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IV STUDI CRITICI SULLA LINGUA FRANCA

XIV- XVII, la qualità e la quantità di esposizione alla lingua target e delle interazioni comunicative poteva dare luogo variamente a ciascuna delle varietà sopra citate.

IV.10 Jocelyne Dakhlia, la lingua franca come langue métissée (2008)

L’opera della Dakhlia, pubblicata nel 2008, si dichiara apertamente un lavoro costruito soprattutto attraverso una chiave di lettura storico-antropologica. Del resto, l’autrice dichiara di non essere una linguista e, pertanto, di non trattare la lingua franca in tal senso. Come già Cifoletti aveva notato nello studio del 2011, l’opera della Dakhlia si colloca nell’economia degli studi critici sulla lingua franca soprattutto per la fine ricostruzione storico-sociale del contesto di sviluppo. Purtroppo non altrettanto valide sono ritenute le considerazioni etimologiche e linguistiche. Cifoletti rimprovera alla Dakhlia l’impiego arbitrario ed improprio di termini legati ad una precisa definizione scientifica in linguistica, come quella di pidgin e di “lingua mista”, solo per citarne alcuni. Vedremo come la Dakhlia affronta la questione della lingua franca, della sua diffusione, della sua durata, della terminologia e delle diverse realtà che fanno capo a questa etichetta, del problema dell’asimmetria delle fonti, dei contesti di utilizzo di tale varietà e dell’estinzione iniziata a partire dalla metà del XIX secolo.

Nel capitolo introduttivo la studiosa presenta tre possibili accezioni legate al termine lingua franca, partendo dalla prima, la più generica: «une langue franque nous paraît synonyme de “lieu consensuel”; au sens où l’on parle de “lingua franca rituelle”, par exemple; ou de langue franque musicale»337. Nella seconda accezione tale termine

indica «une langue “nationale”, ou une langue d’un groupe, lorsque celle-ci devient une langue véhiculaire, une “langue de contact” comme l’est aujourd’hui l’anglais dans l’ensemble du monde»338. La terza accezione è quella strettamente linguistica; infatti «les

linguistes désignent come “langue franque” des mixtes de langues usités entre des locuteurs que n’unit aucune autre langue commune, et dont l’existence est limitée dans le temps; […] leur nom générique leur vient précisément de la Langue franque méditerranéenne»339. È evidente che sarà proprio in base a questa terza accezione che è

utilizzato nel volume della Dakhlia il termine lingua franca.

337 J.DAKHLIA, op. cit., p. 14.

338 Ibidem.

339 Ivi, p. 15. Dakhlia si serve del maiuscolo per distinguere l’utilizzo del termine lingua franca dal suo significato

In seguito la studiosa propone una definizione della lingua franca:

[…] la langue franque méditerranéenne, en effet, est un pidgin de langues romanes, latine, dans lequel l’arabe, le judéo-arabe, le turc et les autres langues propres au monde islamique, incluant le grec ou l’arménien, n’occupent qu’une place très marginale. Toutes les descriptions des linguistes s’accordent sur ce caractère très fortement prédominant des langues romanes dans la composition de ce parler340.

Questa varietà di lingua métisse è dotata di una morfologia propria, con fenomeni ascrivibili alla famiglia linguistica dei pidgin e di essa mostra di possedere molte delle caratteristiche prototipiche; infatti «la langue franque n’est pas, sur le principe, un “italien corrompu”»341. Lo scopo dell’opera sarà quindi:

[…] moins d’identifier la langue franque “pure”, de la différencier d’autres langues romanes en usage en Méditerranée, que d’établir ce que recouvrait cette notion pour ceux qui en usaient et de clarifier les situations d’énonciation dans lesquelles le phénomène était avéré342.

In particolare la studiosa si occupa di indagare «comment se construisait un lieu neutre, ou un lieu d’échange possible en contexte d’adversité et pourquoi ce lieu supposé médian pouvait s’avérer dissymétrique, inégal»343. Per riprendere la questione in termini più

generali, quali sono stati i fattori che hanno giocato un ruolo di maggiore influenza nella formazione della lingua franca in quanto luogo di incontro interlinguistico neutro, e che hanno incoraggiato la lessificazione a base prevalentemente romanza.

