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INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÁ

DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

INTEGRITÁ PSICHICA E TUTELA PENALE

Il Relatore

Candidata

Prof.

Giovannangelo De Francesco

Giulia Arzilli

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Indice

Introduzione 7

PARTE PRIMA

L’INTEGRITÁ PSICHICA COME RICONOSCIBILITÁ

DEI MOTIVI ALLA BASE DELLE PROPRIE SCELTE:

VOLONTÁ E COSTRIZIONE

Capitolo I

Il volto dell'integrità psichica nelle emozioni e nei sentimenti

1. Introduzione: le norme giuridiche a tutela della libertà

morale 12

2. “Integrità psichica”: il suo significato “in senso stretto” ed il significato che assume nella Costituzione 16

2.1. I fattori sociali di espansione della tutela dell’integrità

psichica 21

2.2. Conseguenze della richiesta di tutela 23 2.3. L’integrità psichica e gli altri saperi: Cenni sul rapporto tra diritto penale e psicologia 25 3. La volontà: Riflessione sulla volontà e sulla sua tutela

penale. 29

Premessa 29

3.1. Le caratteristiche della volontà 30 3.2. L’attacco dei neuroscienziati alla libera volontà e le tesi

contrapposte 35

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3

4.1. Una precisazione terminologica necessaria: la

differenza tra “emozione” e “sentimento” nella psicologia e

nella filosofia 45

4.2. Analisi del fenomeno emotivo: le più importanti teorie

sull’emozione 47

4.3. La psicopatologia delle emozioni ed il loro rilievo sociale 51 4.4. Considerazioni sulla tutela penale dei “sentimenti” 54 5. La distinzione tra “integrità psichica” e altre forme di tutela

della persona 59

Capitolo II

Il volto dell'integrità psichica nella volontà e nella costrizione

1. Il contenuto dell’integrità psichica: una breve introduzione64 2. La nozione di “costrizione”: vis absoluta e vis compulsiva 67

2.1. La struttura della costrizione come decisione

impossibile o irrazionale 72

2.2. La condotta incriminata dall’art. 610 c.p.: violenza

propria e violenza impropria 76

2.3. Il nesso di rischio “costrittivo” consentito 81 2.4. Violenza privata e delitti di rapina e di estorsione a

confronto 83

2.5. La distinzione tra “costrizione”, “induzione” e “inganno” 87

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4

PARTE SECONDA

L'INTEGRITÁ PSICHICA COME AUTENTICITÁ DEI MECCANISMI FORMATIVI DELLA LIBERTÁ: LA MANIPOLAZIONE MENTALE Capitolo I La manipolazione mentale

1. Introduzione: il significato di “manipolazione mentale” 91 1.1. “Manipolazione” e “costrizione” 93 2. L’oggetto della manipolazione mentale rapportato al

concetto di integrità psichica 95

2.1. La manipolazione mentale all’interno dei movimenti religiosi e la metafora del “Brainwashing” 97 3. La manipolazione mentale come reato 105

3.1.1. Breve riflessione sul tema della tutela dell’integrità psichica nella vicenda del plagio 105 3.1.2. Motivi dell’abrogazione del plagio e sua problematica

attuale 111

4. Riflessioni sulla manipolazione “diretta” 115 4.1.1. Le manipolazioni finalizzate al miglioramento delle

prestazioni mentali 117

4.1.2. I profili penali riguardanti le modifiche della

personalità 121

5. Conclusione: è possibile introdurre nel nostro ordinamento un reato di manipolazione mentale ? 123

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5

PARTE TERZA

IL CONTENITORE CONCETTUALE DELLE OFFESE ALL'INTEGRITÁ PSICHICA: LA SOFFERENZA PSICHICA Capitolo I

Introduzione al concetto di sofferenza psichica ed ai suoi ambiti di tutela

1. Definizione di “sofferenza psichica” 129 2. Dolore fisico e sofferenza psichica 132 3. La lettura della violenza in chiave psicologica 133

Capitolo II

Le fattispecie criminose attinenti alla sofferenza psichica

1. La violenza psichica in ambito domestico 136

2. Lo stalking 139

3. Il mobbing e altre forme di sofferenza nei luoghi di lavoro 142 4. Le differenze tra il mobbing e lo stalking 145

Capitolo III

La tutela penale della sofferenza psichica nel diritto italiano

Introduzione 148

1. Le lesioni personali: la sofferenza psichica come “malattia” 148 2. Minaccia e molestie: la tutela della tranquillità 150

(8)

6

3. I maltrattamenti 151

4. La repressione penale del mobbing e la prevenzione dei rischi psicosociali sui luoghi di lavoro 152

5. Atti persecutori 156

5.1. Gli elementi strutturali 156 5.2. Gli eventi tipici: fondato timore ed alterazione delle

abitudini di vita 158

5.3. L’ansia e la paura 160

6. Conclusioni sull’emersione normativa dei fenomeni emotivi nella nostra legislazione penale 163 7. Il nesso di causalità psichica rispetto agli eventi emozionali

164 8. Opinioni conclusive: il principio di sussidiarietà penale e le altre tecniche di tutela adottabili per la lesione dell’integrità

psichica 166

Ringraziamenti 170

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7

INTRODUZIONE

Il presente lavoro si prefigge di scandagliare tutti i profili attinenti a quel tipo particolare di “violenza”, che si manifesta con la lesione del bene più profondo di ogni individuo: la sua integrità psichica.

Per fare questo, condurremo la nostra ricerca attraverso il complesso labirinto delle emozioni e dei sentimenti, di cui ci occuperemo nella prima parte della tesi, al fine di comprendere i meccanismi, che sottostanno alla libera formazione della volontà e della personalità di ciascuna persona.

In particolare, cercheremo di dimostrare, servendoci delle più importanti teorie sull’emozione, come sia necessaria una vera e propria “tutela penale dei sentimenti”, essendo questi ultimi il fulcro – tanto centrale quanto discusso e “inafferrabile” – della tutela stessa.

Ci accorgeremo, infatti, che le emozioni sono una realtà complessa e, in gran parte, ancora misteriosa, nonostante nel corso dei millenni siano state esplorate da filosofi e letterati, e siano state studiate scientificamente (dalla neuroscienza e dalle altre tecniche scientifiche) in modo sistematico da oltre un secolo a vari livelli (biologico, soggettivo, relazionale, culturale).

Vedremo, infatti, come la complessità delle emozioni dipenda essenzialmente da vari fattori: ossia, dal fatto che esse hanno profonde radici neurobiologiche nel nostro organismo, che sono un’esperienza soggettiva carica di importanti significati, che hanno una valenza sociale nelle relazioni con gli altri ed, infine, che vengono definite dalla cultura di appartenenza.

Su tutti questi aspetti, che interagiscono tra loro, influenzandosi a vicenda, ci soffermeremo sempre allo scopo di mostrare come le emozioni/ i sentimenti costituiscano esperienze multiformi, che

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8

spiegano bene come, conseguentemente, sia difficile individuare una loro tutela penale mediante il collegamento con l’integrità psichica.

A questo punto, giungeremo ad analizzare un altro aspetto dell’integrità psichica, vale a dire il rapporto tra quest’ultima e tutti i meccanismi di manipolazione mentale, sia indiretti che diretti, tali da “distorcere” la formazione della volontà del soggetto passivo.

Sarà questo, per l’appunto, il tema dell’intera parte seconda, in cui ci serviremo dell’abrogato fenomeno del plagio, dichiarato incostituzionale, per appurare il fatto che il nostro ordinamento assicura una tutela frammentaria e incompleta contro le lesioni dell’integrità psichica e che quindi esiste una sorta di “vuoto normativo”, che cercheremo di colmare attraverso la spiegazione delle difficoltà nel concepire una norma ad hoc contro la manipolazione mentale, che comporterebbe il rischio di applicazioni arbitrarie (se a monte non si definisce in maniera precisa che cosa si intende per manipolazione mentale).

