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IV STUDI CRITICI SULLA LINGUA FRANCA

IV.6 Keith Whinnom, The Context and Origins of Lingua Franca (1977)

Whinnom, noto nell’ambiente degli studi linguistici soprattutto per la teoria monogenetica, si dedicò anche allo studio delle origini e del contesto di diffusione della lingua franca. In The Context and Origins of Lingua Franca presenta uno studio su tale fenomeno, partendo dalla definizione e proseguendo per giungere alle ipotesi sulla genesi ed infine all’estinzione. Come vedremo, non mancano riferimenti anche a teorie sostenute da altri studiosi, ed una critica alla posizione di Hall (1966). L’autore inaugura la trattazione con una descrizione della lingua franca:

Lingua franca is probably the most important pidgin language about which we have information. Not only is it the earliest documented, and, by several centuries, the longest-lived of all pidgins, but it quite certainly provided the channel for a great deal of Mediterranean vocabulary-borrowing, and it may well be the basis, whether by imitation or direct relexification, of many modern European-based pidgins and creoles249.

Come già sostenuto da Schuchardt, anche per Whinnom la lingua franca costituisce un pidgin fuori dal comune sia per la diffusione spaziale del fenomeno sia per la longevità. Infatti, se considerassimo il Contrasto della Zerbitana di inizio 1300 come primo documento di lingua franca e come ultimo il Dictionnaire del 1830, il periodo di attività di questo pidgin si aggirerebbe attorno a cinque secoli; come vedremo proseguendo, per

249 K.WHINNOM,The Context and Origins of Lingua Franca, in J.M.MEISEL,Langues en contact- Pidgins- Creoles- Languages in Contact, Gunter Narr., Tübingen, 1977, p. 3.

altri tra cui Richard250 si tratta invece di uno span temporale ancora più ampio di circa

sette/otto secoli. In questa breve definizione introduttiva l’autore accenna già alla teoria monogenetica, secondo la quale la lingua franca costituirebbe il gergo di origine del primo pidgin portoghese diffusosi in Africa, Asia e America; a partire da tale pidgin portoghese si sarebbero formati tutti gli altri pidgin attraverso processi di rilessificazione diversificati tra loro. Secondo la monogenesi, le somiglianze e le analogie riscontrate nei pidgin e nei creoli di tutto il mondo potrebbero essere spiegate proprio attraverso tale comune origine. Tuttavia la validità di questa teoria stenta ad esser validamente dimostrata; per ammissione dello stesso Whinnom infatti «there are serious obstacles in the way of the study of the early history of pidgins and creoles […] First and most obvious is the paucity and unreliability of the written documents»251. Come vediamo, anche

Whinnom lamenta un certo grado di inattendibilità delle fonti, soprattutto di quelle letterarie; esse sono «almost invariably written with intent to amuse their Romance- speaking readers»252.

Proseguendo nella lettura del testo il lettore giunge alla sezione in cui l’autore espone e critica la teoria di Hall sull’origine della lingua franca e sulla sua natura; per Hall la lingua franca riportata da Haedo ad Algeri era un pidgin spagnolo, la lingua franca medievale era a base provenzale, mentre la lingua franca del XIX secolo a cui ci riferiamo più precisamente con il termine sabir, costituisce un altro pidgin a base francese. Come abbiano accennato, per Hall non vi è continuità tra le attestazioni di lingua franca medievale e quelle di età moderna provenienti dalle aree magrebine; ebbene Whinnom critica fortemente quest’ipotesi, ritenendo invece che l’una sia la naturale prefigurazione dell’altra. Egli confuta inoltre anche l’ipotesi che la lingua lessificatrice principale fosse il provenzale, a prova di questo cita alcuni fenomeni tra cui:

[…] firstly, adjustment to the trivocalic system of Arabic (which accounts for some vowel-raising), secondly apocope of final vowels, thirdly the monophtongization of italian diphthongs, and fourthly the peculiar characteristics of the Italian dialects, notably Genoese and Venetian, which supplied the bulk of the lexicon of Lingua Franca253.

250 J.RICHARD,Documents chypriotes des archives du Vatican (XIV et XV siècle), Paris, Institut Français

d’Archéologie de Beyrouth, 1962.

251K.WHINNOM, op. cit.,1977a, p. 4. 252 Ivi, p. 5.

