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Fiorenzo Toso, la lingua franca come varietà di italiano L2 in base a nuove testimonianze (2008)

IV STUDI CRITICI SULLA LINGUA FRANCA

XIV- XVII, la qualità e la quantità di esposizione alla lingua target e delle interazioni comunicative poteva dare luogo variamente a ciascuna delle varietà sopra citate.

IV. 13 Fiorenzo Toso, la lingua franca come varietà di italiano L2 in base a nuove testimonianze (2008)

Fiorenzo Toso si è occupato principalmente del dialetto genovese e della sua diffusione in epoca medievale e moderna in tutto il bacino del Mediterraneo. Più specificamente lo studioso ha dedicato numerosi approfondimenti alle vicende della comunità tabarchina, italo-sarda e spagnola. La storia della comunità tabarchina382 è

legata a quella delle reggenze barbaresche e dei rapporti tra l’Europa romanza ed il Maghreb musulmano. L’intento dell’articolo è chiaro e manifesto rispetto ai contributi di Cifoletti, già a partire dal titolo scelto, Alcuni testi non segnalati o poco noti di Lingua

Franca. L’autore infatti, considerando proprio considerando alcuni testi di lingua franca

ancora trascurati, tenta di formulare una nuova ed aggiornata concezione riguardo alla

381 Ivi, p. 301. Per “messe in scena” l’autrice si riferisce appunto all’opera citata di Molière. 382 Si veda nota 126 p. 170.

questione della lingua franca. Già dalle prime pagine dell’articolo lo studioso dichiara apertamente le proprie perplessità riguardo al considerare in modo aproblematico la

lingua franca «un vero e proprio pidgin bilaterale e stabilizzato»383, sia che ci si riferisca a ciò che finora abbiamo chiamato lingua franca mediterranea sia alla variante barbaresca. Conoscendo il settore di competenza dello studioso, non ci stupiremmo affatto che la maggior parte dei testi presentati appartengano o siano legati in qualche misura alla storia del popolo tabarchino, e più ampliamente della città di Genova e della diffusione del suo dialetto.

Dopo aver presentato nel capitolo III.2 e III.3 alcuni testi inediti di lingua franca, suggeriti dalle opere di Toso, in questo paragrafo ci occuperemo di commentare il pensiero e la visione dello studioso riguardo al fenomeno della lingua franca. Egli ritiene che «tutta la documentazione relativa al fenomeno, induca a valutare con estrema prudenza, quanto meno, l’ipotesi di una varietà assurta, in quanto pidgin, a piena autonomia di “idioma” rispetto alla lingua (o alle lingue) di cui la LF si propone come una “semplificazione”»384. In particolare per quanto riguarda la situazione tunisina,

probabilmente alla luce della forte e ben documentata presenza dell’italiano di ambito diplomatico e cancelleresco, Toso ritiene che la portata e la valutazione delle testimonianze di lingua franca vadano ridimensionate e poste le une a confronto con le altre; in questo senso per l’area tunisina si dovrebbe parlare piuttosto di un fenomeno di complessa, multiforme e diffusa italianità, articolata e stratificata, vanificando quel carattere di necessità di cui la lingua franca dovrebbe essere primariamente caratterizzata in quanto pidgin. A sostegno di tale posizione, Toso riporta in una nota al testo la riflessione di Baglioni sullo status della lingua franca in ambito tunisino:

Senza addentrarci nella complessità nelle complessa questione dell’esistenza di un pidgin a base italiana sulle coste nordafricane della prima età moderna e sui possibili rapporti di una tale varietà da un lato con i fenomeni di mistilinguismo attestati nel Levante bassomedievale e dall’altro con i creoli moderni […], ci si limiterà a notare le corrispondenze tra i fenomeni osservati e le testimonianze riportate dai viaggiatori occidentali tra il Seicento e l’Ottocento a proposito della cosiddetta lingua franca barbaresca […]. Tutto lascia pensare, […] che i tratti innovativi presenti qua e là nel corpus siano il riflesso di profonde trasformazioni in atto nell’italiano parlato sulle coste nordafricane: quanto queste fossero limitate agli idioletti dei singoli parlanti oppure si fossero affermate in una langue condivisa, però, non è dato saperlo385.

383 F.TOSO, op. cit., 2012, p. 90. 384 Ivi, p. 121.

Per Baglioni i tratti attribuiti convenzionalmente alla lingua franca di area barbaresca sarebbero quindi in realtà fenomeni di semplificazione che interessano non un pidgin, ma una varietà di italiano parlato, che si porrebbe ad un livello diastratico inferiore rispetto all’utilizzo diplomatico e cancelleresco.

Ancora una volta la natura stessa della documentazione relativa al fenomeno della lingua

franca è ritenuta frammentaria ed «esterna all’ambiente nel quale il presunto pidgin

sarebbe stato praticato»386, poiché documenti di natura teatrale, documentaristica e

letteraria non soltanto furono redatti da mano europea, ma «nel migliore dei casi rappresentano pur sempre una sistemazione a posteriori e una stilizzazione di impressioni e ricordi di persone entrate solo momentaneamente in contatto con l’ambiente barbaresco»387. A riprova di questa riflessione l’autore rimarca la totale assenza di prove

documentarie provenienti dall’area barbaresca, ma redatte da abitanti locali, in cui si faccia anche solo menzione alla presenza di un pidgin barbaresco; tale mancanza di simmetria induce lo studioso a ritenere che: «la LF rappresentasse, nella migliore delle ipotesi, una forma di utilizzo unilaterale di una o più varianti semplificate di lingue e dialetti romanzi»388. Tuttavia queste considerazione non portano Toso a negare

l’esistenza di un fenomeno linguistico multiforme che si identifica con la lingua franca, ma lo inducono «a ridimensionare o quanto meno a riconsiderarne le funzioni e la portata, riconducendolo nel quadro di una presenza articolata delle “lingue d’Italia” e di altre varietà romanze lungo le coste dell’Africa settentrionale»389. Per riassumere quanto

appena riportato, Toso non abbraccia la tesi dell’autonomia della lingua franca in quanto pidgin stabile bilaterale, come rivendicato da Cifoletti ad esempio, ma sostiene invece che:

[…] le manifestazioni a noi note vengono a corrispondere in maniera piuttosto coerente con la

rappresentazione di una varietà bassa di L2, il cui apprendimento elementare aveva luogo in un contesto di plurilinguismo che poteva anche sfociare in una relativa confusione tra varietà geneticamente affini, e preferisco insistere sul carattere di “rappresentazione”, quindi di una testimonianza indiretta, anche perché la documentazione di LF sembra esserci pervenuta spesso come blasone identificativo e stereotipo linguistico più che come registrazione autentica della corrispondente fenomenologia comunicativa. […] La LF poté essere davvero un italiano parlato male o “corrotto”, […] e forse per certi aspetti anche un “miscuglio” di italiano ed altre lingue romanze390.

386 Ivi, p. 124. 387 Ibidem. 388 Ibidem. 389 Ibidem.

La lingua franca costituirebbe per lo studioso genovese una varietà di apprendimento di italiano L2, poiché non dimostra di possedere le caratteristiche necessarie per essere

considerata un pidgin a tutti gli effetti. Ma allora perché molti studiosi si riferiscono ad essa proprio con quest’etichetta? Toso individua nella teoria monogenetica sulla genesi dei pidgin e dei creoli formulata da Whinnom (1977a), l’origine della fortuna, forse eccessiva, di cui ha goduto la riflessione sulla lingua franca intesa come lingua assurta a piena autonomia strutturale. Il livello di stereotipizzazione ed il carattere indiretto delle testimonianze, così come la loro natura letteraria e meta-letteraria, la completa asimmetria degli autori di tali testimonianze in termini di provenienza geografica, rendono difficoltoso conferire a questa varietà lo status di pidgin. Per concludere il saggio Toso rimarca nuovamente la mancanza di prove per sostenere l’autonomia della lingua franca:

[…] che un italiano parlato male e alquanto semplificato sia stato la lingua usata da numerosi esponenti delle popolazione locali nei contatti con gli europei, rientra pienamente nella logica delle cose, ma è questa logica ad impedire di considerarlo un idioma a se stante: a quanto pare non c’era bisogno, nel Mediterraneo dell’età moderna, di una lingua altra dall’italiano, se l’italiano con le sue varietà e i suoi idiomi collegati ha rappresentato per secoli, una lingua funzionale alle esigenze della comunicazione interetnica391.

Il confine tra lingue pidgin e varietà di apprendimento di L2 o interlingue resta molto difficile da tracciare categoricamente, come dimostrato anche dagli interessantissimi studi condotti da Ingo Plag (2008; 2009)392. Queste due realtà si dimostrano molto più

affini di quanto si immagini, poiché entrambe riconducibili a processi universali di semplificazione del linguaggio. Per interlingue s’intendono varietà di apprendimento di L2 in contesto spontaneo e non guidato, del tutto simile alla situazione di contatto da cui

hanno normalmente origine i pidgin. Le somiglianze e le analogie tra queste due varietà aumentano notevolmente nel momento in cui si indagano le caratteristiche ed i processi di questi due fenomeni distinti, ma affini, nelle rispettive fasi iniziali; è necessario infatti limitarsi alle fasi iniziali di entrambe le varietà, poiché proseguendo oltre, nelle fasi successive, tali analogie si riducono drasticamente. Quindi da un certo punto di vista non dovrebbe assolutamente impressionarci l’affermazione dell’autore in cui definisce la

391 Ivi, p. 128.

392Cfr. I.PLAG, Creoles as interlanguages: inflectional morphology, op. cit., 23(1), 2008, pp. 109-130; I.PLAG, Creoles as interlanguages: syntactic structures, «Journal of Pidgin and Creole Languages», 23(2), 2008, pp. 307-

328; I.PLAG,Creoles as interlanguages: phonology, op. cit., 24(1), 2009, pp. 121-140; I.PLAG, Creoles as

lingua franca come una varietà di italiano L2, data la vicinanza di essa con i pidgin iniziali.

Tuttavia, come sottolineato da Cifoletti, se considerassimo la lingua franca barbaresca come un pidgin stabile e non iniziale, tali analogie strutturali e processuali verrebbero meno. La questione del resto resta dibattuta, soprattutto sulla natura della lingua franca e sulla validità delle sue testimonianze, sul suo utilizzo e sulla sua diffusione. Toso, così come già Minervini (1996) e Venier (2010) si mostra scettico nel definire la lingua franca

barbaresca un pidgin a base italiana, ponendosi in contrasto con la riflessione di qualche

anno precedente svolta da Cifoletti. Il rapporto tra le varietà di apprendimento di italiano L2, la lingua franca barbaresca e le altre varietà di italiano semplificato (ISE e FAI) sarà

V LA LIGUA FRANCA BARBARESCA A CONFRONTO CON