-dīn) l’impero della Sublime Porta afferma la propria supremazia sugli spagnoli riconquistando la città di Algeri, espugnando l’isolotto del Peñón nel 1529 ed infine sconfiggendo, in occasione della spedizione di Algeri, perfino Carlo V nel 1541. Ai nuovi insediamenti barbareschi si aggiunsero nel 1551 Tripoli, conquistata dal pirata Dragut, e Tunisi nel 1574. Nessuno stato o sovrano europeo riuscirà da questo momento storico in poi a riaffermare in modo decisivo la propria supremazia sui territori magrebini, ed essi costituiranno fino al 1830 le cosiddette reggenze barbaresche o stati barbareschi, soggetti al potere centrale dell’impero ottomano. L’epoca dell’espansionismo turco nel

13 L’impero ottomano afferma la propria potenza in Mar Nero, nell’Egeo e nell’Asia Minore sotto il regno di

Mehemed II (1451-1481), fino all’apogeo della conquista di Costantinopoli nel 1453. Per una breve storia delle conquiste e delle sconfitte dell’Impero Ottomano nel Levante e nel Ponente si veda H.&R.KAHANE,A.TIETZE,op. cit.,1958, pp. 3-45.

Per una storia degli stati barbareschi si veda invece J.HEERS,I Barbareschi. Corsari del Mediterraneo, Salerno

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Mediterraneo occidentale coincide con l’età d’oro della pirateria barbaresca e della schiavitù europea in Africa settentrionale, tuttavia gli stati della Barberia non arrivarono mai a costituire «regni veri e propri, invece rimasero semplici province governate da Costantinopoli»14.

L’epoca della diffusione e dell’uso della lingua franca intesa come lingua franca barbaresca termina convenzionalmente con il 1830, anno che inaugura la stagione del colonialismo francese in Africa settentrionale, innescando un processo di francesizzazione della lingua franca, che porta al sabir o petit mauresque, non più a base italiana o spagnola, ma quasi esclusivamente francese.

II.1.3 Condizioni favorevoli alla stabilizzazione della lingua franca barbaresca.

Di frequente gli studiosi di linguistica del contatto si sono interrogati su quali fossero state le condizioni che abbiano favorito lo sviluppo e la diffusione della lingua franca barbaresca nell’area nordafricana, quelle stesse condizioni che hanno reso questa varietà un unicum nel suo genere. Infatti, la lingua franca barbaresca costituirebbe il pidgin più antico e longevo fino ad oggi attestato, circa tre secoli, restando esente da qualsiasi processo di creolizzazione o nativizzazione. In controtendenza rispetto alle dinamiche previste dal processo di pidginizzazione, in questo caso il pidgin formatosi dal contatto della popolazione occidentale-cristiana e magrebina-musulmana possiede come lingua lessificatrice la lingua madre del popolo ridotto in schiavitù o subordinato, e non quella dei dominatori.

Le condizioni sociolinguistiche imposte dalla schiavitù europea in Barberia conducono ad una tipologia di contatto diretto e prolungato, che trasforma ciò che probabilmente in precedenza non era stato altro che un gergo unilaterale ad uso commerciale in un pidgin bilaterale stabilizzato. Le scorrerie barbaresche nelle acque di tutto il Mediterraneo assicuravano alle reggenze un flusso costante di schiavi e prigionieri europei, alcuni dei quali, una volta liberati, decidevano comunque di trattenersi in Barberia o di porsi al servizio dell’impero della Porta, spesso anche come turcimanni o

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dragomanni, i cosiddetti rinnegati o renegadoes15. Vediamo una breve descrizione dei

renegados contenuta nell’opera di Diego de Heado, una delle fonti che citeremo con maggiore frequenza nei prossimi capitoli, nella quale ci informa che «los renegados que siendo de sangre y de padres cristianos, de su libre voluntad se hicieron turcos, renegando impíamente y despreciando a su Dios y Criador»16.

L’affermarsi di una lingua lessificatrice romanza rispetto all’arabo, ci induce a ritenere che la varietà romanza, principalmente l’italiano, fosse percepita in questa fase storica come una lingua di prestigio, in netta contrapposizione rispetto all’arabo che si trovava invece «nel periodo del più nero declino»17. La conferma del prestigio percepito

dai musulmani di area magrebina e levantina risiede nell’utilizzo della lingua italiana come lingua della diplomazia nell’impero ottomano e delle cancellerie francesi in Tunisia a partire dalla fine del XVI secolo18, senza contare che inoltre un gergo commerciale a

base romanza doveva essere già di ampia diffusione nel Mediterraneo, visto l’intensità dei rapporti tra gli stati europei e l’impero arabo prima e quello ottomano poi.