In ragione di queste caratteristiche, che avvicinerebbero la lingua franca all’italiano piuttosto che al provenzale, l’autore precisa che: «we can assume the Lingua Franca is something other than L2 italian (however we choose to define “pidgin”) that it had a long and continous history, and that it was Italian-based»254. Quindi, benchè potenzialmente

la lingua franca non rientrerebbe nella categoria dei pidgin, proprio a causa della scarsità della documentazione a riguardo, per Whinnom ciò non costituisce il nodo centrale delle questioni ad essa legate. Ben più interessante è ritenuta dallo studioso l’indagine sulle origini, sulla longevità, sulle condizioni sociolinguistiche che ne hanno promosso la formazione e su quelle che invece ne hanno favorito la scomparsa.

Poco oltre, accennando all’ampia diffusione del pidgin in ambito magrebino, con un largo impiego soprattutto ad Algeri e a Tunisi, lo studioso riporta che «it is even recorded that Tunis, before the French protectorate, employed Lingua Franca as the language of diplomacy in its dealings with European powers» 255 ; tuttavia

quest’affermazione si dimostra impropria in quanto non trova riscontro nelle testimonianze dell’epoca e, attraverso gli studi di Cremona e Baglioni256 appare certo che

la lingua utilizzata nelle cancellerie francesi a Tunisi, non fosse affatto la lingua franca, che in quanto pidgin non conobbe una diffusione scritta in ambiti istituzionali o ufficiali (e neppure in quelli più informali), ma si trattava piuttosto di una varietà di italiano cancelleresco o diplomatico, non soggetto agli stessi fenomeni di semplificazione.

L’autore cita l’opera di Hugo Schuchardt, descrivendo l’articolo del 1909 come «the fundamental piece of work on Lingua Franca»,257 benché l’opera non si dimostri

priva di imprecisioni, come ad esempio il mancato accenno ad una possibilità di evoluzione di tale lingua all’interno dei suoi sette secoli di vita, causata dalla povertà di testimonianze per il periodo che riguarda soprattutto la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna. E anche dove vi siano testimonianze, le caratteristiche linguistiche della lingua franca nella sua fase di pidgin iniziale all’interno dei documenti del XIV secolo si dimostrano distanti rispetto ai documenti del XVII.

254 Ibidem. 255 Ivi, p. 9.

256 Si veda in proposito: J.CREMONA,L’italiano in Tunisi. La lingua di alcuni testi del tardo 500 e 600, in Italiano e dialetti nel tempo. Saggi di grammatica per G.C. Lepschy, a cura di P.BENINCÀ,G.CINQUE,T.DE MAURO,N. VINCENT, Roma, Bulzoni, 1996, pp. 85-97; D.BAGLIONI,L’italiano delle cancellerie tunisine (1590-1703). Edizione

e commento linguistico delle “carte Cremona”, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2010. 257 Ibidem.

A sostegno dell’ipotesi di rilessificazione della lingua franca, Whinnom cita una frase di Diego de Haedo contenuta nella sua Topographia e historia general de Argel, in cui si accenna ad un’ondata di prestiti portoghesi confluiti in lingua franca barbaresca in seguito alla sconfitta dei portoghesi ad Alcazarquivir nell’agosto del 1578258.

Proprio come aveva suggerito Schuchardt «there undoubtedly were, and it is scarcely surprising, local and regional variation of Lingua Franca, none of which could have been so marked as to constitute a barrier to communication»259; inoltre è facilmente

riconoscibile un certo grado di sinonimicità, che riflette certamente il contributo di diverse lingue lessificatrici; come vedremo per molti termini di derivazione spagnola ve ne saranno altrettanti di origine italiana, come per testa e cabeza.

Venendo invece al contesto di formazione della lingua, la fonte citata è Diego de Haedo a proposito delle comunità linguistiche diffuse ad Algeri: «Turks, renegade Christians, Christian captives, Jews and “moros”»260, un elenco riduttivo e generico, a cui

Whinnom necessita di apportare alcune precisazioni:

[…] the population of the Barbary coast in the early seventeenth century consisted, therefore, of Turks, Arabs, Berbers, Western Europeans, whether renegades or captives, of all nationalities (Spaniards, Portuguese, Frenchmen, Italians, Catalans, Englishmen, Provençaux), as well as the ubiquitous Greeks, Armenians and Jews261.

Ogni gruppo possedeva una lingua nativa, nessuna di queste lingue era intellegibile per le altre, «the only language common to every community was Lingua Franca»262. La

lingua franca costituiva quindi l’unico vero mezzo di comunicazione tra comunità linguistiche diverse.

