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Digital strategy editoriale: un progetto di transmedia storytelling. La realizzazione di un ebook e la creazione del sito promozionale per il libro "Il Ponte di Adamo".

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Academic year: 2021

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D

IPARTIMENTO DI

L

ETTERATURA

,

F

ILOLOGIA E

L

INGUISTICA

Corso di Laurea Magistrale in Informatica Umanistica

D

IGITAL STRATEGY EDITORIALE

:

UN PROGETTO DI TRANSMEDIA STORYTELLING

.

LA REALIZZAZIONE DI UN E

-

BOOK E LA CREAZIONE DEL SITO PROMOZIONALE PER IL LIBRO

I

L

P

ONTE DI

A

DAMO

.

CANDIDATA

RELATRICE

Alice Terenziani Prof.ssa Nicoletta Salvatori

CORRELATRICE

Prof.ssa Maria Simi

(2)

Alla nonna Afra, che sarebbe fiera di me

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(4)

Indice

Introduzione... 5

Ringraziamenti ... 6

Capitolo 1 – Una cultura della convergenza ... 9

1.1 Il transmedia storytelling ... 9

1.2 Lo stato della ricerca: tipologie e possibili classificazioni teoriche... 11

1.3 Un nuovo coinvolgimento dell’audience ... 17

1.4 Strategie differenti: Star Wars e Harry Potter ... 18

Capitolo 2 – L’editoria che cambia ... 22

2.1 Nascita e sviluppo dell’e-book ... 22

2.2 I diversi formati ... 25

2.3 I canali di distribuzione ... 28

2.4 Il cambiamento dell’esperienza di lettura: books vs e-books? ... 30

2.5 Le differenze della lettura digitale ... 33

2.6 Breve storia dello sviluppo del mercato librario ... 35

2.7 La piccola e media editoria in Italia fra difficoltà passate e soluzioni future ... 38

Capitolo 3 – L’editing digitale del libro de Il Ponte di Adamo ... 41

3.1 Il libro ... 41

3.2 La proposta editoriale ... 42

3.3 Scelte tecniche ... 44

3.4 Il programma di editing: Sigil ... 46

3.5 Le parti dell’e-book ... 49

3.5.1 I fogli di stile... 49

3.5.2 Le immagini e i collegamenti esterni ... 51

3.5.3 La validazione ... 53

Capitolo 4 – Il sito e le operazioni promozionali ... 55

4.1 La digital strategy ... 55

4.1.1 Moltiplicare la storia: il marketing transmediale ... 56

4.1.2 Le risorse ... 58

(5)

4.1.4 I social ... 60

4.2 Wordpress.org ... 61

4.3 La creazione del sito ... 63

4.3.1 La homepage ... 66

4.3.2 Il libro, La storia, I luoghi e la compagnia ... 70

4.3.3 Galleria ... 71

4.3.4 Curiosità e La tua storia di viaggio ... 71

4.3.5 Contatti ... 72

4.4 I plugin ... 73

4.4.1 Yoast SEO ... 73

4.4.2 Monster Insights ... 75

4.4.3 Polylang ... 75

4.4.4 Custom Twitter Feeds, Face-book Page Plugin, Instagram Feed e Social Pug ... 76

4.4.5 Url - Preview box ... 76

4.5 Strumenti utili ... 77

4.6 I social e il calendario editoriale ... 78

Capitolo 5 – Il test di soddisfazione ... 84

5.1 L’importanza del feedback degli utenti ... 84

5.2 Il questionario di soddisfazione ... 84

5.3 L’analisi dei risultati ottenuti ... 88

Conclusioni ... 95

Bibliografia ... 97

Sitografia e videografia ... 100

Appendici ... 105

Appendice 1 - L’autore Luca Novelli e il mito dell’Eden ... 105

(6)
(7)

Introduzione

L’argomento di questa ricerca parte dalla digitalizzazione del libro Il Ponte di Adamo di Luca Novelli, realizzata durante un tirocinio presso la casa editrice milanese Francesco Brioschi Editore, ed è stato sviluppato nei mesi successivi. Il progetto ha infatti previsto una parte strettamente editoriale, legata alla creazione dell’ePub2 del libro, e una di marketing editoriale con lo sviluppo di una digital strategy promozionale, basata sulla tecnica narrativa comunemente chiamata «transmedia storytelling»: una modalità di comunicazione che prevede l’utilizzo di molteplici piattaforme mediali per diffondere, ampliare e far evolvere un messaggio o una storia, anche servendosi del coinvolgimento dei lettori.

Il Ponte di Adamo narra, attraverso il genere del diario di viaggio,

un’avventura in Sri Lanka compiuta dallo scrittore e da alcuni suoi collaboratori, alla riscoperta della leggenda che vuole l’isola come luogo di origine dell’umanità e sede del famoso Giardino dell’Eden. La scelta di creare un e-book in formato ePub2 ha tenuto conto delle peculiarità del libro, unite alla necessità che il prodotto finale costituisse una valida alternativa alla lettura cartacea, privilegiando l’accessibilità alla bellezza grafica garantita da un ePub3.

La strategia digitale per la promozione dell’e-book sfrutta in maniera combinata il blog personale, l’account Twitter e il canale Youtube dell’autore, le pagine Facebook e Instagram della casa editrice, una pagina Facebook dedicata al libro e un sito web, creato appositamente con Wordpress. Queste piattaforme offrono una moltiplicazione dell’esperienza di lettura attraverso le proprie specificità comunicative, utilizzando contenuti multimediali (immagini, video, interviste, una mappa interattiva, contest co-creativi etc.) e stimolando la partecipazione degli utenti, i quali, con fotografie, racconti e commenti, contribuiscono allo sviluppo della storia.

Il presente lavoro si articola in cinque capitoli: i primi due costituiscono il fondamento teorico della ricerca, mentre gli altri tre riguardano la realizzazione del progetto illustrato. Il primo capitolo, in particolare, approfondisce il concetto di transmedia storytelling, fornisce informazioni sullo stato della ricerca e adduce esempi pratici sul suo impiego nel settore dell’intrattenimento; il secondo si concentra sulla

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storia del libro elettronico, evidenziando l’impatto che esso ha avuto sull’esperienza di lettura e sul mercato editoriale italiano; il terzo riguarda l’editing digitale dell’ePub2 de Il Ponte di Adamo (informazioni sul libro, scelte compiute e strumenti utilizzati); il quarto capitolo è dedicato alla strategia di promozione digitale, della quale vengono illustrati gli scopi e le piattaforme mediali utilizzate, con particolare riguardo alla creazione del sito; il quinto, infine, introduce gli importanti concetti di ‘usabilità’ e ‘feedback’ e commenta i dati ottenuti da un questionario di soddisfazione sottoposto ad un gruppo di 63 utenti, inerente alcuni aspetti di utilizzo del sito web e determinante nel design definitivo di quest’ultimo.

Al di là dei risultati concreti raggiunti (il libro e il sito sono in via di pubblicazione dalla casa editrice), il principale contributo di questa ricerca credo sia quello di mostrare il complesso di competenze che vengono richieste a chi volesse curare oggi un progetto editoriale. Nonostante in editoria vi sia una certa specializzazione del lavoro soprattutto tra la parte grafica e quella prettamente editoriale, è altrettanto vero che oggi il mestiere dell’editor prevede una conoscenza piuttosto approfondita dei vari compiti che la pubblicazione e la vendita di un'opera editoriale, sia essa cartacea o digitale, comportano, anche nel caso che questi compiti possano poi essere svolti da diversi collaboratori (siano essi editor, informatici o esperti di marketing). In tal senso, il presente lavoro possa costituire un apprezzabile risultato in un corso di laurea innovativo, fondato proprio su questa consapevolezza.

Ringraziamenti

Prima di tutto vorrei ringraziare la relatrice di questa tesi di laurea, la Prof.ssa Nicoletta Salvatori, oltre che per il grande aiuto fornitomi nella stesura di questa relazione, anche per la disponibilità e l’appoggio dimostrati durante l’intero percorso. Ringrazio in egual modo la correlatrice, Prof.ssa Maria Simi, per avermi supportato nella parte realizzativa e avermi fornito preziosi strumenti per portare a compimento la tesi.

