• Non ci sono risultati.

La condotta incriminata dall’art 610 c.p.: violenza propria e violenza impropria

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 78-83)

IL VOLTO DELL’INTEGRITÁ PSICHICA NELLA VOLONTÁ E NELLA COSTRIZIONE

2. La nozione di “costrizione”: vis absoluta e vis compulsiva

2.2. La condotta incriminata dall’art 610 c.p.: violenza propria e violenza impropria

Parlando della costrizione, abbiamo effettuato una sua “ricostruzione”, allo scopo di comprendere quando si configura il delitto di violenza privata, ex art. 610 c.p.

È proprio quest’ultima che ora ci preme – ulteriormente – specificare.

Sappiamo che essa si manifesta tramite la minaccia oppure la violenza nei confronti della vittima.

Per minaccia 165, si intende qualunque comportamento che, tenuto conto delle condizioni in cui si svolge la vicenda 166, sia

165 Cfr. DASSANO F., Voce Minaccia, in Enc. dir., XXVI, Milano, 1976, cit.,

334 ss.

166 Sul piano giurisprudenziale, Cass. pen., sez. V, 26 gennaio 2006, n. 7214,

secondo la quale è punibile: “la minaccia, ancorché non esplicita, che si concreti in qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere

77

idoneo ad eliminare oppure a ridurre nel soggetto passivo la capacità di determinarsi liberamente 167.

In dottrina si richiede la prospettazione di un male ingiusto e futuro 168 per sottomettere la volontà della vittima, che dipende dall’autore 169.

Relativamente alla violenza, invece: anzi tutto, in dottrina si suole distinguere – come abbiamo visto in precedenza – tra “violenza – fine” e “violenza – mezzo”, a seconda che essa sia utilizzata per recare ad altri un danno ovvero per piegarne la volontà. Mentre nella prima ipotesi, essa viene posta in essere per ledere la vittima, nel secondo caso, diversamente, essa viene impiegata al fine di costringerla a fare, tollerare od omettere qualcosa 170 Ciò premesso, a differenza di altri reati, come detto, la violenza ex art. 610 c.p., rileva come mezzo di costrizione, e non come fine della condotta illecita.

In ogni caso, anche se nel codice penale spesso si richiama la “violenza” come elemento della fattispecie, non se ne fornisce mai una definizione di carattere generale.

che, mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa”. La massima di questa pronuncia è riportata in PARODI C., Stalking e tutela penale, Milano, 2009.

167 La minaccia, come la violenza, comporta delle reazioni psichiche, nelle

quali la volontà viene coartata. In merito, MEZZETTI E., Voce Violenza privata

e minaccia, in Dig. disc. pen, XV, Torino, 1999, cit., 274, precisa che, mentre

la minaccia è caratterizzata da un’angoscia anticipatoria per un evento percepito come dannoso, la violenza comporta, invece, la conseguente destrutturazione della personalità in atto reale.

168 Comunemente si richiede anche l’illegittimità della condotta. In merito,

MAZZI G., sub art. 610, in LATTANZI G., LUPO E., codice penale.

169 Nel senso che potrà essere realizzato dall’agente qualora la vittima non si

adegui alla sua volontà. Su questo requisito FIANDACA G. – MUSCO E.,

Diritto penale, parte speciale, vol. I, I delitti contro la persona, cit., 181 ss.

170 Cfr. anche, in merito, DE SIMONE G., Voce violenza (diritto penale), in

78

L’art. 392 c.p. parla di violenza sulle cose 171, allorché la cosa venga danneggiata, trasformata o ne venga mutata la destinazione.

Nessuna precisazione, invece, è fornita circa la violenza personale.

Innanzi al silenzio del legislatore su quest’ultima, si riscontrano diversi indirizzi interpretativi, i quali hanno progressivamente “spiritualizzato” la nozione di violenza 172.

Secondo l’impostazione tradizionale, infatti, la violenza, nell’accezione puramente penalistica, non è altro che l’esplicazione di energia fisica dell’agente su di una persona allo scopo di dominarne il volere 173. Essa viene intesa, cioè, come lesione o come immediata esposizione al pericolo dei beni attinenti alla dimensione fisica della persona, quali la vita, l’integrità fisica ovvero la libertà di movimento del soggetto passivo.

Tuttavia, la difficoltà di mantenere il concetto di violenza entro gli angusti confini segnati dai criteri dell’estrinsecazione di forza fisica, è presto emersa da tutta una serie di casi pratici, aventi ad oggetto limitazioni della libertà di movimento, attuate senza alcun

171 L’art. 392 c.p., co. 1 (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza

sulle cose) recita precisamente: “Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa con la multa fino a €516”. Il comma 2 dice: “Agli effetti della legge penale, si ha “violenza sulle cose” allorché la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è mutata la destinazione”. Infine al comma 3 si aggiunge: “Si ha, altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico”.

172 Con “spiritualizzazione” della violenza si intende il processo di

smaterializzazione e dilatazione da essa subìto nel tempo.

79

contatto fisico tra agente e vittima, e finalizzate a costringere quest’ultima ad una determinata condotta 174.

Dunque, mentre in un primo momento è stato ritenuto sufficiente a descrivere la violenza l’impiego della “energia fisica”, a prescindere dal grado di intensità impiegato, successivamente si è giunti a valutare solamente l’effetto costrittivo della condotta del reo.

