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le grand maistre luy dict: Señor Dragut, usanza de guerra! Il luy respondit: Y mudanza de fortuna 111

IV 36: Mi pensar certa chesta zurna boler far ben badagna co chesta fulaster Ella ditta bel mi che aber una moruza che star sumeggiata cun el mio Armeli, e burave piar chela so moruza del beith abuch, del casa del

M. le grand maistre luy dict: Señor Dragut, usanza de guerra! Il luy respondit: Y mudanza de fortuna 111

In seguito i due condottieri ebbero l’occasione di scontrarsi nuovamente nel 1565, quando Dragut, a capo della flotta ottomana assediò Malta difesa ancora una volta dal cavaliere Parisot. Quando sembrò che i cristiani potessero soccombere, il pirata Dragut fu colpito alla testa da un sasso e morì sul colpo. La fortezza che aveva protetto i cristiani fu ribattezzata La Valletta in onore del gran maestro che aveva difeso la città dall’assedio ottomano.

La lingua riportata in queste brevissime battute, non presenta caratteristiche singolari o particolarmente significative, potremmo forse ritenere interessante l’uso della parola usanza, che come vedremo si ritrova sovente in altri testi successivi. La forma del testo di dimostra influenzata notevolmente dalla componente spagnola, come si ricava

dalla rappresentazione grafica di Señor, dall’utilizzo della congiunzione subordinativa y, e dall’impiego del sostantivo mudanza che troviamo inalterato nello spagnolo odierno.

III.2.3 Diego de Haedo, Topographia e Historia general de Alger, Valladolid, 1612

Haedo si reca ad Algeri alla fine del XVI secolo, riportando nella sua Topographia un profilo storico-sociale e non soltanto linguistico della città barbaresca. Del presente volume abbiamo già fornito un estratto nel capitolo III.1.3; ne forniremo qui altri molto brevi che si riferiscono alla condizione degli schiavi cristiani nei regni barbareschi. L’opera si divide in tre sezioni: la prima intitolata Topografía o descripción de Argel y sus habitadores y costumbres, a cui segue l’Epítome de los reyes de Argel; infine l’opera si conclude con tre dialoghi rispettivamente intitolati Diálogo de la captividad, Diálogo de los mártires e Diálogo de los morabutos112.

La maggior parte delle frasi in lingua franca riportate qui e nel volume di Cifoletti del 2011, sono estratte dai dialoghi finali. Nel primo dialogo, al Folio 120 verso Haedo riporta cosa accadeva ad uno schiavo che osava fingersi malato per non lavorare:

A cosi, a cosi, mira como mi estar barbero bono, y saber curar, si estar malado, y ora correr bono. Si cane dezir dole cabeza, tener febre no poder trabajar, ni saber como curar, a Fe de Dio abrusar vivo, trabajar, no parlar que estar malado113.

Al Folio 129 verso, ancora nello stesso dialogo, si trova una frase impiegata più volte nel testo di Haedo, in cui i mori dicono agli schiavi cristiani che non è ancora giunto il momento della libertà:

y que estar scripto en esta forar, forar, Dio grande sentar, no piglliar fantasia: anchora no estar tempo de parlar questa cosa114.

112 I marabutti sono figure mistico-religiose, con spiccate tendenze all’ascetismo ed equiparabili ai santi del

cristianesimo, essi erano diffusi in tutte le aree del Nord Africa e dell’Africa sub-sahariana.

Per estensione con il termine “marabut” o “marabutto” si possono indicare anche i luoghi di sepoltura e di venerazione in cui giace il santo.

113 “così così guarda come io sono un buon barbiere (medico), e so curare, se sei malato, e ora corri bene. Se tu, cane,

dici che ti duole la testa, che hai la febbre e che non puoi lavorare, per la fede di Dio io ti brucio vivo, lavora, non dire che sei malato!”. Tutte le traduzioni di Haedo sono da attribuirsi a chi scrive, sulla base di quella fornita da

CIFOLETTI, op. cit., 1989, p. 159.

114 Ibidem. “e se è scritto nella testa (nella testa di Dio, nel volere del Signore) andrai fuori, Dio è grande, aspetta,

Lo stesso invito anche nella celeberrima frase al Folio 128 recto «non pillar fantasia, dio grande, mundo cosi cosi, si venir ventura andar a casa tuya». Oltre ad Haedo la stessa frase compare anche in Pierre Dan nell’ Histoire de la Barbarie et de ses corsaire stampata a Parigi nel 1637 con qualche francesismo in più: «Non pillar fantasia; Dios grande, mundo cosi, cosi, si venira ventura ira à casa tua»115.