Vorrei ringraziare l’autore de Il Ponte di Adamo, Luca Novelli, per la sua collaborazione durante la fase di editing digitale e successivamente nella realizzazione del sito web; ringrazio anche i colleghi incontrati durante il mio tirocinio presso la Francesco Brioschi Editore, che mi hanno aiutato a raccogliere materiale importante per il progetto di tesi, in particolare grazie a Beatrice e Susanna, editor simpaticissime e disponibili a raccontarmi nei minimi dettagli il lavoro all’interno della redazione.

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Ringrazio poi tutti i miei colleghi di Informatica Umanistica: questa magistrale non sarebbe stata così bella senza di voi e senza il vostro appoggio, siete le mie “belle persone” sparse in giro per l’Italia.

Un ringraziamento particolare va poi alle coinquiline di San Ciccio, le quali sono state capaci di creare a Pisa una seconda famiglia che sarà difficile dover salutare: l’affetto, il supporto e la simpatia che mi hanno trasmesso sono stati indispensabili durante questi tre anni da fuorisede e hanno messo le radici per un legame che, sono sicura, durerà a lungo.

Vorrei ora ringraziare soprattutto i miei genitori, per credere sempre in ciò che faccio: anche se vi siete ritrovati una figlia ‘girandolona’, voi sarete il mio primo punto di riferimento in ogni momento.

Ora alcuni brevi ringraziamenti speciali: il primo va a Martina, grazie per esserci stata, anche ora dall’altra parte del mondo, con il cuore, con la mente e con la tua vivacità, capace di ascoltare anche quando saresti stata tu a dover essere ascoltata; il secondo ringraziamento è per Eleonora, ‘sorellona’ mancata, supporto principale durante la stesura di questa tesi e sempre al mio fianco: grazie per aver ascoltato tutte le mie lamentele e le mie paranoie di questi mesi, senza di te non credo ce l’avrei fatta (e ora ricambierò volentieri!); infine, grazie più di tutti a Francesco: scoprendo e consigliandomi questo corso di laurea hai il grandissimo merito di aver reso possibile tutto ciò e di essermi stato ancora una volta vicino nel portarlo a termine.

Da ultimo grazie a colei alla quale dedico questa tesi e che, non potendo essere presente sarà lei stessa il mio ‘angioletto’ custode in questo giorno importante: grazie nonna per avermi trasmesso l’importanza del completare con determinazione il mio percorso di studi, il tuo affettuoso e costante supporto è stato fondamentale per permettermi di arrivare fino a qui.

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Capitolo 1 – Una cultura della convergenza

1 1.1 Il transmedia storytelling

L’arte di raccontare storie esiste da sempre: l’umanità ha utilizzato le storie fin dalle origini come strumento fondamentale per dare un senso al nostro mondo. L’atto del narrare, detto anche storytelling, si può rappresentare in varie forme, individuali e collettive, e serve principalmente a dare un efficace mezzo di espressione alle emozioni umane. Le storie adempiono a bisogni diversi fra loro: diventano un mezzo di intrattenimento e di fuga dalla realtà, ci permettono di trasmettere la cultura e la storia, ci forniscono un modo per entrare in connessione con chi ci sta intorno e poter condividere chi siamo.2

Lo storytelling è dunque uno strumento naturale attraverso il quale può avvenire una forma di comunicazione efficace, che coinvolge contenuti, emozioni e persone. È inoltre attività collaborativa, grazie alla presenza di un narratore e di un ascoltatore, divenendo il miglior modo per poter trasferire conoscenza ed esperienza. Oltre che nel mondo dell’intrattenimento e dell’istruzione, caratteristiche di questo tipo divengono molto importanti anche nel marketing, campo in cui da sempre lo storytelling ricopre il ruolo di protagonista: infatti, saper comunicare correttamente e in maniera originale il proprio messaggio promozionale è vitale ai fini di risultati positivi e del successo dell'azienda stessa. Gli interlocutori d'impresa possono essere interni o esterni, e in base a questo si producono tipologie di storytelling con caratteristiche differenti, orientate, a seconda dei casi, più all’informazione e alla motivazione, o più al convincimento e alla persuasione.

Oggi, in una cultura della convergenza come la nostra, lo storytelling ha perso la caratterizzazione esclusiva e unidirezionale dell’epoca dei mass media acquisendone una transmediale. Oggi i media convivono e si rimandano reciprocamente pur mantenendo la loro specificità e i loro linguaggi, la narrazione tende a fluire costantemente su piattaforme diverse e soprattutto a fondere l’esperienza autoriale con quella del fruitore, fornendo molteplici modi per raccontare e

1 JENKINS Harry, Convergence culture. Where old and new media collide, New York & London, New

York University Press, 2006.

2 Cfr.HOEFS Lara, Transmedia = More than “Storytelling across platforms”,

<http://storydisruptive.com/2013/04/27/transmedia-more-than-storytelling-across-platforms/>, ultima cons.: 15.03.2018.

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sperimentare una storia.

Fino agli anni Novanta la narrazione era veicolata da mass media come radio, cinema e TV: il racconto si esauriva all’interno del mezzo di comunicazione stesso e rendeva lo spettatore passivo senza quasi nessuna possibilità di intervento sulla storia. Attorno agli anni Duemila l’avvento dei nuovi media, quali il Web 2.0 e i social network, hanno fatto sì che il consumatore ‘passivo’ facesse spazio ad un consumatore ‘attivo’, in grado di avere una relazione dinamica con la storia che gli viene raccontata, interagendovi e partecipandovi. Sono questi gli anni della ‘cultura della convergenza’, nei quali lo storytelling si è evoluto, acquisendo la capacità di far fluire il proprio messaggio su più mezzi comunicativi e dando luogo alla nuova forma del transmedia storytelling, un nuovo tipo di narrazione che moltiplica le trame del racconto su differenti canali e che si mantiene viva grazie all’apporto creativo dei lettori stessi, spinti a partecipare partendo da interessi personali.

Il termine ‘cultura della convergenza’ proviene dal titolo del libro Convergence

culture. Where Old and New Media Collide (New York University Press, 2006),

scritto da Henry Jenkins, uno dei massimi teorici del transmedia storytelling e fondatore del MIT Comparative Media Study Program:

«By convergence, I mean the flow of content across multiple media platforms, the cooperation between multiple media industries, and the migratory behavior of media audiences who will go almost anywhere in search of the kinds of entertainment experiences they want».3

In questa definizione troviamo le tre tematiche principali su cui si concentra questa nuova convergenza mediatica, paradigma che non vede i nuovi media in sostituzione ai vecchi ma che presuppone un’interazione più complessa fra loro.

Jenkins teorizza come i vecchi media mainstream possano integrarsi con i nuovi media grassroot (ovvero prodotti dal basso), grazie ad una riscrittura della cultura commerciale e di prodotto: i media tradizionali si caratterizzano per essere tendenzialmente chiusi, non ricercando il feedback degli utenti, mentre i media 2.0 sono il regno del coinvolgimento e della conversazione, vengono definiti anche “media partecipativi” e implicano uno scambio continuo tra chi produce un messaggio e chi lo riceve e rielabora. In questa situazione i primi non tendono a scomparire, ma la loro volontà di amplificazione dell’informazione viene unita all’obiettivo dei

3 JENKINS Harry, Convergence culture. Where old and new media collide, New York & London, New

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secondi di diversificarla il più possibile, aggiungendovi una varietà di prospettive.4

La nuova centralità di utenti e fans, unita alle preservate specificità dei singoli media, hanno creato le condizioni ideali per lo sviluppo della narrazione sinergica prevista dal transmedia storytelling, così ridefinito nel 2007 dallo stesso Jenkins:

«Transmedia storytelling represents a process where integral elements of a fiction get dispersed systematically across multiple delivery channels for the purpose of creating a unified and coordinated entertainment experience».5

Il transmedia storytelling figura dunque come l'arte di creare un'esperienza narrativa per il pubblico, che si espande oltre un solo mezzo e crea un mondo di storie che attraversa le piattaforme multimediali, utilizzando un nuovo e rinnovato linguaggio comunicativo. La sua peculiarità risiede nel trasmettere nello stesso momento un solo messaggio su più trame diverse, nel quale pubblico e produttori animano e co-creano attivamente la storia.

