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G Cifoletti, dalla lingua franca mediterranea alla lingua franca barbaresca, (1989; 2011)

IV STUDI CRITICI SULLA LINGUA FRANCA

XIV- XVII, la qualità e la quantità di esposizione alla lingua target e delle interazioni comunicative poteva dare luogo variamente a ciascuna delle varietà sopra citate.

IV.8 G Cifoletti, dalla lingua franca mediterranea alla lingua franca barbaresca, (1989; 2011)

Guido Cifoletti è senz’altro lo studioso che in misura maggiore ha lasciato un segno nel corpus di studi dedicati alla lingua franca. Le sue pubblicazioni sull’argomento sono indubbiamente le più numerose e le più ingenti, difatti le prime risalgono alla fine degli anni ’70, mentre le più recenti si estendono fino al 2011, anno di ristampa del volume La lingua franca barbaresca pubblicato nel 2004. Qualunque studioso si avvicini o si sia avvicinato negli ultimi quarant’anni a tale argomento, si è senz’altro misurato con l’opera di Cifoletti, ritenuta da molti, tuttora imprescindibile. Come abbiamo già riportato nei paragrafi precedenti e come vedremo in quelli successivi, gli studi di Cifoletti non solo hanno contribuito a riconsiderare la natura della lingua franca, ma hanno fornito una definizione inedita ed anche alcune necessarie precisazioni a proposito dell’uso del termine lingua franca. Inoltre esse hanno fatto chiarezza non soltanto sulla necessità da parte dei linguisti, degli storici della lingua e degli storici di utilizzare il termine lingua franca in modo appropriato, ma anche sull’impossibilità di sostenere l’intercambiabilità del termine lingua franca e sabir. Un ulteriore merito dello studioso è anche quello di aver fornito sia nel volume del 1989 che in quello del 2011 un’antologia di testi letterari e non, in cui sono riportate frasi o intere sezioni in lingua franca300.

In questa parte ci concentreremo soprattutto sulle speculazioni teoriche, sui problemi terminologici, sulla descrizione dei contesti sociolinguistici che hanno portato alla formazione della lingua franca; dopo aver utilizzato Cifoletti, ed in particolare l’opera del 2011, come fonte privilegiata per la descrizione dei fenomeni linguistici della lingua franca (capitolo II.2), perché risulta, a mio avviso, senza dubbio la più completa e dotata di maggiore rigore. All’interno del medesimo volume del 2011 è contenuta anche una sezione dedicata al sabir o petit-mauresque.

Già a partire dal 1978 Cifoletti si è preoccupato di risolvere il problema della vaghezza dell’espressione lingua franca e dell’abuso di tale termine da parte degli studiosi. Nell’articolo Lingua Franca e sabir: considerazioni storiche e terminologiche

300 Proprio a partire dal corpus cifolettiano si sono scelti, in questa sede, i testi di lingua franca più significativi

del 1978, l’autore si concentra sulla soluzione di tale problematica, passando in rassegna una ad una le diverse realtà socio-linguistiche che rientrano sotto il nome di lingua franca. Le riassumeremo qua velocemente, data la complessità della questione, non possiamo che sostenere quanto repetita iuvant: in Vianello (1955) lingua franca poteva indicare una varietà di italiano parlato più o meno bene da parte di alloglotti dalmati («italiano o veneziano coloniale»); medieval lingua franca secondo Hall (1966) si riferisce ad una varietà romanza pidginizzata a base provenzale diffusasi al tempo delle crociate («la lingua mista dei Crociati»), mentre quando lo studioso si riferisce alla varietà di area barbaresca compresa tra il XVII ed il XIX secolo utilizza il termine generico lingua franca; per i Kahane e Tietze lingua franca si riferisce impropriamente al linguaggio marinaresco del Mediterraneo («la lingua franca dei Kahane»301). Vedremo più

dettagliatamente nel corso di questo approfondimento sugli studi di Cifoletti, che cosa si intenda per lingua franca mediterranea e lingua franca barbaresca, ed anche come e perché questa distinzione si sia rivelata necessaria al fine di proseguire adeguatamente gli studi su tale argomento. Nel volume dell’89 non si accenna a tale distinzione e sotto l’etichetta lingua franca rientrano, senza possibilità di disambiguazione tutte le realtà storico-linguistiche a cui abbiamo accennato. Solo per necessità talvolta l’autore ricorre all’etichetta “magrebina”. In proposito l’autore inaugura il primo capitolo del volume dell’89 con una definizione della lingua franca accompagnata da una nota programmatica, in cui introduce al lettore il significato che egli attribuirà nel corso della trattazione al termine lingua franca. Leggiamo:

Dopo il magistrale articolo di Schuchardt (1909), generalmente gli studiosi intendono per lingua franca un pidgin (soprattutto a base italiana e spagnola), oggi estinto ma documentato da precise testimonianze storiche, che era parlato soprattutto ad Algeri tra la fine del XVI secolo e gli ultimi anni del XIX secolo. Questa lingua non era certo limitata all’Algeria, anzi la si poteva sentire abbastanza usuale in tutti i principali porti magrebini, non doveva essere estranea neppure ai porti dei paesi cristiani del Mediterraneo (in primo luogo Venezia), ed aveva un certo ruolo anche nelle grandi città del Mediterraneo orientale (Costantinopoli e perfino il Cairo); ma i documenti algerini sopravanzano di gran lunga tutti gli altri. Limitare la denominazione di lingua franca a questa realtà è certo proficuo per noi, perché così si individua un’entità linguistica distinta da tutte le altre e non priva d’interesse per lo studioso; in effetti, nella presente opera sarà questo il significato che daremo a questa espressione302.

L’utilizzo dell’aggettivo “mediterranea” non ha qui alcun valore distintivo, poiché, come accennato dallo studioso nel primo capitolo dell’opera, per riferirsi alla realtà algerina e

301 Tra parentesi sono riportate le denominazioni conferite da Cifoletti a tali realtà nel volume dell’89. 302 G.CIFOLETTI, op. cit., 1989, p. 5. Il sottolineato è di Cifoletti.

tunisina utilizzerà il termine generico lingua franca. Soltanto a partire dal volume del 2004 l’autore avverte la necessità di coniare una nuova denominazione che possa distinguere la realtà magrebina barbaresca dalle altre associate alla genericità del termine lingua franca.

Nel capitolo successivo si affronta il tema della storia della formazione e dei testi di lingua franca, nei quali era utilizzata questa varietà, o almeno un suo surrogato, a scopo parodistico. Lungo lo spoglio delle fonti, per Cifoletti:

[…] il Villancico di Juan del Encina, databile intorno al 1520, […] ci mostra una lingua già abbastanza coerente nella sua pidginizzazione: questo può essere considerato il primo testo sicuramente in lingua franca, anche se presenta alcune differenze dai testi successivi: in particolare il lessico sembra influenzato dal francese antico303.

Proprio come per Schuchardt, anche per Cifoletti la prima fonte attendibile per la descrizione del contesto sociolinguistico di Algeri è la Topographia di Haedo del 1612, in cui la lingua franca è collegata esplicitamente al colloquio con gli schiavi ed impiegata in qualità di lingua veicolare. Per Cifoletti resta da chiarire «il perché i Magrebini, pur essendo i padroni, offrivano ai loro schiavi (e agli altri Europei) una versione pidginizzata di lingua neolatina, anziché di arabo o di turco»304. Fra i motivi principali e le condizioni

storico-geografiche che possono aver influenzato questo fenomeno, figura per lo studioso, il prestigio indiscusso di cui godeva la lingua italiana in tutto il bacino del Mediterraneo, rispetto all’arabo. Questa motivazione tuttavia non sarebbe sufficiente da sola, infatti per Cifoletti «la spiegazione più semplice può essere il supporre che la lingua franca facesse già parte del loro repertorio, prima che iniziasse il periodo aureo della pirateria»305. Intorno ai secoli XIV, XV e XVI numerosi avamposti commerciali o

strategici erano in mano a stati europei cristiani, come l’isolotto del Peñon di fronte al porto di Algeri, rimasto in mano spagnola per tutto il XV secolo fino al 1529. Probabilmente «un predominio politico dei “Franchi” non fu tipico solo dell’Oriente durante l’epoca delle crociate, ma anche in area magrebina esistevano zone sotto il loro controllo: ed anche là potrebbe essersi sviluppata una lingua di scambio»306.