Un altro elemento favorevole alla diffusione della lingua franca barbaresca è la neutralità che ne contraddistingueva l’impiego, di fatti essa costituiva «un terreno neutro su cui incontrarsi»19, non essendo identificata alla stregua dell’italiano letterario, il quale

nonostante gli intensissimi rapporti commerciali restava comunque la lingua della Chiesa Cattolica Romana. Una testimonianza legata al carattere sconveniente dell’utilizzo della lingua italiana letteraria in Barberia è fornita dal dottor Frank in una breve descrizione delle competenze linguistiche del bey20 Hammuda dell’inizio del XIX secolo:

15 Europei cristiani che decidevano liberamente di convertirsi alla religione islamica, erano sottoposti ad un processo

di ibridazione onomastica, aggiungendo al nome una marca che indicasse la provenienza geografica: es. Hassan

Veneziano o Murad il Corso. Si veda in proposito J.DAKHLIA,Lingua Franca: histoire d’une langue métisse en Méditerranée, Acte Sud 2008, pp. 380-382.

16 D.DE HAEDO,Topographia et historia general de Alger, Valladolid 1612, p.52,

http://bibliotecadigital.jcyl.es/i18n/catalogo_imagenes/imagen.cmd?path=10065437&posicion=1, (ultima cons. 26/02/2017).

17 G.CIFOLETTI,op. cit., 2011, p. 23.

18 Collegato alla storia della lingua franca barbaresca è l’uso dell’italiano come lingua diplomatica alla corte

ottomana ed in ambito cancelleresco per l’area magrebina. L’utilizzo dell’italiano in campo diplomatico e della

lingua franca in contesti di comunicazione informali fanno entrambi riferimento ad una capillare diffusione della

nostra lingua in tutto il bacino del Mediterraneo, in ogni dominio linguistico, dal più utilitaristico e popolare al più istituzionale ed ufficiale. Al fine di disambiguare questi due usi della lingua italiana in Levante ed in Maghreb dal pidgin barbaresco e dal gergo commerciale di base romanza, ci riferiremo ad essi come “italiano diplomatico” o “italiano cancelleresco.”

19 Ivi, p. 25.

20 In base a quanto affermato nell’ Encyclopédie de l’Islam redatta da P.J. Bearman, Th. Bianquis, C.E. Bosworth, E.

van Donzel, e W.P. Heinrichs la parola bey è utilizzata di norma per riferirsi al monarca tunisino, tale carica fu istituita soltanto a partire dal XVI e rimase in uso fino all’istituzione della Repubblica di Tunisia nel 1957. Prima dell’avvento di tale carica, a Tunisi, come ad Algeri e a Tripoli, l’impero ottomano, attraverso i funzionari del proprio esercito, eleggeva un vassallo, denominato dey (si veda nota 82 p. 43) per amministrare il potere nelle province

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Il parle, il lit et écrit facilement l’arabe e le turc; la langue franque, c’est-à-dire cet italien corrompu qu’on parle dans le Levant, lui est également familière: il avait même volu essayer d’apprendre à lire l’italien pur-toscan; mais les chefs de sa religion l’on détourné de cette étude, qu’ils prétendaient être indigne d’un prince musulman21.

Questo tipo di limitazione invece non era prevista per la lingua franca trattandosi di una varietà semplificata di una lingua romanza e non di una lingua romanza pura. La combinazione dei fattori sopraelencati ha contribuito notevolmente all’ampio utilizzo e alla diffusione della lingua franca barbaresca lungo le coste dell’Africa settentrionale, che incontra una battuta di arresto nella prima metà del XIX secolo. A partire dal 1830 e oltre la lingua franca barbaresca vede calare notevolmente il proprio utilizzo, benché resti in uso ancora per quasi tutto il XIX secolo, proprio a causa della fine dell’indipendenza delle reggenze barbaresche. Proprio il 1830 è la data d’inizio del processo di francesizzazione dell’area magrebina, un cambiamento politico che ne innesca inevitabilmente uno linguistico: l’affermazione del sabir (pidgin unilaterale a base lessicale francese), frutto di un processo prima di rilessificazione a base francese e poi di depidginizzazione della lingua franca barbaresca, rispetto alla quale si pone innegabilmente in diretta continuità storica. In dotazione alle truppe francesi che conquistarono i paesi del Maghreb ed il Marocco fu consegnato un dizionario per l’apprendimento o almeno per orientarsi nella comprensione della lingua franca barbaresca. Tale dizionario costituisce ad oggi l’unica opera in cui questa lingua sia presentata come lingua da apprendere, dal tempo in cui fu pubblicato nel 1830 a Marsiglia22, proprio nello stesso periodo in cui, di lì a poco, la lingua franca barbaresca