Non è sufficiente desiderare la transmedialità di una storia per ottenerla, infatti è importante impostare dall’origine una narrazione sinfonica che possa supportare le diverse esperienze che si vanno a creare: le storie transmediali rappresentano il più delle volte un universo ricco e complesso che sostiene a sua volta una trama articolata e con più protagonisti avvincenti e identificabili, interconnessi fra di loro, permettendo espansioni che vanno oltre la nostra immaginazione, aumentandone l’attrattiva. Questa sinergia comporta una profondità nell’esperienza di fruizione che aumenta la motivazione al consumo: un’azione orizzontale dei soggetti interessati, i quali pianificano a dovere le proprie strategie, fa sì che l’utente, coinvolto, si ritrovi a inseguire le espansioni del franchise6 da un canale distributivo all’altro.

1.2 Lo stato della ricerca: tipologie e possibili classificazioni teoriche Nel corso degli anni sono diversi gli studiosi che hanno dedicato la loro attività di ricerca a questa nuova forma di narrazione espansa, applicata a diversi settori del sociale, e queste analisi hanno portato alcuni di loro a proporre teorie e concetti riguardanti il mondo del narrare transmediale.

4 Ibidem.

5 JENKINS Henry, Transmedia storytelling 101,

<http://henryjenkins.org/blog/2007/03/transmedia_storytelling_101.html >, 21.03.2007, ultima cons.: 02.02.2018

6Il termine inglese media franchise (o più comunemente, franchise) si riferisce alla costruzione di

un marchio che viene sfruttato per diversi prodotti dell'industria dello spettacolo e dell'intrattenimento” (WIKIPEDIA, <https://it.wikipedia.org/wiki/Media_franchise>).

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Primo fra tutti, e già precedentemente menzionato, Henry Jenkins ha dato, e continua oggi a dare, un apporto basilare agli sviluppi teorici del concetto di transmedia storytelling. A riguardo egli ha fornito nel 2009 sette principi chiave che identificano le tecniche utilizzate in questa struttura narrativa:

1. Spreadability vs Drillability - definendo come spreadability l’abilità e il grado in cui un contenuto o un messaggio ha di essere diffuso, e la capacità che ha il pubblico stesso di riuscire a diffonderlo. Drillability invece è un concetto, fornito da Jason Mittell, che vuole collocarsi come esperienza parallela alla spreadability, nella concezione di intrattenimento culturale: vi sono alcune storie che offrono la possibilità di essere diffuse ma non riescono a coinvolgere il pubblico a tal punto da far sì che questo vi si immerga totalmente, esperienza invece assicurata in un’ottica di drillable media.

2. Continuity vs Multiplicity - il primo principio è quello perseguito da diversi franchise, che vede la volontà di mantenere una continuità, un unico canone fra tutte le estensioni della storia; si oppone a questa strategia una seconda modalità di azione, in cui si predilige lasciare aperta la storia a più interventi, anche non autoriali, fino ad ammettere l’inclusione degli users generated content, creando così mondi paralleli non continuativi.

3. Immersion vs Extractability - entrambi riferiscono al rapporto del transmedia con il nostro quotidiano: nella modalità immersiva noi entriamo nel mondo della storia, in quella estrattiva prendiamo qualcosa di quella storia e lo trasferiamo nel reale, come facciamo utilizzando i gadget promozionali.

4. Worldbuilding - espansioni del mondo narrativo che arricchiscono la storia stessa come fa la serialità televisiva.

5. Seriality - una storia transmediale viene divisa in diverse parti che vengono disperse su numerosi media piuttosto che su diversi segmenti di uno stesso media.

6. Subjectivity - le storie transmediali spesso offrono la possibilità di esplorare il racconto attraverso gli occhi di più personaggi, magari anche secondari, dando al pubblico prospettive diverse.

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user generated content (UGC), ovvero i contenuti creati dagli utenti che

contribuiscono alla narrazione, come vedremo, a volte richiesti dai creatori a volte no.7

Nel transmedia storytelling tendenzialmente ogni segmento narrativo, su qualsiasi medium venga declinato, dovrebbe poter essere fruito indipendentemente dagli altri e la scelta di sperimentare il franchise nella sua totalità deve essere una delle possibili opzioni fornite allo spettatore, non l’unica possibile. Ciò infatti dipende molto dal modo in cui è costruita la storia poiché, a volte, solamente raccogliendo tutte le informazioni disseminate attraverso le molteplici piattaforme distributive è possibile una comprensione adeguata degli sviluppi narrativi. Sulla base di questa distinzione si possono dunque distinguere due tipologie principali:

1. Un franchise transmediale in cui un modulo narrativo segue il precedente attraverso una relazione lineare: questo è il caso di Matrix, in cui per avere una piena comprensione dei film sul grande schermo è necessario passare attraverso il fumetto ed il videogioco che seguono al primo film, e che si alternano alla successione del secondo, terzo e quarto film. Christy Dena, ha definito transfiction questo tipo di narrazione, descrivendola come una storia distribuita su più di un medium in cui ogni segmento testuale non è autonomo ma dipende invece dagli altri, distribuiti lungo percorsi mediali differenti.8

2. Nella seconda tipologia di franchise, invece, possibili film, fumetti e videogiochi vivono in modo indipendente in sequenze distinte ma caratterizzate da molteplici punti di contatto. Si è quindi liberi di guardare solo i film, o leggere i fumetti o giocare al videogioco, senza passare attraverso i contenuti diffusi dagli altri media che tuttavia diventano importanti perché ne ampliano l’esperienza e consentono una visione d’insieme molto più completa.

Sempre Dena ha proposto un’ulteriore classificazione, basata sulla multicanalità dei

franchise transmediali. I canali scelti per raccontare la storia presuppongono, infatti,

diversi ruoli narrativi:

• Story channels: canali deputati a far progredire la storia e usati come porte di

7 Cfr. JENKINS Harry, The Revenge of the Origami Unicorn: Seven Principles of Transmedia

Storytelling (Well, Two Actually. Five More on Friday), 12.12.2009, <http://henryjenkins.org/blog/2009/12/the_revenge_of_the_origami_uni.html>.

8 Cfr. DENA Christy, Current state of Cross media storytelling: Preliminary observation for future

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ingresso alla narrazione. Situazione, questa, che si accorda con l’accezione di Jenkins del reale significato di transmedia, in cui tutti i media concorrono a sviluppare la storyline.

• Storyworld channels: canali strettamente legati ai diversi universi narrativi ma che non sono indispensabili per lo sviluppo della storia e non ne costituiscono la fonte primaria ma ne aumentano la comprensione. Si presuppone un testo centrale predominante e varie estensioni periferiche: il nostro progetto transmediale realizzato sul libro Il Ponte di Adamo, ad esempio, si andrà a collocare in questa tipologia, vedendo il canale editoriale al centro e intorno uno corollario di diversi media che ne ampliano l’esperienza narrativa.

• Commodity-channel: canali di scarsissima rilevanza per l’opera, con poco impatto sulla comprensione della storia.9

Si potrebbero trovare molteplici ripartizioni fatte da altri studiosi dell’argomento (Hayes, Long, Zamarato, etc.), basate su altrettanto molteplici caratteristiche del trasnmedia storytelling. Questa di Dena è particolarmente interessante poiché è realizzata a partire dalle varie funzioni dei media alla base della narrazione e conferma la concezione del noto sociologo Marshall McLuhan, essenziale in un discorso come questo: «“the medium is the message” because it is the medium that shapes and controls the scale and form of human association and action.».10

Il messaggio narrativo deve tenere conto di questa capacità plasmante che ogni media possiede sui contenuti della storia, adattando i propri linguaggi comunicativi.

Secondo Lara Hoefs, brand manager di The Twilight saga, vi sono tre principi chiave11 da seguire per la creazione di una buona storia transmediale:

1. Uno storytelling riconoscibile - creare storie che attingono alla nostra mitologia e stimolare l’identificazione da parte del pubblico, il quale si sentirà coinvolto e spinto a viaggiare fra le piattaforme.

2. Creare una community - il pubblico sente il bisogno di condividere con altri la propria esperienza e per questo è importante dare loro gli spazi per farlo, come ad esempio forum, social network, blog, etc.