Una delle motivazioni, secondo Whinnom, per la quale la lingua franca si afferma in qualità di lingua veicolare è proprio la sua semplicità sia morfologica che sintattica e per la sua presunta neutralità:

258 La battaglia di Alcazarquivir, conosciuta anche come la “battaglia dei tre re”, vide opporsi il re del Portogallo

Sebastiano I schierato in favore del sultano marocchino alleato Abū ʿAbd Allāh Muḥammad II ormai deposto, contro il legittimo erede ʿAbd al-Malik appartenente alla medesima dinastia. L’esito della battaglia fu disastroso per le truppe portoghesi, re Sebastiano I morì, così come il legittimo discendente della dinastia e il pretendente. La sconfitta del Portogallo decretò l’inizio della crisi dell’impero coloniale portoghese.

259 Ivi, p. 11.

260 Ivi, p. 12. Sotto l’etichetta moros sembrano confluire indiscriminatamente arabi e berberi, questa mancata

distinzione costituisce per Whinnom un elemento di debolezza all’interno della trattazione offerta da Haedo.

261 Ibidem. 262 Ibidem.

[…]in the chaotic linguistic situation in Algiers (and other North African ports) it is not at all difficult to understand why a grammatical simple language, lacking any native speakers and possible nationalistic connotations, gained such extraordinary currency. Certainly Lingua Franca is no exception to the general rule that pidgins appear to flourish in multilingual situations263.

Una vota chiarito il contesto di proliferazione e sviluppo della lingua franca, la questione delle origini si rivela molto più spinosa, infatti Whinnom appoggia con cautela l’ipotesi che la lingua franca «is itself a development of a simplified trading Latin»264,

riferendosi ad un intervento di Hancock nel volume Pidgin and Creole Linguistics di A. Valdman. Nel saggio di Hancock, Retrieving Pidgin history: approaches and problems, l’autore, basandosi su documenti memorialistici sulle vite dei santi, sottolinea che essi ovunque viaggiassero in pellegrinaggio o per commercio non necessitassero sorprendentemente di alcun interprete. Ciò ha spinto Hancock a supporre che esistesse già all’epoca dell’impero romano «a simplified Graeco-Latin forerunner of LF»265;

probabilmente, tale affermazione, proprio come sostenuto da Whinnom, potrebbe identificarsi soltanto con un topos agiografico, volto a misticizzare la figura del santo in questione. L’ipotesi relativa all’esistenza di una varietà greco-latina semplificata precedente al periodo delle crociate può apparire plausibile, ma scarsamente dimostrabile, tuttavia egli cerca di ricostruire una storia della nascita e della diffusione della lingua franca partendo proprio da quel periodo.

Vediamo la ricostruzione whinnomiana in proposito: le prime fasi di contatto tra Oriente ed Occidente, da collocarsi all’interno di uno span temporale non determinato ma presumibilmente precedente all’epoca delle crociate, prevedevano interazioni di tipo individuale e si ricorreva sovente ad interpreti; Whinnom propone anche un’altra ipotesi in merito:

[…] a further possibility which we cannot ignore is that of “silent trade”: given a context well understood by both sides, a simple commercial transaction can be acoomplished by gestures, such as pointing, holding up a certain number of fingers, indicating refusal or acceptance of the bargain by shaking or nodding the head, and so forth266.

Proseguendo verso il periodo delle crociate, Whinnom cita alcuni documenti o carte reddate per la maggior parte in una varietà che non esita a definire mista. Si tratta di

263 Ivi, p. 13. 264 Ibidem.

265 Ibidem, nota 31. Per LF si intende qui lingua franca. 266 Ivi, p. 15.

documenti per lo più estratti da libri contabili, contratti, ricevute il cui ambito di riferimento è quello degli affari commerciali e dei contenziosi legali; l’autore insiste che «the language employed is basically bad medieval Latin or incorrect Venetian dialect, with massive intrusion of lexical borrowing from other languages such as French and Arabic»267. Vediamo alcuni esempi di tali documenti riportati direttamente da Richard; e

contenuto nel corpus di documenti pubblicato nel volume del ’62 prenderemo in considerazione soltanto un conto anonimo del 1423 non proveniente dall’archivio Vaticano e conservato come foglio di guardia del manoscritto greco 1381 della Biblioteca Nazionale di Parigi. L’ipotesi di Richard riguardo la formazione della lingua franca già durante l’epoca delle crociate si basa proprio su alcune corrispondenze rintracciate tra la lingua di questi documenti e quella dell’epoca barbaresca. Del testo originale non resta che la parte iniziale, in quanto il documento risulta irrimediabilmente danneggiato dall’umidità. Data l’estensione del testo ne riporteremo soltanto alcuni estratti che presentano le caratteristiche più rilevanti:

1. Thomasin, de dare, par resto de MVC de la coumesarie de dame Eschive Nastre […];

2. Item, i quali a recevudo de la vente dou vin dou vesque de Baffe […];

3. Item, de la vente di boi (buoi) de Saraca, par la main de Zorzi tou papa Petrou, […], a di XVI marzo 1423 […];

4. Item, de dare, i quali o dado a Pier Contarin por ello, […] en houtouvre […];

5. Thomasin, de avere, i quali me suno remasi de B. LXXV qu’il me manda in III fiade, siando luy defora […];

6. Item, a Nicolin tou Smerliou, a di XI marzo […];

7. Item, o prete de Vorgo Pacousa […];

8. Item, pagato a Paulo, a di XXVI […];

9. Item, a di XVI, a mia amida Damalis […];

10. Item, de avere, i quali a dado par toute le XV di de novembre por meses et loutourgiquo quando era a Potamya […]268.

267 Ibidem. Tali documenti, su segnalazione dello stesso Whinnom, sono contenuti in J. Richard (1962). Come

dedotto dal titolo del volume di Richard, si tratta di documenti di area cipriota.

268 J.RICHARD,op. cit., pp. 12-15. Le chiuse in parentesi tonda sono di chi scrive con l’intento di chiarire alcuni

L’utilizzo dell’infinito dare è per Richard uno degli elementi che in modo manifesto collegano la varietà di questo documento con la lingua franca, questo dare evocherebbe arditamente il dara del Bourgeois Gentilhomme di Molière; segue nell’esempio successivo anche un passato prossimo (a recevudo) di chiara origine veneziana insieme a me suno remasi ed anche a o dado; anche i nomi dei mesi dell’anno sono riportati spesso in italiano settentrionale, si trova marzo e novembre oltre alla forma mista houtouvre di cui si trova più avanti anche il veneziano otubrio qui trascritto otoubrio (si tratta apparentemente di una trascrizione della forma veneziana con veste grafica francese); un altro venetismo è defora, forma nota in lingua franca barbaresca per aver dato luogo all’unico reale neologismo di questa varietà, il verbo forare. Altri venetismi sono: fiate, dado, remasi e syando luy defora che costituisce una costruzione gerundiva particolare. Tra i venetismi rientra anche dezima che si trova in alternanza col francese dihme, come per i lessemi houtouvre e otoubrio. Il pronome ello ricorda ellou della lingua franca barbaresca (ma che potrebbe in realtà e più probabilmente rifarsi direttamente al veneziano ello) riportato nel Dictionnaire, ma poco più avanti si trova anche luy dal francese; amida da amita latino trova corrispondenza sia in veneziano che in genovese con amìa e àmea; Zorzi tou papa Petrou e Nicolin tou Smerliou sono sintagmi greci fossilizzati per indicare i patronimici e trovano ampio uso anche in altri documenti forniti da Richard di area cipriota; la voce loutourgiquo coincide perfettamente col greco cipriota

λουτουργιϰο (gr. λειτουργιϰόν), e suggerisce una generale influenza francese nella resa

della grafia, soprattutto per [k] rappresentato con <qu>. Il greco ed il francese si comportano allo stesso modo nella resa grafica dei fonemi /u/ e /y/: per il primo si ha <ou> e per il secondo <u>. Data la compresenza di questo fenomeno in entrambe le lingue risulta talvolta difficoltoso stabilire per ogni esempio quale sia il sistema grafico preso a modello, se quello greco o quello francese. Per Richard questi documenti rappresentano la prefigurazione in epoca crociata della lingua franca barbaresca. Sia Cortellazzo269 che

Folena sono d’accordo invece nello stabilire che si tratti di una lingua mista nata dal contatto di due comunità linguistiche nel momento in cui sul territorio cipriota l’una, cioè i francesi, lasciava spazio all’altra, i veneziani270. Infatti le corrispondenze riscontrate da

269 M.CORTELLAZZO,Il Veneziano coloniale: documentazione e interpretazione, in F.FUSCO,V.ORIOLES,A.

PARMEGGIANI,Processi di convergenza e differenziazione nelle lingue dell’Europa medievale e moderna, Forum,

Udine, 2000, p. 322-323.