avrebbe ceduto il posto al sabir, scomparendo sotto la pressione della colonizzazione francese. È certamente paradossale come la pubblicazione dell’unico manuale d’uso della lingua franca magrebina coincida con l’esatto anno in cui, convenzionalmente, si è soliti collocare l’inizio della fase di decadimento. Una convenzione che tuttavia si dimostra

barbaresche; fu proprio l’ultimo dey di Tunisi ʿUt̲h̲mān ad istituire la carica di bey senza consultare il governo centrale. Etimologicamente il termine deriva dal turco beg, col significato di “capo, signore”. Diversamente rispetto ai dey algerini e tripolini, in Tunisia si stabilirono due vere e proprie dinastie di bey, i Muradidi e gli Husaynidi, che svolgevano le funzioni di un vero monarca, trasmettendo il titolo in modo ereditario di padre in figlio.

21 L.FRANK (ristampa offset 1985), Histoire de Tunis, éd. Bouslama, Tunis, p. 70.

22Il titolo completo è Dictionnaire de la langue franque ou petit mauresque suivi de quelques dialogues familiers et d’un vocabulaire de mots arabes les plus usuels ; à l’usage des français en Afrique, Marseille, 1830.

Se ne trova una copia integrale in G.CIFOLETTI, op. cit., 2011, pp. 87-191. D’ora in avanti sarà citato semplicemente come Dictionnaire data l’unicità dell’opera nell’economia della documentazione in lingua franca.

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calzante, poiché il 1830 implica la fine dell’indipendenza dei regni barbareschi dagli stati europei.

Consultando una delle principali fonti a nostra disposizione e sicuramente una delle più attendibili e maggiormente indagate dagli studiosi della materia, Francisco Diego de Haedo con la sua Topographia e historia general de Alger, in cui descrive l’utilizzo della lingua franca ad Algeri nei secoli XVI e XVII, non possiamo non notare come il contesto sociolinguistico di questa città costituisse un terreno ideale per il mantenimento e la cristallizzazione di un pidgin che altrove sarebbe probabilmente rimasto soltanto una lingua ausiliaria unilaterale. Oltre a riportare fedelmente tutte le lingue in uso ad Algeri all’epoca della compilazione della Topographia, tracciando anche profili dettagliati a proposito di ciascun gruppo etnico, Haedo fornisce anche una descrizione puntuale e ben dettagliata della lingua franca barbaresca del XVII secolo:

La tercera lengua que en Argel se usa es la que los moros y turcos lla- man franca o hablar franco, llamando ansí a la lengua y modo de hablar cristiano, no porque ellos hablen toda la lengua y manera de hablar de cristiano "o porque este hablar (aquéllos ílaman franco) sea de alguna particular nación cristiana que lo use, mas porque mediante este modo de hablar, que está entre ellos en uso, se entienden con los cristianos, siendo todo él una mezcla de varias lenguas cristianas y de vocablos, que por la mayor parte son Italianos y Españoles y algunos Portugueses de poco acá, después que de Tetuán y Fez truxeron a Argel grandísimo nú mero de portugueses, que se perdieron en la batalla del Rey de Portugal, Don Sebastián.

Y juntando a esta confusió n y mezcla de tan diversos vocablos y maneras de hablar, de diversos reinos, provincias y naciones cristianas, la mala pronunciació n de los moros y turcos, y no saben ellos variar los modos, tiempos y casos, como los cristianos (cuyos son propios), aquellos vocablos y modos de hablar viene a ser el hablar franco de Argel, casi una jerigonza o, a lo menos, un hablar de negro bo^al traído a España de nuevo.

Este hablar franco es tan general, que no hay cosa do no se use, y porque tampoco no hay ninguna do no tengan cristiano y cristianos, muchas que no hay turco ni moro grande ni pequeño, hombre o mujer, hasta los niños, que poco o mucho y los más dellos muy bien no le hablan, y por él no entiendan los cristianos los cuales se acomodan al momento a aquel ha- blar; dejemos aparte que hay muy muchos turcos y moros que han estado captivos en España, Italia y Francia, y, por otra parte, una multitud infinita de renegados de aquellas y otras provincias y otra gran copia de judíos que han estado acá, que hablan español, italiano y francés muy lindamente, y aun todos los hijos de renegados y renegadas, que en la teta deprendieron el hablar natural cristianesco de sus padres y madres, le hablan tan bien como si en España o Italia fueran nacidos23.