3. Creare gap narrativi - misteri irrisolti, trame non svelate, mete

9 CORIS, Il Transmedia secondo Henry Jenkins,

<http://www.coris.uniroma1.it/sites/default/files/Transmedia%20storytelling_0.pdf>

10 MCLUHAN Marshall, The medium is the message da “Understanding Media: The Extensions of Man”,

Gordon, 1964, p.2.

11 HOEFS Lara, Create the ultimate Transmedia story experience: 3 key principles,

<http://storydisruptive.com/2013/04/30/creating-the-ultimate-transmedia-story-experiences-3-key-principles/>, 30.04.2013, ultima cons.: 16.03.2018.

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irraggiungibili: sono tutte caratteristiche di una storia che dà la possibilità, a chi la fruisce, di interpretare, discutere e sognare, accendendo in loro il desiderio di una prosecuzione narrativa. L’universo narrativo non è volutamente approfondito in egual maniera in tutte le sue parti e le zone lacunose, i temi lasciati aperti, i riferimenti a tempi e luoghi lontani o inesplorati sono la materia grezza a partire dalla quale più facilmente si potranno creare storie parallele e operare rilanci sugli altri media.

Come già detto, la filosofia del transmedia storytelling è applicabile a diversi settori, primo fra tutti quello del marketing, anche legato alla creazione di prodotti culturali quali film, libri, fumetti, videogame e molto altro ancora.

«Modern media companies are horizontally integrated - that is, they hold interests across a range of what were once distinct media industries. A media conglomerate has an incentive to spread its brand or expand its franchises across as many different media platforms as possible».12

Nove blockbuster cinematografici su dieci tra i maggiori successi mondiali delle ultime stagioni sono opere transmediali (Harry Potter, Twilight, Avatar, Assassin’s

Creed, Il Cavaliere oscuro, Star Wars, Games of Thrones, Tron, Lost), e la storia non

cambia per videogame, serie TV, fumetti, o campagne di advertising di importanti brand mondiali come la Coca Cola, la BBC, la Nike etc.13

Dal punto di vista narratologico, il racconto viene espanso poiché declinare un prodotto di successo su più piattaforme è la strategia più naturale per cercare di massimizzarne gli introiti in maniera più agevole e meno costosa rispetto alla creazione di prodotti distinti per ciascuna delle piattaforme mediali. Le espansioni alla storia principale, realizzate in tutti i prodotti culturali menzionati, possono servire a raggiungere vari scopi: si può voler tener alto l’interesse durante periodi di stallo nella produzione, dare informazioni aggiuntive sui personaggi e sulla storia, fornire spiegazioni su passaggi complessi e approfondire il mondo finzionale, oppure mirare ad attrarre target diversi a seconda dei media utilizzati.

12JENKINS Henry, Transmedia storytelling 101,

<http://henryjenkins.org/blog/2007/03/transmedia_storytelling_101.html >, 21.03.2007, ultima cons.: 02.02.2018

13SALVATORI Nicoletta, Slides del seminario sul transmedia storytelling, Università di Pisa, marzo

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Carlos Alberto Scolari, ricercatore esperto in digital media, individua quattro diverse strategie d’espansione relativamente alla dorsale narrativa centrale:

1. Micro-storie interstiziali - microstorie con una relazione stretta con la macro-storia, che vanno ad arricchire il mondo diegetico. Esempi sono il fumetto che si inserisce tra il primo ed il secondo film di Matrix, e

24 The Game, il videogame che si inserisce tra la seconda e la terza

stagione di 24, serie televisiva statunitense.

2. Storie parallele - storie che si svolgono parallelamente a quelle della narrazione principale, approfondendone specifiche zone; possono evolversi e trasformarsi in spin-off.

3. Storie periferiche - storie satellitari alla narrazione principale, con la quale conservano un legame piuttosto debole.

4. UGC (User Generated Content) - storie ‘open source’ create grazie all’attività di creazione da parte dei fan, attraverso lo sviluppo di fan

fiction, blog e wiki. Come vedremo nel confronto fra i due franchise di Star Wars e Harry Potter, questa tipologia di espansione è

condizionata dal diverso controllo effettuato dagli autori stessi.14

Segmentare il racconto permette di fornire diversi punti di ingresso in esso da parte di diversi tipi di audience e non si tratta di un semplice adattamento dei contenuti poiché da un media a un altro questi cambiano: è proprio questa particolarità a differenziare la narrazione transmediale da un’altra molto similare, quella crossmediale. Nel crossmedia storytelling il messaggio narrativo non cambia e viene solamente declinato sui vari media (ad esempio la storia raccontata in un libro viene trasposta allo stesso modo in film, fumetti, videogame e web).

14 SCOLARI Carlos Alberto, Transmedia storytelling: implicit consumers, narrative worlds, and branding

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FIGURA 1–CROSSMEDIA VS TRANSMEDIA

1.3 Un nuovo coinvolgimento dell’audience

Successi come Star Wars o come Matrix, sono esempi di una vera narrazione transmediale e dimostrano come, in virtù dei nuovi strumenti offerti dal digitale, la possibilità del racconto si possa espandere, superando il percorso lineare che prevede un inizio, un centro, una fine.15 Tanto meglio verranno perseguite le finalità diegetiche

della storia e tanto meglio sarà promossa all’audience l’importanza di fruire dell’intero universo finzionale.

La moltiplicazione e il ripetersi del messaggio in diverse forme allungano il ciclo vitale di una storia e ne aumentano il potenziale di attrazione del pubblico, il quale si sente attratto e non respinto. Entriamo quindi in un territorio in cui non vi è un confine netto fra intrattenimento e marketing, in cui le aziende, culturali e non solo, hanno cominciato a sfruttare, per la loro stessa promozione e per la promozione dei propri prodotti, la narrazione multipiattaforma.

A partire dagli anni Duemila, i grandi brand per primi e a seguire gli altri, hanno cominciato a comprendere l’importanza della costruzione narrativa delle proprie marche: la perdita di efficacia di spot pubblicitari, radio e stampa ha costretto le imprese a ricercare nuove tecniche per connettersi con dei consumatori sempre più ‘ingombranti’. Conferire una nuova importanza all’audience appare infatti la chiave per il successo: la frammentazione del panorama mediale garantisce alle audience molta libertà di autodeterminare i propri percorsi di consumo e ciò rende centrale i

15 Cfr. MEETTHEMEDIAGURU, Aspettando Jeff Gomez: il concetto di transmedia storytelling,

06.03.2012, < https://www.meetthemediaguru.org/it/aspettando-jeff-gomez-il-concetto-di-transmedia-storytelling/>, ultima cons.: 16.03.2018.

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rapporti che vengono intessuti con i contenuti.

In passato erano i fan ad attivarsi, a mettere in atto strategie che consentissero loro di aumentare i tempi e i luoghi in cui proseguire la frequentazione con l’oggetto della propria passione. Oggi invece sono gli stessi produttori di contenuti che mettono in atto strategie che aumentano i punti di contatto del pubblico con i prodotti mediali; nel marketing lo scopo delle estensioni transmediali è proprio quello di garantire al pubblico la possibilità di accedere al contenuto, di frequentarlo, usarlo, dovunque e in qualunque momento.

Questa situazione ci pone di fronte alla difficoltà di un’effettiva misurazione dell’engagement degli utenti di oggi: è evidente, infatti, che non è più sufficiente calcolare il passaggio dello spettatore sul solo canale principale (ad esempio gli spettatori di un programma televisivo durante la messa in onda senza calcolare il contenuto fruito su mobile, dvd, streaming). Questi dati dovrebbero essere accompagnati da quelli relativi alla fruizione multipiattaforma, alla presenza sui social media e alle condivisioni di materiale, ovvero tutte azioni che dimostrino il reale attaccamento del fruitore al prodotto mediale e il suo impegno per diffonderlo.

Purtroppo si tratta di attività molto difficili da quantificare, soprattutto in termini di valore economico, ma i dati ricavati da un’eventuale misurazione risultano allo stesso tempo di grandissimo rilievo per la fidelizzazione delle audience. Nell’utilizzo del transmedia storytelling a scopo di marketing il rilevamento della reale efficacia della narrazione dispersa moltiplica la sua importanza poiché, in questa situazione, proprio l’audience diviene parte integrante e centrale della relazione tra il prodotto e il suo pubblico, e obiettivo primario è quello di migliorare le proprie tecniche per coinvolgerla.