La lingua franca pertanto, «n’est pas une langue de prestige, ni une “langue de civilisation”. […] C’est une langue infraculturelle ou supraculturelle, […] une langue utilitaire, triviale, par conséquent, et sans prestige pour qui en use».344Per quanto riguarda

invece la questione della genesi, la Dakhlia non ritiene che si possa appoggiare la tesi di Hall sull’origine in epoca crociata, infatti «les Croisades, même si cette hypothèse est discutée, seraient pour bon nombre de linguistes, nous l’avons souligné, son origine éponymique et matricielle»345; la sua diffusione e la sua stabilizzazione si verificano

soltanto in epoca moderna con la guerra da corsa, infatti «sa fixation documentaire, la multiplication de son empreintes dans les sources historiques et littéraires procédent

340 Ivi, p. 16. Non si comprende il motivo per cui l’autrice scelga di mettere in corsivo “romanes”. 341 Ivi, p.19.

342 Ivi, p. 20. 343 Ibidem. 344 Ivi, p. 21 345 Ivi, p. 26.

aussi, pour une très large part, des aléas de la course et de l’histoire de la captivité»346.

Inutile sottolineare dopo tali affermazioni, quanto il contesto storico-sociale della città di Algeri abbia contribuito notevolmente all’affermazione di tali processi, qualificando tale città a pieno titolo come centro privilegiato per gli studi sulla lingua franca.

Assieme ad Hall, anche Richard (1962), come abbiamo già visto in Whinnom (1977), appoggia l’ipotesi di una filiazione diretta tra ciò che egli chiama lingua franca delle crociate e ciò che noi chiamiamo lingua franca barbaresca, tuttavia la studiosa non manca di sottolineare come in realtà queste due etichette indicassero ed indicano tutt’oggi due realtà parimenti complesse, ma molto diversificate tra loro; perciò in ugual misura si rivela limitante e restrittivo identificare la lingua franca meramente come «une langue essentiellement servile, la langue des esclaves»347, ponendo rilievo soltanto al contesto

barbaresco.

Contro la tesi del Richard (1962), che identificava come langue franque la lingua di composizione di un conto del 1423 di area cipriota si era già schierato Whinnom (1977), poiché invano si è ricercato in tali documenti ciprioti la presenza delle caratteristiche tipiche della lingua franca di area barbaresca o almeno più genericamente della lingua franca mediterranea. Si tratta piuttosto «d’une pratique d’alternance codique, mêlant le français, l’italien et le latin avec quelque élément de grec»348. Si potrebbe

ipotizzare che tali documenti presagiscano un futuro utilizzo della lingua franca in ambito diplomatico o cancelleresco, tuttavia, come già accennato a proposito del paragrafo dedicato a Whinnom, gli archivi delle cancellerie presenti sul territorio magrebino non hanno confermato tale uso, infatti «ces archives de chancellerie pidginisées ne sont pas assimilable par ellesmême à la langue franque en tant que langue reconnue et nommée comme telle»349. In realtà le carte Cremona non mostrano una varietà pidginizzata di

italiano, ma piuttosto una varietà leggermente disturbata di italiano letterario dell’epoca. Anche per la Dakhlia l’ipotesi di un impiego della lingua franca in qualsiasi contesto scritto è da ritenersi dunque inverosimile, al di là delle prove documentarie che non supportano questa tesi, è necessario anche considerare che probabilmente essa sarebbe esclusa da tale utilizzo a causa della sua natura stessa di pidgin. All’interno dei testi

346 Ibidem. 347 Ivi, p. 34. 348 Ivi, p. 44. 349 Ivi, p. 46.

letterari appartenenti alla fase che abbiamo definito “fase del pidgin iniziale”, si trovano testi che presentano alcune delle caratteristiche della lingua franca barbaresca, allo stesso modo sono presentati dalla studiosa come «représentation littéraire»350 di questa

lingua. A tale gruppo di prefigurazioni appartengono il Contrasto della Zerbitana, il Villancico di Encina e la Zingana di Giancarli.