23“La terza lingua che si usa ad Algeri è quella che i mori e i turchi, (per “mori” s’intende gli abitanti del Regno del

Marocco, mentre per “turchi” tutti i sudditi dell’Impero Ottomano) chiamano franca, o parlar franco, chiamando così il modo di parlare cristiano, non perché questo parlare (che essi chiamano franco) sia di qualche particolare gruppo cristiano che lo usi, ma perché mediante questo modo di parlare in uso tra loro si intendono con i cristiani, dal momento che esso è tutto un miscuglio di varie lingue cristiane, e di vocaboli che per la maggior parte sono italiani e spagnoli, e alcuni portoghesi, da poco tempo in qua, dopo che fu condotto ad Algeri da Tetuan e da Fez un

grandissimo numero di portoghesi , sconfitti nella battaglia del re del Portogallo, Sebastiano. E, se a questa confusione e miscuglio di tanto differenti vocaboli e modi di parlare, di diversi regni, province e gruppi cristiani, aggiungiamo la cattiva pronuncia dei mori e dei turchi e il fatto che essi non sanno variare i modi, i tempi e i casi, come fanno invece i cristiani cui quei vocaboli appartengono, il parlar franco di Algeri viene ad essere quasi un gergo, o perlomeno un parlar da selvaggio portato in Spagna da poco. Questo parlar franco è tanto generale che non vi è casa dove non lo si usi, sia perché non ve n’è alcuna dove non si abbiano uno o più cristiani (come schiavi), né molte dove non ci sia un turco o un moro, grande o piccolo, uomo o donna, e perfino bambini che non lo parlino poco o molto e perlopiù molto bene e che, grazie ad esso, non capiscano i cristiani; per non parlare poi del fatto che ci sono

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Haedo nella descrizione degli utilizzatori e degli ambiti d’impiego della lingua franca barbaresca si rivela molto preciso ed attento, si tratta di un “gergo” in cui confluiscono vocaboli da molteplici lingue romanze, italiano e spagnolo in modo più consistente. L’autore fa riferimento anche ad un’ondata di lusitanismi che si sarebbe affermata proprio nel XVI secolo, ciò tuttavia non trova ancora conferma nelle prove documentarie ad oggi in possesso degli studiosi. Haedo insiste sulla bilateralità del “parlar franco” utilizzato sia dai mori che dai turchi per interagire con i cristiani (e viceversa) e sulla morfologia “corrotta” di questa varietà, fino ad arrivare a definire la lingua franca come un hablar de negro boçal, traydo a España de nuevo. Cercando di andare oltre la terminologia utilizzata da Haedo, che può suonare alquanto semplicistica e discriminante alle nostre orecchie, in questo piccolo estratto l’uso della lingua franca è presentato come diffusissimo; l’autore sembra suggerire al lettore che muovendosi tra le strade di Algeri nel XVII secolo fosse impossibile non sentire un minimo accenno, o anche solo un’esclamazione o un’imprecazione in questo idioma così bizzarro per l’orecchio europeo. Talmente bizzarro che nessun intellettuale, mercante, console o funzionario europeo in visita in questi territori ha mancato di riportare l’esistenza di un simile idioma, spesso trascrivendone anche interi estratti. Per Haedo sembra che non possa esistere turco o moro o cristiano che non parli o non abbia una qualche competenza di lingua franca. I contesti di utilizzo qui elencati sono i più svariati, si parla perfino di un uso domestico, come lingua di comunicazione tra schiavi cristiani e padroni musulmani, che risulta oltremodo verosimile. Come vedremo nel capitolo dedicato alle testimonianze di lingua franca, alcune tracce dell’utilizzo di una lingua veicolare per la comunicazione tra musulmani e cristiani, molto rudimentale e prossima ad un gergo, sono rintracciabili già a partire dal XIV secolo; ciò porterebbe ad ipotizzare che l’affermazione della lingua franca in quanto lingua veicolare stabilizzatasi a pieno in epoca barbaresca, si sia per così dire appoggiata su uno strato romanzo precedente, già presente sul territorio magrebino ed alimentato dagli stretti rapporti commerciali tra le due sponde opposte del

moltissimi turchi e mori che sono stati prigionieri in Spagna, Italia e Francia, e, d’altro canto, una moltitudine di rinnegati di quelle e altre province, e un’altra grande quantità di indios che sono stati qua che parlano tutti spagnolo, italiano e francese molto bene: e ancora tutti i figli di rinnegati e rinnegate, che, avendo appreso col latte materno il parlare naturale cristiano dei loro padri e delle loro madri, lo parlano come se fossero nati in Italia o in Spagna”. Questo estratto si trova al Folio 23 verso e 24 recto. La traduzione è da attribuire a chi scrive, sulla base di quella fornita in F.VENIER, La corrente di Humboldt. Una lettura di La lingua franca di Hugo Schuchardt, Carocci editore, Roma, 2012, p. 29.