Faremo cenno – brevemente – anche a come, odiernamente, con questa tematica si intersecano problematiche importanti, tra cui la tutela della libertà religiosa, riferendoci alle “sette” ed ai nuovi movimenti religiosi.

L’obiettivo della seconda parte è proprio quello di fornirci ulteriori strumenti utili alla comprensione dei meccanismi formativi della capacità decisionale della persona, che sono alla base della sua integrità psichica, che si inizia a configurare come un vero e proprio diritto dell’individuo stesso.

Nell’ultima parte, allora, saremo pronti per riempire di contenuto il concetto, oramai spiegato, di integrità psichica.

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Ci riferiremo a tutte quelle fattispecie criminose, o meglio, a quelle più diffuse ed importanti, che presentano una lesione della persona in termini di “sofferenza psichica”.

Passando dai maltrattamenti domestici, al mobbing, allo stalking cercheremo di evidenziare, oltre ai profili comuni a tutte queste fattispecie, anche gli elementi di differenza, e proveremo a rispondere all’interrogativo, che si pone il diritto penale, riguardante la loro tutela.

Ma la domanda più importante, che arriveremo a porci è, in realtà, la seguente: è davvero necessario, in ogni caso, intervenire penalmente, o si potrebbe, invece, cercare di rispondere, avvalendoci di strumenti alternativi al diritto penale stesso, ma non per questo meno efficaci e soprattutto meno tempestivi?

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PARTE PRIMA

L’INTEGRITÁ PSICHICA COME RICONOSCIBILITÁ

DEI MOTIVI ALLA BASE DELLE PROPRIE SCELTE:

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CAPITOLO I

IL VOLTO DELL’INTEGRITÁ PSICHICA NELLE EMOZIONI E NEI SENTIMENTI

1. Introduzione: le norme giuridiche a tutela della libertà morale

L’espressione “integrità psichica” traduce, in un linguaggio esemplificatorio, tutta una serie di premesse e concetti, che dimostrano la complessità di una sua tutela dal punto di vista penale.

Iniziamo dal considerare quali sono le norme che coinvolgono direttamente la tutela psichica della persona.

Innanzi tutto, ed in modo più specifico, le norme del nostro codice penale dedicate ai delitti contro la “libertà morale”, situate nella parte speciale, ossia nel Libro II, Titolo XII, Capo III, Sezione III 1. Non a caso, esse si trovano nel Capo III, intitolato “Dei delitti contro la libertà individuale”. Tale collocazione si spiega facilmente se consideriamo che la dicitura “libertà morale” trova raggruppati attorno a sé una serie di delitti che vanno a colpire quel particolare aspetto della libertà individuale, noto come “libertà psichica”.

Quest’ultima va intesa come libertà della propria sfera psichica da ogni tipo di interferenza esterna: dalla capacità di intendere e

1 Gli articoli qui elencati sono i seguenti: art. 610, violenza privata; art. 611,

violenza o minaccia per costringere a commettere un reato; art. 612, minaccia; art. 612 bis, atti persecutori; art. 613, stato di incapacità procurato mediante violenza.

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13

di volere (art. 613 c.p.) alla libertà di autodeterminazione secondo motivi propri 2 (artt. 610 e 611 c.p.) fino alla tranquillità psichica 3. Le norme di cui parliamo, dunque, vanno lette alla luce della considerazione di un concetto di “libertà morale” sicuramente meno restrittivo, i.e. inteso, non solo come “libertà di autodeterminazione” 4, ma come espressione tesa ad includere nel suo alveo molti altri aspetti della vita psichica 5.

Una lettura trasversale, poi, può aiutarci a contestualizzare al meglio l’oggetto in questione, e proviene, più in generale, da tutti i delitti raggruppati sotto il titolo XII, ossia “Dei delitti contro la persona”, situati, come detto sopra, nella parte speciale del codice 6.

Infine, non è da dimenticare l’impulso che la stessa Costituzione sta ultimamente imprimendo all’ambito delle libertà personali, che vanno sempre più emancipandosi dagli interessi pubblici, ai quali erano legati e sottomessi secondo il legislatore del Trenta 7. Proprio circa la tutela costituzionale della “libertà morale” le opinioni sono controverse e divergono sulla proposta di riconoscimento di una tutela diretta (o autonoma) o indiretta (o riflessa). Per alcuni, essa trova fondamento nell’art. 13 Cost., che tutelerebbe in maniera diretta, sotto la “libertà personale”, non

2 Con tale espressione si intende formare autonomamente la propria volontà

ed agire secondo le libere determinazioni assunte.

3 Con “tranquillità psichica” si intende tutto ciò che può generare un

turbamento o un timore o che può generare disturbo o molestie; rispettivamente agli artt. 612 e 659 e 660 c.p.

4 In questo modo, infatti, si prenderebbe in considerazione un solo aspetto

della libertà morale.

5 Cfr. MANTOVANI F., Diritto penale, parte speciale, I, Delitti contro la persona,

3ᵃ ed., Padova, 2008, pag. 377-404.

6 Interessante, per un approfondimento in tal senso, PALAZZO F.C., Voce

persona (delitti contro), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 294 ss.

7 Cfr. FLICK G.M., voce Libertà individuale (delitti contro la), in Enc. dir., XXVI,

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solo la libertà fisica, ma anche quella “morale” 8; per altri, invece, il fondamento di tale tutela va individuato nell’art. 23 Cost., là dove, al divieto di prestazioni personali o patrimoniali “se non in base alla legge”, sarebbe correlata la libertà del singolo di autodeterminarsi, nei limiti degli obblighi e dei divieti imposti dalle pubbliche autorità, con la garanzia della riserva di legge e di altre garanzie apprestate dalla Costituzione (in particolare dagli artt. 23 e 32,2°co.), che, tutelando altre libertà, tutelerebbero, indirettamente, anche la libertà di autodeterminazione di un individuo 9.

Le repliche a queste due teorie non sono mancate: contro la prima, si obietta che, in base all’art. 13, anche i limiti previsti per la libertà morale dovrebbero sottostare al controlimite della riserva di legge e di giurisdizione, con la conseguenza che tutte le imposizioni di prestazioni personali da parte dell’autorità amministrativa sarebbero incostituzionali; contro la seconda, si obietta, invece, che la possibilità di imporre prestazioni personali o patrimoniali, in base alla legge, alla libertà morale, sarebbe possibile solo se tale libertà non fosse già garantita come “inviolabile” dall’art. 13, che consente, in questo modo,di far sì che, in forza dell’art. 23, siano ad esso imposti solo dei limiti riduttivi, cioè mediante imposizioni di obblighi di fare a tutela di soli interessi costituzionali e utilizzabili dalla pubblica autorità 10. Secondo l’opinione prevalente11 è da ritenere che la libertà morale sia oggetto di tutela diretta da parte dell’art. 13 Cost., in

8 Questa tesi troverebbe sostegno nello stesso art. 13 Cost., che, al 4°comma,

recita: “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.

9 V. MANTOVANI F., Diritto penale, parte speciale, I, Delitti contro la persona,

3ᵃ ed., Padova, 2008, pagg. 378 - 379.

10 Idem.

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15

quanto tutte le altre libertà possono essere lese attraverso la lesione della libertà morale.