303 Ivi, p. 15. 304 Ivi, p. 19. 305 Ibidem. 306 Ivi, p. 20.

Contrariamente alla tesi proposta da Whinnom, per Cifoletti la lingua franca di epoca pre-barbaresca non si sviluppò in quanto lingua commerciale, «perché in quei secoli i mercanti erano soprattutto italiani, non arabi; ed è inverosimile che chi compra si adatti ad imparare la lingua di chi vende, mentre può benissimo avvenire il contrario»307.

Tuttavia l’autore non chiarisce quali sia la funzione attraverso la quale la lingua franca pre-barbaresca si sia così ampiamente diffusa, aggiunge soltanto che:

[…] ciò non esclude tuttavia che si sia potuto parlare lingua franca nei paesi magrebini anche per transazioni commerciali: una volta che questa convenzione linguistica era stabilita, i Mori potevano avere convenienza ad imparare una lingua che li metteva in contatto non solo con gli schiavi, ma anche con gli Europei facoltosi308.

In base alle fonti più autorevoli sull’argomento, secondo Cifoletti (1989) possiamo suddividere la lingua franca in tre periodi, o per meglio dire, tre diverse fasi:

1) «Il periodo delle origini: in cui la lingua franca era utilizzata nei territori musulmani sottoposti a dominio europeo (come nel caso della Zerbitana) o anche, in modo relativamente limitato e saltuario, con viaggiatori o mercanti europei nei paesi mediorientali, o viceversa con orientali che per varie ragioni si trovavano nei porti europei»309. Cifoletti ipotizza che nei luoghi del Mediterraneo in cui il

fenomeno della pirateria non si sia mai sviluppato, la varietà di lingua franca in uso possa essere rimasta a questo livello di pidgin iniziale, più vicina ad un gergo commerciale.

2) «Il periodo dei pirati barbareschi (limitato ai porti magrebini tra la fine del XVI secolo e il 1830), che è di certo il più importante perché allora la lingua franca ebbe la sua grande occasione di diventare una lingua d’uso quotidiano»310. L’autore non

manca di ricordare che i documenti qualitativamente e quantitativamente più rilevanti risalgono proprio a quest’epoca e provengono esattamente da questi luoghi, dai quali si ricava difatti «una lingua abbastanza coerente, della quale si possono indicare con chiarezza le tendenze generali»311.

3) «Il periodo del sabir, ovvero della colonizzazione francese dell’Algeria (dal 1830 alla fine del XIX secolo) nel quale possiamo seguire la progressiva francesizzazione di questa lingua, che però rimase a lungo un pidgin bilaterale»312.

307 Ibidem. 308 Ibidem. 309 Ivi, p. 22. 310 Ivi, p. 23. 311 Ibidem. 312 Ibidem.

Così come in Algeria, in seguito all’arrivo dei francesi, anche negli altri territori del Mediterraneo «la lingua franca ebbe un’evoluzione non molto diversa, nel senso che anche là divenne appannaggio degli strati più popolari e infine cedette il passo di fronte ad una più precisa conoscenza delle lingue europee»313.

L’opera costituisce il primo vero approccio dello studioso alla problematica della lingua franca, fornendone una descrizione in chiave sociolinguistica e accompagnando la discussione con un’appendice di testi curata da Renata Zago, i cui studi sull’utilizzo della lingua franca in ambito letterario restano ad oggi un punto di riferimento.

Confronteremo adesso il volume del 1989 con l’ultima pubblicazione dello studioso sull’argomento, il lavoro del 2011 intitolato La lingua franca barbaresca. Essa rappresenta al momento probabilmente la più completa descrizione e spiegazione del fenomeno della lingua franca, corredata anch’essa in appendice, come fu per lo studio dell’89, da un’antologia di testi di lingua franca barbaresca e di sabir. L’opera contiene anche una riproduzione completa del Dictionnaire del 1830. Lo scopo in questa sede è di riportare analogie e divergenze nella riflessione dello studioso confrontando le due opere.