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Mediterraneo. Il catalizzatore che probabilmente ha innescato la trasformazione del pidgin iniziale o gergo ipoteticamente unilaterale in un pidgin stabile è proprio la particolare situazione socio-linguistica venutasi a creare nei porti delle reggenze barbaresche, dove grazie alla guerra da corsa gli schiavi ed i prigionieri cristiani venivano trattenuti a lungo nei territori magrebini, dando luogo ad una diversa tipologia di contatto linguistico, più diretta e prolungata. Inoltre l’italiano, in questo caso quello letterario, era anche utilizzato come lingua della diplomazia internazionale, confermando la diffusione in tutti gli ambiti diastratici e diamesici di una qualche varietà di italiano, semplificato e con variazioni anche sincroniche nel caso della lingua franca barbaresca e nettamente più vicino alla varietà letteraria nel caso dell’italiano ad uso diplomatico-cancelleresco.

II.1.4 Il contributo dell’italiano diplomatico-cancelleresco all’affermazione della lingua

franca barbaresca

Nell’area delle reggenze barbaresche, in particolare a Tunisi, l’italiano era utilizzato come lingua per la redazione di documenti di ambito cancelleresco da parte del consolato francese; all’interno del corpus di documenti relativi alla cancelleria francese della città di Tunisi, chiamato anche “carte Cremona24”, si trovano alcuni documenti redatti in varie

lingue europee, tra cui il francese e l’inglese, ma certamente la maggioranza di essi è trascritta in lingua italiana; tutti i documenti presi in considerazione da Cremona sono collocati tra il 1590 ed il 1703.

Riportiamo un estratto da uno dei documenti contenuti nel corpus di Cremona al fine di mostrare brevemente le caratteristiche linguistiche di questa varietà di italiano e di confrontarle con quelle della lingua franca barbaresca della stessa epoca. Il documento è datato 3 marzo 1593, l’argomento è il riscatto di due mori detenuti in Sardegna; tralasciando il titolo, che costituisce l’oggetto del messaggio, poiché compilato in francese vediamo alcuni estratti:

3 Comme sie che li mesi passatti Noi St. Philippo pena consul insieme con la 4 natione nostra Auessemo cauatta deschiauittu & liberatto Redo prebtre sebasno

[…]

24 Con questo termine generalmente ci si riferisce al corpus assemblato e studiato da Joseph Cremona, sulla scia del

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12 venduti in Calhery desardeigne per poco presio per il quale detto prette Aueriamo 13 sboursato la soma di duj cento sesanta scudi doro despagnia oltre la soma di […]

35 Aueriamo di nouo contratato & ccordato con icelluy che medianto […]

41 Sr Samuel promette fare Rattificare il detto contratto al Sr gouernatore de Tabarca […] 25.

.

Si nota immediatamente l’utilizzo dell’imperfetto congiuntivo, come Auessemo cauatta e Auessemo (sott.) liberatto e del condizionale passato Aueriamo Sboursato e Aueriamo di nouo contratato, che appartiena al registro della scrittura cancelleresca e del linguaggio burocratico e veniva impiegato con lo scopo di stabilire un distacco formale. Si ricalca direttamente dal registro cancelleresco anche la costruzione Comme sie che derivata dal con ciò sia cosa che. Sono presenti anche alcuni gallicismi come luy e prebtre/prette, inoltre di probabile influenza francese anche la trascrizione di /o/ con <ou>, come in sboursatto. Si riscontra inoltre l’omissione di di dopo promettere. Ciò che appare chiaro, in seguito alla lettura delle frasi presentate è che le caratteristiche di questo testo si allontanano di gran lunga da quelle della lingua franca barbaresca, di cui discuteremo nel capitolo successivo. La differenza più evidente risiede nel sistema verbale, infatti l’italiano cancelleresco ricorre a forme verbali flesse e ad una sintassi con un alto grado di subordinazione, mentre la lingua franca barbaresca ricorre a strategie di semplificazione sia in ambito morfologico che in ambito sintattico riducendo al minimo la flessione in ambito sia verbale che nominale. Inoltre ciò che maggiormente differenzia queste due varietà di italiano è certamente il contesto di utilizzo, una, l’italiano cancelleresco, impiegata in contesto formale e con medium scritto, e l’altra di impiego esclusivamente orale in contesto informale.