I limiti alla libertà morale, poi, vanno desunti dall’intero sistema costituzionale, il quale, in ogni caso, tutela tutte le forme di aggressione della libertà morale12. Quest’ultima, anche dal punto di vista penale, distinguendosi dalla libertà fisica, viene tutelata direttamente, ma sulla base dei profili specifici che la contraddistinguono, ossia: 1) la fattispecie, che, mentre nei delitti contro la libertà fisica si concentra sull’evento esterno della privazione o della limitazione di tale libertà (e, come tale, immediatamente percepibile dai sensi), nei delitti contro la libertà morale (ad eccezione della minaccia) si concentra sull’ evento interno, sull’effetto psicologico, della riduzione o soppressione della libertà psichica, desumibile solo dalle circostanze esteriori sintomatiche; 2) l’incerta linea di demarcazione tra la normalità dei fenomeni di condizionamento propri delle relazioni intersoggettive, accertata o tollerata, e la patologia dei fenomeni di condizionamento da reprimere; 3) della determinatezza – tassatività delle fattispecie, soprattutto per la variabile vulnerabilità individuale alle interferenze nella sfera psichica 13. Suscita interesse anche la diatriba formatasi, proprio sull’ “integrità psichica”, tra giuristi e psichiatri: mentre i primi si riferiscono all’integrità psichica come “situazione prodromica rispetto alla libertà psichica in senso stretto, quale libertà di

12 Vale a dire: la violenza personale fisica e psichica, la violenza usata per

coartare l’altrui volontà; ma anche la violenza per il conseguimento di finalità costituzionalmente riconosciute (come la tortura o la narcoanalisi sugli inquisiti) e gli interventi sul soggetto, contro o senza il consenso dello stesso (ad es. interventi medico – chirurgici, atti sessuali). Su questi ultimi, in ogni caso, tralasceremo di soffermarci, in quanto non direttamente pertinenti alla nostra ricerca.

13 V. MANTOVANI F., Diritto penale, parte speciale, I, Delitti contro la persona,

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autodeterminazione in modo libero e consapevole” 14, i secondi richiamano invece il concetto di “salute mentale” 15.

La medesima divisione concettuale, avviene, tra l’altro – anche se in modo più “sofferto” – sul fronte civilistico della distinzione tra danno biologico, attinente all’integrità psicofisica, cioè alla salute dell’individuo, e danno morale, come “patimento” subito dal danneggiato.

È proprio il dato normativo la base di partenza da cui iniziare a definire il campo dell’ “integrità psichica”, per ora generico, ma che andremo progressivamente specificando.

2. “Integrità psichica”: il suo significato “in senso stretto” ed il significato che assume nella Costituzione

Cerchiamo ora di attribuire un significato più specifico e distinto ai due termini che compongono la locuzione “integrità psichica”. Ad una attenta analisi, infatti, possiamo osservare come i due termini si completino tra loro, ma, allo stesso tempo, delimitino e circoscrivano il concetto che vogliamo spiegare.

Per prima cosa, va detto che l’ “integrità” si contraddistingue per due caratteristiche fondamentali: la prima è la c.d. “incolumità”, la quale indica l’insieme di tutti i confini psico – fisici di un individuo, travalicati i quali, quest’ultimo cessa di essere tale. L’incolumità costituisce il limite “esterno” 16 dell’integrità, poiché considera

14 Così FIANDACA G. – MUSCO E., Diritto penale, parte speciale, tomo

secondo, I delitti contro la persona, cit., p. 211, riferendosi all’integrità psichica come bene protetto dall’art. 613 c.p.

15 Cfr. DEL RE M.C., Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale

dell’integrità psichica, in Studi in memoria di G. Delitala, I, Milano, 1984, cit.

pp. 345 – 346.

16 Cfr. POLLMANN A., Ein Recht auf Unversehrtheit? Skizze einer

Phänomenologie moralischer Integritätsverletzungen, in S. VAN DER

WALT-C. MENKE (a cura di), Die Unversehrtheit des Körpers. Geschichte unde

Theorie eines elementaren Menschenrechts, Frankfurt-New York, 2007, pp.

218 - 219, Cit. da NISCO A., La tutela penale dell’integrità psichica, Giappichelli, 2012, p. 4.

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l’essere umano - nel suo complesso - appunto, come un “organismo psico – fisico”.

La seconda caratteristica consiste invece nella c.d. “fedeltà con se stessi”, la quale costituisce, al contrario, il limite “interno” dell’integrità, poiché consiste, in altre parole, nell’adottare – da parte del soggetto – un “comportamento in armonia con le proprie decisioni” 17.

La fedeltà con se stessi richiama, tra l’altro, quell’ “autodeterminazione”, cui abbiamo già accennato nel paragrafo iniziale e che – come abbiamo visto – costituisce il tratto qualificante ed essenziale della libertà morale “in senso stretto”. Veniamo ora all’ attributo “psichica”.

Ad una considerazione strettamente letterale, con “psichico” si intende, generalmente, tutto ciò che attiene all’esperienza interiore di ogni essere umano.

Tuttavia, se ci concentriamo su un uso più “specifico”, ossia in correlazione alla parola “integrità”, l’attributo “psichica” si lega per lo più ad un altro concetto, che negli anni ha subito importantissime trasformazioni: la “salute”.

Quest’ultima, al contrario di quanto si possa immaginare, non restringe, bensì dilata il campo dell’integrità, poiché oggi con “salute” ci si riferisce al benessere fisico e psichico della persona, non solo dal punto di vista sanitario, ma anche comportamentale, sociale ed ambientale.

17 Cfr. GUTMANN T., Freiwilligkeit als Rechtsbegriff, Munchen, 2001, p. 7 (ove

il richiamo alla filosofia morale di RAZ J., The Morality of Freedom, Oxford, 1988, con particolare riferimento al concetto di “integrità”, p. 382 ss.), cit. da NISCO A., La tutela penale dell’integrità psichica, p. 4.

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È la stessa Corte costituzionale18 a richiamare, nell’ambito dell’art. 32 Cost., il diritto allo sviluppo della persona e l’interesse costituzionalmente garantito alla sua integrità fisica e psichica 19. Se, infatti, tra le situazioni soggettive legate alla tutela della salute, l’ “integrità fisica” è certamente quella cui l’ordinamento ha assicurato da più tempo protezione 20, la Carta fondamentale segnò un passaggio epocale, riconoscendo, da un lato, una “posizione centrale alla tutela e alla realizzazione della persona umana, […] intesa come qualcosa di assolutamente unico e non separabile, composto di corpo e mente” 21, e dall’altro sancendo la fondamentalità del diritto alla tutela della salute senza porre distinzioni tra aspetti della stessa.

Furono, però, soprattutto la dottrina e la giurisprudenza ad offrire i maggiori contributi per l’individuazione della copertura costituzionale del bene dell’integrità, che, a questo punto, possiamo chiamare “psico – fisica”. Ciò avvenne, in particolare, nell’ambito della risarcibilità del c.d. danno biologico, inteso come danno subìto dalla semplice lesione del bene salute, a

18 Ci si riferisce, in particolar modo (tra le svariate pronunce costituzionali sulla

“salute”) alla sent. n. 233/2003, in materia di danno biologico. Un riferimento testuale all’ “integrità fisica e psichica” si rinviene adesso nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 3, co. 1°.

19 Estende la tutela della salute alla “complessiva situazione di equilibrio

psichico e fisico”, CARAVITA B., artt. 32 – 38, Commentario breve alla

Costituzione.

Quanto al nesso tra salute e sviluppo della persona, cfr. MORTATI C., La tutela

della salute nella Costituzione italiana, in Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, 1961, I, p. 1 ss.

20 Il riferimento è al periodo precedente l’approvazione della Costituzione, nel

quale esisteva già una disciplina, tanto civile che penale, consistente nel divieto per l’individuo di disporre del proprio corpo – inteso quale oggetto autonomo su cui esercitare i propri poteri e diritti reali e personali – finalizzata al mantenimento dell’integrità biologica (art. 5 c.c.) e una serie di sanzioni dirette a colpire la lesione di particolari aspetti del bene salute (artt. 581 “lesioni e percosse” e 582 “lesione personale” c.p.)