1.4 Strategie differenti: Star Wars e Harry Potter

La struttura narrativa del transmedia storytelling ha molto da offrire a diversi prodotti, testuali o cinematografici, realizzati per la cultura e l’intrattenimento, i quali trovano in questa forma narrativa un buon modo per assicurarsi uno sviluppo continuo. Un ottimo esempio di transmedia storytelling applicato ad un franchise mediatico è costituito dalla saga di Star Wars, nata nel 1976 e ideata da George Lucas.

Star Wars è oggi il più ricco universo narrativo transmediale di tutti i tempi,

composto da libri, film, serie animate, fumetti, gadget, videogame, album, expanded

(21)

oggi, tre generazioni di consumatori, e guarda già a una nuova trilogia destinata ai ‘pronipoti’ dei suoi primi estimatori.16

Si tratta di un prodotto culturale che ha avuto origine in anni nettamente precedenti alla recente rivoluzione digitale, ma che ha saputo sfruttare fin da subito, anno dopo anno, tutti gli strumenti digitali che le nuove scoperte hanno messo a sua disposizione: Walt Disney ha diffuso i film, sul canale Disney XD sono state diffuse le serie TV, la Marvel (di proprietà Disney) ha pubblicato i fumetti, i personaggi principali appaiono in videogame rilasciati sempre da Disney, ed è stata pubblicata una ricca serie di romanzi fantasy affiancata ai film. Tali esperienze sono diventate centrali nel successo commerciale di Star Wars, e hanno significato un’estensione dell'esperienza fuori dallo schermo e in tutti gli intervalli tra le uscite dei singoli film.17 Nessun precedente film di fantascienza aveva mai raggiunto questo status di

blockbuster, e ci troviamo davanti ad una situazione similare a quella che poi è

avvenuta per Harry Potter: un successo di massa che è allo stesso tempo un successo di nicchia, con lo sviluppo di una serie di pratiche subculturali legate a numerose

community di fan con inflessioni diverse fra loro.

Proprio questa differenza nelle varie estensioni della storia ha permesso la creazione non di un solo Star Wars ma di molteplici, condizionandone gli sviluppi successivi. La crescita di notorietà di alcuni personaggi al di fuori dello schermo ha avuto come conseguenza un reale cambiamento nei vari prequel e sequel che sono stati realizzati successivamente. Dalla vasta produzione della saga, la community dei fan è stata in grado di prelevare frammenti della storia dando vita a fan fiction, forum di discussione, fan video e molto altro; l’azione dei fan sullo sviluppo del franchise e sul ‘controllo della narrazione’ è limitato, ma cronicamente la fan base più appassionata ed agguerrita si è pronunciata, e si pronuncia ancora oggi, su elementi, passaggi e personaggi della storia, influenzandone molte volte, come appena detto, il proseguo.18

La strategia di Star Wars è quella di una molteplicità di voci esterne che danno il loro contributo, unita alla creazione di linee narrative prima impensate e generate dalle menti degli spettatori. Questa idea di apertura si colloca in contrapposizione a

16 Cfr. GIOVAGNOLI Maximiliano, Transmedia: storytelling e comunicazione, Milano, Apogeo

Education, 2013, p. XIX.

17 JENKINS Henry, I Have a Bad Feeling About This": Reflections on Star Wars, Fandom, and

Transmedia, 14.12.2017,

<http://henryjenkins.org/blog/2017/12/13/i-have-a-bad-feeling-about-this-reflections-on-star-wars-fandom-and-transmedia>.

18 Cfr. GERAGHTY Lincoln, Transmedia character building. Textual crossovers in the Star Wars

universe in “Star Wars and the history of transmedia storytelling” a cura di Sean Guynes e Dan

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un’altra modalità di gestione dei contenuti presente oggi in altri franchise, ovvero quella improntata a un controllo autoriale stretto e a una chiara separazione fra i diversi media, che trova una sua chiara spiegazione in un fenomeno come quello di

Harry Potter.

Nel 1997, quando ancora molto non era stato sperimentato dal punto di vista della comunicazione attraverso le nuove tecnologie, J.K. Rowling lanciò sul mercato letterario il libro che avrebbe costituito uno dei più importanti progetti transmediali di sempre: Harry Potter e la pietra filosofale. Il primo capitolo della saga del maghetto di Hogwarts che tutti conosciamo, «nel tempo avrebbe “viralizzato” i media e creato fenomeni a carattere transmediale in atto ancora oggi su scala globale».19

I sette libri di Harry Potter sono stati tradotti in 77 lingue e la loro diffusione a livello mondiale ha certamente avuto un importante ruolo nella successiva espansione della storia attraverso i nuovi media. Ai libri sono seguiti film, siti web, videogame,

pièce teatrali, fan-fiction e molto altro ancora, tutti passati sotto il controllo e

l’approvazione della Rowling, la quale tuttora mantiene il controllo dell’intero

franchise attraverso uno stretto rapporto con la comunità dei fan. L’autrice, in questo

caso, ha conservato sempre il potere di decidere cosa è canone oppure no, e ha avuto, e ha ancora, la capacità di esercitarlo in maniera trasparente, diventando per questo molto amata dai fan.

La Rowling ha saputo sfruttare al massimo i media a sua disposizione per attirare l’attenzione dei lettori e tenere vivi i loro interessi. Negli anni, attraverso il profilo Twitter e il sito web dedicato e da lei fondato, Pottermore, la scrittrice ha compiuto le azioni più svariate: ha anticipato alcuni particolari in prossimità dell’uscita di un nuovo libro, aggiunto dettagli riguardanti storie già presenti, risposto a domande poste dai fans e perfino commentato alcune fan theories sorte su snodi cruciali della storia.

19 Ivi, p. XXI.

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FIGURA 2-UN TWEET DI J.K.ROWLING A COMMENTO DI UNA FAN THEORY

Un rischio per questo franchise rimane la poca interazione raggiunta con il pubblico, il quale viene coinvolto in molteplici modi (gadget, eventi, mostre e quant’altro) ma non ha grande possibilità di intervenire per un ampliamento della storia, mancando, a oggi, quei luoghi di condivisione nei quali sviluppare nuove storie e proseguire l’azione narrativa.

Anche se gli esempi che abbiamo fatto rappresentano la punta di diamante del transmedia storytelling essi ci servono per capire le basi teoriche su cui si fonda il progetto, che vuole abbracciare una strategia di marketing digitale basata proprio sulla narrazione transmediale; una narrazione che parte da uno specifico prodotto editoriale, un libro cartaceo, lo trasferisce e implementa come libro digitale e quindi ne approfondisce, dissemina e estende il mondo narrativo su diverse piattaforme digitali con un’attenzione particolare nei confronti del rapporto interattivo con il lettori.

A seguito di un’analisi approfondita delle caratteristiche del libro e basata sulle classificazioni teoriche di cui sopra, questa strategia è stata quella scelta dalla casa editrice Francesco Brioschi Editore per la promozione de Il Ponte di Adamo, partendo prima dal libro elettronico e arrivando a sfruttare la presenza online e sui social della casa editrice stessa e dello scrittore Luca Novelli, aumentandola dove necessario.

Nel prossimo capitolo ci occuperemo essenzialmente della prima parte di questo progetto digitale, ripercorrendo come, attraverso la diffusione dell’e-book, il libro abbia cambiato forma e contenuti, costringendo gli editori stessi a rivedere interamente la propria organizzazione e cambiando l’esperienza di lettura.