L’abbondanza di documenti redatti in italiano cancelleresco è anch’essa alimentata dalle particolari condizioni storico-sociali venutesi a creare nelle reggenze barbaresche grazie alla guerra da corsa; l’ingente quantità di schiavi europei, la presenza dei rinnegati italiani e di consoli stranieri a contatto sia con la popolazione che con gli alti funzionari locali dà luogo ad una situazione di spiccato plurilinguismo, in cui diverse

25 J.CREMONA,L’italiano in Tunisi. La lingua di alcuni testi del tardo 500 e del 600, in Italiano e dialetti nel tempo,

Saggi di grammatica per Giulio C. Lepschy, a cura di P.BENINCA',G.CINQUE,T.DE MAURO,N.VINCENT; Università

di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Scienze del Linguaggio; Bulzoni Editore, Roma, 1996, pp. 90-91. Nella grafia del testo si riporta la grafia <u> per /u/ e /v/; le maiuscole sono state mantenute così come presenti nella versione trascritta da Cremona. Il numero arabo indica la riga del documento in cui è presente la frase; il sottolineato è mio ed evidenzia gli elementi più interessanti che saranno commentati di seguito.

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varietà di italiano rispondono alle diverse esigenze comunicative della popolazione (lingua franca in contesto basso/informale e italiano cancelleresco in contesto alto/formale).

L’utilizzo dell’italiano come lingua della cancelleria e dei rapporti diplomatici con gli stati europei può certamente aver influito anche sulla diffusione e sulla stabilizzazione della lingua franca barbaresca, legittimando in una certa misura l’impiego di una varietà di italiano semplificato, come varietà diastraticamente bassa per la comunicazione interetnica in contesti non ufficiali. Si delinea a questo punto una multiforme diffusione della lingua italiana, in tutti i livelli diastratici, diamesici e diafasici della comunicazione. Inoltre l’italiano costituiva anche la lingua della diplomazia internazionale già a partire dall’inizio del Cinquecento, un elemento che sicuramente ha contribuito ad accrescere considerevolmente il prestigio della nostra lingua nel panorama linguistico dei paesi del Mediterraneo e che potrebbe contribuire a spiegare la selezione dell’italiano come lingua lessificatrice di maggioranza. In questo senso si parla appunto della lingua franca barbaresca come di un fenomeno di semplificazione italo-romanzo, poiché la maggior parte del materiale linguistico è fornito proprio dall’italiano, in cui sono inclusi anche il dialetto genovese quello veneziano oltre alle varietà meridionali.

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II. 2 Caratteristiche linguistiche generali

II.2.1 Premessa sulla variazione sincronica

Nonostante il pidgin barbaresco sia classificato in primis da Cifoletti come un pidgin stabile, bilaterale ed autonomo, che si differenzia dalle altre varianti di lingua franca diffuse nel Mediterraneo, alcune testimonianze riportano l’esistenza di un certo grado di variazione locale, come per esempio tra la lingua franca parlata a Tunisi e quella in uso ad Algeri.

La lingua franca di Tunisi presenta una maggiore vicinanza all’italiano, soprattutto nel periodo che va dalla fine del XVII secolo all’inizio del XIX, ed appare caratterizzata da un grado minore di pidginizzazione26. Anche Desfontaines riporta, nel corso di un

viaggio ad Algeri e a Tunisi alla fine del 1800, questo tipo di variazione diatopica:

[...]on parle trois langues à Tunis et dans toute la côte de la Barberie: l’arabe, le turc et la langue franque.

… à Tunis elle a beaucoup de rapports avec l’italien; … enfin à Algier et du côté du Maroc, c’est un

mélange d’italien et d’espagnol27.

Anche nel Dictionnaire, già nella Préface troviamo un accenno alla variazione locale. Leggiamo:

[...] il diffère même sur plusieurs points suivant les villes où il est parlé, et le petit mauresque en usage à Tunis, n’est pas tout-à-fait le même que celui qu’on emploie à Alger; tirant beaucoup de l’italien dans la première de ces régences, il se rapproche au contraire de l’espagnol dans celle d’Alger28.