21 Cfr. ROMBOLI R., Art. 5 (la libertà di disporre del proprio corpo), in Comm.

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prescindere dalle conseguenze indirette che questa abbia potuto generare sulla capacità di produrre reddito del danneggiato22. Tralasciando di approfondire tale tematica, poiché non particolarmente pertinente al nostro lavoro, ce ne serviamo a sommi capi per comprendere, invece , quello che ne conseguì: dalle recenti pronunce costituzionali emesse tra il 2002 e il 2003 23 emerge che nella tutela risarcitoria del danno non patrimoniale sono compresi “sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico 24; sia, infine il danno (spesso definito in dottrina e giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”.

Tutto questo ci serve per completare quanto detto finora sul collegamento tra l’attributo “psichica” e il sostantivo “salute”: infatti, la sussunzione della protezione legislativa della integrità psico – fisica, nel più ampio e dinamico ambito della tutela costituzionale della salute, ha permesso un notevole

22 La trattazione del danno biologico imporrebbe un lavoro a parte. Qui ci

interessa richiamare, a livello mnemonico, la sentenza 88/1979 della Corte Costituzionale, con la quale si dette avvio alla vicenda e nella quale la Corte definì la “salute” come “diritto fondamentale dell’individuo, dal quale discende un’immediata operatività nei rapporti tra privati, anche in assenza di rapporti di natura contrattuale”. tuttavia, solo con la sent. 184/1986, la Corte operò una vera e propria rivoluzione, superando la “strettoia” dell’art. 2059 c.c.: la tutela risarcitoria fu, infatti, riferita direttamente al combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 c.c.

23 Cfr. Cass., sez. III, 7281/2003, sez. III, 7283/2003, sez. III, 8827/2003 e

8828/2003.

24 L’orientamento in base al quale per poter ricomprendere i pregiudizi

derivanti da un evento lesivo del danno biologico occorre una lesione dell’integrità psico – fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica è stato di recente ripreso anche dal legislatore in due importanti provvedimenti legislativi. Cfr. art. 13, d.lg. 38/2000, e art. 5, l. 57/2001.

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arricchimento del contenuto di tale principio, ampliandone potentemente le potenzialità e possibilità di azione.

È altrettanto vero, però, che, quando non sia possibile inquadrare l’offesa all’integrità psichica in un danno alla “salute”, essa si può ricondurre nell’ambito dell’ “integrità morale” 25.

Il senso è il seguente: a cambiare, in questo caso, non è l’oggetto dell’offesa, che resta la psiche, ma la “localizzazione” della modalità con cui avviene la lesione, la quale, senza necessità di riscontri obiettivi di tipo psicologico o medico, punta su parametri di rilevanza sociale, in senso lato “morali”.

Quanto detto finora ci consente di “inserire” nell’ “integrità psichica” tutte quelle figure criminose attinenti alla libertà morale (in particolare la violenza privata) e quelle che ledono la sfera affettiva (come i maltrattamenti in famiglia e il delitto di atti persecutori).

Da ciò si potrebbe osservare, e, di conseguenza, obiettare, che la categoria dell’integrità psichica racchiude così tanti tipi di lesioni psichiche tale da smarrire la sua unità, appunto, categoriale.

Tuttavia bisogna precisare che, a livello penale, si passa all’ “offesa” solo quando nella fattispecie tipica è descritto un “evento psichico” tale da individuare il bene giuridico di cui discorriamo 26. Al riconoscimento di tale “offesa” giova, non solo la ricostruzione delle norme di riferimento, ma anche dei processi psichici meritevoli e suscettibili di tutela.

Per altro verso dobbiamo necessariamente passare attraverso la, seppur breve, considerazione dei fattori sociali di espansione della tutela dell’integrità psichica.

25 Usa questa aggettivazione l’art. 342 bis c.c., in materia di protezione contro

gli abusi familiari.

26 Cfr. DE MARSICO A., Diritto penale, parte generale, Napoli, 1969, pp.

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2.1. I fattori sociali di espansione della tutela dell’integrità psichica

A questo punto, credo che sia importante collocare l’indagine che stiamo conducendo all’interno di uno spazio – tempo ben determinato: quello della nostra società odierna.

Sappiamo infatti che il diritto, come e forse “più” di altre materie, è figlio del tempo in cui vive; in particolare, il suo scopo è quello di rispondere ed “adattarsi” alle richieste ed agli stimoli che gli vengono continuamente inviati dalla società.

Il che ci permette, tornando al nostro tema, di studiare a fondo quali sono le cause di una sempre maggiore richiesta di “attenzioni” nei confronti dell’ “integrità psichica” 27.

Molte di queste cause derivano soprattutto da una sorta di “contraddizione sociale”, che ha portato ultimamente ad una accresciuta rilevanza, tra le persone, della percezione dei fattori psichici: il coesistere dell’esigenza, proveniente da ogni individuo, di sentirsi “unico” ed “indipendente”, con la richiesta di “attenzioni” (per lo più scatenata dal proliferare dei social network) e di essere considerati dal punto di vista “relazionale” 28.

Ma è proprio quest’ultimo concetto ad aver subito dei notevoli cambiamenti e ad essersi connotato di sfumature diverse rispetto al passato.

27 PONTI G., in Danno psichico e attuale percezione psichiatrica del disturbo

mentale, in Riv. it. med. leg., 1992, p. 527 ss., parla di una “accresciuta

rilevanza nella percezione sociale dei fattori psichici”, con riferimento al danno civile.

28 Sul processo di “mercificazione dell’interiorità” mediante un contatto

tecnologico e soprattutto mediatico, è interessante la riflessione di ILLOUZ E., in Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi, Milano, 2007; per l’autrice, infatti, la possibilità di poter analizzare e commisurare le nostre emozioni come prodotto esterno alla stessa persona che le produce, aumenta la probabilità che le nostre relazioni intime si trasformino in oggetti mercificabili ed interscambiabili. Per la Illouz, quindi, le emozioni sono così diventate oggetti da esternare, soppesare, contrattare e giustificare, messe al centro della società come modello di comunicazione.

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Ci riferiamo al fatto che, ultimamente, la “paura” e l’ “insicurezza” sono i due sentimenti che più “colorano” – se così possiamo dire – il modo di relazionarsi con gli altri.

Basti pensare ad una fattispecie criminosa, nata recentemente, e che sta sempre più prendendo piede e diffondendosi nelle sue peculiari caratteristiche: stiamo parlando dello stalking, o delitto di atti persecutori, di cui all’art. 612 – bis c.p. e del quale parleremo in modo più approfondito nel terzo capitolo, in merito alla sofferenza psichica 29.

Lo stalking è un fenomeno che fonda le sue radici, appunto, nella “paura di subire future aggressioni” 30, risultando, per tale motivo, dotato di una sorta di interessante paradosso interno: non è più chiaro se sia la paura a dare un nome al comportamento incriminato o se invece sia quest’ultimo a dare un nome alla paura diffusa nella società.

Non è un caso, dunque, che, in concomitanza al sorgere di tali fenomeni, si stiano facendo spazio studi ed indagini sulle “emozioni” 31.

Tutto ciò evidenzia l’importanza della ricerca, da parte nostra, di un “metodo” per comprendere, e quindi tutelare, tutti quei

29 La collocazione della spiegazione del delitto di atti persecutori nel terzo

capitolo del presente lavoro, dedicato alla sofferenza psichica, si giustifica se adoperiamo una visione “globale” dell’intero fenomeno della tutela dell’integrità psichica. Nell’ultimo capitolo, infatti, come vedremo, ci si è voluti soffermare sulla sofferenza e su ciò che ne consegue; ecco che il “perdurante stato di ansia e di paura”, tipici dello stalking, ci riconducono subito ad uno stato d’animo della persona offesa, caratterizzato da sentimenti di esasperazione e profonda prostrazione (come confermato dalle prime pronunce giurisprudenziali sul tema).

30 È quanto sostiene, nella sua analisi sociologica dello stalking, LALLI P.,

Molestie assillanti: un problema di comunicazione?, in P. CURCI – G.M.