La Dakhlia pone in questa parte del saggio una riflessione di tipo antropologico e sociale sull’utilizzo della lingua franca da parte del genere femminile, come emerge dai testi letterari sopra citati; in particolar modo nel Contrasto e nella Zingana sono soltanto le figure femminili a parlar franco. Questo presunto uso femminile si pone in contrasto con quanto sostenuto dalla maggior parte dei linguisti a proposito delle lingue veicolari lato sensu, che caratterizzano «les langues franques comme relevant, au contraire, d’un usage masculin, puisqu’elle concernaient au premier chef la sphère de l’échange, du contact avec le monde extérieur»351. Dobbiamo tuttavia aggiungere che le prove

presentate non sono in realtà sufficientemente autorevoli per poter affermare con sicurezza una competenza femminile della lingua franca, data la natura letteraria dei testi. Soltanto in Haedo (1612)352 si fa riferimento ad un uso domestico della lingua franca e

ad una competenza diffusa in tutti gli strati sociali, quindi ivi comprese le donne, poiché impiegata anche in ambito domestico. Si tratta di un’intuizione senz’altro innovativa, che non possiamo tuttavia avvalorare pienamente, poiché risulta poco prudente ipotizzare un simile impiego della lingua franca a partire da fonti esclusivamente di natura letteraria.

La studiosa prosegue la trattazione introducendo il tema della vaghezza del termine lingua franca. Esso può indicare al contempo, come abbiamo spiegato precedentemente, un fenomeno singolare o una pluralità di realtà linguistiche diversificate tra loro. La selezione della realtà barbaresca, che è in qualche modo, almeno in questa sede, la realtà in qualche modo prototipica, è giustificata dall’incremento a partire dal XVI secolo delle testimonianze e dei documenti di tale varietà. Infatti è proprio in epoca barbaresca che si verificano «le développement de la course en Méditerranée […] une forte expansion des

350 Ivi, p. 47.

351 Ivi, p. 50. La studiosa, non cita alcun nome di studioso in particolare.

352 Vi si allude nella Topographia al folio 23 verso e 24 recto: «Este hablar franco es tan general, que no hay casa do

no se use, y porque tampoco no hay ninguna do no tengan cristiano y cristianos, muchas que no hay turco ni moro grande ni pequeño, hombre o mujer, hasta los niños, que poco o mucho y los más dellos muy bien no le hablan, y por él no entiendan los cristianos los cuales se acomodan al momento a aquel ha- blar».

échanges commerciaux et de toutes formes de circulation d’hommes, de capitaux et de biens»353; Per la Dakhlia, sempre nel periodo barbaresco:

[…] par contraste avec les premiers documents, tout aléatoire et biaisée que soit leur constitution en “corpus”, le paysage textuel de la langue franque paraît alors se modifier. Il se masculinise de manière considérable ; les femmes n’y ont plus la même visibilité que dans des œuvres telles que le Contrasto della Zerbitana ou La Zingana354.

La fase di stabilizzazione della lingua franca coinciderebbe per la Dakhlia con la fase in cui, all’interno delle fonti letterarie e non, la lingua franca si “mascolinizza”. Ciò che probabilmente si intende è che in realtà non scompare la competenza del genere femminile, ma semplicemente non ritroviamo nei documenti letterari e documentaristici di epoca successiva personaggi letterari, teatrali o figure reali di sesso femminile che si esprimano attraverso tale idioma.