Di conseguenza, accanto alla violenza c.d. “propria”, consistente, appunto, nel ricorso all’energia fisica, dottrina e giurisprudenza hanno elaborato la figura della violenza c.d. “impropria”, vale a dire comprensiva di ogni altro mezzo – esclusa la minaccia – capace di indurre lo stesso risultato di coazione nei confronti del soggetto passivo 175.

Ciononostante, in dottrina sono sorti dei dubbi circa l’anzidetta nozione di violenza. Cerchiamo di capirne il perché.

La dottrina – in particolare – ha rilevato che la violenza assume un significato autonomo rispetto alla costrizione, per due motivi: da un lato, la violenza costituisce, talvolta, un elemento tipico di fattispecie che non prevedono l’effetto della costrizione; si pensi, ad esempio, all’art. 337 c.p. (Resistenza a un pubblico ufficiale)

174 Il leading case risale al 1885: tra un commerciante ed un sarto era sorta

una controversia circa la qualità di alcune lavorazioni, prodotte da quest’ultimo; poiché il sarto si rifiutava di consegnare il materiale prima di essere stato pagato – adducendo motivi riguardanti la scarsa qualità del materiale stesso – il commerciante mandò a chiamare la polizia e nel mentre chiuse il locale dove si trovava il sarto per impedirgli di andarsene senza prima avergli consegnato la merce. In questo caso particolare, pur mancando l’impiego di qualsiasi forza fisica sul sarto, il commerciante venne accusato di violenza privata, poiché quest’ultima si ha quando si incide sulla libertà di decisione di un soggetto, come avvenuto con il sarto, che era stato rinchiuso nel locale con uno scopo chiaramente coattivo da parte del commerciante. Cfr. VIGANÒ F., La tutela

penale della libertà individuale, I – L’offesa mediante violenza, Milano, 2002,

p. 55.

175 Sulla dilatazione del concetto di violenza, nella manualistica, cfr. COCCO

M., Violenza privata (610), in COCCO G., AMBROSETTI E.M., Manuale di diritto penale.

80

176, dove la violenza (o la minaccia) è finalizzata all’ “opposizione” al pubblico ufficiale, oppure all’art. 393 c.p. (Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone), dove si ha violenza alle persone di chi si fa arbitraria ragione da sé.

Dall’altro, la costrizione si può attuare anche con mezzi che non siano violenti 177.

Dunque, l’orientamento che parla di “violenza impropria”, suggerendo di riconoscere la violenza in base alla costrizione, che ne deriva, scambia la causa (i.e. la condotta violenta) con l’effetto (ossia il costringimento), assorbendo in tal modo la minaccia nell’area della violenza.

Quanto detto è sufficiente ad escludere dalla fattispecie della violenza privata tutte quelle condotte di mera resistenza passiva, come ad esempio le catene umane nel contesto di una manifestazione pacifica: nonostante la presenza dell’effetto costrittivo, da tale condotta non scaturisce l’inflizione, né tanto meno la previsione di un male, che sono le caratteristiche, invece, della violenza e della minaccia.

Per lo stesso motivo, vanno escluse dalla violenza privata anche quelle condotte tese ad ingenerare uno spavento oppure a sorprendere la vittima 178: bisogna infatti che, realmente, avvenga un’interferenza nel processo deliberativo; come sappiamo, il soggetto passivo non deve essere incapace di prendere una determinata decisione, quanto, piuttosto, impossibilitato a farlo. Dunque, come abbiamo appena visto, la vicenda tipica dell’art.

176 Non è sufficiente, cioè, la mera disobbedienza al pubblico ufficiale 177 Lo dimostra, tra l’altro, lo stesso art. 610 c.p., includendo la “minaccia” tra

le condotte tipiche.

178 È interessante, a questo proposito, la spiegazione fornita da Bernard Gert

riguardo la “coercizione”. Egli spiega la limitazione della volontà, causata dalla coercizione, soltanto quando è la situazione stessa vissuta dalla vittima a dare una spiegazione alla sua paura; se quest’ultima, invece, soffrisse – ad esempio – di fobie, non sarebbe più la situazione, bensì la persona, a spiegare la paura.

81

610 c.p. richiede che il soggetto passivo abbia, in ogni caso, la capacità di prendere una decisione, ossia di autodeterminarsi, e non si riferisce a coloro che non hanno la capacità di formare una propria volontà 179.

Infatti, se da un lato, nel caso in cui si manipoli la volontà, cercando di incidere sul substrato psichico di essa, è vero che si rientra pur sempre negli ambiti, nei quali viene rilevata una lesione dell’integrità psichica, dall’altro va detto, però, che manipolazioni di questo tipo non possono rientrare nella fattispecie della violenza privata, in quanto non si ha quella “costrizione”, che fin qui abbiamo cercato di definire; si tratta, piuttosto, di un’alterazione degli stati di coscienza 180, che si situano su un piano distinto rispetto all’alterazione degli “scopi” di azione di un certo individuo, andando a toccare altre parti della volontà, come gli “stimoli” all’azione 181.

Infine, quanto alla minaccia, ex art. 610 c.p., quale minaccia – mezzo, consistente – a differenza della violenza – nella delineazione di un male senza la sua attuazione, essa si configura – sulla linea di quanto appena argomentato – quando il male prospettato sia tale per cui, razionalmente, il soggetto non sia disposto a subirlo.

Nel documento INTEGRITA' PSICHICA E TUTELA PENALE (pagine 78-83)

Documenti correlati