Anche per Fronzaroli, sulla scia di Hugo Schuchardt, si possono individuare due macro-varietà sincroniche: nel Mediterraneo occidentale si trova una lingua franca a base spagnola con qualche semplificazione dettata dal substrato arabo, mentre nelle aree orientali del Mediterraneo si trova una varietà a base quasi esclusivamente italiana29.

Queste due varietà si sarebbero potute distinguere chiaramente solo alle due estremità dell’area di diffusione, infatti nelle aree centrali, come quelle algerina, tunisina e libica

26 In G.CIFOLETTI, I documenti tunisini di lingua franca, in Amant alterna Camenae. Studi linguistici e letterari

offerti a A. Csillaghy, a cura di A.CARLI,B.TÖTTÖSSY,N.VASTA,Alessandria 2000, pp. 31-32.

27 G.CIFOLETTI, op. cit., 2011, p. 220. 28 Ivi, p. 90.

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queste due variazioni «sono portate a fondersi in diversi gradi»30, dando luogo a varietà

intermedie in cui confluiscono sia elementi provenienti dall’area iberica, che da quella italiana e levantina. Allo stesso modo Schuchardt ci informa che:

[…] il punto centrale di questa lingua franca sostanzialmente uniforme lo costituiva Algeri non perché vi si fossero incontrate le sfere d’influenza spagnola ed italiana, ma perché qui si trovava il solido rifugio per una pirateria che andava estendendosi in mille modi sul Mediterraneo31.

Tuttavia la variazione diatopica non pregiudica l’intellegibilità reciproca del pidgin barbaresco, e possiamo parlare dunque di un sistema unico autonomo in cui la valenza veicolare del pidgin non è compromessa in alcun modo dalla variazione locale; per di più sarebbe oltremodo audace non appoggiare l’ipotesi dell’esistenza di una, seppur minima, variazione locale, tenendo bene a mente che quando parliamo di lingua franca barbaresca ci riferiamo ad una lingua veicolare a diffusione esclusivamente orale, come del resto lo sono tutti i pidgin.

II.2.2 La fonetica

I pidgin, per definizione, non possiedono parlanti nativi, motivo per il quale la delineazione di un sistema fonologico coerente e ben disciplinato risulterebbe particolarmente arbitrario; pertanto, ci limiteremo, come altri studiosi in precedenza, a tracciare delle linee generali, delle tendenze, non potendo esigere da un pidgin i criteri di rigidità previsti dalle lingue native.

Trattandosi di una variante semplificata di una o più lingue romanze, ci aspetteremmo che il sistema fonologico di riferimento sia quello della lingua lessificatrice di maggioranza. Considerando il contesto sociolinguistico, governato da uno spiccato plurilinguismo, in cui troviamo non soltanto parlanti occidentali di nazionalità molto diverse (francesi, italiani, spagnoli, portoghesi, inglesi, greci, ebrei) e parlanti, che potremmo definire locali come turchi, berberi ed arabi, la conclusione più probabile è che ogni gruppo etnico pronunciasse la lingua franca con un livello di interferenza variabile

30 Ibidem.

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da parte del sistema fonologico della propria lingua madre, creando un’ampia gamma di variazioni possibili, senza, a quanto pare minarne l’intellegibilità. Pertanto non dobbiamo cercare in questa sede di ricostruire le norme che rigidamente governavano il sistema fonologico di tale pidgin, ma piuttosto elencare alcune tendenze generali. Alla base vi è probabilmente la mimesi del sistema italiano, attraverso un sistema pentavocalico32, in

cui tuttavia, per influsso dell’arabo, persiste la tendenza alla riduzione, in contesti ben precisi, degli elementi del sistema vocalico a tre soltanto: i fonemi vocalici intermedi /e/ ed /o/ si conservano inalterati solo in sillaba tonica aperta, mentre in sillaba atona tendono a essere sostituiti con /a/, /i/ o /u/, ad esempio sempre>sempri, grande>grandi, perché>birché, scure>scoura, grazie>gratzia33.

Anche l’utilizzo di suffissi verbali in -ira o -ara può essere spiegato con l’influsso della pronuncia araba, infatti verbi che tipicamente possiedono una desinenza al cui interno compare una vocale intermedia in sillaba atona subiscono tale mutamento (andare>andara34). Teniamo presente tuttavia che per probabile influsso del veneziano le

forme verbali infinitive sono spesso apocopate, come in andar, mangiar, sentir, mirar, quérir.