Tra le fonti di epoca barbaresca più attendibili anche in questo saggio troviamo in primis Haedo (1612). Nella sua Topographia, infatti per la Dakhlia «les observations de Haëdo sur l’usage et la diffusion de la langue franque s’inscrivent en effet dans un tableau d’une grande richesse de la situation linguistique de la Régence d’Alger»355; di particolare

accuratezza sono le informazioni sull’impiego della lingua franca e sui gruppi etnici che coesistevano all’interno della realtà algerina. Senza alcun dubbio la città di Algeri, anche per la studiosa, rappresenta il centro a cui appartengono la maggior parte delle prove documentarie di lingua franca ed il luogo in cui essa ha potuto svilupparsi ulteriormente fino a stabilizzarsi; tale abbondanza di fonti non coinvolge l’area levantina e, nonostante la notevole asimmetria documentaria, in molte opere documentarie si riferisce che la lingua franca fosse ampiamente diffusa anche in queste zone. Il problema dell’asimmetria delle fonti documentarie era già stato affrontato in precedenza da Minervini, il cui studio è senz’altro conosciuto e apprezzato dalla Dakhlia.

Proseguendo oltre, la studiosa propone una classificazione della lingua franca:

[…] la langue franque n’est pas une langue simplement dérivée de l’altération d’une matrice. La lingua franca méditerranéenne présente aussi des formes syntaxique, une structure formelle minimale qui empêchent qu’on la confonde avec de l’italien dégrammaticalisé, si proche en soit-elle, sur le plan lexical

353 Ivi, pp. 58-59. 354 Ibidem. 355 Ivi, p. 62.

notamment. En un sens formel, elle ne se confond pas avec un italien pidginisé ou incorrect, broken italian, même si elle peut converger aussi vers cette réalité356.

Per la Dakhlia la lingua franca sarebbe una lingua métissée, non una forma di italiano sgrammaticato privo di qualsivoglia strutttura sintattica o morfologica, poichè, seppur in maniera estremamente semplificata, una morfologia è comunque presente. Nonostante l’impegno della storica, il senso con cui si attribuisce in tutta l’opera alla lingua franca tale denominazione di miscuglio o ibridazione non è chiaro dal punto di vista linguistico. Un’altra caratteristica della lingua franca che ne ha sicuramente contribuito ad avantaggiarne la diffusione geografica, i dominii di utilizzo e la longevità è la neutralità che la contraddistingue:

La lingua franca est une langue d’un mi-parcours, d’un chemin vers l’autre où l’on s’arrête à mi-distance. […] ce vehicule linguistique qui permet alors de se parler dans une langue qui n’est véritablement à personne. Chacun s’avance ainsi vers une sorte de terrain “neutre“, de no man’s langue357.

Oltre alla caratteristica della neutralità, essa soddisfa anche alcuni bisogni pragmatici in quanto:

[…] est un moyen de se rapprocher immédiatement, sans intermédiaire, de son interlocuteur, soit sur le monde de la familiarité, soit sur d’autres modes, la colère, par exemple, qui crée un besoin instantané, impératif, d’être entendu358.

Nonostante le due lingue lessificatrici di maggioranza siano due lingue romanze, e la forma si presenti notevolmente “europea”, essa era senz’altro percepita come una varietà neutra, poiché non costituiva una varietà pura di lingua romanza, e servirsene non era considerato disdicevole o blasfemo anche per coloro che esercitavano il potere ai piani alti delle reggenze barbaresche. La lingua franca sarebbe quindi una lingua métisse o métissée359, cioè non una lingua mista nel senso stretto del termine, ma una realtà

composita, che non implica necessariamente la fusione o l’avvicinamento delle due

356 Ivi, p. 89. 357 Ivi, p. 369. 358 Ivi, p. 373.

359 Per métisse, la studiosa probabilmente non intende “mista”. La lingua franca non sarebbe quindi una lingua mista,

che è da considerarsi una categoria a sé stante rispetto ai pidgin e ai creoli. Per lingue miste si intendono generalmente lingue formatesi in situazioni di contatto, esattamente come i pidgin, tuttavia, diversamente da

quest’ultimi, gli interlocutori hanno competenza di entrambe le lingue coinvolte nel contatto. Da tale contesto si viene tipicamente a creare una lingua in cui la struttura flessionale è fornita da una delle due lingue coinvolte ed il lessico è invece fornito dall’altra. Un classico esempio di lingua mista è la media lengua, in cui si combinano il lessico dello spagnolo e la grammatica del Quichua o Kichua, una varietà di lingua quechua amerindiana.