Nel terzo dialogo intitolato Dialogo tercero, de los Marabutos si racconta al folio 201 verso come un Marabutto, che aveva a servizio in qualità di schiavo, un portiere di nome Pere Iordan116, un vecchio cristiano; il vecchio cristiano viene aspramente

minacciato dopo aver portato una tartaruga in casa:

Veccio, veccio, niçarane Christiano ven aca, porque tener aqui tortuga? qui por tato de campaña? Gran vellaco estar, qui ha por tato. Anda presto puglia, porta fora, guarda diablo, portar a la campaña, questo si tener en casa, estar grande pecado. Mira no trovar mi altra volta, sino a fee de Dio, mi parlar patron donar bona bastonada, mumucho, mucho117.

La lingua franca riportata da Haedo mostra un certo grado d’incoerenza rispetto alla lingua del Dictionnaire; infatti si ricorre indistintamente a forme italianizzanti di origine settentrionale (più precisamente veneta) e a forme ispanizzanti come assi e cosi, testa e cabeza, bueno e bono, fazer e hazer; tuttavia Haedo ricorre sempre al verbo parlar e mai ad hablar, pur essendo la forma più frequente nel Dictionnaire; inoltre il pronome dimostrativo è attestato sia come esto che come questo. Diversamente rispetto al Dictionnaire sono attestate qui alcune forme verbali flesse, soprattutto all’imperativo: porta, piglia, ven, dole, mira, invece di ricorrere a forme di infinito sovraesteso. La desinenza dell’infinito è nella maggior parte delle voci in -er mentre nel Dictionnaire si trova maggiormente -ir, tratto forse da attribuire alla difficoltà degli arabofoni nel pronunciare le vocali medie atone. Degno di nota al Folio 128 recto è l’uso insolito del

115 G.CIFOLETTI,op. cit., 2011, p. 205.

116 Nel testo di Haedo ed in Cifoletti è riportato esattamente con questa forma; l’epiteto Pere o forse Père, conferito

al vecchio o perché fosse effettivamente un prete cristiano ormai vecchio, o per motivi di anzianità.; tuttavia non si hanno prove a riguardo, né è possibile rintracciarne nel testo.

117 Ivi p. 161. “vecchio, vecchio nasrāni (nome arabo dispregiativo che gli arabi attribuivano ai cristiani) cristiano,

vieni qui, perché tieni qui una tartaruga? Chi l’ha portata dalla campagna? È un gran ribaldo chi l’ha portata. Su presto piglia, portala fuori, perbacco, portala in campagna, se la si tiene in casa è un gran peccato. Guarda che io non la trovi un’altra volta, se no per la fede di Dio, io parlerò al padrone che ti darà una buona bastonata, tanto tanto.”

Puglia da leggersi come piglia, por tato come portato e mumucho come mucho in cui la prima sillaba reduplicata è

pronome personale tuya e anche in Dan si trova tua, al posto della più comune perifrasi di ti, molto più frequente in lingua franca. Nonostante le incoerenze grafiche da attribuire all’autore, come l’utilizzo di diverse varianti grafiche del verbo pigliar, di ni al posto di mi o ancora di esta per testa, l’opera di Haedo è considerata la più antica attestazione attendibile (e non letteraria) di lingua franca barbaresca.

Dal punto di vista documentaristico, storico e linguistico la ricostruzione dell’Algeri di fine ‘500 è senz’altro la più completa e la prima in cui vi siano riportate all’interno attestazioni di lingua franca molto estese rispetto alle testimoniaze precedenti. Anche Hugo Schuchardt che trattò per primo in modo approfondito la questione della lingua franca di ambiente barbaresco, ritiene la testimonianza di Haedo fondamentale per trarre un profilo linguistico di questa lingua, aldilà delle incongruenze riscontrate nella resa grafica e delle varianti allografiche. L’elemento essenziale che conferisce alla Topographia un ruolo di primaria importanza negli studi sulla lingua franca è senz’altro il luogo ed il tempo in cui queste testimonianze furono raccolte: ad Algeri alla fine del XVI secolo il gergo commerciale utilizzato nei traffici commerciali con gli occidentali diviene la lingua di principale comunicazione tra gli autoctoni arabofoni e gli schiavi cristiani, espandendo in questo modo i propri dominii di utilizzo.