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Capitolo 2 – L’editoria che cambia

2.1 Nascita e sviluppo dell’e-book

L’arrivo del libro elettronico nell’editoria, in parallelo a quello cartaceo, fa sì che a mutare siano stati sia l’esperienza di lettura sia il supporto del testo su cui leggere: per questo motivo, capire che cosa si intenda oggi con il termine ‘libro’, è più complesso rispetto al passato poiché le tradizionali definizioni non paiono più sufficienti. Il termine ‘libro’ richiama infatti da sempre alla mente, non solo la forma testuale, ma allo stesso tempo anche la forma fisica che noi tutti conosciamo, ovvero un insieme di fogli riuniti a comporre un oggetto di dimensioni variabili ma facilmente riconoscibile.20 L’unica definizione di libro in nostro possesso è decisamente datata ed

è ad opera dell’Unesco nel 1964:

“A book is a non-periodical printed publication of at least 49 pages, exclusive of the cover pages, published in the country and made available to the public;”21

È evidente che questa spiegazione, così legata alla materialità del soggetto, non soddisfa la poliedrica idea di libro che abbiamo ora nell’era del digitale. Il libro elettronico, o e-book, composto da bit invece che da caratteri stampati su carta, ci pone davanti ad una nuova distinzione, costringendoci a dare chiarimento di ciò che differenzia il contenitore, ovvero il cosiddetto e-reader, dal contenuto, cioè il testo del libro in formato digitale. Wikipedia fornisce una definizione piuttosto chiara a riguardo:

«Un e-book (anche e-book) in italiano libro elettronico o e-libro, è un libro in formato elettronico (o meglio digitale). Si tratta quindi di un file consultabile su computer, telefonini di ultima generazione, palmari ed appositi lettori digitali. […] Nel caso ci si riferisca al dispositivo di lettura è più corretto riferirsi ad esso come lettore di e-book, in inglese e-book reader, termine con il quale si intende sia il dispositivo hardware su cui l'e-libro viene letto sia il software che permette la lettura del file»22.

20 Cfr. RONCAGLIA Gino, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Roma, Edizioni Laterza,

2010, p. IX.

21UNESCO CONSTITUTION, Recommendation Concerning the International Standardization of Statistics Relating to Book Production and Periodicals, 19 November 1964

<http://portal.unesco.org/en/ev.php-URL_ID=13068&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html>, ultima cons.: 16.01.2018

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Secondo Gino Roncaglia, filosofo e saggista italiano, nonostante spesso ci si riferisca per lo più all’oggetto digitale e non al supporto di lettura, è importante tenere in considerazione anche quest’ultimo poiché solo se questo si avvicina ergonomicamente al libro a stampa si può parlare di libro elettronico e non di testo elettronico di un libro.23

L’ideazione dei primi dispositivi elettronici di lettura va attribuita all’americano Alan Kay nel 1968, il quale, allora, cominciò a lavorare su un prototipo di ‘libro dinamico’, il Dynabook. Si trattava di una specie di computer portatile interattivo pensato per essere allo stesso tempo uno strumento di lettura, scrittura e apprendimento. Questo progetto non andò oltre uno schizzo grafico e un modello in legno ma, la presenza di una tastiera e di uno schermo su un unico dispositivo rigido, lo resero senza dubbio un precursore dell’attuale e-reader. A interessare, sostiene Roncaglia,24 è il fatto che già allora l’interesse di Kay era di coniugare in un unico

prodotto la lettura tradizionale e le potenzialità multimediali e interattive del supporto. Già dagli albori, dunque, l’e-reader venne pensato per offrire una lettura mista ed una fruizione, definita dagli studiosi lean back o ‘appoggiata all’indietro’, ovvero caratterizzata da un’esperienza rilassata, già tipica della lettura di libri o della TV.25

Nel campo della digitalizzazione e della codifica dei testi, invece, nel 1979 venne avviato il primo esperimento di biblioteca digitale con il Progetto Gutenberg realizzato da Michael Hart: partendo dalla messa in digitale del testo della

Dichiarazione d’Indipendenza Americana, questa biblioteca si prefissava di diffondere

in formato elettronico opere letterarie di pubblico dominio; il progetto è poi avanzato molto lentamente fino ad arrivare nel 2009 a presentare una raccolta di 30.000 testi digitalizzati. In Italia dovremo attendere il 1993 con il Progetto Manuzio per avere la prima biblioteca digitale di testi italiani, con un patrimonio che conta, nel novembre 2017, circa 3.500 opere digitalizzate.

La prima vera generazione di e-reader risale al 1998, anno in cui fecero la loro comparsa il Rocket E-book ed il Soft Book, i quali però non riuscirono a penetrare nel mercato nonostante le molteplici migliorie apportate in termini qualitativi (poco più di un kg di peso e schermi monocromatici a cristalli liquidi). La svolta decisiva si ebbe

23 Cfr. RONCAGLIA, 2010, p. 39. 24 Cfr. RONCAGLIA, 2010, p. 63.

25 Altre tipologie di fruizione sono quella lean forward, ovvero ‘protesi in avanti’, e quella in mobilità;

la prima è quella che adottiamo quando utilizziamo il computer e ha luogo un assorbimento attivo dell’informazione, la seconda la teniamo ogni volta che abbiamo un’attenzione breve dovuta a spostamenti ed interruzioni in tempi ravvicinati, come nel caso di viaggi e altro, sempre più frequenti in quest’epoca di mobilità.

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nel 2005 quando fece capolino la tecnologia ePaper o eInk: questo tipo di carta elettronica si basa su due sottili strati plastici trasparenti, sovrapposti e sigillati, al cui interno si trovano minuscole (misurano circa un micron, un millesimo di millimetro) capsule sferiche bianche e nere caricate elettricamente, le bianche in positivo e le nere in negativo. Tramite campi elettrici si possono orientare le sfere per ottenere il cambio di colore nei vari punti dello schermo, senza retroilluminazione, dando come risultato finale l’effetto dell’inchiostro sulla pagina grazie al livello di contrasto molto alto.26

FIGURA 3-LA TECNICA EINK

Le maggiori potenzialità degli e-book basati sulla tecnologia eInk sono il ridotto consumo di batteria, il non affaticamento dell’occhio e l’ottima resa da ogni angolazione, tutto ciò grazie all’assenza di luce artificiale. Al contempo vi sono aspetti negativi come ad esempio la lentezza nell’aggiornamento da una pagina all’altra (circa un secondo) e la disponibilità, in questo momento, solo di schermi in bianco e nero.

A oggi, la maggior parte dei dispositivi di lettura adotta questo tipo di tecnologia e, il più importante fra tutti in circolazione, è il dispositivo Kindle, lanciato da Amazon nel 2007. Preceduto nel 2006 dal Sony Reader, il Kindle ha a disposizione un formato proprietario ed una singola fonte privilegiata di contenuti, ovvero Amazon

Store. Proprio questa integrazione fra lo Store e il Kindle ha permesso ad Amazon nel

2009 di arrivare a coprire il 60% delle vendite di e-book.

L’avvento del Kindle ha segnato l’inizio dell’era del supporto mobile e con esso si può dire sia iniziata la fruizione del libro digitale anche per letture di intrattenimento culturale e non solo di stampo scientifico o manualistico, generi per cui era solito essere usato il libro elettronico. Da sette/otto anni circa, inoltre, anche smartphone e tablet vengono utilizzati per la lettura di e-book: si tratta, in entrambi i

26 Cfr. WIKIPEDIA, Carta elettronica, < https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_elettronica>, ultima cons.:

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casi, di dispositivi multifunzione non dedicati, ma che soddisfano esigenze di lettura come la portabilità e la possibilità di una fruizione lean back. Versatili e dinamici, entrambi forniscono servizi quali la facile navigazione sul web (magari per consultazione) e una buona resa di video o audio, centrali, come vedremo, nel nuovo formato ePub3. Al momento, a loro sfavore, concorre la tipologia di schermi utilizzati: il display LCD retroilluminato, posseduto da tablet e smartphone, permette la lettura anche in condizioni di scarsa visibilità ma affatica l’occhio e causa un rapido scaricamento della batteria.

Recenti sviluppi hanno prodotto nuove tecnologie per gli schermi dei dispositivi, una fra tutte quella OLED (Organic Light Emitting Diode): essa permette di realizzare display a colori con la capacità di emettere luce propria, senza bisogno di componenti aggiuntivi per essere illuminati (i display a cristalli liquidi vengono illuminati da una fonte di luce esterna). Ciò permette di realizzare display molto sottili, addirittura pieghevoli e arrotolabili, che richiedono minori quantità di energia per funzionare. Come si immagina il maggior limite di questa tecnologia è il costo elevato del processo produttivo, forse superabile in futuro con l’avvento di un’economia di scala.27

In ogni caso, il diffuso utilizzo di dispositivi alternativi multifunzione per la lettura è testimoniato da diversi report, in Italia e nel mondo. In America, nel 2016, si è registrata una crescita evidente della lettura su smartphone e tablet piuttosto che sugli e-reader dedicati:

«The share of e-book readers on tablets has more than tripled since 2011 and the number of readers on phones has more than doubled over that time, while the share reading on e-book reading devices has not changed. And smartphones are playing an especially prominent role in the e-reading habits of certain demographic groups, such as non-whites and those who have not attended college».28

2.2 I diversi formati

Se finora abbiamo velocemente ripercorso alcuni dei principali supporti di lettura e la loro tecnologia di riproduzione testuale, è altresì importante delineare quali sono i vari formati secondo i quali possiamo riprodurre la forma del testo all’interno degli e-reader.