GALEAZZI – C.SECCHI (a cura di), La sindrome delle Molestie Assillanti, Torino, 2003, p.120.

31 Anche il settore delle neuroscienze, come vedremo tra poco, ha dato grande

impulso allo studio delle “emozioni”; senza considerare, poi, l’importanza che l’ “emozione” assume nella psicologia. Da tutti questi saperi, il diritto saprà ricavare la propria “interpretazione”, come cercheremo di dimostrare.

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fenomeni psichici, sottesi al termine “integrità”, che stanno affermandosi nella nostra società.

2.2. Conseguenze della richiesta di tutela

Ad una richiesta sempre maggiore di prestare attenzione all’ “integrità psichica” il diritto penale prova a rispondere, scontrandosi, innanzi tutto, con delle difficoltà oggettive, quali: la necessità di dare tutela a fenomeni che, pur manifestandosi esteriormente, hanno a che vedere con eventi psichici “interni”; l’estrema soggettività con cui tali fenomeni si mostrano, a livello individuale, nella psiche di ciascuna persona; ma, soprattutto, la difficoltà sta nell’individuare un indice quanto più “oggettivo” sul quale basarsi per “giudicare” i rapporti relazionali.

Un indice che mostri, cioè, quale sia il limite da non superare per sconfinare sul terreno di un rapporto “patologico” e non più “normale”.

Il problema, a tal proposito, è dato dall’estrema variabilità del dato psicologico, che ne rende difficoltosa la verificabilità.

Infatti, non è che i fenomeni psichici siano irreali, tuttavia presentano una componente, che non è empiricamente afferrabile.

Riportato nel diritto penale, tale problema si scontra con l’esigenza del rispetto del principio di tassatività e determinatezza 32.

La direzione verso la quale ci si è mossi è, per l’appunto – come dicevamo poc’anzi – quella di individuare un indice c.d. “di

32 Le citazioni riportare risalgono a FLICK G.M., Voce libertà individuale, p.

545 e ss. Anche PESTELLI G., in Diritto penale e manipolazione mentale: tra

vecchi problemi e prospettive de jure condendo, in Riv. it. proc. pen., 2009, p,

1277. Individua, come nodi problematici della tutela penale dell’integrità psichica, la “certezza” e la “tassatività” del bene da tutelare; i parametri di “esteriorizzazione della lesione”; e la costruzione di una norma dotata di tassatività.

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rischio”, tale da rispondere quanto più possibile all’esigenza di determinatezza; ci sono infatti comportamenti quali il “costringere”, il “minacciare” e il “maltrattare”, che valicano il “rischio” accettabile.

Con ciò, però, non si riescono a comprendere tutte le innumerevoli sfumature dei fenomeni psichici, la cui inafferrabilità rimane un dato di fatto.

Altra direzione, allora, può essere quella di fare maggior chiarezza possibile e di domandarci, per prima cosa, se una fattispecie penale possa includere al proprio interno un evento psichico.

In altri termini, si vorrebbe argomentare il seguente ragionamento: se in una figura criminosa riuscissimo a riscontrare ogni volta una “causalità psichica”33, potremmo spiegare allora il fenomeno psichico insito in essa, facendolo derivare da una condotta umana; potremmo, cioè, “oggettivizzarlo”.

Quanto appena affermato va precisato, facendo riferimento al pensiero di John Searle 34, il quale si rapporta alla realtà psichica, suggerendo due modalità: la prima è quella di formulare degli enunciati epistemici rispetto agli stati psichici; la seconda è di guardare ai contenuti soggettivi della coscienza 35.

33 La spiegazione dei processi psicologici è un problema specifico della

filosofia della psicologia; la causalità mentale, invece, è una questione della filosofia della mente, CFR. CAMPANER R. (a cura di), La spiegazione nelle

scienze umana, Roma, 2004. Tra le due discipline esistono però innumerevoli

intersezioni. Della “causalità psichica”, in ogni caso ci soffermeremo più avanti, nel cap. III.

34 Ci si riferisce a John R. Searle, nato a Denver (Colorado) nel 1932; egli

occupa un ruolo di primo piano nella comunità filosofica internazionale. Si è occupato, in modo particolare, di analizzare il pensiero di Searle, NANNINI S., nell’opera L’anima e il corpo. Un’introduzione storica alla filosofia della mente, Roma – Bari, 2002.

35 Searle compie questa distinzione, in primo luogo, contro il riduzionismo e la

tendenza a considerare la realtà psichica come un fenomeno conseguente alla realtà fisica (il “comportamentismo”, ad esempio, è una delle teorie riduzionistiche, che rifiuta qualsiasi forma di introspezione, e ritiene che l’unico dato di fatto oggettivo per uno studio scientifico della mente sia il

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È chiaro che si può dare una risposta alla verificabilità di cui dicevamo, solo rimanendo nella prima modalità: ossia rinvenendo un criterio oggettivo – epistemico, dunque condiviso a livello medico – psichiatrico e neurologico, sul quale si possa basare la descrizione di un concetto psicologico.

Tuttavia, ciò che davvero può condurci ad una soluzione più precisa è l’individuare, di volta in volta, la modalità di emersione normativa degli eventi psichici.

Si dovrà, cioè, distinguere tra le varie attività psichiche per inquadrarle e collocarle nel sistema della tutela penale.

Descrivere il substrato psichico consente infatti all’interprete di ricavare criteri valutativi diversi, sulla cui base orientarsi per inserire in una norma penale l’evento psichico, rispettando comunque il principio di determinatezza.

2.3. L’integrità psichica e gli altri saperi: Cenni sul rapporto tra diritto penale e psicologia

Il richiamo più volte effettuato, come facilmente si può notare, è quello alla psicologia, di cui ci preme dire qualche parola in merito al suo rapporto con il diritto penale.

In primo luogo, va precisato che, a seconda del profilo con cui ci si mette in correlazione, il diritto penale interagisce in modo diverso.

Ad esempio, se ci si occupa della responsabilità, il penalista sarà poco disposto a trattare tale tematica su un piano diverso da

comportamento esteriore); ad essi, infatti, Searle replica, affermando che “i fenomeni mentali presentano un’ontologia in prima persona, nel senso che esistono solo perché qualche soggetto ne ha l’esperienza” (SEARLE J., La

Mente, Milano, 2005). In seguito, egli torna sull’argomento per precisare che

“il fatto che gli stati coscienti siano ontologicamente soggettivi, nel senso che esistono solo in quanto esperienze di un soggetto umano o animale, non implica che non sia possibile uno studio scientificamente oggettivo degli stati coscienti” (ibidem, pp. 122 -133).

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26

quello normativo; mentre, riguardo alle tecniche di tutela, il diritto penale volentieri accetta suggerimenti dalle altre scienze 36. Dunque, se rifarsi ad altri saperi non può essere una costante assoluta da applicare in ogni caso, allo stesso tempo tali saperi non possono essere sottovalutati, ma devono invece essere valorizzati e studiati, in quanto sono in grado di apportare concetti e tematiche fondamentali al mondo del diritto, guidando, talvolta, anche a soluzioni più corrette.

Ciò premesso, spesso si è parlato di una caratteristica del diritto penale, che è quella di possedere una “psicologia esoterica” 37. Con questo termine si vuole spiegare una delle tendenze del diritto penale, i.e. quella di piegare alle proprie esigenze normative quello che esso “impara” ad altre discipline, come la stessa psicologia, arrivando addirittura a forgiare concetti psicologici “sui generis”.

Da quanto si è detto emerge una prima conclusione riguardante il rapporto tra diritto penale e psicologia/ altri saperi: ossia, che ci si serve del loro relazionarsi e “contaminarsi” a vicenda per individuare le varie modalità di emersione dei fenomeni psichici, che poi è quello che ci interessa per arrivare ad “oggettivare” l’integrità psichica ed a renderne più efficace la tutela.