Fin dall’inizio del primo capitolo Cifoletti spiega il motivo per cui ha scelto di eliminare l’aggettivo “mediterranea” dal termine lingua franca:

[…] esso sembra che produca un singolare fascino su di noi che viviamo agli albori del XXI secolo. In particolare è proprio il mar Mediterraneo che esercita sui nostri animi una speciale ed intensa suggestione, perché attorno ad esso sta la radice della nostra civiltà314.

L’attributo “mediterranea”, intriso di un neppur troppo velato misticismo e fascino commisto a nostalgia, sarebbe responsabile, per l’autore, dell’ondata di fantasticherie e speculazioni al limite della verosimiglianza sull’argomento, che hanno portato anche studiosi attenti e scrupolosi a deduzioni improprie o scarsamente documentate. Lo studioso si riferisce in particolar modo a Hall (1966), «un’opera che ha fatto epoca, su cui si sono formate generazioni di studiosi»315 e in cui la trattazione dell’argomento si apre

con una riflessione sulla lingua franca argomentata con «affermazioni così poco

313 Ibidem.

314 G.CIFOLETTI,op. cit., 2011, p. 9. 315 Ivi, p. 10.

documentate e strane»316. In proposito abbiamo già riportato l’opinione di Cifoletti supra,

che anche in questo volume si conserva invariata rispetto a quanto affermato nel 1989. Parimenti sono criticati l’uso del termine lingua franca da parte dei coniugi Kahane e da Tietze (1958) e le affermazioni di Whinnom (1971) sulla genesi della lingua franca come lingua del commercio: Cifoletti non esclude che i parlanti se ne servissero anche a questo scopo, ma:

[…] si dà il caso che nessuna delle testimonianze di lingua franca magrebina da me conosciuta si riferisca al commercio, e ciò mi autorizza a ritenere che questo non fosse l’uso più importante, o almeno non fosse l’uso che i contemporanei consideravano più importante317.

Troviamo qui un'altra critica ad un’opera pubblicata nel 1996 da John Wansbrough Lingua Franca in the Mediterranean, assente ovviamente nell’opera del 1989. In realtà, anche qui, si occupa di un argomento che poco ha a che fare con ciò che noi intendiamo con lingua franca. Per Wansbrough infatti, sotto l’etichetta lingua franca rientrerebbe «the language of commerce and diplomacy during the period from 1500 BCE to 1500 CE»318, attribuendo un nuovo significato ad un’etichetta che ne aveva forse già assunti

troppi. Probabilmente Wansbrough impiega il termine lingua franca in modo improprio, confondendo la genericità di lingua franca in quanto termine per riferirsi ad una qualsiasi lingua veicolare, e l’utilizzo di esso in quanto varietà romanza semplificata inserita in una realtà sociolinguistica storicamente determinata. In proposito Cifoletti dichiara:

[…] non posso fare a meno di esprimere il mio disagio di fronte ad un’opera che mette insieme realtà tanto eterogenee come la lingua della cancelleria assira, l’arabo dei califfi omayyadi, l’aramaico utilizzato per l’amministrazione dell’impero achemenide, le tavolette di Ugarit, i trattati commerciali dei comuni italiani con Bisanzio, le tavolette micenee, gli accordi degli Ottomani con la regina Elisabetta, la lingua franca dei pirati barbareschi e la lingua greca usata nell’amministrazione dell’impero romano319.