III.2.4 Monsieur de Brèves, Relation des voyages de Monsieur de Brèves tant en Grèce,

Terre Saincte & Egypte, qu’aux Royaumes de Tunis & Arger, Paris, 1628

De Brèves fu ambasciatore francese presso la Porta e durante un viaggio di ritorno da Costantinopoli si fermò presso i luoghi citati nel titolo della sua Relation. L’episodio in cui l’autore riporta una frase in lingua franca si svolge a Tunisi nel 1606, anno in cui i cavalieri di Malta conquistano per un breve periodo la piazzaforte di Hammamet, che fu in seguito riconquistata prontamente da Tunisi dopo una sanguinosa battaglia:

Aucune des testes furent attachées sur les carneaux du chasteau, et les autres enfilées par le nez, traisnées par les rues, les suivant une troupe de populace, qui crioit, Malta calas, Malta calas, San Ioan dormir, & autres telles sornettes, en opprobre des Chrestiens118.

La parola calas pone qualche difficoltà; potrebbe essere identificata con l’arabo xalâṣ con significato di “è finita/finito!”, che resta anche oggi in arabo magrebino, con la differenza che quest’espressione a Tunisi è attualmente percepita come una voce di provenienza egiziana. L’allusione a San Giovanni è esplicitamente riferita al santo protettore dei Cavalieri di Malta. Questa testimonianza rientra tra quelle di provenienza tunisina, tuttavia si tratta di un estratto troppo breve per poter trarre considerazioni significative sulla variazione diatopica. Vedremo in seguito altre testimonianze che possono consentirci di instaurare un confronto migliore.

III.2.5 Padre José Tamayo, Memorias del captiverio del P. Joseph Tamayo de la

Compañìa de Jesùs, 1644

Si ha notizia di questo manoscritto e della figura del gesuita Padre Tamayo nell’introduzione al volume Autobiografias y memorias di M. Serrano y Sanz del 1905, in cui è attribuita a Padre Tamayo anche una seconda opera, la Compendiosa relacìon de las costumbres, ritos y gubierno de Berberìa à Don Francisco Tamayo su germano.

Il gesuita fu catturato da un rais algerino nelle acque delle isole Baleari nel 1644, fu condotto in seguito ad Algeri, dove lo stesso rais si rivolge a lui dicendo:

[…] ti estar teatino; donar para mi mucho aspero;¿tù sabes ganar para mì? Anda no aver paura; mi facer bien contigo119.

Sorprendente l’uso del termine teatino per riferirsi all’autore che appartiene dichiaratamente all’ordine dei Gesuiti, ed in proposito Cifoletti non azzarda alcuna spiegazione. Teatino si riferisce all’Ordine dei Chierici Regolari teatini, istituito nel 1524 da Giampietro Carafa vescovo di Chieti (futuro Papa Paolo IV), da cui il nome dell’ordine. All’interno del volume I Teatini a cura di Marcella Campanelli si chiarisce la questione: la studiosa dichiara che «durante il XVI secolo l’appellativo “teatino” venne

119 La frase è riportata sia da G.CIFOLETTI (1989) e (2011), ed anche in M.CORTELLAZZO, Che cosa s’intendesse per

“Lingua Franca”, «Lingua Nostra», 26, 1965, p. 110.

La traduzione sulla base di CIFOLETTI (1989) è la seguente: “Tu sei gesuita, mi darai molto denaro (con il tuo

riscatto); sai guadagnare per me? Su non aver paura; io mi comporterò bene con te”; aspero è da riferire a aspra del

usato per definire qualsiasi sacerdote di costumi austeri, in tal modo furono chiamati, ad esempio, in Italia e in Spagna, i sacerdoti della Compagnia di Gesù»120.

La data che abbiamo scelto di riportare è la stessa utilizzata da Manlio Cortellazzo per riferirsi all’opera, ovvero il 1644, che tuttavia si riferisce alla data di cattura di Padre Tamayo e non a quella di redazione del manoscritto, sicuramente successiva.