In ogni caso, che tra diritto penale e psicologia ci sia un forte legame è dimostrato anche da un’altra disciplina, la sociologia della conoscenza, che afferma: “lo stato psicologico è relativo alle definizioni sociali della realtà ed è esso stesso definito socialmente” 38.

36 Cfr. PULITANÒ D., Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico,

in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 795 ss.

37 Il riferimento è alle c.d. “Alltagstheorien”, cioè ad un “sapere quotidiano”, e

non specialistico, che fa parte di una critica mossa dai criminologi ai penalisti.

38 BERGER P.L.-LUCKMANN T., La realtà come costruzione sociale,

Bologna, 1969. Gli autori di quest’opera sostengono che: “i problemi di stato psicologico non possono essere risolti senza riconoscere le definizioni della

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27

Questo per dire che: se la descrizione delle esperienze interiori è influenzata dalla realtà sociale, decidere su ciò che il diritto penale deve considerare, discende dalla complessità dell’oggetto di cui si discute e non da un “capriccio” della scienza penale stessa.

Facciamo un esempio per chiarire: se tra i vari modi di concepire l’ “ansia”, come descritta dall’art. 612 – bis, si privilegiasse un punto di vista clinico – patologico, invece della narrazione e della “sensibilità” della vittima, lo si farebbe, prima di tutto, per dare una “ regola”, sulla quale il diritto penale potesse “appoggiarsi” e di cui potesse avvalersi, essendo il punto di vista clinico – patologico maggiormente condiviso da altri metodi di descrivere la realtà 39; il punto di vista della vittima, infatti, si presta sicuramente ad essere più “unico” ed “originale” 40.

In conclusione: è necessario, per definire al meglio l’ “integrità psichica”, che il diritto penale si confronti con altre materie, in particolar modo con la psicologia, poiché un’esigenza tale nasce proprio dalla peculiarità del concetto trattato.

Infine, un discorso similare a quello del rapporto “esterno”, cioè tra diritto penale e discipline psicologiche, si può fare anche relativamente al rapporto “interno”.

realtà che vengono date per scontate nella situazione sociale dell’individuo. Per dirlo in modo più conciso, lo stato psicologico è relativo alle definizioni sociali della realtà ed è esso stesso definito socialmente”.

39 La necessità di formulare discorsi il più ampiamente possibile condivisi è

coerente con la natura del sapere giuridico; cfr. VOGLIOTTI M., Dove passa il

confine? Sul divieto di analogia nel diritto penale, Torino, 2011.

40 Va precisato, al riguardo, che il diritto positivo pone un limite alla perizia

sulla personalità e sulle qualità psichiche indipendenti da cause patologiche dell’imputato (art. 220, co. 2, c.p.p.), ma non con riguardo alla persona offesa. Si pone pur sempre una questione di rapporto tra giudice e perito e una discussione sulla scelta di quest’ultimo, così come di “neutralità” dell’esperto rispetto alle peculiarità offerte dall’esame psichiatrico e patologico.

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Ci si riferisce, in questo caso, alla circolazione di concetti psicologici all’interno del sistema penale, tra parte generale e parte speciale.

La differenza tra i concetti afferenti ai due settori è manifesta: ad esempio, il termine “infermità”, inerente all’imputabilità (art. 88 c.p. 41) e “malattia”, presente nella parte speciale (art. 582 c.p. 42) 43.

Per non parlare degli “stati emotivi e passionali”, che, mentre nella parte generale non sono tenuti di conto rispetto all’autore, nella parte generale vengono tramutati in eventi di danno o di pericolo (rispettivamente, negli artt. 612 – bis e 612 c.p.).

Senza indugiare oltre, si vuole solo far tenere presente che, anche nei nessi interni al sistema penale, come per quelli esterni, lo scopo a cui dobbiamo mirare deve essere lo stesso: servirci di tutto ciò che è utile a cogliere il fenomeno compatibilmente con la natura normativa della scienza penale. Dunque: così come ci serviamo “esternamente” delle altre discipline (prima fra tutte, della psicologia), anche “internamente” al sistema penale, tra parte generale e parte speciale, si può fare la stessa cosa, usando, però, accortezza allo spostamento; ossia, prima di “spostare” un concetto da una parte all’altra del codice, dobbiamo necessariamente svestirlo della funzione normativa acquisita

41 L’art. 88 c.p. (vizio totale di mente) recita: “Non è imputabile chi, nel

momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d’intendere o di volere”.

42 L’art. 582 c.p. (lesione personale) recita: “Chiunque cagiona ad alcuno una

lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni”.

43 In dottrina, si evidenzia come la “malattia” sia un processo morboso, mentre

l’ “infermità” possa comprendere disturbi anche solo transitori; per un approfondimento in tal senso, cfr. COLLICA M.T., Vizio di mente: nozione,

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nell’altra sede 44 : tutto, essenzialmente, nella logica del raggiungimento di un equilibrio epistemico.

3. La volontà: Riflessione sulla volontà e sulla sua tutela penale.

Premessa

Se il nostro scopo, come già accennato, è quello di dare una tutela quanto più efficace all’ “integrità psichica”, diventa comprensibile la necessità di “selezionare”, quanto meno, quei momenti della vita interiore suscettibili di una lesione da parte di un fatto di reato.

Il legislatore, accostandosi alla dimensione psichica, ha storicamente privilegiato i “processi del volere” 45.

Questo perché la “volontà”, intesa come un sentimento di libertà interiore, è sicuramente la caratteristica che accomuna i più svariati processi psichici.

Dunque la volontà è il primo elemento da esaminare per individuare il bene giuridico dell’integrità psichica.

Oltre a questa, il campo delle “emozioni” e dei “sentimenti”, che ultimamente ha ricevuto un forte impulso, può condurci ad ampliare ed a comprendere meglio il motivo della nostra analisi.

44 Per riprendere l’esempio di cui sopra, possiamo dire che non è

metodologicamente impedito il processo di adeguamento del concetto di “malattia” mentale a quello di “disturbo” in materia di lesioni. Tuttavia, è evidente che tale opzione ermeneutica conosce ragioni diverse da quelle, ben note, implicate nella delineazione di una “infermità” derivante da disturbi psichici nell’imputabilità.

45 Si veda, a tal proposito, DE VINCENTIIS, SEMERARI A., Psicopatologia e

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3.1. Le caratteristiche della volontà

Nel diritto, e in particolare in quello penale, si parla di volontà in relazione alla libertà, poiché “una volontà senza libertà sarebbe una contraddizione in termini” 46.

Un accurato studio della volontà è stata sperimentato in un ordinamento a noi particolarmente vicino, per ragioni storiche e per tradizioni scientifiche, quale quello tedesco.

Una posizione del tutto autonoma, in seno alla dottrina tedesca a cavallo tra Ottocento e Novecento, fu quella assunta da Karl Binding 47, il quale individuò ed operò una distinzione tra i delitti contro la libertà, suddividendoli in tre gruppi: a) i delitti, che si contraddistinguono per il fatto di rivolgersi all’aggressione delle capacità di ogni individuo di formare la propria volontà in maniera ragionevole; b) i delitti, nei quali viene minata la capacità dell’individuo di attuare la propria volontà nel caso concreto; c) i delitti, nei quali al soggetto è impedita la libertà di decidere secondo motivi propri 48.

Il primo bene giuridico, ossia la capacità di formazione della volontà, è leso ogni qualvolta il soggetto passivo venga posto in una condizione di incoscienza o, più in generale, di incapacità di intendere e di volere: ad esempio, attraverso la narcotizzazione

46 ARENDT H., La vita della mente, Bologna, 2009, cit. Si pensi, in merito

all’affermazione di cui sopra, anche al detto di Sant’Agostino, tratto da il De

libero arbitrio, Libro III, Sez. III: “Se devo necessariamente volere, perché mai dovrei parlare di volontà?...La nostra volontà non sarebbe volontà se non fosse in nostro potere. Poiché è in nostro potere è libera”.