Questa tendenza all’interferenza fonologica del sistema della lingua nativa spiegherebbe inoltre la confusione nell’uso delle desinenze di genere e numero nei sintagmi nominali, come in bona genti, contribuendo con molta probabilità ad alimentare la percezione della lingua franca barbaresca come di lingua corrotta e sgrammaticata, mentre invece alcuni fenomeni di mancato accordo possono essere spiegati proprio in virtù della distanza tra il sistema fonologico dell’arabo magrebino e quello italo-romanzo, screditando numerose posizioni al limite del razzismo.

Un altro fenomeno di riduzione dettato dalla difficoltà che gli arabofoni potevano riscontrare nel pronunciare elementi estranei al loro sistema fonologico, è la tendenza alla riduzione dei dittonghi italiani, prendiamo ad esempio la parola bonou, che compare con tale rappresentazione grafica nel Dictionnaire. È evidente qui che la monottongazione

32 Si tratta in realtà di una mera stima, poiché risulta difficile se non impossibile tracciare un quadro preciso sul

vocalismo basandosi unicamente su documenti scritti. Dal punto di vista grafico sono rappresentate cinque vocali, non sappiamo però in realtà quale fosse l’esatta articolazione, questo soprattutto per i grafemi <e> ed <o>. Poiché il veneziano ed il genovese costituiscono le varietà di italiano parlato che maggiormente hanno contribuito alla formazione della lingua franca barbaresca è probabile che il vocalismo sia allo stesso modo pentavocalico vicino ad una varietà settentrionale. Non dobbiamo dimenticare che a causa della scarsità della documentazione e della natura stessa di essa, per la fonologia della lingua franca barbaresca ci limiteremo a fornire alcune tendenze generali.

33 G.CIFOLETTI,La lingua franca mediterranea,Unipress, Padova 1989, p. 39. 34 Ivi p. 40.

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porta ou > o ed il fonema in posizione finale assoluta si chiude in /u/, coerentemente rispetto agli esempi precedenti.

Anche le affricate italiane pongono qualche problema nella rappresentazione grafica all’interno del Dictionnaire, in cui troviamo il tentativo di distinguere /ʃ/ e /tʃ/

trascrivendoli rispettivamente <sch> e <ch>, come in bruchar, chinquoé, fachilé,

forbichi35, tuttavia questa regola non sempre è applicata con coerenza, tant’è che si trova

anche caschia per “caccia” e pechi per “pesci”, da attribuire ai compilatori anonimi di probabile origine francofona meridionale, il cui sistema fonologico della lingua madre non possiede distinzione tra questi due fonemi, rivelando alcune incertezze nell’uso. Le altre affricate dell’italiano /ts/ e /dz/ sono soggette allo stesso moto di incertezza, e vengono usate nel Dictionnaire nei modi più fantasiosi, anche con ipercorrettismo, e rappresentate l’una con <tz> e l’altra con <dz>: sentza36, sacrifitzio37 o ancora sortza da

“source” in cui avertiamo la scarsa familiarità del compilatore con la distizione tra /s/ e /ts/, essendo l’affricata alveolare sorda assente in francese.

Per quanto riguarda le palatali, /ɲ/ e /ʎ/, sembra che la lingua franca ne prevedesse l’impiego, data la loro presenza in alcune delle lingue romanze coinvolte nel contatto

linguistico (italiano, spagnolo e francese); la nasale è rappresentata con più coerenza attraverso il grafema <gn>; la laterale invece pone qualche problema nelle trascrizioni francesi in cui troviamo sia filio che figlio, trascritta sia con <ill> per influenza del francese come in artilleria, sia con riduzione quasi totale del gruppo a <li>, fino anche a <i>: mélio e meio38. Tuttavia il fonema /ʎ/ era sicuramente utilizzato in lingua franca, poiché presente in un verbo di ampio utilizzo come pigliar, in allografia pillar.

Vediamo adesso le consonanti geminate, previste sia in arabo che in italiano, le due maggiori lingue coinvolte nel contatto. Esse si conservano con una limitazione nella distribuzione: in arabo le consonanti geminate sono conservate soltanto in posizione postonica, come ad esempio in “cammello”> camello39 sul modello dell’arabo. Tuttavia

è comunque possibile riscontrare una certa confusione nell’uso delle geminate, com’è

35 Ivi, p. 41.

36 Dictionnaire de la langue franque ou petit mauresque suivi de quelques dialogues familiers et d’un vocabulaire de mots arabes les plus usuels ; à l’usage des français en Afrique, Marseille, 1830 in G.CIFOLETTI, op. cit., 2011, p.

156.

37 Ivi, p. 155. 38 Ivi, p. 37.

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