27 WIKIPEDIA, OLED, <https://it.wikipedia.org/wiki/OLED>, ultima cons.: 27.03.2018.

28 PEW RESEARCH CENTER, Book reading 2016, <

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Quando parliamo di e-book, infatti, non stiamo parlando di una semplice riscrittura digitale di un testo tramite un editor qualsiasi, come ad esempio Microsoft Word, ma stiamo parlando di una struttura molto più complessa, che cambia al variare delle nostre esigenze: per un libro con una copertina illustrata dovremo scegliere un formato che ci permetta di ottenerla, allo stesso tempo, in un libro che riproduca anastaticamente il suo alter ego cartaceo dovremo utilizzare un formato basato sulla rappresentazione del testo orientata alla pagina, facendo i conti con la possibilità che il libro venga letto su dispositivi con schermi più piccoli o più grandi, alterandone la leggibilità.29

Il formato .txt, il più semplice e utilizzato nel progetto Gutenberg di cui sopra, è una formula ‘solo testo’, che limita la rappresentazione di fenomeni testuali anche semplici come il corsivo o il grassetto.30 Questo comporta che, per la realizzazione di

un buon e-book, siano necessari linguaggi più complessi, detti ‘di marcatura’, che consentano sia l’uso di metadati sia una corretta impaginazione del testo. Questi linguaggi sono pressoché tutti basati sull’XML (eXtensible Markup Language), e hanno acquisito sempre più importanza nel mondo digitale, uno fra tutti il linguaggio HTML, alla base di tutte le pagine web.

Ad oggi non si è ancora giunti a una marcatura che possa consentire la lettura ottimale su tutti gli schermi e dispositivi (e-reader, tablet, smartphone, ecc.) ma, nonostante questo, la scelta spazia fra numerosi formati possibili. Si distinguono fra formati a impaginazione fissa (fixed layout), che prevedono la rigidità di posizionamento tipica della pagina stampata, e a impaginazione fluida o liquida (fluid

layout), con invece un adattamento degli elementi a seconda dello schermo. Partendo

da questa elementare suddivisione si possono brevemente riassumere i principali in uso:

• PDF (Portable Document Format) - sviluppato agli inizi degli anni ’90 da Adobe e destinato alla preparazione su computer di documenti destinati alla stampa (desktop publishing). Il fixed layout fa sì che i documenti mantengano la stessa resa grafica e lo stesso posizionamento degli elementi a prescindere dagli schermi di visualizzazione. Negli schermi piccoli non si ha la possibilità di ingrandimento dei caratteri (è possibile solamente lo zoom, il quale

29 Cfr. RONCAGLIA,2010, pp. 124-125. 30 Ivi, p.136.

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però fa perdere la visione d’insieme). Il PDF rimane dunque un formato adatto per il desktop ma meno indicato per la lettura in modalità lean back su dispositivi mobili, a causa della sua poca capacità di adattamento.

• Mobi e il suo derivato AZW - il primo, creato dalla società francese

Mobipocket nel 2000 poi acquisita da Amazon nel 2005, è diventato la

base per il formato AZW, il formato principale di Amazon. Entrambi nati appositamente per e-book, acquisiscono importanza in funzione della diffusione dei dispositivi che ne fanno uso. L’AZW, infatti, è stato creato appositamente per il suo utilizzo su Kindle e, rispetto al Mobi, migliora la compressione e aggiunge alcune modifiche come la protezione DRM (Digital Rights Management), ovvero l’unica tecnologia digitale presente oggi mirata a tutelare il diritto d’autore.31

Grande limitazione resta la loro leggibilità solamente su dispositivi con lettore apposito.

• ePub2 (Electronic PUBlication) - dal 2007 è divenuto il formato standard aperto ufficiale dell’International Digital Publishing Forum (IDPF), basato sull’ HTML. Roncaglia definisce l’ePub un ‘formato di pacchetto’, poiché ha la particolare caratteristica di comprimere in un unico archivio più file con informazioni diverse ma appartenenti a una stessa pubblicazione digitale.32 Questo formato ha la capacità di

portare in sé i principali elementi di strutturazione di un libro elettronico come i file CSS, la struttura XML, i font, le immagini, etc. usando linguaggi del web largamente condivisi e che ne ampliano l’accessibilità. Il layout fluido (reflow) adatta l’impaginazione ai display su cui l’e-book viene letto. È divenuto oggi il formato maggiormente usato per la creazione di libri digitali.

• ePub3 - è stato creato nel 2011 a seguito di un aggiornamento delle specifiche dell’ePub2 e viene visto come una svolta verso la multimodalità. Basato su HTML5, CSS3 e Javascript, in esso aumenta l’importanza della bellezza tipografica a discapito dell’accessibilità ai

31 Propriamente: “La sigla DRM sta per “Digital Rights Management” e definisce tutti i sistemi

tecnologici che hanno lo scopo di proteggere il contenuto dei file, coperti dai diritti d’autore, dalla diffusione illegale”, da ID Adobe, Adobe DRM, Social DRM, <https://www.bookrepublic.it/consigli-di-lettura-e-book/abc-e-book/drm-e-id-adobe/>, ultima cons.: 09.02.2018.

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contenuti. Permette tag semantici, modifiche ai fogli di stile più avanzate e l’aggiunta di animazioni e interattività, prima non possibili.

Il formato ePub3, vede privilegiare l’aspetto e lo styling degli elementi grafici rispetto ad una maggiore accessibilità dei contenuti, data invece dalla possibilità di reflow, caratterizzante l’ePub2. A differenza del formato PDF, che può utilizzare solo il layout fisso, l’ePub3 prevede la possibilità di combinare al suo interno i documenti scorrevoli a quelli fissi, consentendo un maggiore spazio di manovra: per ora questo formato viene adottato soprattutto nella pubblicazione di libri per bambini, libri di fotografia, libri illustrati di pregio, fumetti e altri, ovvero prodotti editoriali in cui la resa grafica finale è centrale ad una buona comprensione degli stessi.

La scelta del giusto formato da utilizzare segue quindi un’attenta analisi di progetto ma nonostante questo, il risultato finale ottenuto non è ancora il migliore possibile: infatti, nonostante l’e-book si possa definire oggi un prodotto maturo e diffuso, devono ancora essere fatti ancora molti perfezionamenti dal punto di vista funzionale, a partire dall’interazione, spesso non user-friendly a causa di limitazioni quali la poca flessibilità di annotazioni ed evidenziazioni o il collegamento ai social non immediato.

2.3 I canali di distribuzione

La diffusione dell’e-book ha potenziato i canali di vendita online: secondo dati Istat 2016, se le tradizionali librerie fisiche rimangono i punti vendita principali, sono aumentati gli acquisti di libri tramite l’online, osservando nel 2016 un 16,5, contro il 21,3 per cento del 2017;33 anche per intercettare la platea dei lettori effettivi e

potenziali, gli editori considerano strategico e decisivo il ruolo dei canali italiani di distribuzione online, quali librerie online, siti di e-commerce, etc. L’evoluzione digitale e dei dispositivi ha assicurato una presenza maggiore del consumatore nella Rete e questo rende possibili operazioni di marketing digitale prima impensate, rivolte alla socialità e alla condivisione.34

33 Cfr. IL POST, Il mercato dei libri in Italia cresce, 25.01.2018,

<https://www.ilpost.it/2018/01/25/dati-mercato-libri-italia-2017-aie/>.

34 Cfr. ISTAT, Produzione e lettura di libri in Italia – 2016,

<https://www.istat.it/it/files/2017/12/Report_EditoriaLettura.pdf?title=Produzione+e+lettura+di+libri+-+27%2Fdic%2F2017+-+Report_Editoria%26Lettura.pdf>, pp. 7-8.