47 Ci si riferisce, in particolar modo, all’opera di BINDING K., Lehrbuch des

Gemeinen Deutschen Strafrechts BT, I Band, 2. Aufl., Leipzig, 1902. Binding

fu colui che dette alla materia della volontà l’elaborazione più vasta ed organica.

48 Binding affianca, poi, a questi tre delitti, un quarto possibile oggetto di

aggressione, indicato genericamente come “altrui volontà o altrui manifestazione di volontà”, e che costituirebbe l’oggetto specifico della tutela dei reati contro l’inviolabilità del domicilio e dei segreti. L’autore ne riconosce, tuttavia, la differenza con gli altri tre citati nel testo, che costituiscono l’oggetto di tutela degli autentici delitti contro la libertà.

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o l’ipnosi; la capacità di attuare la propria volontà nel caso concreto, i.e. la libertà di attuazione della volontà, viene lesa, invece, allorché al soggetto sia impedito di servirsi del proprio corpo per un determinato scopo: come nel caso in cui, aggredito, gli vengano impediti determinati movimenti corporei49. Infine, la libertà di decisione secondo motivi propri, cioè la libertà di formazione della volontà, è lesa allorché una singola decisione di agire del soggetto passivo, sia stata determinata da motivi imposti da altri, e non da una libera scelta del suo autore50.

Binding, in realtà, fa una riflessione molto corretta, in quanto riesce a cogliere le varie sfumature dell’aggressione all’altrui volontà.

Allo stesso tempo, però, possono essere mosse delle critiche alla sua teoria.

Egli, infatti, ricollega alla legge penale tutte le condotte aggressive dei beni giuridici sopra descritti (essenzialmente quelli di libertà) negli unici termini di “violenza” e di “minaccia” 51. Infatti, secondo Binding, per “violenza” si deve intendere qualsiasi condotta che tolga alla vittima la capacità di formazione della volontà ovvero la libertà di attuazione della volontà stessa 52;

mentre, residualmente, per “minaccia”, deve intendersi qualsiasi condotta lesiva della libertà di formazione della volontà 53.

49 Sempre BINDING K., Lehrbuch. Si veda, inoltre, VIGANÒ F., La tutela

penale della libertà individuale, I – L’offesa mediante violenza, Milano, 2002.

p. 47. In questo secondo caso, infatti, si noti come il soggetto non sia stato previamente posto nella condizione, prima descritta, di generale incapacità di formare alcuna volizione, ma, piuttosto, gli venga fisicamente impedita l’attuazione di una determinata volizione, liberamente presa.

50 In questo terzo caso, potrebbe parlarsi di un vizio del processo

motivazionale, che ha condotto alla singola decisione di agire.

51 BINDING K., Lehrbuch, cit. p. 82.

52 Si tratta, cioè, dei beni giuridici sopra indicati sub a) e sub b). 53 Si tratta, quindi, del bene giuridico sopra indicato sub c).

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Si evince da ciò che la critica, a cui Binding è sottoposto, è quella di aver sovrapposto il concetto di “aggressione alla volontà” a quello di “violenza”, in quanto quest’ultima sembra divenire sinonimo di “qualsiasi attacco alla volontà” 54, perdendo, di conseguenza, il suo specifico significato.

Detto ciò, è indubbio che quanto affermato da Binding sia di grande valore, poiché egli riesce a scindere i due momenti della volontà, e questi sono fondamentali per la ricerca che stiamo svolgendo.

Il primo aspetto, quello della “volontà razionale”, ci indica ancora una volta quel profilo “esterno” dell’integrità psichica 55, al quale abbiamo già fatto riferimento: è la volontà intesa quasi “fisicamente”, ossia come attività mentale nel suo meccanico svolgimento di formazione dei processi motivazionali.

A questa si riconducono tutte quelle forme di aggressione psicologica, nelle quali si impedisce la formazione “empirica” 56 della volontà (si pensi, ad esempio, all’abrogato delitto di plagio, o alla procurata incapacità di intendere e di volere).

Negli altri casi, invece, ci si rivolge alla fase in cui la volontà si è tradotta nella “decisione” del soggetto 57; vengono, cioè, interdetti gli scopi, verso i quali la volontà si dirige.

In questo scritto, in realtà, ci vogliamo limitare a trattare la formazione di una volontà libera, in quanto direttamente collegata

54 Sul tema in questione, torneremo in seguito. Infatti, nella dottrina

postbindinghiana, avremo la coppia concettuale vis absoluta – vis compulsiva, intendendosi per vis absoluta ogni condotta lesiva della generale capacità di

formazione della volontà o della libertà di attuazione della propria volontà nel

caso concreto, e per vis compulsiva ogni condotta lesiva della libertà di

formazione della propria volontà nel caso concreto.

55 Ossia l’incolumità: retro, Cap. I, par. 2.

56 Secondo gli esempi di BINDING K., Lehrbuch, sono: la narcosi, la

sollecitazione di delirio, l’ipnosi etc.

57 Sulla suddivisione della volontà in base a distinti processi psicologici, quali

la motivazione, la deliberazione, la decisione e la realizzazione, Cfr, GULOTTA G., Psicoanalisi e responsabilità penale, Milano, 2005.

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alla tutela dell’integrità psichica, tralasciando, quindi, tutta la spiegazione filosofica, che, sebbene interessante, sarebbe troppo lunga e fuorviante.

Al contrario, non dobbiamo dimenticare il contributo di Giuliano Vassalli in merito alla “libertà morale”, della quale egli parla in un suo saggio degli anni Sessanta 58.

Per prima cosa, l’autorevole autore faceva notare la totale mancanza di riferimenti alla libertà morale nel nostro testo costituzionale.

In particolare, Vassalli distingueva la libertà morale da tutte le altre libertà costituzionali, soprattutto dalla libertà personale, e ne coglieva invece il fondamento in un fascio di norme costituzionali, tra cui l’art. 13 59.

Vassalli dà una propria definizione di libertà morale, dicendo che essa è la “libertà della sfera psichica dell’uomo (formata da coscienza, intelletto e volontà) da frodi o ingiuste imposizioni esterne” 60.

Anche Vassalli, dunque, parla di una “libertà del volere”.

Tuttavia, la vera novità che ci porta è un’altra: quella di suddividere la libertà morale in molteplici aspetti, i.e., nella libertà di coscienza, di pensiero, della vita “affettiva” (che egli chiama

58 Si tratta di VASSALLI G., Il diritto alla libertà morale (Contributo alla teoria

dei diritti della personalità), già in Studi in memoria di F. Vassalli, Torino, 1960,

vol. II, ora in G. VASSALLI, Scritti giuridici, Vol. III, Il processo e le libertà, Milano, 1997.

59 Vassalli vede implicazioni della tutela della libertà morale in svariate norme

costituzionali, tra cui: negli artt. 2 (diritti inviolabili dell’uomo con riferimento allo sviluppo della personalità umana), 4 (diritto e dovere di scelta della professione, nella quale è presupposto un “potere di auto convincimento e di interne determinazione”); 13 (che riguarda sia l’integrità fisica sia la libertà morale delle persone sottoposte a restrizione della libertà personale); 14, 15, 16, 19 e 21, che riconoscono in maniera “implicita” la libertà morale dell’individuo, e negli artt. 23, 25 e 32, giudicati “di ancor più rilevante interesse” per la tematica (Cfr. VASSALLI G., Il diritto alla libertà morale, cit. p. 266 e ss.).

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“vita psichica”, intendendo con ciò la sfera dei sentimenti e degli affetti di ciascuno di noi) ed infine della “libertà psichica”, che lo studioso distingue dal c.d. “diritto all’integrità morale” 61 (che per lui è l’onore).