A questo punto del testo l’autore tratta uno degli aspetti che differenziano maggiormente l’opera del 1989 e quella del 2011, presentando una precisazione sull’uso del termine lingua franca ed operando una piccola, ma necessaria, rivoluzione terminologica. Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, in questo volume lo studioso accosta la denominazione barbaresca per distinguere il fenomeno della lingua

316 Ibidem. 317 Ivi, p. 13.

318 J.E.WANSBROUGH,Lingua Franca in the Mediterranean, Curzon Press, Richmond, Surrey, 1996, p. VII. 319 G.CIFOLETTI,op. cit., 2011, p. 13.

franca delle reggenze da tutte le altre realtà linguistiche che possono rientrare sotto quest’etichetta. Egli stesso precisa che «siccome non tratto della lingua franca come l’hanno intesa gli autori sopra menzionati, […] penso sia opportuno dire che l’argomento di questa monografia è la lingua franca barbaresca»320. Con l’adozione di questo aggettivo

l‘autore dichiara di:

[…] eliminare il termine mediterraneo che come abbiamo visto è troppo suggestivo ed evocativo, distinguo l’oggetto del mio studio da quello dei Kahane o di Wansbrough, e nello stesso tempo introduco un’importante novità rispetto alla nozione di lingua franca teorizzata da Schuchardt: […] il termine magrebino è essenzialmente geografico e non storico, […] invece l’aggettivo barbaresco si riferisce soltanto a quell’ambiente in cui si parlava questo pidgin321.

Introducendo la sezione sui testi di lingua franca, l’autore, come già nel volume del 1989, riconferma quanto sostenuto precedentemente, cioè che i testi precedenti al XVII secolo, appartenenti alla fase da lui definita del “periodo delle origini” riflettono l’esistenza di un pidgin iniziale a base italiana, e che tale pidgin abbia raggiunto stabilità soltanto a partire dal XVII secolo ed unicamente negli stati barbareschi. Pertanto nell’appendice delle testimonianze sono riportati solo documenti appartenenti alla fase barbaresca, cioè a partire dal XVII secolo, ne sono esclusi in questo volume quelli di natura letteraria e precedenti tale secolo.

In conclusione Cifoletti fornisce una definizione riassuntiva di ciò che la lingua franca rappresenta nella sua opera:

[…] il pidgin a base soprattutto italiana che in età moderna, (ovvero quando fu in auge l’impero ottomano, e fino alla conquista di Algeri nel 1830) fu usato in tutto il Mediterraneo: ma solo negli stati barbareschi raggiunse il livello di pidgin stabile e di conseguenza una netta autonomia dalla lingua lessicalizzante, mentre altrove si può anche dubitare che sia stato bilaterale; per questo motivo solo la variante barbaresca della lingua franca mi appare degna di una trattazione speciale nel presente volume. In altre parole, non nego l’esistenza di una lingua franca mediterranea (diffusa cioè in tutto il Mediterraneo, con varianti diverse nel tempo e nello spazio), ma affermo che nel suo ambito la lingua franca barbaresca ha agito da nucleo propulsore, da centro motore; ed è stata una realtà linguistica afferrabile, mentre i vari documenti sopra menzionati non possono essere ricondotti ad una descrizione linguistica unitaria322.

320 Ivi, p. 14. 321 Ibidem.

322 Ivi, pp. 18-19. Anche qui il corsivo è da attribuirsi a Cifoletti. I documenti sopra menzionati sono il Contrasto della Zerbitana, il Villancico e la Zingana. Si veda in proposito la sezione dedicata ai documenti di lingua franca

Il volume del 2011 rappresenta un ampliamento ed un approfondimento degli studi precedenti, ed una sintesi del lavoro condotto dallo studioso fino ad oggi. Come abbiamo notato, nella parte introduttiva dell’elaborato, l’elemento di maggiore rilevanza resta la precisazione storico-geografica rispetto al carattere di maggior vaghezza ed arbitrarietà del semplice termine lingua franca. Per questo motivo il presente volume è stato preso da chi scrive come opera di riferimento per la redazione della sezione riguardante la descrizione dei fenomeni e delle caratteristiche linguistiche tipiche della lingua franca barbaresca. Allo stesso modo, data la validità della posizione cifolettiana, si utilizza in questa sede la terminologia dello studioso, che ha senz’altro il merito di aver settorializzato e circoscritto entro confini precisi e ben delineati l’argomento, permettendo di fugare qualsiasi ambiguità o inappropriatezza nell’uso.