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In Italia vi sono due tipologie di servizi che compongono il mondo della vendita online, vale a dire le piattaforme di vendita e quelle di distribuzione. Le piattaforme di vendita sono siti di e-commerce, come Feltrinelli, IBS, Bookrepublic, sui quali già precedentemente si potevano acquistare libri cartacei e altri prodotti editoriali, e a cui si sono aggiunti i libri digitali. Questi siti a loro volta, per rifornirsi, devono utilizzare le piattaforme di distribuzione, in Italia suddivise sul mercato a seconda della tipologia di editori che vanno a servire: Stealth e Bookrepublic per i piccoli e medi editori, e Biblet e Edigita per le aziende più grandi (nello specifico

Biblet si occupa di Mondadori e Edigita del gruppo GEMS, di RCS e di Feltrinelli).

Per chiarire il lavoro delle piattaforme di distribuzione si riporta un pezzo del comunicato diffuso per la nascita di Edigita, dove vengono presentati i loro obiettivi:

“Edigita si propone di mettere gli editori italiani in condizione di offrire le proprie edizioni anche in formato e-book attraverso i più popolari device presenti e futuri, mirando alla massima diffusione e fruizione del testo elettronico e agendo come fornitore di servizi sia per gli e-retailers italiani (ibs.it, LibreriaRizzoli.it e laFeltrinelli.it in primo luogo) che per i siti di e-commerce stranieri (come ad esempioAmazon.com o iBooks.com)”.35

Edigita, come le altre piattaforme di distribuzione, si occupa della parte di gestione dei

servizi digitali per conto delle case editrici: attraverso una piattaforma informatica vengono archiviati i file ricevuti dagli editori, applicate le necessarie protezioni (DRM) e distribuiti i suddetti file ai principali negozi online, italiani e non solo: infatti, come si evince dal comunicato, gli editori italiani possono vendere i loro prodotti anche attraverso i bookstore stranieri, che permettono la vendita in Italia, come iBookStore di Apple, l’e-commerce Amazon.it di Amazon e Google Play Books di Google.

Il libro digitale, che noi leggiamo sui nostri dispositivi, risulta essere quindi il prodotto di molteplici azioni e strategie, alcune già esistenti, altre mutate a seconda delle esigenze, e altre ancora del tutto nuove. Secondo Marianna Martino, editrice di e-book della casa torinese Zandegù, le differenze rispetto al libro cartaceo non sono poi così tante e si concentrano soprattutto nei costi di produzione. A suo parere: «i testi subiscono la stessa attenta analisi di quelli che pubblicavamo su carta: editing preciso e poi tantissima cura nella revisione delle bozze»,36 ma allo stesso tempo le

35 EDIGITA, Comunicato Edigita, < http://www.imercati.net/category/editoria/>, ultima cons.:

15.02.2018.

36 IL LIBRAIO, Cosa significa essere un editore digitale secondo Zandegù di Noemi Milani, 08.02.2017,

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spese da sostenere si sono drasticamente ridotte rispetto a quando la pubblicazione era cartacea, e ad aumentare sono stati i guadagni. Nell’editoria digitale l’assenza della procedura di stampa è infatti indice di uscite monetarie notevolmente diminuite, considerati gli azzerati costi aggiuntivi in termini di riedizione; a ciò si aggiunge il provvedimento, preso dal Parlamento nel 2017, che prevede per le pubblicazioni elettroniche l’Iva agevolata al 4%, equiparandole di fatto a quelle su carta.37

2.4 Il cambiamento dell’esperienza di lettura: books vs e-books? Per poter sopravvivere nel panorama attuale non vi è casa editrice che non abbia chiara la necessità di doversi aprire, non solo al mercato del libro digitale, di cui abbiamo appena parlato, ma a entrare nell’universo del marketing digitale, e questo per promuovere la propria produzione, sia cartacea che digitale.

I lettori sono oggi digitali anche quando leggono un libro tradizionale, potendo confrontarsi con diverse opinioni critiche nella Rete, fornitegli da community di appassionati come loro. Per questo motivo la casa editrice deve sì privilegiare il dibattito e l’interazione, verso di sé e fra i lettori stessi, ma deve anche saperlo gestire e volgere a proprio favore, sfruttando al meglio le specifiche potenzialità e funzionalità che ogni mezzo di comunicazione possiede.

L’esperienza di lettura si è ampliata e diversificata, seguendo la tendenza dei lettori alla condivisione e alla creazione di community, vedendo emergere il fenomeno della social reading online, pratica che vede discussioni, in forma anonima o meno, che hanno luogo su diverse piattaforme: siti, pagine adibite alle recensioni, social consueti come Facebook e Twitter o forum appositi di discussione di libri. Tralasciando per un momento la specificità tecnologica data dall’uso del termine inglese, si comprende come la social reading sia più che altro un modo di utilizzo della Rete, dove il lettore trasferisce la volontà di condividere con amici e conoscenti la propria passione per i libri: una pratica di condivisione diffusa da sempre, al pari di quella dello storytelling, magari in passato fatta utilizzando altri mezzi meno moderni. Come appena detto, i luoghi adibiti a questo tipo di conversazioni possono essere, o quelli già frequentati come Facebook o Twitter, oppure luoghi nuovi, appositamente creati per questi scopi. Due esempi di piattaforme dedicate alla social

37 Cfr. IL SOLE 24 ORE, Sì della UE al taglio dell’Iva degli e-book, 02.06.2017, <

http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2017-06-02/si-ue-taglio-iva-ebook-075924.shtml?uuid=AEKCCOXB>.

(33)

reading sono i portali Goodreads38 e Anobii39: il primo, di proprietà di Amazon è stato

fondato nel 2006, e il secondo, creato sempre nello stesso anno, ne ha riproposto il modello costituendone l’alter ego per i lettori in lingua italiana. Dopo l’acquisizione da parte di Mondadori nel 2014, «la missione di Anobii è facilitare l’incontro fra lettori e incoraggiare la lettura»,40 offrendo diversi modi per farlo: permette ai lettori

di creare proprie librerie virtuali con i titoli letti o da leggere, di recensire libri e condividere le letture con gli altri utenti; consente inoltre di creare gruppi di discussione duraturi su temi specifici nei quali i membri possono trattare gli argomenti più vari, sempre avendo come filo conduttore i libri e la passione per la lettura.

Dispositivi come Kindle o Kobo possiedono al loro interno applicazioni preimpostate che offrono funzionalità legate alla lettura percepita come fenomeno sociale: Popular Highlights per Kindle o Reading Life per Kobo, permettono al lettore di visualizzare i passi nel libro precedentemente evidenziati da altri utenti, oppure di condividere sui social sopracitati citazioni o commenti.

Queste esperienze riflettono la tendenza del lettore di oggi, maggiormente volto ad abbandonare la lettura come pratica individuale a favore di una condivisa; purtroppo però, nonostante questi cambiamenti volti a portare la condivisione e la socialità anche all’interno del mondo dei libri, l’abitudine alla lettura dimostra essere un trend in netto calo nel nostro Paese: se il mercato in ripresa è opera dei lettori cosiddetti ‘forti’, il numero di lettori totali dal 2010, partendo da una percentuale intorno al 46,8%, è retrocesso fino a tornare, nel 2016, al 40,6% come nel 2001. Nei dati legati alle abitudini di lettura il livello di istruzione continua ad essere un elemento piuttosto discriminante: legge il 73,6% dei laureati, il 48,6% di conseguenti diploma per arrivare al 23,9% per chi ha solamente la licenza elementare.

Malgrado la pratica della lettura in Italia sia dunque modesta e lungi da attestarsi su grandi numeri a causa del grosso divario d’istruzione a livello territoriale, in tendenza opposta, il consumo di prodotti editoriali digitali ha visto un aumento: nel 2016, il 7,3% della popolazione dai 6 anni in su ha letto e-book, percentuale che aumenta proporzionalmente ai libri presenti in casa. Quest’ultimo dato può dimostrarsi una debole prova della non alternatività del cartaceo con il digitale ma piuttosto di una convergenza di questi.41

38 GOODREADS,< https://www.goodreads.com/>. 39 ANOBII, < http://www.anobii.com/>.

40 ANOBII, <http://www.anobii.com/about>.

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