Quello su cui va posto l’accento è che, per la prima volta, grazie a Vassalli, si riflette veramente sull’esigenza di ampliare la tutela penale della sfera affettiva, differenziando la libertà psichica sia dall’integrità fisica che da quella morale.

Ma anche questo scenario alla fine ci serve solo per prendere spunti sul tema dell’integrità psichica, in quanto sorgono comunque delle critiche: Vassalli, infatti, unisce la dimensione penalistica, incentrata sulle esigenze di tutela della persona, con quella costituzionalista, ma senza fare delle precisazioni.

Mentre, da una parte, la prospettiva penalistica descrive condotte lesive della libertà dei consociati, quella costituzionale individua modalità di compressione delle libertà nell’ambito dei rapporti fra cittadini e pubblici poteri 62.

Un confronto tra le due branche del diritto si rivela utile solo per conoscere il modo di assunzione di uno stesso dato esistenziale nei singoli rami dell’ordinamento 63.

Inoltre, seppur trovando un incontro con le norme costituzionali, Vassalli non riesce a risolvere il problema dell’esatta collocazione della libertà morale: per alcuni commentatori – come abbiamo già visto – risiede nell’art. 13 Cost., per altri nell’art. 23, lasciando

61 VASSALLI G., Il diritto alla libertà morale, cit., p.305

62 BARBERA A., I principi costituzionali della libertà personale, Milano, 1967,

ove troviamo l’affermazione, secondo cui la norma penale “vieta in quanto permette” e quella costituzionale, per cui “permette in quanto vieta”.

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invece all’art. 13 il compito di disciplinare solo la tutela dalle aggressioni fisiche alla libertà personale 64.

In realtà, possiamo così concludere: con l’analisi del concetto di volontà ci siamo chiariti anche il concetto di libertà morale.

Quest’ultima – ed è quello che ci interessa – più che trovare appiglio in una miriade di disposizioni, si può ricollegare a quel diritto all’ “autodeterminazione”, che la Corte costituzionale vede negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione 65.

3.2. L’attacco dei neuroscienziati alla libera volontà e le tesi contrapposte

La domanda che, dopo questo excursus, arriviamo a porci è la seguente: la libertà, variamente accompagnata da attributi quali “di volere”, “di pensare”, “della sfera affettiva” (etc.), possono arricchirsi di un contenuto giuridicamente significativo e spendibile nella definizione di un oggetto di tutela penalistica? Per rispondere dobbiamo innanzitutto partire da delle considerazioni.

Se ci basiamo, infatti, unicamente sulla concezione giuridica della libertà, secondo cui quest’ultima è da intendere come “libertà da costrizioni” 66, si otterrà il risultato di aggirare solamente il problema dell’attribuzione di un contenuto empirico alla libertà. Il punto di partenza può essere, allora, quello di rifarci ad una considerazione “basica” e su cui tutti sono d’accordo, ossia il far

64 Sulla questione del contenuto dell’art. 13 Cost, D’ALESSIO R., artt. 13 – 17,

in V, CRISAFULLI – L. PALADIN, Commentario breve alla Costituzione, Padova, 1990.

65 Cfr. Corte costituzionale, sent, n. 438/2008 sul consenso informato. La

pronuncia individua il fondamento del consenso informato negli artt. 2, 13 e 32 Cost., evidenziando la “funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute” di questo istituto.

66 Cfr. DE MONTICELLI R., La novità di ognuno. Persona e libertà, Milano,

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leva sull’elementare atteggiamento psichico, che caratterizza la libertà: la consapevolezza di essere padroni di se stessi 67. Il problema subentra quando tale convinzione si scontra con il c.d. “determinismo incompatibilista”, secondo il quale tutto ciò che accade è fisicamente predeterminato, sì che la libertà di volere non trova alcuno spazio nell’universo.

Si tratta della teoria sostenuta dai neuroscienziati, in particolare dal fisiologo americano Benjamin Libet, il quale dimostrò che il cervello si prepara all’azione molto prima che il soggetto diventi consapevole di aver deciso di compiere il movimento 68.

Merita, a questo punto, aprire una piccola parentesi sul contributo e il ruolo delle neuroscienze.

Esse, dapprima, si sono concentrate sul tentativo di chiarire i meccanismi attraverso i quali i soggetti colgono e quindi si relazionano con la realtà circostante.

E fin qui non hanno riscontrato resistenze particolari, fornendo anzi la base scientifica di supporto a molte impostazioni psicologiche.

I problemi sono sorti quando, con il loro progredire, hanno esteso il proprio ambito di indagine altresì alle esperienze soggettive del

67 BURKHARDT B. in M. SENN-D PUSKÁS, 2006, p. 88, riassume così

questo punto di partenza: “gli esseri umani non si sentono liberi, perché sono

liberi; essi sono liberi, perché si sentono liberi”.

68 Cfr. LIBET B., Mind time. Il fattore temporale nella coscienza, Milano, 2007,

dove si può trovare la spiegazione dell’esperimento da lui condotto nel 1977. In quell’anno, infatti, nel tentativo di elaborare un metodo sperimentale per misurare il rapporto tra processi cerebrali e volontà, studiò il particolare momento in cui l’azione diventa consapevole: il soggetto, guardando un orologio, deve riferire il tempo cronometrico della sua intenzione cosciente di agire. Gli viene chiesto di compiere un’azione semplice (ad esempio, flettere un dito), senza decidere preventivamente quando agire, in modo da poter separare il processo di separazione dell’azione da quello dello svolgimento della stessa. Durante l’esecuzione del compito, la sua attività elettrica cerebrale viene registrata tramite elettrodi posti sullo scalpo. Dai risultati del test risulta che il processo di volizione (quello che Libet chiama il potenziale di

prontezza motoria) comincia 550 ms prima dell’azione; mentre la

consapevolezza inizia in media solo 200 ms prima dell’azione. Da ciò egli deduce che noi cominciamo a volere prima di rendercene conto.

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mondo interno, cercando di darne una spiegazione ed invadendo, di conseguenza, il campo di altre discipline.

Il contributo essenziale delle neuroscienze è stato, infatti, quello di partire dallo studio scientifico delle malattie per giungere a scoprire importanti connessioni e modi di funzionamento del cervello, inaugurando così un approccio biologico al problema della coscienza o “senso del sé” 69.

Ciò ha suscitato, come prevedibile, una prima reazione negativa da parte degli psicologi, che ritengono che la spiegazione biologica sia ancora in gran parte troppo semplicistica e dunque inadeguata rispetto alla complessità dei meccanismi della mente. Gli stessi neuroscienziati ammettono di non essere ancora riusciti a chiarire come una particolare combinazione di eventi psicologici ci renda coscienti 70.

Quel che sembra plausibile, o, meglio ancora, auspicabile, è l’unione dei due sforzi, vale a dire la collaborazione tra neuroscienza e psicologia, in quanto esse possono essere utili l’una all’altra nell’integrazione dei tasselli mancanti rispettivamente a ciascun ragionamento.

In tutto ciò, rimane saldo un elemento, che rimette sempre in gioco ogni tipo di argomentazione sul punto dell’introspezione: le esperienze sono necessariamente filtrate attraverso la soggettività dell’individuo.

Se questa, costituisce, da una parte, un’incognita, è pur vero, dall’altra, che questa continua variabile è la dimostrazione di

69 La bibliografia su questo interessante tema si sta progressivamente

ampliando. Cfr. DAMASIO A.R., Emozione e coscienza, cit.; DONALD M.,

L’evoluzione della mente, Garzanti, 2004; KOCH C., La ricerca della coscienza, Utet, 2007; GOLDBERG E., L’anima del cervello. Questa, che

potremmo definire l’idea – base dell’approccio neuroscientifico, ha poi ricevuto sviluppi interessanti: ad esempio, è ormai riconosciuto il ruolo dell’ipotalamo nel sistema funzionale per le emozioni o l’ippocampo nella rimozione di eventi traumatici

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