III.2.6 Emanuel D’Aranda, Relation de la captivité et liberté du Sieur Emanuel de

Aranda mené esclave à Alger en l’an 1640 & mis en liberté l’an 1642, Bruxelles, 1656 Emanuel d’Aranda fu catturato nel 1640 in mare e condotto ad Algeri in schiavitù, fu liberato poco dopo dal proprio padrone e successivamente fu catturato di nuovo a Tetuan in rotta verso l’Europa, infine fu ricondotto di nuovo schiavo una seconda volta ad Algeri. Dell’opera conosciamo tre edizioni di cui la prima è quella belga del 1656 a cui facciamo riferimento in questa sede, mentre la seconda del 1657 è francese e presenta qualche variazione nel titolo: Relation de la captivité du sieur Emanuel d’Aranda, où sont descriptes les misères, les ruses, les finesses des Esclaves et des Corsaires d’Alger, ad essa segue un’altra edizione belga del 1662. Esiste poi una traduzione in italiano pubblicata nel 1981 col titolo Il riscatto, ma si è preferito qui attenersi a quella belga con testo originale dell’autore. All’interno del diario troviamo molti episodi in cui l’autore descrive le condizioni degli schiavi ad Algeri e le imprecazioni che spesso venivano loro rivolte dai padroni e dalle guardie addette alla sorveglianza. La lingua utilizzata da quest’ultime per rivolgersi agli europei era appunto la lingua franca barbaresca.

A pagina 20 si leggono alcuni insulti rivolti agli schiavi in lingua franca e di seguito un breve accenno a questa lingua:

Le lendemain le soleil n’estoit pas encore levé, quand le gardien entrant au Baing commença à crier: Sur sa cani, à baso canalla […]le Gardien crioit continuellement Forti, Forti; et nous pensions que cela signifioit vite, & en Franco (c’est le langage commun entre les Esclaves & les Turcs, & aussi entre les Esclaves d’une nation à l’autre, c’est un langage meslé d’Italien, Espagnol, François, & Portugais; […] Forti est a dire doucement121.

120 M.CAMPANELLI,G.GALASSO,I Teatini, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1897, p. 5 nota 11. 121 I passaggi contenenti citazioni in lingua franca sono riportati in G.CIFOLETTI,op. cit., 2011, pp. 206-208. Forti non significa affatto in lingua franca “doucement”, l’errore nasce forse dal frequente accostamento di questo

con buono, come nell’esclamazione buono, forte che può aver indotto l’autore a pensare che si trattasse di una coppia sinonimica.

Nella terza edizione belga del 1662 è contenuta la relation particulière n. XXXVIII, assente nell’edizione del 1656 che invece si ferma al numero XXXVII. In tale relazione è riportata una frase intera in lingua franca, anch’essa costituisce un’imprecazione rivolta da un guardiano all’autore schiavo: «la cane ty far gaziva, ty tener fantasia, à fè de Dio my congar bueno per ti»122. L’autore traduce “voire, chien, vous faites l’entendu, vous

avez des fantasies, par la foi de Dieu, je vous accomoderai bien”. Interessante vedere come la parola gaziba123 costituisca qui un vero e proprio hapax in lingua franca.

III.2.7 R.P. Jean Baptiste Labat (a cura di), Mémoire du Chevalier d’Arvieux, envoyé

extraordinaire du roy à la Porte, Consul d’Alep, D’Alger, de Tripoli, & autres Echelles du Levant, Contenant ses voyages à Constantinople, dans l’Asie, la Syrie, la Palestine, l’Egypte & la Barbarie, Paris, 1735

Nella presente opera si ricavano poche informazioni sulla lingua franca e varie citazioni, tutte contenute unicamente nel terzo volume. In particolare è riportato l’incontro tra Laurent d’Arvieux ed il bey di Tunisi Hagi Mehemed avvenuto il 19 giugno del 1665:

[…] il me reçut avec ce compliment d’italien corrompu, qu’on appelle Langue Franque, dont se sert ordinairement à Tunis: Ben venuto, como estar, bono, forte, gramerçy. Je ne sçavoit pas assez ce jargon pour m’en servir en lui parlant. Je lui parlai en Turc124.

Rientrano nella stessa opera anche altre citazioni in lingua franca che abbiamo presentato nel capitolo precedente riguardanti l’utilizzo della parola fantasia. È probabile che il Cavalier d’Arvieux abbia aiutato Molière nella stesura della famosa scena della céremonie turque nel Bourgeois Gentilhomme contenuta nell’atto IV scena V, in cui si intravede l’intervento di un esperto in merito, poiché la lingua franca utilizzata ci appare vicina sotto alcuni aspetti a quella presente nelle testimonianze documentarie ritenute più autorevoli come Haedo e Rehbinder. Trattandosi di un’opera specificamente letteraria, si

122 Gaziva di probabile origine araba penetra in lingua franca attraverso il ligure con il significato di “frode”. Congar

invece è soltanto una delle tante variazioni grafiche per il verbo counchar riportato nel Dictionnaire.