comunità coinvolte nel contatto linguistico. La realtà musulmana e quella cristiana si trovano a condividere uno spazio sociale e linguistico che conduce inevitabilmente ad una situazione di contatto prolungato ed intenso, in cui tuttavia una profonda separazione a livello socio-culturale resta ben marcata. Il fenomeno del métissage linguistico, così come la studiosa lo definisce, che coinvolge la lingua franca nelle aree della Barberia, in realtà non implica necessariamente un incontro di tipo culturale, poiché di fatto le due culture coabitano la realtà algerina senza diluire le rispettive frontiere sia metaforiche che reali; la studiosa insiste che «il n’y a donc pas lieu d’idéaliser la langue franque, ni de l’investir, comme telle, d’une valeur de rapprochement interculturel»360. La lingua

franca, in ragione delle suddette caratteristiche, era stata definita nell’introduzione una lingua infra-culturelle o supra-culturelle361, poiché rende possibile soltanto la mera

comunicazione intercomunitaria, ma il suo utilizzo, sebbene molto prolungato, non sfocia in un contatto o in una mescolanza di tipo culturale. Anche la figura del rinnegato, che potrebbe apparire come un esempio d’integrazione dell’elemento cristiano all’interno della società musulmana, in realtà non è niente di tutto ciò; dal nome stesso infatti si evince che per entrare a fare parte di tale mondo l’europeo è costretto a rinnegare la propria origine, la propria cultura, il proprio Dio e la propria lingua. Inoltre, come abbiamo già esposto, essi devono acquisire una marca di provenienza che viene collocata accanto al proprio neo acquisito nome islamico, in modo tale che si potesse riconoscere la loro precedente origine. Di fatto essi erano poi integrati all’interno del tessuto socio- culturale soltanto in seguito all’abbandono totale della cultura occidentale. La neutralità e la bilateralità verranno meno nella fase successiva al 1830, in cui la lingua franca cederà il passo al sabir, definito dalla Dakhlia «langue d’impuissance mimétique»362 .

Impuissance probabilmente è qui da intendersi in relazione al passaggio dalla bilateralità del pidgin barbaresco all’unilateralità del sabir coloniale francese; probabilmente il grado di puissance, è direttamente proporzionale al grado di veicolarità della lingua e di conseguenza una lingua unilaterale è da ritenersi appunto meno puissante.

L’analisi della Dakhlia si mostra convincente dal punto di vista storico- antropologico, fornendo ricostruzioni puntuali ed accurate riguardo il contesto magrebino, ma si dimostra estremamente carente ed imprecisa nei confronti dell’ambito

360 Ivi, p. 478. 361 Ivi, p. 21. 362 Ivi, p. 482.

linguistico. Il faux pas più sensazionale è senz’altro la definizione di lingua franca in quanto langue métisse, un termine che, acquisisce un significato fuorviante rispetto a quello che comunemente è chiamato a ricoprire in linguistica, indicando una mescolanza relativa alle lingue lessificatrici; ciò vuole alludere semplicemente al composito gruppo di lingue lessificatrici di origine romanze, tra cui si elencano in primis l’italiano (in cui rientrano il genovese ed il veneziano), lo spagnolo, il francese ed in misura minore il catalano, ed il provenzale. Già a partire dal primo studio linguistico di Schuchardt si pronunciava contrario ad una definizione della lingua franca in quanto frutto di una Sprachmischung, e molti altri studiosi tra cui Minervini, Venier, Cifoletti, non si sono discostati da questa posizione, che resta tutt’oggi valida. Piuttosto che di mescolanza, appare senz’altro più corretto esprimersi in termini un processo di semplificazione in cui sono coinvolte in misura variabile più lingue lessificatrici

IV.11 Barbara Turchetta, la lingua franca in funzione della teoria monogenetica