Richard sono in realtà probabilmente derivate dal veneziano e poi confluite in lingua franca barbaresca, poiché questo dialetto dell’Italia settentrionale appartiene al gruppo di varietà lessificatrici italiane, tra cui figura anche il genovese.

A primo impatto si tratta di una lingua mista di aspetto maccheronico a composizione variabile in cui si alternano elementi di veneziano, francese e greco. Il passaggio da una lingua all’altra, cioè il code-switching, come all’interno degli esempi menzionati, è con ogni probabilità arbitrario, volto a supplire le lacune lessicali incontrate via via nella redazione del documento. Esso è probabilmente redatto per un utilizzo privato, in quindi in modalità non sorvegliata, da qui infatti i numerosi fenomeni di commutazione di codice. Folena definisce questa varietà un «fritalien, fritto con olio greco»271, ribadendo

ancora che si tratta di un fenomeno di Sprachmischung, lontano dalle caratteristiche e dai processi che si verificano in lingua franca barbaresca. Le corrispondenze riscontrate con le caratteristiche linguistiche della lingua franca barbaresca sono minimamente significative, invece sono molto più numerose quelle riscontrate nei confronti delle varietà italiane settentrionali. Nonostante Whinnom abbia definito questa varietà utilizzata «macaronic»272, in questi documenti il ricorso ad una varietà mista non è

assolutamente funzionale ad un intento parodistico.

Nessuno di questi documenti, per dichiarazione di Whinnom, presenta caratteristiche linguistiche che siano riconducibili alla lingua franca di epoca tardo- medievale e moderna, ciò dimostra soltanto che:

[…] even in the thirteenth century, a barbarous medieval Latin was the common language to which speakers of different Romance tongues tended to revert when faced with the more complex problems of communication on legalistic matters273.

L’ipotesi presentata presume che questa varietà di broken mixed Latin con interferenza variabile fosse in uso in contesti di comunicazione e di contatto intraeuropei, e non tra il mondo arabo-musulmano e quello europeo-cattolico. Nella stessa epoca Whinnom suggerisce che le interazioni tra Europei ed i Saracens274 fossero ancora condotte

attraverso il ricorso ad interpreti.

271 G.FOLENA,Introduzione al veneziano “de là da mar”, «Bollettino dell’Atlante linguistico mediterraneo», 10-12,

p. 365.

272 Ibidem. 273 Ivi, p. 17.

In conclusione Whinnom sottolinea come, proprio a causa delle caratteristiche linguistiche di questi documenti, sia impossibile provare attraverso una documentazione convincente che le origini della lingua franca possano risalire oltre il XIII secolo, quindi «the cliché that it began with the Crusades cannot be substantiated on the existing evidence»275. Pertanto:

Lingua Franca did not develop from the contact of Westerns Europeans of diverse tongues. […] the Grion text, the earliest known specimen of Lingua Franca, is a lament placed in the mouth of a Muslim girl captive. This evidence suggests that it arose from the contact of Romance-speakers with non-Romance-speakers. […] it arose, as all pidgins arise, in a multilingual situation, and specifically, one in which none of the speakers primarily involved in its genesis had Italian (or an Italian dialect) as a first language276.

Tentando di riassumere la posizione di Whinnom a riguardo, la lingua franca, così come oggi la intendiamo negli studi sull’argomento, ha origine in un contesto di comunicazione multilingue non tra parlanti di diverse lingue romanze, ma dal contatto tra parlanti romanzi, principalmente italiani o parlanti un qualche dialetto italiano (con ogni probabilità veneziano o genovese), e parlanti non romanzi. I gerghi commerciali e legali utilizzati nei documenti risalenti all’epoca delle crociate o anche ad epoche precedenti sono varietà semplificate di greco-francese-veneziano con influenze e prestiti provenienti da lingue di volta in volta diverse, che non hanno nessuna presunta continuità storico- linguistica con ciò che noi chiamiamo lingua franca. A causa della scarsità della documentazione, è necessario far risalire le origini della lingua franca non oltre il XIV secolo, epoca in cui, anche Schuchardt aveva inserito le prime attestazioni; se considerassimo il contrasto di Cielo D’Alcamo come testo più antico contenente elementi