123 Per ulteriori dettagli sulla provenienza semitica di questo termine si veda in questa sede la nota 65. 124G.CIFOLETTI, op. cit., 2011, p. 209.

individuano particolarità linguistiche anomale dettate dall’ipercaratterizzazione a scopo parodistico, come abbiamo già visto per i testi letterari precedenti al XVII secolo, che in senso stretto invalidano la fedeltà e la validità della lingua franca impiegata. Della lingua franca nell’opera di Molière si vedrà in seguito, in una sezione dedicata ai testi di ambito letterario.

III.2.8 Del modo con cui vengono trattati gli schiavi in Fez e nel Marocco, 1754

Proseguiamo con la presentazione di un altro documento proveniente dall’area barbaresca, precisamente dall’area marocchina, realtà di cui disponiamo pochissime testimonianze. Il testo è derivato dall’Istoria degli stati di Algeri, Tunisi, Tripoli e

Marocco trasportata fedelmente dalla lingua inglese nell’italiana del 1754, di cui non ci

sono indizi sull’editore; al capitolo IV sono riportate le condizioni di vita degli schiavi cristiani di Fez, in cui possiamo riscontrare non poche corrispondenze con gli altri documenti di area algerina:

Spesso avvien poi, che dopo aver faticato tutto il giorno, anche la notte sien chiamati a qualche altro sozzo lavoro in questo modo: Vamos a trabajo, Cornutos: cioè “Andiamo a lavorare, Cornuti”, che è il più ingiurioso nome, che si dia presso a’ Mori, a riserva però di quell’altro, Figlio di Cristiano125.

Un’esclamazione identica è utilizzata da Pananti (1817; cfr. III.2.12), mentre l’utilizzo di

cornudo e cristiano come termine dispregiativo lo ritroviamo anche in Haedo nella sua Topographia (1612; cfr. III.2.3). Data la ripetitività della forma utilizzata e la presenza di

tale esclamazione all’interno di testimonianze anche temporalmente distanti tra loro, Toso suppone che queste affermazioni non siano in realtà che adesioni a modelli precedenti di

lingua franca, riprese quindi da relazioni più antiche.

III.2.9 Rodríguez Casado, Jorge Juan en la corte de Marruecos, «Revista de Marina», 1941

Il documento qui presentato è stato inserito in questa sezione poiché gli eventi narrati si collocano nella seconda metà del XVIII secolo, nonostante la pubblicazione sia del XX secolo. Inoltre, come il precedente, rappresenta uno dei pochi documenti di lingua

franca di area marocchina; diversamente dal precedente, esso è legato alla storia della

comunità tabarchina126, di cui forniremo un breve inquadramento storico al fine di

contestualizzare la vicenda. In seguito alla caduta della loro isola nel 1741, i tabarchini furono deportati a Tunisi e poi ad Algeri nel 1756. Carlo III re di Spagna organizzò una missione diplomatica alla corte di Mahammed III Sultano del Marocco (con il quale si cercava di instaurare un dialogo volto a ridimensionare il potere degli stati barbareschi e contenere il fenomeno della guerra da corsa) con l’intenzione di riscattarli. L’ambasciatore straordinario incaricato di tale missione era Jorge Juan y Santacylia, che si recò a Rabat il 16 maggio 1767 per la ratifica degli accordi. L’evento è narrato in Jorge

Juan en la corte de Marruecos di Rodríguez Casado, un articolo del 1941 uscito sulla

«Revista de Marina» in cui si riporta la relazione del diplomatico, ricevuto dal sultano in veste ufficiale e accolto con un’esclamazione in lingua franca:

[…] con tres reverencias cerca del emperador, dijo éste: Bono embajador del rey Carlos, bono, expresión que sólo se le oye las ocasiones de su mayor placer acreditando entonces el que tenía, añadiendo: mas quiero Rey Carlos que a todos los reyes del mundo juntos127.

Se da un lato è possibile riconoscere in queste poche parole un’adesione alle caratteristiche della lingua franca, tra cui in primis l’utilizzo dell’aggettivo bono, la lingua utilizzata dal Sultano si presenta fortemente ispanizzata, come si può notare dal ricorso alle forme embajador e rey. Purtroppo i documenti di lingua franca di area

126 Il popolo dei tabarchini nasce dall’insediamento di una colonia di pescatori di corallo liguri sull’isola di Tabarca

nella metà del XVI secolo, in seguito la comunità prosperò fino al XVII secolo grazie a rapporti commerciali privilegiati instaurati con gli stati barbareschi. Già prima dell’occupazione dell’isola di Tabarca da parte della